SOCIOLOGIA (XXXI, p. 1019)
La sociolocia contemporanea. - Rispetto alla s. delle origini, essenzialmente caratterizzata dalle opere enciclopediche di Auguste Comte e di Herbert Spencer, la s. contemporanea presenta alcune differenze fondamentali che riguardano sia i temi di ricerca che il metodo e le tecniche di indagine. In primo luogo, la s. contemporanea non è più l'opera di "grandi individui"; essa è piuttosto il risultato di un lavoro "di squadra". Nessun sociologo oggi si propone di elaborare da solo, a tavolino, la "teoria sociale" come un sistema chiuso e onni-includente. Il sociologo lavora oggi in collaborazione stretta con i colleghi, sia sociologi che cultori delle altre scienze sociali, in particolare della psicologia, dell'antropologia culturale, della storia e dell'economia. In secondo luogo, più che della società in generale, la s. tende a interessarsi di gruppi sociali, definiti con sempre maggior precisione con riguardo alla loro struttura, alla loro dinamica interna e alle loro funzioni specifiche nella più grande società.
Pur tenendo conto che recentemente si è notato un riemergere dell'esigenza sistematica, anche negli S. U. A. (Robert K. Merton, Talcott Parsons), la s. contemporanea potrebbe definirsi come una vera e propria "gruppologia" per il suo costante, consapevole e talvolta polemico rifiuto di imprendere a considerare la società come una compagine razionale assoluta, da descrivere e spiegare senza residui nel quadro di un sistema totale. In terzo luogo, con particolare riguardo al metodo, la s. contemporanea si presenta come una scienza di osservazione dei fatti umani, che si avvale dell'analisi empirica e delle usuali operazioni di verifica scientifiche, con l'intento di giungere alla formulazione di "leggi sociologiche", non in senso dogmatico o meccanicistico, bensì come linee di tendenza, fondate sugli aspetti di uniformità e di ripetibilità dei fenomeni osservati.
È appena necessario accennare alla distanza che intercorre fra una siffatta s. e la s. sistematica delle origini, romanticamente tesa allo studio non sempre rigorosamente induttivo, ma anzi tendenzialmente filosofeggiante, di una presunta "società generale", che sovente finiva per identificarsi semplicisticamente con i pregiudizî e i valori personali dei singoli studiosi. Con lo scoppio della prima guerra mondiale si può dire che il sogno dei sociologi sistematici, non privo di una sua generosa grandiosità, tramonta definitivamente insieme con le illusioni tipicamente ottimistiche dell'Ottocento. Gli studiosi di scienze sociali appaiono meno propensi alle grandi generalizzazioni non verificabili e tendono a circoscrivere con cura l'oggetto e l'ambito delle proprie indagini. Anche sotto la pressione rinnovata della polemica e delle critiche di origine neo-idealistica, i sociologi diventano consapevoli dei limiti della loro disciplina e della sua vocazione specifica. Si vogliono chiarire i rapporti fra s. e le altre scienze sociali; si cerca di affinare, di là da ogni equivoco naturalistico (e in questo senso riesce utilissima l'evoluzione della fisica teorica, con il principio di indeterminazione di Heisenberg e la teoria della relatività di Einstein), il concetto di legge sociologica come legge tendenziale o uniformità constatata, ripetibile e pertanto, con un certo margine di errore, prevedibile.
Più che al sistema si pensa al metodo. Più che a opere individuali di grande respiro e di tipo classicamente enciclopedico, si progettano ricerche di squadra, a breve raggio e centrate su problemi ben circoscritti. Al posto dei grandi individui solitarî sorgono le scuole o, più esattamente, le tendenze. Più che da teorie sostantive o particolari dottrine, queste tendenze sono definite dal metodo e dalle tecniche di indagine cui fanno ricorso. Schematicamente, l'indagine sociale contemporanea si è articolata sulla base di due indirizzi fondamentali, che chiameremo sommariamente l'indirizzo empirico e l'indirizzo razionalistico. Per lungo tempo questi due indirizzi sono stati contrapposti l'un l'altro, dando luogo a un falso dilemma e contribuendo a determinare una seria impasse per la ricerca sociale. Gli empirici hanno soprattutto insistito sull'accumulazione dei dati elementari, producendo ricerche e analisi prevalentemente descrittive, mentre i razionalisti e i teorici si sono soprattutto interessati alla costruzione sistematica di schemi concettuali generalizzati. Il divorzio fra questi due indirizzi ha avuto come risultato finale l'impoverimento, e il disorientamento, dal punto di vista scientifico, sia del lavoro "sul campo" sia della elaborazione teorica.
Al lavoro di ricerca empirica è mancato l'orientamento fondamentale e il senso generale della ricerca stessa, il criterio selettivo rispetto ai problemi e alle situazioni da indagare, la formulazione rigorosa di ipotesi di lavoro verificabili, ossia scientificamente rilevanti. Alla elaborazione concettuale è d'altro canto venuto meno il materiale empirico di verifica ed è accaduto pertanto che essa si riducesse a mero esercizio accademico. Specialmente nel caso della sociologia americana, in chiara rivolta contro la sociologia sistematica, i due indirizzi hanno avuto cultori di prim'ordine e possono contare su tradizioni illustri.
All'interno di questi due indirizzi, o atteggiamenti mentali, fondamentali, si possono trovare metodologie e tecniche specifiche di indagine diverse. In particolare è possibile individuare cinque tipi di impostazione metodologica generale: a) statistica; b) sperimentale; c) tipologica; d) storica; e) metodo dei "casi". Ciò che è veramente importante in tali impostazioni o procedure non è tanto il risultato, cui conducono nel caso di ricerche particolari, ossia il contenuto specifico, quanto il processo di sviluppo delle tecniche specifiche di indagine. Nel caso delle "tipologie", per esempio, non sono tanto i varî "tipi" elaborati che contano e hanno importanza, quanto il modo con cui si è proceduto alla loro elaborazione e definizione. Quanto poi all'orientamento generale delle numerose ricerche particolari cui gli studî di s. hanno dato luogo, specialmente a partire dalla prima guerra mondiale, è possibile, a nostro giudizio, distinguere tre grandi categorie: a) ricerche non orientate o globali, in cui prevale il criterio descrittivistico della mera cumulazione dei dati; b) ricerche istituzionali, in cui prevale il concetto di valore in quanto si esprime in un determinato comportamento, più o meno cristallizzato in istituzione; c) ricerche relazionistiche, in cui si prescinde dal soggetto e dall'oggetto dell'azione sociale per concentrare l'attenzione sulla fenomenologia della relazione sociale in quanto tale.
Valgono, in ogni caso, per tutte queste ricerche, quale che sia il loro orientamento o la loro impostazione metodologica generale, le parole di W. I. Thomas e F. Znaniecki, a conclusione della loro classica indagine, The Polish peasant in Europe and America, le quali sembrano veramente riconoscere e decretare la fine dell'età sistematica e il generale orientamento della s. contemporanea: "Il nostro lavoro non pretende di dare verità sociologiche precise e universalmente valide e neppure di costituire un modello permanente di ricerca sociologica; esso vuol essere una semplice monografia, la più completa possibile date le circostanze, intorno a un gruppo sociale circoscritto in un certo periodo della sua evoluzione, la quale potrà suggerire studî di altri gruppi, più dettagliati e metodologicamente più provveduti". La s. contemporanea tende pertanto a porsi come un complesso di s. specializzate, o di settore. La grande sintesi, tentata dai sociologi sistematici del secolo scorso e della prima decade di questo (fra gli epigoni dell'età sistematica possiamo annoverare Ferdinand Tönnies e Vilfredo Pareto), si è diluita in una serie di s. particolari, definite dal loro specifico campo di indagine. È quasi superfluo avvertire che tale diluizione dell'oggetto di indagine ha potentemente contribuito a legare la s. ai varî ambienti nazionali, concepiti come particolari contesti socio-culturali ed economico-politici, dando luogo al sorgere di scuole nazionali, che riflettono fedelmente, al punto da farne temere una meccanica strumentalizzazione, i problemi e le particolari tendenze di determinate strutture economiche, politiche e culturali.
Accanto ai temi di indagine, che per la s. si possono considerare classici, come la famiglia o le classi sociali, sono venuti sviluppandosi e configurandosi, con una loro peculiare fisionomia e problematica, settori di indagine relativamente nuovi, quali la s. industriale, la s. della conoscenza, la s. elettorale e del comportamento politico, la s. dei movimenti sociali e dei mezzi di comunicazione di massa, e così via. Qui ci limiteremo a dare notizia di alcune acquisizioni importanti delle s. particolari, che sembrano sostanzialmente verificate dalla ricerca empirica e che toccano sia i temi tradizionali, come la famiglia, sia quelli più recenti, come la s. industriale.
La famiglia. - È un tema di grande rilievo per la ricerca sociologica. Tradizionalmente si è infatti guardato alla famiglia come al nucleo essenziale, o cellulare, di ogni società umana. La famiglia è però passata attraverso a varie fasi evolutive, a seconda del particolare configurarsi e al comportamento delle altre variabili del processo sociale globale. La sua evoluzione continua. Su di essa non abbiamo ancora dati in quantità e qualità sufficienti per ricavare generalizzazioni valide e per stabilire correlazioni significative. Sembra tuttavia verificato il trapasso dalla famiglia tipica della società contadina, o pre-industriale e pre-urbana, che si pone essenzialmente come istituzione relativamente autonoma e autosufficiente, tale da provvedere simultaneamente non solo alla perpetuazione e alla trasmissione dei valori, ma anche alla produzione dei beni economici fondamentali, alla famiglia come pura companionship, ossia come il centro non più della produzione economica o della formazione pedagogica nel senso più largo, ma del consumo comune. È stato tuttavia giustamente osservato a questo proposito che anche siffatta funzione appare oggi minacciata. La diversificazione dei divertimenti e in generale dell'uso del tempo libero a seconda dell'età rischia di dissolvere anche quest'ultimo bastione dell'unità del gruppo familiare.
Essendo la famiglia la prima e la più immediata forma di associazione, le varie civiltà dovevano, allo scopo di radicarsi e darsi fondamento, cominciare con l'istituzionalizzare un sistema familiare. I sociologi della famiglia hanno infatti chiarito come, già in epoca preistorica, si passò dalla famiglia biologica, costituita dai genitori e dai figli, alle forme di organizzazione familiare più idonee ad assolvere funzioni economiche e sociali. Sorge così la famiglia consanguinea. La famiglia consanguinea si distingue in esogamica e in endogamica, a seconda che prevalga l'abitudine di contrarre matrimonio all'esterno o all'interno del gruppo familiare. In epoca protostorica e storica, il termine famiglia viene ad includere ben più vaste unità, veri e proprî consorzî familiari di più famiglie padronali, risalenti ad uno stesso capostipite, e di famiglie servili (si veda, per esempio, la "familia" romana).
L'avvento della società industriale ha modificato profondamente le condizioni di vita dei gruppi familiari. Alcune funzioni, come la produzione, e quindi la relativa autosufficienza economica, sono cadute. La divisione del lavoro e la differenziazione delle funzioni, resa più rigida dalla crescente specializzazione, si sono ripercosse sulla struttura della famiglia e hanno allentato i vincoli oggettivi che legano i coniugi. Orarî di lavoro e tipi di occupazione diversi li tengono sovente lontani, sottraggono il tempo necessario e quindi la possibilità dell'educazione familiare dei figli, rendono la comunità di vita dei membri del gruppo familiare assai difficile, se non impossibile.
A proposito dell'evoluzione della famiglia nella società moderna, cfr. R. N. Anshen, The family: its function and destiny, New York 1949; E. W. Burgess e H. J. Locke, The family, from institution to companionship, 2ª ed., New York 1953; R. König, Materialen zur Soziologie der Familie, Berna 1946; A. Niemeyer, Zur Struktur der Familie, Berlino 1931; UNESCO (a cura dell'), Recherches sur la famille, I, Tubinga 1956; II, Gottinga 1957; R. F. Winch e R. McGinnis (a cura di), Marriage and the family, New York 1953.
Evidentemente sono a questo proposito inutili, da un punto di vista conoscitivo, le proteste moraleggianti o le iniziative tendenti a una restaurazione etica dell'istituto familiare. Non si tratta di buona o cattiva volontà, ma piuttosto di una evoluzione strutturale dei modi della convivenza, che investe necessariamente tutti gli aspetti e le istituzioni della vita associata e, fra queste, in primo luogo la famiglia.
Soprattutto in Italia la letteratura sulla famiglia è abbondante, ma raramente si tratta di ricerche sociologiche vere e proprie. Citiamo, fra gli altri, C. Angeloni, Indagine sulla costituzione familiare di un gruppo scelto di lavoratori tranvieri milanesi, in Rivista italiana di economia, demografia e statistica, luglio-dicembre 1951; U. Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino 1951; P. Bandettini, Sul dinamismo dell'attrazione matrimoniale in rapporto alla frequenza delle nozze, Roma 1951; S. Bigatello, La donna e il matrimonio, Milano 1951; E. Carli, Un'indagine sulle spese delle famiglie urbane, in Realtà sociale d'oggi, maggio 1953; B. Colombo, Sulla misura della fertilità matrimoniale e sulla determinazione della sua dinamica, in Rivista internazionale di Scienze Sociali, gennaio-febbraio 1953; S. Di Francesco, Il matrimonio, unità psico-biologica, Milano 1950; D. Origlia, I rapporti sessuali fuori del matrimonio, Milano 1950; A. Visco, Le cause di annullamento di matrimonio negli attuali contrasti giurisprudenziali, Roma 1950; F. Vito, La famiglia come unità economica e sociale, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali, maggio-giugno 1955.
Negli Stati Uniti, invece, lo studio della famiglia ha da un pezzo superato lo stadio delle descrizioni di tendenze matrimoniali e indici di divorzî (cfr. E. A. Shils, Lo stato attuale della sociologia americana, in Quaderni di sociologia, n. 6, autunno 1952, p. 98). Sebbene permanga vivo l'interesse per questi dati, questo non è considerato il tema più importante per gli studiosi della famiglia. La descrizione fatta da W. Ogburn dei mutamenti nelle funzioni della famiglia negli S. U. A. (il declino delle funzioni economico-produttive, educative e religiose, e il mantenimento della funzione affettiva) ha coinciso con il passaggio dell'attenzione dei sociologi alla famiglia intesa come un complesso unitario di personalità interreagenti. In tale prospettiva, il tema è così importante che la mole, pur rispettabile, degli studî sull'argomento è inferiore alle esigenze del mercato, come risulta dalle statistiche curate da R. Hill, in Recenti sviluppi della sociologia applicata (Bari 1959, pp. 128-196). Dalle statistiche dello Hill risulta che dal 1900 ad oggi sono stati pubblicati negli S. U. A. oltre 12 mila volumi o saggi intorno alla s. della famiglia. Dalle stesse statistiche risulta che il numero di pubblicazioni sull'argomento è maggiore nei Paesi ad elevato livello industriale e che, mentre negli S. U. A. hanno maggior sviluppo gli studî di microsociologia familiare, in India, in Giappone, in Germania, in Austria e in Olanda, lo studio della famiglia è condotto in generale al livello macroscopico.
Recentemente, sia in Inghilterra sia negli S. U. A., sono apparsi studî meritevoli di attenzione sia dal punto di vista dei risultati raggiunti, sia da quello puramente metodologico. In Family and social network (Londra 1957) Elizabeth Bott ha dato il resoconto di una ricerca condotta intorno a venti famiglie ordinarie dell'area di Londra, con particolare riguardo ai ruoli, alle norme e alle relazioni esterne. Il metodo seguito è quello dell'intervista intensiva su un numero ristretto di rispondenti a preferenza della survey, o sondaggio, che abbraccia un campione piuttosto vasto e abbastanza rappresentativo. Più che di un questionario rigidamente strutturato, la ricerca si vale di una serie di temi-guida per il colloquio, che riguardano: informazioni generali sulla famiglia, storia personale, ecc.; l'organizzazione e la distribuzione dell'autorità nella famiglia; i rapporti informali esterni; i rapporti formali esterni (scuola, chiesa, partiti politici, sindacati, associazioni, clubs, ecc.); l'orientamento ideologico (cambiamento sociale; concetto di classe sociale; idea della famiglia stessa e della sua evoluzione negli ultimi cinquant'anni).
Uno studio da segnalare è quello di Daniel R. Miller e Guy E. Swanson, The changing American parent, a study in the Detroit Area (New York 1958). Esso ci offre infatti un esempio notevole di come le surveys possano sottrarsi a quelle critiche che Lindsay Rogers, fra gli altri, aveva brillantemente esposto nella sua opera The Pollsters. Si tratta di una survey geograficamente bene delimitata (l'area di Detroit, urbana e suburbana) e centrata sul problema di come vengono oggi allevati i bambini nelle famiglie americane. Il problema è specifico e ben circoscritto, ma non viene studiato come se fosse in sé conchiuso e distaccato da tutto il resto della società, ossia come se in sé e per sé, come dato isolato, fosse naturalmente significante. Se venisse studiato come tale, l'opera non andrebbe neppure segnalata perché si collocherebbe molto semplicemente nella lunga tradizione dell'ascetismo metodologico nordamericano, tutto preso dal furore dell'accumulazione dei dati empirici, senza porsi domande relative al "perché" dell'accumulazione stessa. Miller e Swanson cercano al contrario, con piena consapevolezza di ciò che tale tentativo significhi, di mettere in relazione il modo di allevare i bambini (child care e child training) con il tipo di società circostante, in cui il gruppo familiare vive immerso e dal quale è condizionato, anche quando vi reagisca. Ma - fatto anche più straordinario nelle ricerche sociologiche degli S. U. A. - gli autori si preoccupano di stabilire con chiarezza l'evoluzione storica del problema e di fissare le varie tappe, insieme con le loro caratteristiche emergenti. Noi vediamo quindi come, prima di dar corso all'amministrazione del questionario al campione prescelto, che consiste di 600 madri abitanti nell'area suburbana di Detroit, gli autori abbiano delineati i quattri grandi periodi o fasi del modo di allevare i bambini negli S. U. A.: a) dalla metà del 1700 alla guerra civile; b) dal 1860 alla prima guerra mondiale; c) dal 1920 al 1930; d) dal 1945 ad oggi.
Le conclusioni di questa parte del lavoro sono che si nota la tendenza ad un progressivo "addolcimento" dei metodi di educazione dei bambini. Dal tipo di educazione disciplinare, mirante a "spezzare" la resistenza della volontà del bambino e del giovane, che appare in declino già al tempo della guerra civile, passiamo alle lotte degli educatori progressisti del secolo scorso contro l'autoritarismo dei genitori e agli sforzi per insegnare al bambino ad essere autonomo e autosufficiente e ad adattarsi ai nuovi bisogni e alle nuove esigenze di una società di transizione, per giungere infine alla situazione odierna, che appare caratterizzata dal timore di impedire la libera espressione del bambino, il suo essere "naturale", di metterlo di fronte a compiti e doveri "prima che sia pronto ad affrontarli". Il metodo cui si sono attenuti gli autori per lo studio e l'individuazione di queste tappe è essenzialmente quello dell'"analisi del contenuto", applicato a libri e a giornali del tempo e a manuali pediatrici ed educativi.
Una volta stabiliti i varî cambiamenti che hanno avuto luogo negli S. U. A. con riguardo all'educazione del bambino e le varie tappe corrispondenti, Miller e Swanson ne cercano la spiegazione nel diverso contesto sociale nel quadro del quale avviene l'integrazione del bambino. Essi distinguono due tipi di contesto sociale: a) l'imprenditoriale e b) il burocratico, e riassumono in questi termini la loro definizione: "Il termine imprenditoriale (entrepreneurial) si riferisce a organizzazioni con le seguenti caratteristiche: piccole dimensioni, semplice divisione del lavoro, relativamente esigua capitalizzazione, e possibilità di mobilità e di reddito mediante la concorrenza e il rischio. Le situazioni sociali sono state definite individuate se esse isolano gli individui l'uno dall'altro rispetto al controllo e all'influenza di norme culturali condivise. I bambini allevati in famiglie individuate e imprenditoriali saranno incoraggiati ad essere altamente razionali, a esercitare l'auto controllo, ad avere fiducia in se stessi e ad assumere un atteggiamento attivo, manipolativo verso il loro ambiente. Il termine burocratico si riferisce a organizzazioni che sono grandi e che impiegano numerosi e diversi tipi di specialisti. È tipico che la capitalizzazione di queste imprese sia notevole e che il reddito dei partecipanti sia nella forma di salario o stipendio: "... i bambini allevati in famiglie del tipo burocratico saranno incoraggiati ad essere adattabili (accomodative), a permettere ai loro impulsi un margine di espressione spontanea e a cercare il senso di direzione nei programmi organizzativi a cui partecipano". Si tratta di impressioni, che gli autori derivano in parte dalle loro letture e insieme da altri scrittori, da Georg Simmel e David Riesman, e che tendono con notevoli risorse a provare empiricamente nel seguito della ricerca, pur rendendosi ben conto che "saggiare le proprie idee contro i fatti non è mai una impresa diretta e perfetta".
Rispetto ai temi fondamentali della s. della famiglia, quali, per esempio, il ruolo e la figura del padre, che sono stati particolarmente studiati dalla s. familiare tedesca, la divergenza delle opinioni fra i sociologi è ancora assai grande. Assai giustamente, Foote e Cottrell (cfr. Nelson N. Foote, L. S. Cottrell, Indentity and interpersonal competence, Chicago 1955), rilevano che il dilemma impostoci da tante contrastanti proposizioni e risultanze è dovuto al relativamente modesto livello di generalità delle osservazioni sistematiche dalle quali esse vengono ricavate.
L'industrializzazione. - Fin dal suo primo sorgere, l'industrialismo aveva avuto profonde ripercussioni sull'elemento umano. Esso non si era posto solo come una nuova tecnica produttiva, non aveva soltanto comportato il declino e l'affermarsi di nuove élites, rispetto al mondo contadino il processo di industrializzazione si poneva come un vero e proprio "salto storico", ossia come un nuovo modo di vita, con i suoi "valori", le sue abitudini e il suo stile. La s. specializzata che si interessa propriamente dei problemi connessi con l'industrializzazione è ormai tradizionalmente indicata come "s. industriale". Si dànno, di questa particolare s., numerose e contraddittorie definizioni. L'errore di siffatti tentativi sembra consistere nel considerare tali definizioni come ontologicamente valide, ossia fondanti, rispetto alla scienza, mentre andrebbero al più intese come determinazioni del livello e dell'ambito di osservazione di una data disciplina. Sulla base di queste indicazioni e con le riserve sopra accennate, l'ambito delle osservazioni della s. industriale può essere definito come "lo studio sistematico dei rapporti sociali, che si sviluppano, nei luoghi di lavoro nel quadro dell'organizzazione e dei modi particolari con cui tali rapporti influenzano e sono a loro volta influenzati dalle strutture e dal tipo di rapporti prevalenti nella più grande società".
La s. industriale costituisce uno dei più recenti settori degli studî sociologici. Nel mese di novembre del 1924, la società Western Electric, d'accordo e in collaborazione con il National Research Council della National Academy of Sciences, aveva deciso di dar corso a una serie di ricerche tendenti ad illustrare il rapporto fra tipo e qualità di illuminazione ed efficienza produttiva. La conclusione delle ricerche fu sconcertante. Si trovò infatti che, non importa quali fossero le condizioni fisiche del lavoro, era all'opera un fattore misterioso, che sfuggiva agli analisti dei tempi e dei movimenti e agli esperti dell'organizzazione e che d'altro canto faceva aumentare la produzione.
Partiti dalle preoccupazioni tradizionali, riguardanti gli orarî di lavoro, la struttura del salario, la quantità della remunerazione, le condizioni ambientali e fisiche di lavoro, le pause, e così via, i sociologi industriali scoprirono ben presto quello che poi si chiamò impropriamente il "fattore umano". In altre parole, essi dovettero riconoscere che la produttività non era legata direttamente, e semplicisticamente, alle condizioni fisiche di lavoro o al tipo di rapporto contrattuale o alla più o meno razionale struttura organizzativa formale; essi scoprirono che la produttività era in gran parte, e forse in primo luogo, in funzione della motivazione, o atteggiamento, verso il lavoro, che la motivazione era in funzione del morale e finalmente che il morale era in funzione del tipo di solidarietà e di legami prevalenti nel seno del "piccolo gruppo spontaneo di lavoro".
Gli studî condotti dal gruppo di Harvard sotto la guida di Elton Mayo fissarono in maniera definitiva questa scoperta, portandole l'ausilio di un poderoso materiale descrittivo (cfr. in particolare Elton G. Mayo, The human problems of an industrial civilization, New York 1933; The social problems of an industrial civilization, Cambridge 1946; F. Roethlisberger, W. J. Dickson, Management and the worker, Cambridge 1939; T. N. Whitehead, Leadership in a free society, Cambridge 1936; B. M. Selekman, Labor relations and human relations, New York 1947). Per uno sguardo panoramico allo sviluppo e ai temi della sociologia industriale americana, si vedano i tre testi standard, adottati presso la grande maggioranza delle università degli S. U. A.: D. C. Miller, W. H. Form, Industrial sociology, New York 1951; Eugene V. Schneider, Industrial relations: the relations of industry and the community, New York 1957; John B. Knox, The sociology of industrial relations, New York 1955.
La s. industriale in Europa si è venuta configurando con caratteristiche proprie, nelle quali è facile rintracciare l'influenza di sociologi dell'età sistematica, quali Marx e Engels, Émile Durkheim, V. Pareto e Max Weber. Rispetto alla s. industriale degli S. U. A., la s. industriale europea si distingue principalmente sotto due aspetti: a) l'attenzione rivolta alla dimensione storica delle varie situazioni studiate e la preoccupazione di fissare gli eventi particolarmente significativi allo scopo di poterli legare in una catena conseguenziale; b) una impostazione metodologica che non si limita, come avveniva fino a tempi recenti negli S. U. A., allo studio del "piccolo gruppo spontaneo di lavoro", bensì investe la società nel suo complesso, ossia come realtà sociale globale in processo di sviluppo. Questa impostazione globale, tipica della s. industriale europea, non ha naturalmente impedito che i singoli studiosi si dedicassero all'analisi di particolari aspetti del lavoro umano.
In Francia, sull'eredità di Émile Durkheim e dei suoi studî sulla divisione del lavoro e sulla solidarietà organica e meccanica, George Friedmann ha animato dalla fine della seconda guerra mondiale una scuola di sociologi industriali, che hanno concentrato la propria attenzione sui riflessi umani del macchinismo industriale (cfr. G. Friedmann, Problèmes humains du machinisme industriel, Parigi 1946), sulle ripercussioni dei cambiamenti tecnologici e della evoluzione del macchinario industriale sui ruoli professionali e sul lavoro operaio in generale (cfr. A. Touraine, L'évolution du travail ouvrier aux usines Renault, Parigi 1955), sui nuovi ceti impiegatizî (cfr. M. Crozier, Petits fonctionnaires au travail, Parigi 1955), sull'invecchiamento medio della popolazione attiva (cfr. gli studî di J.-R. Tréanton, e altri). In Germania, la s. industriale ha attinto dalle opere e ricerche classiche (cfr. Ralf Dahrendorf, Industrie- und Betriebssoziologie, Berlino 1956). L'interesse per le questioni dell'azienda e del lavoro industriale data specificatamente in Germania dai primi del 1900, con l'opera di Gustav Schmoller, Gundriss der allgemeinen Volkswirtschaftslehre e con la rivista di R. Ehrenberg, Archiv für exacte Wirtschaftsforschung. Numerosi sono gli istituti specializzati in Germania che si occupano di ricerche sul terreno, ma la maggior parte delle ricerche è ancora di tipo fisiologico, secondo uno schema e una tradizione resi famosi dal Max-Planck-Institut für Arbeitsphysiologie. In Inghilterra la s. industriale ha beneficiato di speciali appoggi governativi, specialmente sotto gli auspici del Department of Scientific and Industrial Research. I temi che la caratterizzano sono dati dallo studio dei rapporti di forza, così come si configurano nei complessi istituzionali che dominano la vita del paese: struttura e problemi tipici delle direzioni aziendali; partecipazione degli iscritti alle decisioni dei sindacati; problemi dei nuovi ceti medî; reclutamento, selezione, addestramento e promozione dei dirigenti industriali e sindacali; effetti umani e produttivi della consultazione mista e della democrazia industriale. Come in Francia e in Germania, la s. inglese tende ormai sempre più decisamente a orientarsi verso la ricerca sul terreno. Si tratta quasi sempre di ricercatori molto giovani. Per la Germania, nominiamo: Theo Pirker, Siegfried Braun, Burkhart Lutz, Froh Hammelrath, Arbeit, Management, Mibestimmung, Stoccarda-Düsseldorf 1955; Heinrich Popitz, Hans Paul Bahrdt, Ernest August Jures, H. Kesting, Technik und Industriearbeit, Tubinga 1957; Das Gesellschaftsbild des Arbeiters, ivi 1957. Hans Paul Bahrdt ci ha inoltre offerto uno studio di prim'ordine sull'insicurezza e lo smarrimento, tipici degli impiegati subalterni (white collar workers) nelle presenti condizioni tecniche del lavoro industriale; cfr. H. R. Bahrdt, Industriebürokratie, Stoccarda 1958. Per la Gran Bretagna, citiamo, fra gli altri: W. H. Scott, Joint consultation in a Liverpool manufacturing firm: a case study of human relations in industry, Liverpool 1950; Industrial leadership and joint consultation: a study of human relations in three Merseyside firms, Liverpool 1952; Joint consultation in industry: a sociological approach, Londra 1952; Joan Woodward, R. S. Webster, E. Mumford, J. Gogarty, The dock worker: an analysis of conditions of employment in the port of Manchester, Liverpool 1954; W. H. Scott, A. H. Alsey, J. A. Banks, T. Lupton, Technical change and industrial relations, ivi 1956. Per un bilancio della s. industriale dalle origini e per la descrizione dei più importanti centri di ricerca, v. F. Ferrarotti, La sociologia industriale in America e in Europa, 2ª ediz., Torino 1960.
La sociologia della conoscenza. - È il settore più recente degli studî sociologici. Se ne dànno varie definizioni: "dottrina del legame del sapere e della conoscenza con l'Essere Sociale" (Grünwald); "la scienza che studia le determinazioni esistenziali del sapere" (ted. Seinsverbunhenheit des Wissens) (K. Mannheim); "lo studio delle produzioni mentali conoscitive in quanto dipendono dai fattori sociali e culturali" (Maquet). Come oggetto di una distinta e sistematica ricerca sociologica, la sociologia della conoscenza è ai primi passi; il termine stesso (Wissenssoziologie) cominciò a circolare in Germania verso il 1920.
Le opere, attualmente considerate classiche, che stanno all'origine della s. della conoscenza sono di quel periodo: Georg Lukács, Geschichte und Klassenbewusstsein, Berlino 1923; Max Scheler, Versuche einer Soziologie des Wissens, Monaco 1924; id., Die Wissensformen und die Gesellschaft, Lipsia 1926; Karl Mannheim, Ideologie und Utopie, Bonn 1929.
Nella s. della conoscenza sono confluiti indirizzi di pensiero assai diversi e anche contraddittorî: lo storicismo e, in particolare, il materialismo storico, in quanto si propone di esplorare le basi oggettive, economiche delle formulazioni ideologiche; le ricerche etnologiche e dell'antropologia culturale, le indagini sulla mentalità dei primitivi, alcune tendenze della psicanalisi. L'importanza della s. della conoscenza è stata tuttavia data indubbiamente dalle recenti crisi sociali, le quali hanno contribuito a chiarire come lo sviluppo della cultura e delle sue correnti ideali non era spiegabile solo in termini culturali, ossia dando corso a delle analisi logiche, in termini puramente concettuali, ma che occorreva risalire dalle idee alla situazione sociale, economica, storica e politica concreta, ossia esplorare la genesi sociale delle idee, la loro matrice obbiettiva.
È stato giustamente osservato come tale procedimento sia analogo a quello della psicanalisi: come lo psicanalista, allo scopo di rendersi ragione delle forme "superficiali" della psiche, scende verso le strutture di fondo, del subconscio e dell'inconscio, alla ricerca del loro nascosto dinamismo, così il sociologo delle idee cerca nell'analisi delle situazioni sociali studiate nei loro tratti specifici la ragione riposta delle idee.
In questo senso la sociologia della conoscenza è assai prossima al materialismo storico. Il suo pioniere, Karl Mannheim, è assai vicino al marxismo, dal quale proviene. Per il Mannheim, come per i marxisti, le idee non camminano da sole; hanno bisogno del loro veicolo, che non è né il Geist individuale e neppure il Volksgeist della tradizione romantica, bensì il gruppo sociale, la classe. L'analisi delle idee, che si limiti a considerarle come tali, ossia come prodotti distaccati dalla loro base strutturale oggettiva, saggiandone il grado di validità sul metro della loro interna coerenza, non può, secondo il Mannheim, non essere fallace appunto perché prescinde dalla matrice essenziale, determinante delle idee stesse. L'attività conoscitiva muove sempre da un interesse umano ed è posta in azione, al fine di trovare una soluzione di determinati problemi, in precise circostanze di tempo e di luogo. È la concezione attivistica del conoscere, che è ormai comune a quelle che a giusta ragione sono state chiamate filosofie militanti, dal marxismo al naturalismo umanistico, dall'esistenzialismo al neopositivismo; la funzione della conoscenza non è teoretica, non è contemplativa, ma pratica, strumentale; l'idea è un passaggio per l'azione e la ragione uno strumento umano destinato a rendere più umano il mondo. Donde i due caratteri proprî di ogni idea e di ogni ideologia: la prospettiva e la trascendenza. Connessa com'è con gli interessi umani, l'attività conoscitiva è sempre connessa con un certo gruppo od una certa classe, così mentre esprime una certa prospettiva, un certo punto di vista, è trascendente in quanto tende ad oltrepassare, e quindi a modificare la situazione effettuale. Ma il Mannheim, sebbene definisca tanto l'ideologia quanto l'utopia come rappresentazioni situazionalmente trascendenti (Seinstranszendenten Vorstellungen), distingue ed oppone l'utopia all'ideologia; l'ideologia infatti è per Mannheim un complesso di idee che viene adattato artificiosamente ad una data situazione al fine di bloccare il moto della storia e di conservare lo statu quo; l'utopia, per contro, ha una funzione dialettica, agisce sulla realtà e tende a trasformarla. La differenza tra ideologia e utopia, che non sempre nella concreta realtà è percepibile, è pertanto da ricercarsi nella loro diversa funzione di blocco o di spinta (l'ideologia è propria delle classi dominanti) e nella lor diversa efficacia che, se è massima nell'utopia, è minima nell'ideologia. Il Mannheim ha sviluppato le sue teorie, oltre che nel già citato Ideologie und Utopie, nelle seguenti opere: Mensch und Gesellschaft im Zeitalter des Umbaus, Leida 1935; Diagnosis of our time, Londra 1943.
Modificatore essenziale di tale impostazione della s. della conoscenza è Pitirim Sorokin, elaboratore di un complesso sistema sociologico, del quale si vedano le opere principali: Social and cultural dynamics, 4 voll., New York 1937-41; Socialcultural causality, space, time, New York 1943; Society, culture and personality, New York 1947. Il Sorokin ritiene che spiegare la cultura facendo ricorso alla società non significa altro che spostare il problema, poiché, una volta spiegata la cultura con la società, rimane ancora da spiegare la ragione fondamentale in base alla quale una data società assume la forma che di fatto assume. Il Sorokin afferma pertanto la necessità di risalire a qualche cosa di più originario e irriducibile che la stessa matrice sociale. Questo qualche cosa non è, secondo il Sorokin, che una premessa culturale originaria, che deriva dall'atteggiamento che l'uomo assume di fronte ai "valori" supremi. È appena necessario avvertire che con il Sorokin, come già del resto con Max Scheler, la s. della conoscenza sconfina nella metafisica, assumendo toni filosofeggianti e posizioni scientificamente non verificabili e sostanzialmente alieni allo spirito e all'orientamento generale della sociologia contemporanea.
Bibl.: Un'ottima guida introduttiva alla s. contemporanea è data da G. Gurvitch e Wilbert Moore, La sociologie au XXème siècle, 2 voll., Parigi 1945; il volume primo tratta dei problemi; il volume secondo espone il pensiero e l'orientamento della sociologia nei varî paesi. Per uno sguardo panoramico e critico degli ultimi sviluppi, cfr. Howard Becker e Alvin Boskoff, e Modern sociological theory in continuity and change, New York 1957; per un manuale corredato da amplissimi riferimenti bibliografici, cfr. A. Cuvillier, Manuel de sociologie, 2 voll., Parigi 1950; inoltre cfr. G. Eisermann, Die Lehre von der Gesellschaft, Stoccarda 1958; R. König, Soziologie heute, Zurigo 1949; H. E. Barnes, An introduction to the history of sociology, Chicago 1948; H. Schoeck, Soziologie - Geschichte ihrer Probleme, Friburgo-Monaco 1952; P. A. Sorokin, Contemporary sociological theories, New York 1928. Fra i dizionarî particolarmente notevoli Wilhelm Bernsdorf, Soziologenlexikon, Stoccarda 1958; W. Bernsdorf, F. Bülow, Wörterbuch der Soziologie, ivi 1955; H. P. Fairchild, Dictionary of sociology, New York 1944; per una selezione accurata delle ricerche più importanti in ogni settore della s. contemporanea, cfr. L. Chall (a cura di), Sociological Abstracts, pubblicazione periodica di estratti, dal 1952, New York. Cfr. in fine F. Barbano e M. Viterbi, Bibliografia della sociologia italiana (1948-58), Torino 1959.