Socrate (Socrato)
Nell'opera di D. la figura di S. compare quasi soltanto nel Convivio, dov'è evocata in maniera breve e frammentaria. Lo spazio è dedicato quasi del tutto ad Aristotele, la cui filosofia è sottesa alle teorie sviluppate da D. sulla conoscenza e l'azione umana e sul fine a cui esse sono ordinate.
In quella somma di filosofia morale, che intendeva essere il Convivio, l'opera di Aristotele è presentata come un faro, come l'autorità filosofica più alta, luogo di sintesi della verità sia nell'ordine speculativo che morale. Il ruolo svolto dagli altri filosofi, tra cui S., è solo quello di preannunciatori. S., da parte sua, preparò la via ad Aristotele maestro e duca de la ragione umana (Cv IV VI 8), additatore e conduttore de la gente (§ 16), e proprio in quanto precursore, la sua personalità filosofica viene annullata.
In Cv II XIII 5, nel confrontare le similitudini dei cieli con le scienze, D. allude alla teoria socratica della generazione sostanziale delle anime, per cui le anime umane proverrebbero dalle stelle (per il passo cfr. Alb. Magno Somn. et vigil. III I 8). S. è citato accanto a Platone, Avicenna, Algazel e, naturalmente, ad Aristotele, il cui pensiero D. si preoccupa di precisare all'interno del consenso di quanti riconoscono i cieli come causa della generazione sostanziale delle anime.
In Cv IV VI 13 e 14, dove D. si richiama a quei filosofi che dettero una risposta al problema del fine della vita umana, viene attribuita a S. la teoria della virtù come giusto mezzo (v. anche ACCADEMICI), ma - a quanto pare - a torto, poiché la paternità va lasciata ad Aristotele, che in Eth. Nic. II 6-7 ed Eth. eud. II 3 (1220 b 36 - 1221 a 12) diede l'elenco delle virtù morali e dei vizi, contrari sia per eccesso che per difetto.
Ancora in Cv IV XXIV 6, l'apprezzamento espresso da S. sull'aspetto morale e fisico di Platone quando prima lo vide (cfr. Apuleio De dogm. Plat. 1), è citato da D. come pretesto per manifestare la propria stima e il proprio rispetto per Platone, i cui meriti di filosofo esemplare - nonostante l'incontestata superiorità di Aristotele - non sono da lui dimenticati.
Alla domanda se D. pose S. sul medesimo piano di Platone, la risposta non può non essere cauta.
A leggere il IV canto dell'Inferno c'è da pensarlo. D. e Virgilio, giunti al primo cerchio (il Limbo), incontrano tra gli abitatori di esso i grandi filosofi dell'antichità, e cioè Aristotele (che D. non nomina, ma che designa come il maestro di color che sanno, seduto tra filosofica famiglia, vv. 131-132), S., Platone, e tutto il consesso di filosofi i cui componenti sono pressappoco gli stessi del Convivio (con l'aggiunta di Diogene, Eraclito e Dioscoride). Tuttavia la priorità di Platone su S. compare in Pg III 43; qui infatti Platone è il solo a essere specificamente nominato accanto ad Aristotele, tra i sapienti dell'antichità relegati per sempre nel Limbo e privi della visione di Dio, in quanto nati prima dell'avvento del cristianesimo.
Per altro verso però D. riconosce a S. - accanto a Zenone e a Seneca - un posto privilegiato in ragione della testimonianza da lui resa alla virtù. Perché, dice infatti D., parlare di Democrito, di Platone, di Aristotele, che posero la sapienza al di sopra di tutto, quando troviamo li altri che per questi pensieri la loro vita disprezzaro, sì come Zeno, Socrate, Seneca, e molti altri? (Cv III XIV 8).
Di Socrato beato parla Ragione in Fiore XLIII 12, indicando in lui il saggio per antonomasia; e in XLIV 1 in Socrato è delineata la figura del seguace della ragione, fonte di salute, della qual derivò ogne salute (vv. 2-3), secondo i canoni dell'impassibilità stoica, divenuti topici nella tradizione dossografica medievale.
S. nacque ad Atene verso il 469 a.C., da un artigiano scultore e da una levatrice. Si assentò dalla città natale solo per adempiere agli obblighi militari, nei quali fece mostra di una resistenza e di un sereno coraggio tali da strappare l'ammirazione. Indotto, per sua curiosità, a studiare i diversi sistemi filosofici che avevano tentato una spiegazione della natura, fu portato dalla loro inanità a insistere sull'interiorità e sul ritorno in sé stessi. Da quel momento il motto " conosci te stesso " diverrà il suo metodo, grazie al quale fu proclamato dalla Pizia di Delfo il più saggio degli uomini. S. vide in ciò un segno di quella missione divina, che lo condurrà alla critica del comune modo di agire e alla formulazione di una nuova scala di valori. S. rappresentò non solo la coscienza della società e della politica ateniese, ma anche colui che per primo iniziò alla sapienza.
Nel 399, dopo la fine catastrofica della guerra del Peloponneso, l'episodio sanguinoso della dittatura dei trenta e il ristabilimento del regime democratico, si manifestarono ostilità contro S., ritenuto uomo troppo originale e troppo vicino a uomini implicati negli avvenimenti, specialmente Alcibiade e Crizia, suoi vecchi discepoli. Denunciato da tre onesti cittadini come empio, introduttore di nuove divinità e corruttore della gioventù, fu sottoposto a processo, e condannato a prendere la cicuta. Poiché l'esecuzione fu ritardata per ragioni inerenti il calendario religioso, S. passò i suoi ultimi giorni in conversazioni filosofiche che Platone, immortalando questa regale agonia, riferirà nel Fedone.
L'esatta definizione del contenuto dell'insegnamento di S. non trova d'accordo gli storici. C'è un S. metafisico messo in scena da Platone (Apologia di S., Critone, Gorgia, Menone, Fedone, Simposio) senza che si arrivi a distinguere quanto spetti al maestro e quanto al discepolo, e c'è un S. moralista, un po' banale forse ma apostolo delle istanze della coscienza, quale appare soprattutto in Senofonte Memorabili, Apologia di S.) e nella tradizione dei socratici minori. Con ogni probabilità sia da una parte che dall'altra sono stati irrigiditi due aspetti che S. era in grado di conciliare; ma poiché non lasciò nulla di scritto, è ben difficile decidere.
Durante il Medioevo questa doppia genealogia, in qualche modo, è sopravvissuta. Nel XII secolo, un'opera di metodologia come il Didascalicon di Ugo di San Vittore presenta S. come l'ethicae inventor (III 2) in cui sono riassunti tutti i meriti (e anche tutti i limiti) della morale pagana.
L'altra tendenza è rappresentata da mistici come Pietro di Celles o da moralisti come l'autore del Florilegium morale oxoniense. Per costoro il contenuto dell'etica socratica conta poco. Essi vedono in S. il primo pagano che parlò d'interiorità e che preparò gli uomini alla dottrina cristiana della coscienza animata dallo Spirito Santo.
Bibl. - É. Gilson, L'esprit de la philosophie médiévale, Parigi 1932; V. De Magalhaes-Vilhena, Le problème de S., ibid. 1952; J. Humbert, S. et les petits Socratiques, ibid. 1967; N. Gulley, The Philosophy of S., Londra-Nuova York 1968.