SODEGERIO DA TITO
S., detto talvolta "de Apulia", lega però più comunemente il suo nome alla località lucana di Tito, situata circa 10 chilometri a sud-ovest dell'odierna Potenza. Era uno di quegli ufficiali provenienti dall'Italia meridionale cui Federico II, a partire dal 1238, affidò importanti incarichi in Italia settentrionale; fu infatti podestà di Trento dal dicembre 1238 al maggio 1255.
A Trento, da più di due secoli, il potere temporale era unito a quello spirituale; nel maggio 1236 Federico II aveva però deciso di esautorare il vescovo Aldrighetto, nel contesto di un intervento nell'area italiana nordorientale che avrebbe portato di lì a poco, tramite conquiste militari o patti di dedizione, al controllo stabile di Verona, Vicenza, Padova e Treviso (oltre che dell'altro episcopato alpino di Bressanone) da parte di ufficiali imperiali. Il primo podestà di Trento era stato un certo Wibotone; l'avevano seguito in rapida successione il ministeriale tirolese Svicherio da Montalban e Lazario da Lucca.
L'azione di S., documentata a partire dal 7 dicembre 1238, si collocò all'interno dell'organizzazione istituzionale voluta da Federico II con la formazione della Marca trevigiana, di cui Trento fu considerata parte dal 1239. A differenza di altri centri della Marca, però, in quella "città a debole sviluppo comunale" poté essere esercitata "un'autorità che per efficacia e immediatezza è senza confronti nelle altre aree dell'Italia settentrionale" (Varanini, 1994, p. 56). Ciò non corrispose affatto a una cancellazione dell'assetto istituzionale preesistente: anzi S., "potestas, capitaneus et rector Tridenti et episcopatus", agiva proprio in quanto "provisor episcopatus et pro episcopatu nomine" (Trento, Archivio di Stato, Archivio Principesco Vescovile, Sezione Latina, capsa 10, nr. 8). Tra le sue principali iniziative si possono ricordare l'aver assicurato al controllo imperiale anche la contea di Bolzano, dove il vescovo di Trento aveva conservato tra 1236 e 1238 un residuo diritto di intervento; la messa per iscritto delle tariffe del dazio; la descrizione delle terre e dei possessi del comune di Trento. Il podestà esercitava la sua attività di governo nei palazzi vescovili (a Trento, a Bolzano e a Riva del Garda), coadiuvato da un gruppo di specialisti del diritto e da personale di cancelleria in parte di provenienza non locale. Cercò e trovò la collaborazione sia della feudalità vescovile, sia dei ceti dirigenti cittadini, sia del capitolo della cattedrale; non si può escludere che in questo atteggiamento vi fosse l'intenzione, da parte di quegli ambienti, di riprendere la tradizionale posizione filoimperiale che era stata in qualche misura abbandonata dal vescovo Aldrighetto.
Quest'ultimo, pur pretendendo di avere ancora residui diritti anche in ambito temporale, accettò sostanzialmente la nuova situazione; anzi, nel corso del 1246 papa Innocenzo IV ordinò un'inchiesta su di lui, accusato di aver alienato i beni della sua Chiesa e di aver dato consigli e favori a Federico II. Alla morte di Aldrighetto (1247), i canonici della cattedrale elessero vescovo il decano del capitolo, Ulrico dalla Porta, un elemento della società cittadina che fu confermato dal patriarca di Aquileia, ma non riconosciuto da Innocenzo IV, che affidò invece l'amministrazione dell'episcopato trentino al vescovo di Bressanone Egnone, conte di Appiano. Quest'ultimo, partito da posizioni filoimperiali, era entrato nel campo dei sostenitori di Innocenzo IV (così come aveva ormai fatto anche il conte del Tirolo Alberto III). Nel novembre del 1250 il papa nominò Egnone vescovo di Trento; consapevole che questi non sarebbe potuto entrare subito in possesso dei beni della Chiesa di Trento, gli riservò una parte delle rendite dell'episcopato brissinese.
Dopo la scomparsa di Federico II, S. continuò ad operare come vicario imperiale in nome di Corrado IV. La debolezza del sostegno che poteva ricevere da Corrado e la perdurante opposizione papale lo spinsero però a cercare in Ezzelino da Romano un appoggio più vicino e concreto. Non vi è motivo di ritenere che, fino ad allora, il leader del partito imperiale nella Marca fosse stato più di un potente vicino, come è attestato, tra l'altro, dal tono della lettera rivolta da Ezzelino a S. nel febbraio 1240, con la proposta di istituire un dazio sulla strada tra Trento e Verona per finanziare la difesa di alcuni castelli della Vallagarina. Con gli anni Cinquanta, però, Ezzelino modificò, prima nella sostanza e poi anche nella forma, il rapporto con tutti i funzionari imperiali presenti sul territorio della Marca. S., in particolare, divenne suo vassallo, in seguito all'investitura con cui gli fu concessa l'eredità di Riprando d'Arco (10 maggio 1253); e non vi è dubbio che nel 1254 Ezzelino considerasse Trento come appartenente alla propria area di influenza. In quegli anni S. stava anche rafforzando la propria posizione personale, sia nel territorio (dopo aver ricevuto da Federico II il castello di Stenico, acquistò alcuni feudi nelle Giudicarie), sia in città, dove si costruì un'abitazione fortificata sul colle del Malconsilium; di tale domus nova fu poi investito da due rappresentanti della città il 2 gennaio 1254, alla presenza del vescovo Ulrico e dei canonici. In quell'occasione giurò fedeltà alla città, senza che nell'atto vi fosse alcun riferimento a Corrado IV o all'Impero.
Nella primavera del 1255 S., la città e alcuni potenti vassalli vescovili scelsero di liberarsi della tutela ezzeliniana e si accordarono con il vescovo Egnone, il quale poté così fare ingresso in sede. Ulrico tornò ad essere solo il decano del capitolo, i nobili furono generosamente ricompensati e a S., secondo l'accordo del 28 maggio 1255, fu sostanzialmente confermata una posizione di eccezionale rilievo: avrebbe potuto tenere tutti i suoi feudi e la sua domus cittadina e divenire vicario dell'episcopato. Ma a distanza di qualche giorno intervennero fatti nuovi che costrinsero S. a rinunciare a quasi tutti i suoi beni e alla stessa domus nova. Questa passò al vescovo, che già il 15 giugno ne aveva fatto la sua residenza (si tratta infatti del primo nucleo di quello che sarà il Castello del Buonconsiglio). L'ex podestà non esercitò mai compiti vicariali e uscì bruscamente di scena, tanto che parte della storiografia riteneva che egli fosse morto in quei giorni. In realtà esistono documenti che lo vedono attivo nel novembre 1255, quando rinunciò ai suoi diritti nelle Giudicarie, e poi nel luglio 1257, quando possedeva ancora una domus murata presso il castello di Arco.
Non si hanno ulteriori notizie di S. fino al 1269, quando Carlo d'Angiò lo definì "proditor nostri" e gli tolse un terzo del borgo di Tito per darlo in feudo ad altri. Da ciò si può dedurre che l'ex podestà fosse tornato in patria e si fosse battuto in campo imperiale durante la discesa di Corradino di Svevia. Vi è infine un'ultima testimonianza (ca. 1277), nella quale viene menzionato "Siduerius Lombardus, qui fuit potestas in Trenta" (Riedmann, 1980, p. 149).
S. aveva un figlio, che portava il suo stesso nome, il quale compare nelle trattative per la cessione del castello di Arco (1255) e nel 1267 allorché cedette alcuni diritti che aveva presso Stenico. È probabile che, al contrario del padre, egli sia rimasto nell'episcopato: nel 1321 viveva a Fiavé, nelle Giudicarie, un "ser Gerardus quondam domini Sodegerii de Stenico" (Trento, Archivio di Stato, Archivio Principesco Vescovile, Sezione Latina, capsa 68, nr. 79) che vendette una frazione della decima di Stenico.
Nella documentazione trentina successiva il periodo di governo podestarile non fu considerato, dal punto di vista istituzionale, una soluzione di continuità rilevante: nei rinnovi delle infeudazioni vescovili, il nome di S. si trova accanto a quello dei vescovi che lo avevano preceduto e seguito. Nello stesso senso va la testimonianza di Ulrico da Bolzano, procuratore del vescovo Enrico II, che nel 1279 affermò: "dicta ecclesia Tridentina vacavit et sine pastore fuit bene XVIIII annis, tempore silicet domini Sodegerii de Thito potestate Tridenti, ita quod tunc nullus episcopus habebat regimen, dominium, vel potentiam dicte civitatis Tridenti"('la Chiesa trentina rimase vacante e senza pastore per ben 19 anni, cioè al tempo di Sodegerio da Tito, podestà di Trento, così che allora nessun vescovo aveva il governo e la signoria di detta città di Trento, o vi esercitava il potere'; Trento, Archivio di Stato, Archivio Principesco Vescovile, Sezione Latina, capsa 3, nr. 5).
A livello storiografico, la memoria di S. rimase legata a quella di Ezzelino da Romano, e dunque il giudizio sul personaggio è stato generalmente molto negativo; è merito di Josef Riedmann l'aver riconosciuto nella figura di S. non quella di un tiranno, ma quella di un funzionario che cercò di governare Trento con la collaborazione di tutte le forze dell'episcopato. Si può certamente ritenere che durante l'ultima fase podestarile egli abbia tentato di conseguire la signoria della città; restano sconosciuti i motivi per cui dovette rinunciare a tale progetto.
Fonti e Bibl.: la documentazione del periodo podestarile è rintracciabile in tutti i principali fondi archivistici trentini, a cominciare da: Trento, Archivio Capitolare; Trento, Archivio di Stato, Archivio Principesco Vescovile; Innsbruck, Tiroler Landesarchiv. J. Riedmann, Die Übernahme der Hochstiftsverwaltung in Brixen und Trient durch Beauftragte Kaiser Friedrichs II. im Jahre 1236, "Mitteilungen des Instituts fur Österreichische Geschichtsforschung", 88, 1980, pp. 131-163; Id., Ezzelino e Trento, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, Roma 1992, pp. 325-340; G.M. Varanini, La Marca trevigiana, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 48-64; J. Riedmann, Crisi istituzionale agli albori dello Stato moderno (1236-1256), in Storia del Trentino, a cura di L. de Finis, Trento 1996, pp. 127-146.