SODOMA
. Giovanni Antonio Bazzi, detto il S., pittore, nato a Vercelli nel 1477, morto a Siena nel 1549. Rimase nella bottega dello Spanzotti dal 1490 al 1497, ma, dopo il periodo primitivo in cui dovette conoscere l'arte di Leonardo, teatro della sua attività fu quasi sempre Siena. Nelle vicinanze di Siena, nel monastero di Sant'Anna di Camprena, è la prima sua opera databile, commessagli nel 1503. Due volte fu a Roma: verso il 1508 per affreschi nel Vaticano; dopo il 1513, per le storie d'Alessandro e Rossane nella Farnesina. A Siena la sua arte si diffuse, riconosciuta sovrana, e i pittori senesi ne trassero ispirazione, non sempre felice.
L'origine lombarda del S. si riconosce facilmente negli affreschi del 1503 a Sant'Anna di Camprena, non solo per i contorni taglienti e il denso chiaroscuro delle figure, ma anche per l'acuto senso realistico impresso nei ritratti dei frati eommittenti. Già s'infiltra, in queste opere, l'influsso del Perugino, palese nelle arcate leggiere del tempio a tre navi ove si svolge la consegna della regola di San Benedetto ai monaci, e più nel paesaggio della Pietà, con un San Giovanni ricavato da Crocefissioni del maestro umbro, e nel corteo d'apostoli a seguito del Cristo benedicente i pani, derivazione evidente dall'affresco del Perugino nella cappella Sistina a Roma. L'influsso di Leonardo prende il sopravvento nel doloroso Cristo portacroce del monastero di Monteoliveto, avvolto d'ombre patetiche, mentre nelle storie della vita di San Benedetto, tra le impressioni signorelliane e peruginesche, s'affacciano i primi tipi muliebri del S., agghindati, accarezzati, languenti. In questi affreschi, nonostante l'amplificazione dei contorni e l'ampiezza degli spazî, figure e architetture non hanno peso, quasi modellate in cartapesta policroma. Esempio caratteristico di piemontese grafia è la notevole veduta del Tevere e di Castel Sant'Angelo, come xilografia a stacchi taglienti d'ombra e luce, sentita con gustosa vivacità popolaresca.
Gemma dell'arte giovanile del S. è il tondo raffigurante l'allegoria dell'Amore e della Castità, nella raccolta Camondo al Louvre. Volto agli esempî degli Umbri e del primitivo fra' Bartolomeo, G. A. Bazzi qui rivaleggia per delicatezza di ritmo e grazia d'aspetti con l'arte di Raffaello. Il colore è fresco, ridente, puro, come di preziosa maiolica; le immagini fioriscono di grazia primaverile nelle forme tornite, fragranti di giovinezza; il paese, appena raggiunto da un alito di primavera, quale amò Raffaello adolescente, è delicato nella sua trama lieve. Con questo capolavoro s'aggruppano, benché inferiori, la Carità nel Museo di stato a Berlino, rosea immagine di gentilezza, la Deposizione dalla Croce nell'accademia di Siena, di un chiaroscuro estremamente delicato e tenue la Sacra Famiglia della raccolta Borgogna a Vercelli, ben composta nel disco e rorida di freschezza nei volti soffusi di leonardesco sorriso, la Giuditta dell'accademia di Siena, sempre più vicina alle sfumate dolcezze di Leonardo, la Lucrezia del museo Kestner di Hannover, la pala d'altare della pinacoteca di Torino, con volti gentili, vesti fiorite di vitree lumeggiature, e con palesi impronte leonardesche, specialmente nel dolcissimo San Giovanni, di una bellezza carezzevole e rara, che ha il suo modello nell'angelo presso la Madonna delle rocce. Le raffinatezze di questo periodo si ritrovano anche nella pala d'altare di Sinalunga, tutta eleganze decorative nel taglio della scena e nell'aristocratico allungamento delle forme di Maria sotto la trama delle vesti di velo, nella Sacra Famiglia a Siena, in Santa Maria della Scala, tra le più deliziose evocazioni del tipo muliebre del S. e i più chiari esempî d'influsso leonardesco, e nella Madonna del Museo Johnson a Filadelfia, dolce, vaporosa con la grazia del velato sorriso, con la morbidezza delle forme, che nelle mani e nei piedini di Gesù prendon la tenera pastosità di carni propria ai putti di Leonardo. Il fondo azzurro, con esili rabeschi di foglie e rami sul cielo senza nubi, aggiunge una nota preziosa alla grazia degli aspetti umani.
L'eclettismo dell'arte del S. continua a manifestarsi nella scenografica Epifania della chiesa di Sant'Agostino, mentre l'influsso di Leonardo prevale nel Cristo dell'Accademia di Siena, frammento di Flagellazione, con occhi esausti, lineamenti affilati dal dolore, macerati dall'ombra che intorno s'addensa. Le carni illividiscono, il colore vien meno, e l'affanno della dolorosa immagine trova eco nel pallore del cielo venato di nuvole. Il dramma delle ombre di Leonardo volge a tendenze sentimentali nell'arte del S. Tra le più celebri opere del vercellese son gli affreschi raffiguranti storie della vita d'Alessandro nel palazzo della Farnesina a Roma, specialmente la scena delle nozze di Alessandro e Rossane, festosa composizione, tutta animata da genietti che svolazzano a sciami sotto il soffitto, scherzano con gli scudi, svestono la sposa, e son decorazione viva di uno sfarzoso scenario architettonico. Il tipo muliebre del S. maturo trova la sua più bella incarnazione nella figura di Rossane, carezzevole e morbida tra il fruscio dei veli sulle carni rosate.
Sembran continuare gli affreschi della Farnesina, per l'effetto ornamentale delle composizioni e la dolcezza delle tinte sfumate, gli altri dell'Incarnazione di Maria e dell'Assunta nell'oratorio di San Bernardino a Siena, con evidenti ricordi della Disputa del Sacramento e della Incoronazione di Raffaello nella pinacoteca Vaticana. Nel secondo affresco, più tardo, il S. dà prova di più raffinata sapienza nei passaggi d'uno sfumato vaporoso, che annebbia e addolcisce i volti delle figure.
L' opera del vercellese più vicina alla profondità dello sfumato leonardesco è il quadro di San Sebastiano agli Uffizî, per lo scenario di paese variato e pittoresco, l'armonioso sviluppo di curve che si snodano tra il corpo divincolato del santo e il serpeggìar dei tronchi, l'intensità patetica dell'ombra, che avvolge la parte superiore del volto e infonde alle carni e alle chiome levità atmosferica, agli occhi un umido splendore.
È questo il periodo in cui si espande la fama del S., giunto al rigoglio della sua piena maturità, con gli effetti illusionistici delle ornatissime composizioni in palazzo comunale di Siena (il Sant'Ansano e il Beato Bernardo Tolomei), nella chiesa di Santo Spirito (Vittoria di Sant'Iacopo), e nella chiesa di San Domenico (Storia di Santa Caterina da Siena). Scuola dell'arte cinquecentesca senese divenne l'affresco raffigurante lo svenimento di Santa Caterina, opera che attrasse per secoli l'ammirazione delle moltitudini, non tanto per leggiadria d'effetti ornamentali e gusto di pittoriche finezze, quanto per il romantico languore del gruppo muliebre, tutto evanescenze e sospiri.
Giudizio ostile, e non sempre ingiustificato, diede il Vasari del S., che ebbe, nel secolo scorso, popolare fama, dovuta soprattutto al pathos delle sue teste di martiri e del Cristo, e alla studiata leggiadria d'un tipo muliebre molle e opulento, soffuso di sentimentale languore. Più degli altri Lombardi, trasse dolcezze di superficie dalle penombre leonardesche, velando le carni di sfumature azzurrognole e livide, schivando gli squilli del colore; ma allo sfumato di Leonardo tolse profondità, tutto preso, com'era, dalle proprie tendenze edonistiche. In Roma vide Raffaello, e ricorse ai suoi ritmi di linee ondulanti, solo di rado riuscendo a evitare dissonanze e squilibrî tra posa e posa. Ripeté le stesse figure, gli stessi motivi sino alla sazietà; la pratica, segnalata dal Vasari, prevalse sullo stile. Il suo campo visivo di volta in volta s'allarga e si restringe; manca spesso, nelle sue composizioni, il rapporto proporzionale tra architettura e figura, tra figura e figura. La personalità del S. è nel suo colore di convenzione, nel suo tipo di venustà molle e delicata, di sentimentale e velata grazia; la sua arte, squisita in alcune opere della giovinezza, manca spesso di equilibrio, di quella chiarezza di visione che impronta l'opera dei grandi. Ebbe influsso, non sempre benefico, sulla pittura cinquecentesca di Siena, che solo per gli ardimenti di Domenico Beccȧfumi poté sottrarsi al pericolo d'una facile e affascinante convenzione pittorica.
V. tavv. I e II.
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