SOFRONE (Σόϕρων, Sophron)
Mimografo siracusano del sec. V a. C., ammiratissimo da Platone stesso, e padre di un altro mimografo meno celebre, Senarco. Egli, insieme con Epicarmo, è fra le principali figure di quel movimento letterario e filosofico che fiorì per tempo nelle colonie doriche della Magna Grecia. Della sua vita nessuna notizia, dei suoi Mimi parecchi titoli e svariati frammenti (più di 150), brevissimi, o di una sola parola.
Questi Mimi si dividevano in due categorie, masrhili e femminili, secondo i personaggi che agivano; la distinzione, però, non poteva essere rigorosa, e tale classificazione forse non risaliva neppure all'autore stesso, ma a un editore. Celebre commentatore dei Mimi di S. fu Apollodoro (v.), e forse anche editore, benché i due termini non coincidano affatto nell'uso degli antichi grammatici.
I titoli conosciuti dei Mimi femminili sono: Le medichesse ('Ακέστριαι), Le donne che affermano di cacciare la dea (Ταὶ γυναῖκες αἱ τὰν ϑεόν ϕαντι ἐξελαν), Le spettatrici dei giochi Istmici (Ταὶ ϑάμεναι τὰ "Ισϑμα), La pronuba (Νυμϕοπόνος), La suocera (Πενϑερά). Dei Mimi maschili: Il messaggero ("Αγγελος), Il pescatore al contadino (‛Ωλιεὺς τὸν ἀγροιώταν), Il pescatore di tonni (Θυννοϑήρας), Spaventerai l'amoruccio (Παιδικὰ ποιϕυξεῖς). In base a questi titoli possiamo ritenere che dai Mimi di S. fosse escluso il soggetto mitico; l'unica citazione di un mimo intitolato Prometeo (Προμηϑεύς) si deve probabilmente a un semplice errore di trascrizione invece di Προμύϑιον, "Il mezzano".
Il mimo sofroneo è una composizione di soggetto borghese realistica, in forma mimetica (cioè drammatica, non narrativa) e in linguaggio prosastico (cioè non in versi). Il dialetto usato è naturalmente quello locale, il dorico siracusano, ed erano ammessi senza dubbio molti solecismi e popolarismi secondo la tendenza del componimento, governata però dal gusto e dalla sensibilità artistica dello scrittore. Anche la prosa di questi Mimi, forse, era in qualche modo curata nell'andamento ritmico delle cadenza regolare, non però tanto da apparire addirittura una versificazione. Infine i Mimi di S. dovevano essere realmente destinati alla scena, e non alla lettura, se pensiamo anche alla età non ancora letterata in cui visse l'autore; e perciò dovevano aumentare la loro efficacia artistica anche per mezzo del costume e della mimica.
In realtà i frammenti superstiti sono talmente scarsi, che noi tentiamo invano di raffigurarci il contenuto di questi mimi e di valutarne l'intimo carattere. Sono perciò di inestimabile valore i due frammenti abbastanza lunghi, provenienti dai papiri della Società Italiana, uno dal mimo Le medichesse, l'altro da Le donne che affermano di cacciare la dea (Ecate). L'intreccio doveva essere ridotto al minimo; si trattava piuttosto di colloquî e di scenette, e il numero dei veri personaggi non doveva superare il paio, benché potessero agire persone mute a compimento della scena; anzi pare che l'azione d'ogni mimo debba ridursi a un solo ruolo principale. Le scene e i soggetti erano presi certamente dalla vita comune, borghese, in tutta la sua molteplice varietà; ma pare certo che l'arte di S. non tendesse alla caricatura, alla buffonata, al comico per il comico, ma fosse piuttosto informata a un realismo schietto, perspicace. È da escludere una tendenza satirica.
Con i mimi di S., che si differenziano nettamente dall'intimo carattere della commedia epicarmea, il realismo fa la sua prima apparizione nella storia generale della letteratura.
Bibl.: I frammenti superstiti si trovano raccolti, tradotti e commentati in A. Olivieri, Frammenti della commedia greca e del mimo nella Sicilia e nella Magna Grecia, Napoli 1930. Per i nuovi frammenti, vedi l'edizione di M. Norsa-G. Vitelli, in Studi italiani di filologia class., n. s., X, pp. 119 e 247; C. Gallavotti, Per il nuovo S., in Rivista di filologia classica, LXI (1933), p. 459; S. Eitrem, Sophron und Theokrit, in Symbolae Osloenses, XII (1933), p. 10. Per uno studio complessivo, vedi M. Pinto Colombo, Il mimo di S. e Senarco, Firenze 1934; e per una recentissima ed originale interpretazione dell'arte sofronea, v. C. Kerényi, S. ovvero il naturalismo greco, in Rivista di filolog. class., LXIII (1935), p. i.