soft law
<sòft lòo> locuz. sost. ingl., usata in it. al femm. – Divenuta negli ultimi anni sempre più comune nella terminologia dei giuristi (anche italiani), specie quelli che studiano i processi di costruzione di sistemi giuridici transnazionali, questa locuzione valorizza l’antitesi con hard law e in relazione a essa acquista un significato letteralmente traducibile come 'legge debole' o 'dolce'. Viene in tal modo in considerazione un sistema di regole che si connota essenzialmente per il fatto di non essere caratterizzato dai tratti forse più tipici e ricorrenti della norma giuridica: l’essere parte di un ordinamento giuridico e l’essere dotata di una qualche forza vincolante o precettiva. Quanto alla provenienza, le regole di s. l. possono essere il frutto delle iniziative, private o pubbliche, individuali o collettive, più diverse ed essere rivolte a soggetti assolutamente indeterminati o a categorie ben specifiche di possibili fruitori. In ogni caso, le regole di s. l. non costituiscono l’esito di una formale procedura di produzione normativa attivata da un ordinamento giuridico e dunque è seriamente dubitabile che di esse possa predicarsi una qualche forma, sia pur sfumata e generica, di giuridicità, anche perché, in stretta relazione con l’estraneità a qualsiasi profilo di validazione normativa dei pur diversi sistemi di fonti del diritto, le regole in questione non impongono soluzioni vincolanti ma suggeriscono la possibile composizione di ipotetici conflitti di interessi facendo affidamento sulla spontanea adesione dei soggetti ai quali tali regole potrebbero giovare nel reperimento di una soluzione più opportuna o adeguata. A tal stregua sembra possibile definire le regole di s. l. come modelli di norma giuridica, la cui traduzione in regola effettiva può avvenire mediante un recepimento a opera di legislatori, giudici o privati.