soggetto
Il soggetto (dal lat. subiĕctu(m) «che sta sotto», calco del gr. hypókeímenon) indica una funzione grammaticale fondamentale nella frase, insieme a quelle di ➔ oggetto e di predicato (➔ predicato, tipi di; ➔ frasi nucleari; ➔ argomenti). L’elemento linguistico concreto che ricopre tale funzione ha proprietà diverse nelle varie lingue e può essere individuato da marche morfologiche o sintattiche: il caso nominativo, l’accordo col verbo, la posizione nella frase.
Le difficoltà che si incontrano nel tentare una definizione di soggetto sono dovute al fatto che si tratta di una funzione astratta, che si manifesta concretamente su più piani: semantico, morfologico, sintattico e testuale. Per questo motivo nella riflessione linguistica dei secoli passati, così come nella bibliografia più recente, si sono succedute analisi complesse (nel senso di stratificate su più piani) delle proprietà a esso attribuibili (Simone 200819: 352-359, La Fauci 2009: 51-64).
Una delle definizioni tradizionali poggia su basi semantiche, e individua il soggetto nell’elemento della frase indicante chi compie l’azione: definizione adeguata in un buon numero di casi, ma non nella totalità:
(1) Marco ha subito un torto
(2) la grandine ha rovinato il raccolto
(3) la giornata sembra piacevole
(4) Maria si è rotta un braccio
La linguistica moderna risolve il problema distinguendo tra funzione grammaticale (soggetto) e ruolo semantico (agente, paziente o altro; ➔ argomenti). Quest’ultimo è attribuito al soggetto e agli altri argomenti della frase dal verbo.
Né può avere validità generale la prospettiva, mutuata dalla logica, secondo cui soggetto e predicato costituiscono i componenti fondamentali della frase; il soggetto funge da punto di partenza della comunicazione, mentre il predicato ne definisce una proprietà o caratteristica:
(5) Pietro canta una canzone
(6) il tempo è migliorato
Il problema che sorge nel trasferire le categorie della logica a quelle della grammatica è che l’elemento della frase che svolge la funzione di punto di partenza della comunicazione non coincide necessariamente col soggetto grammaticale, per es., in frasi con verbi psicologici (➔ psicologici, verbi) come:
(7) a Marco piace la pizza
(8) non mi convince il suo racconto
(9) ci fa paura il buio
(10) le dà fastidio il rumore
Qui una descrizione più adeguata distingue tra soggetto grammaticale (la pizza, il suo racconto, il buio, il rumore) e soggetto logico della predicazione (Marco, mi, ci, le); quest’ultimo può non ricoprire la funzione di soggetto grammaticale. La linguistica moderna preferisce sussumere le tradizionali categorie di soggetto e predicato nell’opposizione tra tema (l’argomento dell’enunciato, ciò di cui si vuol parlare) e rema (ciò che si dice a proposito del tema) (➔ tematica, struttura).
Se poi osserviamo la frase nel testo più ampio di cui può far parte, emerge un’ulteriore proprietà: partendo dal presupposto che ogni enunciato è analizzabile – dal punto di vista del flusso comunicativo – in un elemento dato (nel senso di «già menzionato precedentemente» o comunque ritenuto dal parlante presente nella coscienza di chi ascolta), cui si aggiunge un elemento nuovo, il soggetto costituisce di solito l’elemento dato (➔ dato/nuovo, struttura):
(11) sono molto contento di Marco: lui ha sempre buone idee
Se proviamo a integrare tutti questi livelli d’analisi, possiamo descrivere la funzione soggetto sulla base di un fascio di tratti distintivi, alcuni binari (tema/rema; dato/nuovo), altri non binari, come il ruolo semantico (agente, paziente, esperiente, strumento, ecc.) e la funzione grammaticale (soggetto, oggetto diretto, oggetto indiretto, ecc.). Immaginando un contesto in cui Marco risulti conosciuto agli interlocutori, in Marco mangia una pizza avremo la coincidenza tra soggetto grammaticale, agente, tema, elemento noto. Tale configurazione, che possiamo immaginare come prototipica (o, più prudentemente, come statisticamente prevalente), non è comunque l’unica possibile. Ecco qualche esempio:
(12) Marco ama la pizza
(13) a Marco piace la pizza
(14) la pizza la mangia volentieri, Marco
In (12) Marco è soggetto grammaticale, tema ed elemento dato, ma non svolge il ruolo semantico di agente, bensì quello di esperiente. In (13) la pizza è soggetto grammaticale, ma non agente. Immaginando una collocazione della frase in un contesto, per es., come risposta alla domanda che cosa piace a Marco? osserviamo che l’elemento svolge il ruolo di rema e di elemento informativamente nuovo. Sempre in (13) a Marco svolge la funzione di oggetto indiretto, ma anche di soggetto della predicazione, tema ed elemento noto. In (14) il parlante, ricorrendo a una dislocazione (➔ dislocazioni), attribuisce il ruolo di tema e di elemento dato all’elemento che nella frase ha la funzione di ➔ oggetto diretto. Sempre in (14), attraverso strategie sintattiche (lo spostamento in posizione postverbale) e intonative (la pronuncia con accento contrastivo), si sottolinea che il soggetto è l’elemento informativamente nuovo.
La proprietà fondamentale del soggetto in italiano è quella di determinare l’➔accordo col predicato (verbale o nominale) nei verbi di modo finito (➔ modi del verbo; ➔ coniugazione verbale). L’accordo riguarda la ➔ persona e il ➔ numero (tu canti / il ragazzo canta / i ragazzi cantano) e in alcuni casi si estende anche al ➔ genere (per es., coi verbi intransitivi e passivi coniugati nei ➔ tempi composti e con quelli copulativi):
(15) Mario è andato a scuola / Maria è andata a scuola
(16) quel particolare è stato notato da tutti / quella particolarità è stata notata da tutti
(17) Mario è simpatico / Maria è simpatica
Uniche possibili deflessioni si hanno coi verbi copulativi (➔ copulativi, verbi) nel caso di presenza di soggetto e predicato nominale di generi diversi: il momento più interessante della conferenza è stato [o è stata] la parte sul cinema surrealista. Si noti che solo il soggetto grammaticale, non il soggetto della predicazione, controlla l’accordo:
(18) a Marco piace la pizza / a Marco piacciono i dolci / ai tuoi amici piace la pizza
Una seconda proprietà consiste nel fatto che il soggetto occupa una posizione predeterminata rispetto al verbo: in italiano l’ordine non-marcato è soggetto + verbo + oggetto (SVO), in latino l’ordine prevalente era SOV (➔ ordine degli elementi; ➔ latino e italiano; ➔ lingue romanze e italiano). Essendo l’italiano una lingua a ordine dei costituenti parzialmente modificabile è tuttavia possibile, per ragioni pragmatiche, invertire l’ordine SV in VS: ho avuto io l’idea. L’inversione del soggetto come strumento di messa in rilievo si sviluppa stabilmente in italiano in epoca postcinquecentesca (v. § 7.4). Inoltre, come si vedrà più avanti, con alcune classi di verbi e in particolari strutture frasali l’ordine pragmaticamente non marcato del soggetto è postverbale.
Con le forme finite del verbo il soggetto può essere omesso; con le forme non finite, tolti pochi casi particolari (su cui v. il § 5), il soggetto non è espresso:
(19) Marco pensa di Ø partire
(20) a. Luisa inizierà la lezione Ø trattando la rivoluzione francese
Riscontriamo anche in questo caso una proprietà distintiva del soggetto rispetto agli altri argomenti del verbo, che non possono essere omessi (se non, a loro volta, in casi particolari):
(20) b. *Luisa inizierà la lezione Øsoggetto trattando Øoggetto
Il soggetto può essere marcato morfologicamente: dal caso nominativo nelle lingue flessive (per es., lat. Petrus Iuliam exspectat / Iulia Petrum exspectat) o da particelle contigue al ➔ sintagma nominale in lingue isolanti e agglutinanti; per es., svolge questa funzione la particella postnominale ga in giapponese: Pietro ga Giulia wa matsu «Pietro aspetta Giulia» / Giulia ga Pietro wa matsu «Giulia aspetta Pietro». La marcatura del soggetto al nominativo non è presente in italiano, fatta eccezione per le forme pronominali di prima e seconda persona singolare (io ho salutato Carla / Carla ha salutato me; tu hai vinto una medaglia / i giudici hanno premiato te; ➔ pronomi) e, nelle varietà formali, anche per le terze persone. La distinzione tra pronomi personali soggetto e complemento costituisce un retaggio del sistema casuale del latino.
Come s’è accennato, è il verbo che assegna i ruoli semantici ai suoi argomenti e quindi determina, per es., se il soggetto di una frase sia agente, paziente o strumento. Una peculiarità dei soli soggetti animati è di poter ricoprire con lo stesso verbo ruoli semantici distinti: frasi come Marco si ruppe il braccio o Marco rotolò dalla discesa sono suscettibili di interpretazioni distinte a seconda che si presuma o no la volontarietà dell’atto: nel primo caso il soggetto risulterà agente, nel secondo paziente.
Nelle lingue a espressione facoltativa del soggetto come l’italiano, i verbi meteorologici e impersonali (➔ atmosferici, verbi; ➔ impersonali, verbi) non possono avere un pronome soggetto espresso:
(21)
a. piove
b. nevica
c. bisogna fare presto
Eventuali usi dei verbi meteorologici con soggetto (gli sono piovute addosso molte critiche) richiedono l’interpretazione figurata del verbo. Casi di pronome soggetto non argomentale si trovano in italiano antico, per ragioni che saranno illustrate in § 7.3.
La funzione di soggetto può essere svolta da un nome, da un pronome o da una frase (nel caso delle soggettive; ➔ soggettive, frasi). Se usata metalinguisticamente, qualunque classe morfologica può ricoprire il ruolo di soggetto:
(22) molto è un avverbio
(23) in questa frase quando svolge il ruolo di congiunzione
Un’altra proprietà del soggetto è quella di non essere introdotto da una preposizione (proprietà condivisa con l’oggetto diretto e, fra i complementi indiretti, quelli di tempo: ho studiato tutta la notte); fanno eccezione alcune frasi soggettive introdotte da di: mi sembra di aver dormito a lungo.
Nelle frasi con verbo di modo finito la posizione non marcata del soggetto è preverbale, non necessariamente iniziale: oltre ai modificatori del sintagma nominale soggetto (quel tuo mobile antico è in cantina) e prescindendo dalle costruzioni con ordine marcato, possono precederlo uno o più elementi circostanziali:
(24) di buon mattino Paolo si recò all’ufficio delle tasse; ma a quell’ora, di sabato, l’ufficio era ancora chiuso
La libertà di movimento del soggetto è più limitata nella frase interrogativa (➔ interrogative dirette), che tende a presentare un ordine fisso dei costituenti. Nelle frasi interrogative senza elemento introduttore il soggetto, se espresso, occupa normalmente la posizione postverbale:
(25) si ricorderà Marco di spegnere la luce?
Quando il verbo è transitivo, verbo e complemento oggetto non sono separabili:
(26) Carla, mangia la torta? → mangia la torta, Carla?
Nelle interrogative con elemento introduttore, questo e il verbo tendono a formare un blocco unico; di conseguenza il soggetto si trova di solito collocato in posizione iniziale o finale:
(27) a che cosa è allergico Marco? → Marco, a che cosa è allergico?
Non risentono di questa restrizione frasi introdotte da perché, per quale motivo e altri nessi causali:
(28) perché Marco fa sempre di testa sua?
Quando l’elemento introduttore è anche soggetto, l’ordine è altrettanto rigido:
(29)
a. chi bussa alla porta?
b. che succede?
c. quanti minuti mancano?
Nell’➔italiano antico, e in quello letterario almeno fino alla metà del XIX secolo, nelle interrogative il soggetto era quasi sempre espresso e posposto al verbo (Patota 1990). Un’eredità di ciò è la sopravvivenza nella lingua contemporanea di frasi con pronome soggetto posposto cristallizzatesi in usi formali e cerimoniali (lo giurate voi?; vuoi tu prendere per legittima sposa la qui presente ...?).
Con una particolare classe di verbi, detti inaccusativi (➔ inaccusativi, verbi), il soggetto può essere in posizione postverbale senza dar luogo a costruzioni pragmaticamente marcate:
(30) si è rotto un bicchiere
(31) gli arrivò un pugno sul naso
Si tratta di frasi presentative, costituite cioè dalla presentazione di un evento, dunque dal solo predicato. Esse, a differenza delle frasi predicative, non sono articolabili in soggetto e predicato. A questa particolarità logico-semantica se ne associa una di tipo sintattico: secondo alcune teorie in queste frasi il soggetto è un argomento interno al sintagma verbale (mentre nelle frasi predicative è argomento esterno); da essa dipenderebbero le particolarità di cui diremo tra poco. Anche i passivi e i costrutti introdotti da si impersonale (o passivante) possono avere un soggetto postverbale non marcato (➔ passiva, costruzione):
(32)
a. furono presi provvedimenti eccezionali
b. su questo argomento sono stati versati fiumi d’inchiostro
c. si commettono molti errori per inesperienza
d. si verificano molti incidenti per la distrazione del guidatore
Si può notare che questi soggetti uniscono a una collocazione non canonica uno statuto ambiguo: possiedono in parte le caratteristiche dei soggetti (per es., quella di controllare l’accordo col verbo e di manifestare, coi pronomi, il caso nominativo: sei arrivato tu), in parte quelle degli oggetti, come la collocazione postverbale e la possibilità di essere ripresi da un ne partitivo:
(33) sono arrivate cinque cartoline → ne sono arrivate cinque
Quest’ultima caratteristica, propria degli oggetti di verbi transitivi (ho letto molti libri → ne ho letti molti) non si estende ai soggetti di verbi non inaccusativi (ne può essere riferito solo all’oggetto, non al soggetto):
(34) molti studenti hanno sostenuto l’esame → *ne hanno sostenuti molti
Altra caratteristica che accomuna i soggetti agli oggetti è la possibilità di figurare come soggetto di un participio assoluto:
(35) il treno è partito → partito il treno, fu accesa l’aria condizionata
Questa proprietà appartiene agli oggetti dei verbi transitivi:
(36) Marcò terminò il lavoro → terminato il lavoro, Marco andò a dormire
e non si estende ai soggetti di verbi intransitivi non inaccusativi:
(37) la macchina procedeva lentamente → *proceduta la macchina lentamente …
Il soggetto, al pari di altri argomenti del verbo, può essere evidenziato per presentarlo come elemento nuovo o inatteso, o per attirare su di esso l’attenzione di chi ascolta (➔ focalizzazioni). L’evidenziazione può essere realizzata con strumenti sintattici (lo spostamento del soggetto dalla sua posizione canonica), lessicali (facendoli precedere da focalizzatori come anche, proprio, perfino) e/o prosodici. In quest’ultimo caso i soggetti focalizzati sono pronunciati enfaticamente, cioè con un aumento dell’intensità accentuativa e separando l’elemento dal resto della frase per mezzo di una pausa (indicheremo tale caratteristica con il sottolineato). A partire da (38 a.) si possono avere tutti gli esempi della serie:
(38)
a. Marco ha vinto il torneo
b. è Marco che ha vinto il torneo [frase scissa]
c. Marco ha vinto il torneo
d. ha vinto Marco il torneo
e. proprio Marco ha vinto il torneo
Le strategie di evidenziazione possono cumularsi:
f. è proprio Marco che ha vinto il torneo
La libertà di movimento del soggetto rende possibile anche il fenomeno speculare, cioè il suo spostamento a destra per dare rilievo a un altro elemento della frase:
(39) la carne la mangio ben cotta, io
Nelle frasi con verbo copulativo la possibilità di inversione tra soggetto e parte nominale del predicato (➔ predicato, tipi di), unitamente a strumenti prosodici, consente di modulare variamente evidenziazioni e tematizzazioni:
(40) la vittima è lui → lui è la vittima → è lui la vittima
Il soggetto, a differenza degli altri argomenti del verbo, non può essere sottoposto a tematizzazione mediante dislocazione a sinistra: formalmente a causa dell’assenza di forme di clitico soggetto, funzionalmente perché non è particolarmente necessario evidenziare come tale un costituente che di norma svolge il ruolo di tema. Casi sporadici si possono avere in costruzioni come Marco, lui ha sempre comprato auto usate, con ripresa del soggetto dislocato da parte di un pronome tonico.
In frasi subordinate con verbo all’infinito (➔ infinitive, frasi) il soggetto non è espresso. Esistono però delle limitazioni nell’attribuzione della relazione di coreferenza tra il soggetto nullo (cioè foneticamente non rappresentato) e uno degli elementi della frase sovraordinata: il soggetto della subordinata è interpretabile solo come coreferente con il soggetto, l’oggetto o un altro argomento del verbo della principale, come negli esempi seguenti (nei quali uguale lettera sottoscritta indica due elementi che designano la stessa entità o, come si dice tecnicamente, coreferenti):
(41) Marcom promise ad Andrea di Øm regalargli un libro
(42) Marco pregò Andream di Øm mangiare;
(43) Marco ordinò ad Andream di Øm mangiare
I verbi delle frasi principali (41-43) si definiscono a controllo: il soggetto in (41), l’oggetto diretto in (42), l’oggetto indiretto in (43), sono definiti controllori del soggetto della subordinata. Nel caso di infinitive rette da verbi impersonali o da piacere / dispiacere (A Marcom piace Øm camminare in montagna; A Filippom conviene Øm cambiare abitudini) il controllore è l’oggetto indiretto, che coincide col soggetto della predicazione nelle corrispondenti frasi semplici. Nelle subordinate infinitive non argomentali il controllore del soggetto della subordinata è il soggetto della principale. Coi verbi di percezione (➔ percezione, verbi di) il soggetto dell’infinitiva può non coincidere con quello della principale, può essere espresso e se è un pronome personale mostra il caso accusativo:
(44)
a. ho visto molte volte Andrea ballare
b. hai mai visto me ballare sui tavoli?
Coi verbi di opinione (➔ psicologici, verbi) troviamo costrutti modellati sulla costruzione latina dell’➔accusativo con l’infinito:
(45) suppongo essere lui il principale sospettato
Costituisce un caso particolare l’uso di sembrare in frasi come Marco sembra conoscere Andrea, parafrasabili con sembra che Marco conosca Andrea. Come si vede, Marco svolge il ruolo di soggetto della frase subordinata nel secondo caso, e viene sollevato al ruolo di soggetto della sovraordinata nel primo.
Con i gerundi e i participi assoluti (➔ gerundio; ➔ assolute, strutture) il soggetto, se espresso, occupa la posizione postverbale:
(46) andando Luigi a trovarla spesso, la nonna non ha bisogno di altro aiuto
Col participio il soggetto può essere espresso solo coi verbi inaccusativi:
(47)
a. tornati i genitori, la baby sitter andò a casa
b. *mangiato Andrea il gelato, tornò a casa
(da non confondere con Andrea, mangiato il gelato, tornò a casa con subordinata parentetica).
Col gerundio sono possibili fenomeni di ‘sollevamento’:
(48) essendo arrivato in ritardo, Marco non poté vedere il film → essendo Marco arrivato in ritardo, non poté vedere il film
Se il verbo è all’imperativo il soggetto è di norma omesso, per ragioni pragmatiche (facile recuperabilità del referente); se è presente, è in posizione postverbale:
(49)
a. compra tu il latte!
b. provi lei ad arrivare a fine mese col mio stipendio!
In questo caso il pronome coincide con il picco intonativo e ha valore contrastivo (compra tu il latte, che io penso al resto della spesa!). Il pronome può anche avere collocazioni ‘emarginate’, a sinistra e a destra:
(50)
a. tu, compra il latte!
b. compra il latte, tu!
Tuttavia in questi casi ha un valore diverso, di ➔ vocativo, evidenziato anche intonativamente dalla necessità di porre una pausa tra il pronome e il resto della frase. Le frasi che esprimono un ordine in forma indiretta (ti chiedo di Ø comprare il latte) sono perlopiù subordinate costruite all’infinito e rette da verbi a controllo sull’oggetto diretto (pregare) o indiretto (chiedere, ordinare, consigliare, ecc.).
Dal confronto col latino (➔ latino e italiano) appaiono mutamenti che da un lato determinano una ➔ semplificazione morfologica, con la riduzione e il virtuale annullamento delle differenze tra i casi, dall’altro un aumento di complessità, con lo sviluppo della serie di pronomi atoni accanto a quelli tonici (Simone 1993: 68-92). Inoltre, poiché il latino non disponeva di forme di pronomi personali di terza persona, cui suppliva con is, ille e ipse, si nota lo sviluppo, a partire dagli ultimi due, delle forme pronominali di terza persona dell’italiano: lui muove da una forma latino volgare di ille, ĭllūi, rimodellata sul dativo singolare del pronome relativo (cui); a sua volta analogico su ĭllūi il femminile ĭllĕi, da cui trae origine lei. Tra le forme particolari da notare eglino, formatosi da egli con ➔ epitesi analogica sulla desinenza di terza persona plurale dei verbi (amano, amavano); sul modello di eglino si è successivamente formato il femminile elleno (➔ personali, pronomi).
L’italiano presenta pronomi personali (➔ personali, pronomi) liberi (o tonici) e ➔ clitici (o atoni). I soggetti clitici si sono sviluppati solo in fiorentino, nei dialetti settentrionali e nelle varietà ladine, in connessione all’espressione del soggetto, che in quelle varietà è obbligatoria. Il panorama è complesso dal punto di vista morfologico e diversificato su quello geografico: alcuni di questi dialetti presentano un paradigma completo di forme clitiche, altri le hanno sviluppate solo in alcune persone (per es., la maggior parte dei dialetti veneti solo nella seconda singolare e nelle terze; ➔ veneti, dialetti), in altri ancora si sono sviluppate forme indifferenziate. Si tratta perlopiù di forme che continuano il lat. ego (come l’a’ di alcuni dialetti settentrionali) o ille (l’e’ del fiorentino e di altre varietà toscane) (Benincà 1983; Vanelli 1998; Loporcaro 2009: 88).
Dal punto di vista della referenza, i pronomi personali di prima e seconda persona hanno solo impiego deittico (➔ deittici), quelli di terza possono essere impiegati sia anaforicamente (➔ anafora) sia deitticamente. Nelle terze persone, infatti, le differenze tra forma soggettiva e obliqua sono correlate, oltre che alla funzione grammaticale, al modo della referenza (anaforico o deittico) e allo status informativo (dato ~ nuovo). In altre parole la distinzione dell’italiano formale egli / ella / essi / esse ~ lui / lei / loro non veicola solo un’opposizione di caso (soggetto ~ non soggetto), ma anche di referenza (anaforico ~ deittico) e informativa (elemento dato ~ elemento nuovo).
Il sistema dei pronomi personali italiani marca la persona e il numero in tutto il paradigma, il genere nelle sole terze persone, l’animatezza solo in alcune forme della terza singolare: egli, lui, lei, ella sono impiegabili per referenti umani, esso, essa per referenti non umani. In realtà studi su ➔ corpora di italiano contemporaneo mostrano come nell’uso l’impiego di forme pronominali distinte per referenti umani e non umani sia molto oscillante; in primo luogo perché soggetto a variazione regionale (esso / essa sono usati nell’italiano regionale meridionale per referenti umani), in secondo luogo perché è sempre più frequente l’uso di lui / lei per riferirsi anche ad animali e cose (Leone 2003). Inoltre, quando il soggetto è focalizzato, le sole forme disponibili (anche per referenti inanimati) sono lui / lei: per es., in una frase come (51) non potremmo sostituire lei con essa:
(51) la FIAT ha lanciato una proposta di fusione dell’azienda, anche se proprio lei, in passato, si era opposta a iniziative analoghe
La distinzione in base al tratto di animatezza era peraltro precaria già nell’italiano antico, dove egli, esso, essa, essi, esse indicano indifferentemente referenti umani, animali e non animati (Egerland 2010):
(52) La buona donna piglia questo becchetto che è appiccato al cappucio con uno spillo, e recaselo in mano, e dice ch’egli è una ghirlanda (Franco Sacchetti, Trecentonovelle, in OVI)
(53) Dice uno scolaio contra ad un altro: «Tu se’ venuto troppo tardi a scuola». Et esso dice: «A te no ’nde rispondo» (Brunetto Latini, La Rettorica, in OVI)
(54) E poi che fu morto, alla sua madre rimase il regno e la signoria tutto il tempo della vita sua. E essa fu più calda e più fera che nullo uomo (Tesoro volgarizzato, libro 1, cap. 26, in OVI)
(55) Cornacchie sono di molto grande vita. E dicono molti uomini ch’esse indovinano quello che dee addivenire all’uomo (ivi, libro 5, cap. 21)
Nel suo insieme, il sistema dei pronomi personali italiani è andato soggetto a numerosi fenomeni di ristrutturazione, orientati nella direzione della semplificazione paradigmatica: da tale deriva è stato interessato anche il sottosistema dei pronomi soggetto (Berretta 1993). L’aspetto più evidente del riassetto è stato l’espansione delle forme oblique a scapito di quelle soggettive. Il conguaglio tra serie soggettiva e obliqua, da sempre presente alla prima e alla seconda plurale, è più avanzato alle terze persone con l’espansione di lui / lei / loro a scapito delle forme concorrenti. Si tratta di un’evoluzione antica (i primi esempi sono duecenteschi), ma probabilmente non originaria (non ci sono in fiorentino attestazioni sicure prima del 1250), mai pienamente diffusasi nella lingua scritta a causa delle prescrizioni dei grammatici (D’Achille 1990: 313-321). Lo stesso conguaglio è attestato, ma meno diffuso, per la seconda persona singolare (ma con forti oscillazioni regionali) e interessa in maniera del tutto marginale la prima persona (il tipo me sono un bravo ragazzo è confinato al substandard di alcune parlate regionali).
Diacronicamente il processo di sostituzione delle forme oblique a quelle soggettive prese avvio a partire dai seguenti contesti (Egerland 2010: 405-408):
(a) dapprima nelle subordinate participiali o gerundiali, in cui il pronome occupa una posizione postverbale (quindi non canonica per il soggetto):
(56) latrando lui con gli occhi in giù raccolti (Dante, Inf. XXXII, 105)
(57) E andatone lui inn Isscozia, disentitevi co· llui spesso per lettera (Lettera fiorentina del 1291, in NTF 1952: 598, 33-34)
(b) successivamente coi verbi di modo finito, nei casi in cui il pronome ha un rilievo pragmatico, per es. perché svolge la funzione di focus della frase:
(58) fu veduto apertissimamente come fu lei che fece quello Busso (Bernardino da Siena 1989: 42,35)
(59) Io v’aviso ch’io no tengo vostri dinari e no ispendo se no otta per otta e be pochi. Lui li spende e, quando àne ispeso da tre o quattro o cinque livre, allora mi li dà per ischretto ed io li metto a libro (Lettera del 1417 di Giuliano da Firenze a Lorenzo Acciaiuoli, in De Blasi 1982: 107)
Il processo di sostituzione sembra partire dal maschile singolare ed estendersi poi al femminile e al plurale, forse anche a causa del fatto che il fiorentino antico presentava una debolezza strutturale nella determinazione del numero: egli / elli erano le forme soggettive più frequenti e valevano sia per il singolare che per il plurale.
Il conguaglio delle forme soggettive e oblique si inserisce nella tendenza più generale alla riduzione dell’ipertrofia del sistema dei pronomi soggetto, creatasi per accumulazione di doppioni morfologici (➔ allotropi) e resa possibile da una diffusione plurisecolare della lingua solo per via scritta. I doppioni furono via via sfoltiti, dapprima negli usi scritti e poi nel parlato unitario. Tale riduzione risulta evidente osservando il seguente schema, in cui si riportano le varie forme attestate nel fiorentino precinquecentesco (non si tiene conto di forme occasionali e delle varianti meramente grafiche), in parte ancora presenti nell’italiano contemporaneo (Boström 1972):
I pers. sing. io, i’
II pers. sing. tu, te
III pers. sing. m. egli, lui, elli, ei, el, e’, ello, esso, gli, desso
III pers. sing. f. ella, essa, esso, lei, elle, la, dessa
I pers. plur. noi, no’, noialtri
II pers. plur. voi, vo’, voialtri
III pers. plur. m. essi, elli, ellino, eglino, egli, ei, e’, gli, loro
III pers. plur. f. elle, esse, elleno, loro, e’, le.
In italiano l’espressione del soggetto è facoltativa. Dal punto di vista funzionale la sua presenza è ridondante in quanto la morfologia del verbo consente di recuperare senza ambiguità (con poche eccezioni: le prime tre persone del congiuntivo presente, le prime due dell’➔imperfetto) le informazioni su numero e persona del soggetto. Se esprimerlo o ometterlo è dunque una scelta del parlante, legata all’opportunità di evidenziare il soggetto quando esso risulti inatteso o abbia un rilievo testuale, pragmatico o di altra natura. Il soggetto è invece espresso obbligatoriamente:
(a) quando è focalizzato (inversione: passo io a salutarti!; frase scissa: siete voi che avete sollecitato l’incontro, ecc.) (➔ focalizzazioni; ➔ scisse, frasi);
(b) nelle frasi nominali (➔ nominali, enunciati), dove, mancando il verbo, diventa elemento necessario per la comprensibilità dell’enunciato (ancora lui! avevo detto che non volevo più incontrarlo!);
(c) quando si trova in strutture coordinate con un altro pronome o un sintagma nominale: né lei né nessun altro ha il diritto di fare ciò; o tu o lui finirete il lavoro;
(d) quando è accompagnato da un determinante (per es., un numerale: voi due siete davvero divertenti; o una relativa: voi, che avete più esperienza, potete consigliare i vostri colleghi più giovani).
Pur non obbligatorio, il soggetto è necessario nei casi in cui la sua omissione determinerebbe ambiguità o difficoltà interpretative (Serianni 2006: 91-95). In particolare:
(a) con forme verbali che presentano desinenze polifunzionali: non sono sicuri che Ø [= io / tu / lui] dica la verità;
(b) quando non è stato menzionato di recente o, pur menzionato, figura in un ruolo sintattico secondario:
(60) l’opera di liberazione degli schiavi d’America si deve all’azione illuminata di Lincolnm, e per questo Øm [= egli / lo statista / il sedicesimo Presidente degli Stati Uniti d’America] ha conquistato un posto fra i padri della patria.
L’espressione del soggetto è un parametro di classificazione tipologica delle lingue. Si distinguono:
(a) lingue a soggetto obbligatorio, come l’inglese e il francese, in cui il soggetto è sempre espresso, anche quando non argomentale;
(b) lingue a soggetto nullo, come l’italiano, lo spagnolo o il latino, in cui l’espressione del soggetto argomentale è lasciata alla scelta del parlante, mentre quella del soggetto non argomentale è impossibile;
(c) lingue a soggetto quasi obbligatorio, come il tedesco e altre lingue germaniche; in esse il soggetto argomentale è sempre obbligatorio, quello non argomentale può essere omesso in particolari contesti.
L’italiano manifesta al riguardo un comportamento simile al latino. Dietro l’apparente continuità si celano però profonde innovazioni, che hanno interessato l’intera area romanza. In epoca medievale possiamo individuare una frattura tra varietà romanze settentrionali (francese, parte dell’occitanico, il franco-provenzale, i dialetti italiani settentrionali, le varietà ladine, il dialetto fiorentino; ➔ francoprovenzale, comunità; ➔ ladina, comunità; ➔ toscani, dialetti), che mostrano la tendenza all’espressione obbligatoria del soggetto, più evidente in frase subordinata. Tale tendenza si accompagna ad altre caratteristiche, come l’asimmetria tra struttura della frase principale e quella della subordinata e la tendenza in frase principale alla posizione fissa del verbo in seconda posizione.
Nell’evoluzione di queste varietà si attua, grosso modo dal Cinquecento, l’eliminazione dell’asimmetria tra frase principale e subordinata e l’estensione alla principale delle regole vigenti per la subordinata. L’effetto combinato di tali fattori determina il definitivo assestamento di questi sistemi verso l’espressione obbligatoria del soggetto. Le varietà romanze meridionali (il portoghese, lo spagnolo, parte dell’occitanico, il catalano, l’italiano, i dialetti italiani centro-meridionali, il sardo e il rumeno) evolvono invece verso sistemi a soggetto nullo. Come si vede, i dialetti della Penisola sono tagliati in due dalla partizione: da un lato quelli settentrionali, con il fiorentino come estrema propaggine meridionale, dall’altro quelli centro-meridionali (Vanelli, Renzi & Benincà 1985).
Lo sviluppo di un sistema a soggetto obbligatorio, con conseguente presenza di soggetti clitici nei dialetti settentrionali e in fiorentino, e di uno a soggetto facoltativo nei dialetti meridionali (➔ meridionali, dialetti), sarebbe correlabile ad altre opposizioni (non accordo ~ accordo del participio passato; assenza ~ presenza di opposizione tra gli ausiliari perfettivi avere ed essere; marcatura dell’oggetto ~ marcatura del soggetto) che delineerebbero nel complesso un’opposizione tra un orientamento tipologico di tipo attivo ~ inattivo nelle lingue romanze settentrionali e uno di tipo nominativo ~ accusativo in quelle meridionali (Zamboni 2000: 101-118).
La conseguenza apparentemente paradossale di ciò è che l’italiano, pur modellato nelle sue strutture portanti sul fiorentino, per questo importante aspetto se ne distanzia, ed è solidale con i dialetti centro-meridionali. Per cogliere le dinamiche di questa particolare evoluzione occorre esaminare più da vicino le vicende di evoluzione del fiorentino e delle altre varietà toscane in epoca medievale e, nei secoli successivi, della diffusione della lingua toscana nelle altre regioni d’Italia in seguito alla normazione cinquecentesca.
L’analisi del fiorentino e di altre varietà toscane tra Duecento e Quattrocento mostra sistemi in evoluzione verso l’espressione obbligatoria del soggetto, desumibile da fenomeni ben precisi (Renzi 1983; Palermo 1997).
(a) Il pronome è espresso frequentemente, anche in contesti che appaiono non accettabili per la nostra sensibilità linguistica:
(61) noi v’avemo iscritto per più lettere lo ’ntendimento e la volontade nostra di quello che noi volavamo che per voi si faciesse (Lettera fiorentina del 1291, in NTF 1952: 16, 1v17)
(62) questo conte Ugolino fue huomo di così fatta maniera, ch’elli facea morire il popolo di Pisa di fame (Cronica fiorentina, in TF 1926: 133, 28)
(63) ed ella disse ched ella non ne berebe (Tristano riccardiano 44, 10, in OVI)
(64) tu avevi quinci sù una giovinetta che tu tenevi a tua posta (Boccaccio, Dec. VIII, 6, 53)
(b) Sono presenti pronomi soggetto atoni di forma ridotta:
(65) io non so ben dir com’i’ v’intrai (Dante, Inf. I, 10)
(66) di queste cose e’ non sapiano neuna cosa (Tristano riccardiano 40, 1, in OVI)
La forma ridotta e’ è usata anche per la terza femminile e plurale e nei casi di soggetto non argomentale. Mancano nei testi più antichi le forme soggettive la, gli, le, i cui primi esempi si collocano nella seconda metà del Trecento:
(67) se la mi fa grazia che mio marito non mi tormenti per questa botte del vino, io gli porrò una botte di cera (Sacchetti, Trecentonovelle, in OVI)
(68) come gli è in Terra, Torello che aveva attaccato il coltellino alla coreggia, se lo reca in mano (Sacchetti, Trecentonovelle, in OVI)
Esiste tuttavia la possibilità che in casi come quello rappresentato dall’ultimo esempio, alcune occorrenze siano state oscurate a causa dei criteri di separazione delle parole fissati dall’editore (com’egli è / come gli è). In questa fase i pronomi atoni non hanno ancora assunto tutte le proprietà dei clitici, per es., la non separabilità dal verbo: e vuolsi che la non abbia cotesto dispiacere (Novella del grasso legnaiuolo 1990: 615). A partire da queste forme si svilupperanno i clitici del fiorentino moderno e la conseguente possibilità di realizzare delle reduplicazioni in cui il soggetto compare due volte a sinistra del verbo, la prima come pronome soggetto tonico (o sintagma nominale), la seconda come clitico (il tipo te tu fai; la ragazza la canta, ecc.).
(c) Sono presenti forme di pronome soggetto non argomentale:
(69) Egli è bisogno ch’io ti faccia distruggere (Tristano riccardiano 46, 24, in OVI)
(70) Egli convien ch’e’ muoia (Boccaccio, Dec. III, 8, 15)
Tuttavia alcuni fattori inibiscono il completamento del processo. Una prima causa è esterna: l’ossequio per i modelli latini che accompagna fin dalle prime elaborazioni duecentesche la prosa letteraria determina, almeno nelle sezioni diegetiche, il decremento del tasso di espressione del soggetto. Nel Decameron il divario tra espressione del soggetto nei dialoghi e nel discorso indiretto, con sintassi più elaborata e periodi costruiti a sinistra, alla latina, è nettissimo. Altre cause possono essere interne: la presenza in italiano antico di regole differenti dall’italiano moderno per la collocazione enclitica dei pronomi complemento bloccava di fatto la possibilità di espressione concomitante di un pronome soggetto e di un enclitico in principio di frase e in altri contesti sintattici (*Egli dissemi ...). Non a caso si registra una coincidenza cronologica (tra fine Quattrocento e prima metà del secolo successivo) tra definitiva decadenza delle norme che regolavano l’enclisi pronominale (la ➔ legge Tobler-Mussafia) e il pieno sviluppo dell’espressione del soggetto.
Con la stabilizzazione normativa operata da ➔ Pietro Bembo, le sorti del vernacolo fiorentino, che nell’arco di un secolo o due (l’approssimazione è dovuta alla penuria di fonti documentarie affidabili per i secoli XVI-XVIII) acquisisce in pieno tutte le caratteristiche delle varietà a soggetto obbligatorio, si separano da quelle dell’italiano. In particolare l’adozione da parte di Bembo del modello trecentesco fondato sull’asse Petrarca-Boccaccio comporta la proposizione di un modello di lingua artificiale, diffusosi in maniera capillare nella lingua scritta dei secoli successivi, che impone riguardo all’espressione del soggetto l’arresto di naturali tendenze evolutive del sistema e determina il ritorno indietro di circa due secoli.
L’adozione del fiorentino trecentesco come polo di riferimento per la scrittura da parte di chi non aveva di tale varietà una competenza nativa determinò l’interpretazione della sovrabbondanza di pronomi soggetto presenti in ➔ Giovanni Boccaccio e negli antichi scrittori come fatti di stile, non di sistema. Questa linea interpretativa parte da Bembo, che nelle Prose della volgar lingua, non riuscendo a giustificare la ragione dei pronomi non argomentali presenti in Boccaccio, li interpreta come «legament[i] leggiadr[i] e gentil[i]», di fatto pleonastici ma «necessar[i] a ben voler ragionare toscanamente»:
Resta, messer Ercole, d’intorno acciò, che io d’una cosa v’avertisca; e ciò è, che questa voce Egli, non sempre in vece di nome si pone; con ciò sia cosa che ella si pon molto spesso per un cominciamento di parlare, il quale niente altro adopera, se non che si dà con quella voce principio e nascimento alle parole che seguono; come diede il Boccaccio: Egli era in questo castello una donna vedova, e altrove, Egli non erano ancora quattro ore compiute. [...] Dove si vede che il così porla, poco altro adopera che un cotale quasi legamento leggiadro e gentile di quelle parole, che senza grazia si leggerebbono, se si leggessero senza essa. [...] Tuttavolta lo adornamento è tale, e così l’ha la lingua ricevuta per adietro e usata nelle prose, che ella è ora voce molto necessaria a ben voler ragionare toscanamente (Bembo 1966: libro III, cap. XVIII).
Fra i grammatici successivi molti si soffermano sulla sovrabbondanza di pronomi soggetto in Boccaccio, a volte giustificandola con argomentazioni stilistiche, a volte, come nel passo seguente di Girolamo Ruscelli, esprimendo fastidio nei confronti di questa abitudine:
Di queste figure o proprietà di parlare, che consistono nella costruttione, se ne leggono nel Boccaccio, fatte o per inavvertenza, o per altra cagione, degne di riconoscersi da noi, ma non da imitarsi e seguirsi, come vitiose. Et queste sono, quando si replicherà più d’una volta il pronome, o il nome col pronome, il quale rappresenta quell’istesso nome, come ha per vitio veramente spesso il Boccaccio (Ruscelli 1581: 573).
Quando ➔ Alessandro Manzoni propose alla nascente nazione italiana un nuovo modello di fiorentino (➔ questione della lingua; ➔ Ottocento, lingua dell’), quello contemporaneo delle persone colte, il divorzio tra il parlato borghese e il dialetto fiorentino sarà definitivamente compiuto. Tale divario aveva imposto nel frattempo la censura nei confronti dell’uso insistito dei pronomi soggetto, percepito come marcatamente vernacolare.
Dal Cinquecento al Settecento si registrano ulteriori riassetti del sistema. Per es., l’inversione del soggetto, che nel fiorentino antico era determinata da ragioni sintattiche (l’eventuale presenza di un costituente preverbale diverso dal soggetto faceva slittare quest’ultimo in posizione postverbale), è ormai utilizzata prevalentemente come strumento di messa in rilievo. Il tratto è più evidente nella lingua della commedia, più ancorata alle esigenze della comunicazione orale; ecco un esempio tratto da La locandiera di ➔ Carlo Goldoni:
(71) CONTE: Ecco la nostra padrona. Guardatela, se non è adorabile.
CAVALIERE: Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da caccia.
MARCHESE: Se non la stimate voi, la stimo io (Goldoni 1940: 1, 4)
Nel corso del XVIII secolo si manifesta con chiarezza lo scontro tra una corrente tradizionale e una innovatrice, che individua nell’uso insistito (e ormai percepito come ridondante) di pronomi soggetto un residuo del vecchio stile. In questo quadro di tensione dialettica tra il vecchio e il nuovo stile della prosa entra in scena Manzoni. Con la revisione linguistica dei Promessi sposi egli opera in primo luogo un robusto sfoltimento dell’ipertrofico sistema di forme pronominali ereditato dalla tradizione letteraria (v. § 6), riducendo drasticamente le forme di egli (da 795 a 64), ella (ne sopravvivono solo 2 occorrenze), delle forme atone e’ e gli (che sopravvivono rispettivamente in due e in tre casi). Inoltre abbatte di circa il 50% il tasso complessivo di espressione dei pronomi soggetto, contribuendo anche in ciò a ridurre la distanza tra uso scritto e parlato e al definitivo rinnovamento della lingua italiana.
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