‘sogno’ di Machiavelli
Sul letto di morte, il 20 o 21 giugno 1527 – aggravata la malattia corporale dalla pena per l’emarginazione politica e il generale naufragio delle cose d’Italia – M. avrebbe affidato agli amici che lo attorniavano, nella forma di un sogno o di una visione, il segreto del proprio desiderio ultraterreno. In quel «tanto celebrato sogno», M. preferiva unirsi agli ospiti dell’inferno piuttosto che alle anime del paradiso. La blasfemia dell’ultimo discorso di M. perfezionava, nell’empietà ateistica, pagana, epicurea, libertina, la già dubbia fama dell’autore.
L’esame delle fonti attesta due filoni principali di tradizione, un contesto italiano e un ambiente franco-tedesco: il primo è relativamente più antico del secondo nel segnare il punto d’origine, individuabile a quanto pare in una lettera di Anton Francesco Doni (→) a Gabriele Giolito datata da Padova, 15 febbraio 1544, e pubblicata in quello stesso anno nelle Lettere del Doni (Le novelle, t. 1, La moral filosofia. Trattati, a cura di P. Pellizzari, 2002, pp. 388-93) con il titolo Visione d’un galante uomo che stava per morire, e così fece; il «galante uomo» in questione è un «messer Nicolò» non meglio precisato, che riferisce la sua visione a «molti gentiluomini». A questa fa seguito l’allusione contenuta in una missiva di Giovan Battista Busini a Benedetto Varchi del 23 gennaio 1549: «onde [M.] raccontò quel tanto celebrato sogno a Filippo [Strozzi], a Francesco del Nero ed a Jacopo Nardi, e ad altri, e così morì malissimo contento, burlando». Il carattere «tanto celebrato» del sogno lascia supporre che il destinatario della lettera, e un pubblico più vasto, fosse in grado d’intendere quel che vi si accenna. Tuttavia la traccia, già debole e tarda, del «sogno» non ha diffusione, e si eclissa, in Italia, fino al 1752, quando la lettera di Busini è per la prima volta pubblicata nell’introduzione di Angelo Maria Bandini alla sua Collectio veterum aliquot monimentorum ad historiam praecipue litterariam pertinentium (pp. XXXII-XXXIV).
In anticipo sulla notizia che, pur non credendovi, Bandini metteva a disposizione, Pierre Bayle, nella voce Machiavel del suo Dictionnaire historique et critique (1695-1696, 1715, pp. 874-79), riprese le testimonianze di Étienne Binet, di François Hotman e di Hieronymus Wolf, iniziatori dei due rami indipendenti di una tradizione che penetrò e si diffuse in Francia fino a Denis Diderot (→) e molto più in Germania con la Historia critica philosophiae di Johann Jacob Brucker (1742-1744). Il contenuto del sogno, molto vicino alla Visione descritta da Doni, è riferito in un passo del libro del gesuita Binet sulla salvezza di Origene (Du salut d’Origène, 1629, pp. 359-62), nel quale si legge che M. «ebbe questa allucinazione (illusion) poco prima di spirare»: egli vide una piccola schiera di povere e derelitte persone, umili nell’aspetto e poco gradevoli, e si sentì dire che questi sono gli eletti del paradiso, dei quali è scritto Beati pauperes, quoniam ipsorum est regnum coeli. Vide poi una seconda, numerosissima, schiera di personaggi, gravi d’aspetto e solenni, come un senato che dibattesse affari di Stato molto seri, fra i quali riconobbe Platone, Aristotele, Seneca, Plutarco, Tacito e altri di pari qualità. Apprese che essi erano i dannati, poiché Sapientia huius saeculi inimica est Dei. Interrogato, M. espresse il desiderio di raggiungere questi ultimi all’inferno, dove si sarebbe intrattenuto con loro intorno agli affari di Stato. Binet, con Busini, parla di «illusion» o «sogno» e, allo stesso modo, non dichiara l’origine dell’aneddoto.
Una diversa linea ha origine dal commento di Wolf a sentenze scelte dalle Tusculanae di Cicerone. Riferisce Wolf che taluni faceti homunculi, seguendo M., dichiarano di preferire, al paradiso, l’inferno, perché popolato di re, pontefici, principi, infiniti giovinetti bellissimi, donne elegantissime. Questi ‘seguaci’ di M. sono forse i libertins avversati da Calvino (Sasso 1988). La nota di Wolf fu travisata da Hotman (in una lettera a Rudolf Gwalther, antistes di Zurigo, del 28 dicembre 1580), dal quale giunse a Bayle la notizia che M. avrebbe scritto, in un certo luogo (quodam loco scripsisse), di preferire, dopo la morte, la discesa agli inferi tra i diavoli all’ascesa al paradiso.
«Fantasia» calunniatrice dell’antimachiavellismo indagato da Oreste Tommasini, falso immaginato da altri su materiali machiavelliani per Pasquale Villari, il sogno di M. è accettato da Roberto Ridolfi. Sasso interroga e integra le ricchissime annotazioni del Bayle e volge lo scetticismo sulla leggenda del sogno in ricerca della sua «struttura dotta». In prossimità di fonti scritte, di autori e di tradizioni che M. può aver accolto, s’incontra l’atmosfera dantesca del «nobile castello» (Inferno IV 106-44) e l’aldilà platonico dell’Apologia di Socrate (40c-41c). E, per la singolare analogia di struttura, ci s’imbatte nell’antica leggenda del re frisone Rathbod (Vita Wulframni, secc. 8°-9°) e nella cantafavola di Aucassin et Nicolet (secc. 12°-13°). Si tratta di variazioni su un accordo fondamentale, che conferisce all’inferno il carattere di un esemplare luogo protettivo per un mondo di valori a cui i protagonisti sono legati, e al paradiso quello del loro tradimento.
Bibliografia: A.F. Doni, Le novelle, t. 1, La moral filosofia. Trattati, a cura di P. Pellizzari, Roma 2002.
Per gli studi critici si vedano: G. Sasso, Il “celebrato sogno” di Machiavelli, in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 211-300 (con bibl. prec.); G. Sasso, Paralipomeni al “sogno” di Machiavelli. Il destino delle ignoranze incrociate, in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 4° vol., Milano-Napoli 1997, pp. 325-64; S. Larosa, Riflessioni intorno al sogno machiavelliano, in Attraverso il sogno. Dal tema alla narrazione, a cura di E. Porciani, Soveria Mannelli 2003, pp. 81-110; M.C. Figorilli, Orientarsi nelle “cose del mondo”: il Machiavelli ‘sentenzioso’ di Anton Francesco Doni e Francesco Sansovino, «Giornale storico della letteratura italiana», 2011, pp. 321-65.