sogno
Attività che si verifica generalmente nelle fasi di sonno REM, più o meno nitida e dettagliata, con una struttura narrativa più o meno coerente, con sensazioni prevalentemente visive e con eventuale partecipazione emotiva da parte del soggetto. Il s. è stato oggetto della trattazione dei filosofi sin dall’antichità. Secondo la concezione democriteo-epicurea, i s., analogamente alle sensazioni, sono determinati dagli εἴδωλα, cioè dai simulacri delle cose, provenienti da esse medesime. Un’estesa fenomenologia ed eziologia del s. è offerta da Aristotele in due scritti dei Parva naturalia dedicati espressamente a questo tema (De divinatione per somnium e De somniis). Qui il s. è definito come l’attività psichica dell’uomo quando dorme, ed è quindi già considerato come un fenomeno di ordine psicologico, anziché come frutto di un’ispirazione di origine divina, secondo la credenza assai diffusa presso gli antichi, i quali ritenevano che i s. contenessero rivelazioni da parte degli dei e degli uomini. Un’eco di questa concezione relativa all’origine divina del s., come peraltro osservava già Freud, si ritroverà nei secoli successivi nella filosofia di Schelling.
Il problema più strettamente filosofico posto dal s., tuttavia, è di ordine gnoseologico, e riguarda la distinzione tra sonno e veglia, ovvero l’individuazione di un criterio che consenta di stabilire che la ‘realtà’ vera è quella della veglia, non quella del sogno. Il problema è adombrato già da Platone, il quale avverte come il s., per chi lo consideri senza uscire dal suo ambito, non sia meno reale della veglia: «Nulla vieta di credere che i discorsi che ora facciamo siano tenuti in s., e quando in s. crediamo di raccontare un s., la somiglianza delle sensazioni nel s. e nella veglia è addirittura meravigliosa» (Teeteto, 158 c). Per risolvere tale problema Descartes, nelle Meditazioni sulla filosofia prima (1641), è costretto a postulare l’intervento di Dio, che per la sua perfezione non può essere ingannatore e garantisce dunque la veracità delle mie conoscenze, assicurando che il cogito sia realtà e non sogno. Per Kant, invece, la realtà della veglia, e l’irrealtà del sogno, è garantita dal fatto che la prima comprende, e giudica, in sé, il secondo, mentre l’inverso non accade. I filosofi successivi peraltro optarono per un criterio di distinzione tra veglia e s. di tipo puramente empirico, pur ammettendone la labilità. Così Schopenhauer afferma che «l’unico criterio sicuro per distinguere il s. dalla realtà è in effetti quello affatto empirico del risveglio, con il quale in verità il nesso causale fra le circostanze sognate e quelle della vita cosciente viene espressamente e sensibilmente rotto». Tuttavia, riconoscendo l’impossibilità di effettuare una distinzione precisa tra s. e vita reale, egli arriva a concludere che «la vita e il sogno sono le pagine di uno stesso libro» (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1818). Il motivo dell’indistinzione tra realtà e irrealtà tipico dell’esperienza onirica influisce sull’uso concettuale e terminologico per cui, in sede di estetica, si riscontra la tendenza a ravvicinare al fantasma del s. il fantasma dell’arte, per cui pure è inessenziale la distinzione tra esistente e inesistente.
Con Freud il s. acquista una dignità scientifica ed entra di diritto nella storia del pensiero umano. Considerati come fenomeni psichici dotati di significato, e non più effetto di eccitamenti fortuiti e disordinati del sistema nervoso, i s., e la loro interpretazione, diventano la chiave di volta di una teoria psicologica generale fondata sull’ipotesi di un’attività psichica inconscia, indipendente dai processi volitivi coscienti e tendente alla soddisfazione di esigenze istintuali (pulsioni). Adottando un approccio funzionalistico, Freud considera il s., sostanzialmente, come la soddisfazione allucinatoria di un desiderio rimosso nell’infanzia. Alla base del s. esiste una regressione di tipo topico: l’energia si sposta dalla pulsione rimossa (diventata inconscia) verso le porte della percezione, che comporta il trasferimento di un desiderio molto arcaico (infantile) nell’attualità della rappresentazione, consistente nell’uso di rappresentazioni primordiali (sul piano sia ontogenetico sia filogenetico). Poiché nella regressione si concentrano le modalità oniriche che permettono di rivivere le emozioni più significative dell’ontogenesi, nel s. si attiva un processo che, grazie alla memoria, salda il presente al passato e crea un ponte tra le emozioni di un tempo e quelle attuali. Il lavoro che rende possibile la produzione del s. è definito dai processi di condensazione, spostamento, drammatizzazione, simbolizzazione. Regista di questo lavoro onirico è la «censura», derivante dalla necessità propria del s. di rappresentazione mediante una profonda deformazione dei propri contenuti. La condensazione permette di sovrapporre eventi nel tempo e nello spazio; lo spostamento consente invece al sognatore di porre attenzione a un oggetto altro rispetto ai propri desideri; la drammatizzazione permette di mettere in scena e rappresentare in un teatro privato le proprie emozioni; la simbolizzazione è la scelta di un oggetto per un altro e di un significante per esprimere molteplici significati. Grazie alla censura si assiste nel s. a un’operazione ‘retorica’, nel senso che è tesa a differenziare, distorcere e trasformare i contenuti del testo, creando uno scarto tra contenuto latente e contenuto manifesto. Ciò che rende il s. bizzarro e incomprensibile è comunque il modo di espressione che ritorna a condizioni precedenti lo sviluppo del nostro linguaggio concettuale: come un’operazione a ritroso dalla scrittura alfabetica a quella ideografica, ma anche come passaggio da un sistema di significazione, quello linguistico, indispensabile alla narrazione del s., a un altro, quello delle rappresentazioni affettive, le quali, in quanto processi primari, restano comunque inconoscibili. Una diversa interpretazione funzionalistica del s. è quella di tipo cognitivo proposta, tra gli altri, da W.R. Bion e da R. Money-Kyrle, in cui il s., in quanto rappresentazione del mondo interno dell’uomo, diventa esso stesso fonte di conoscenza. Il s. ha la funzione di trasferire le esperienze emotive e sensomotorie della veglia in pensieri onirici, e di dare continuità alla vita mentale nel suo passare dalla veglia (dominata da fantasie) al sonno (dominato dal s.). Ne consegue un capovolgimento del rapporto tra s. e inconscio rispetto a Freud. Censura e resistenze in questa concezione sono lo strumento per mezzo del quale il s. crea e differenzia il conscio dall’inconscio. È l’esperienza e la capacità trasformativa e mitopoietica della mente a rendersi responsabile dell’incessante presenza del s. nella vita dell’uomo. L’idea di una funzione cognitiva del s. era stata peraltro già adombrata da Jung, secondo il quale il simbolismo onirico costituisce uno strumento per accedere ad aspetti del reale non conoscibili attraverso il processo razionale della coscienza diurna.