SOGNO.
– Sogno ed evoluzione umana. Sogno e cultura. I sogni degli ‘altri’. Bibliografia
Sogno ed evoluzione umana. – Il s. è divenuto un fenomeno comune a tutto il genere umano nel lungo processo di evoluzione che ha portato gli ominidi a organizzare in modo distintivo le informazioni della realtà e a costruire simboli. Il fondamentale passaggio alla cognizione simbolica ha avuto bisogno di milioni di anni per verificarsi. Con l’acquisizione del bipedismo, che liberò le mani dalla funzione locomotrice a vantaggio di altre funzioni, e con l’adozione di una dieta particolarmente energetica, che favorì lo sviluppo di un cervello più grande, Homo poté iniziare a manipolare informazioni di tipo complesso fino a creare, prima nella mente poi nei fatti, le prime elaborazioni tecnologiche ed estetiche attribuibili a delle menti simboliche (Tattersall 2012). L’incorporazione di gesti nelle azioni abituali produsse l’interiorizzazione delle esperienze vissute, la rappresentazione simbolica soggettiva, la formazione di un immaginario (Warnier 1999). E dato che l’immaginario è sempre un immaginario del materiale, non ha cioè un’indipendenza autonoma dalla materia (G. Durand, Les structures anthropologiques de l’imaginaire, 1960; trad. it. 1972), non è difficile rendersi conto di quanta importanza abbiano avuto, nell’evoluzione del pensiero simbolico e dello sviluppo dell’attività onirica, le prime pratiche di inumazione dei morti (riferibili già ai neandertaliani): le intenzioni sono difficili da mettere a fuoco, ma il rispetto riservato ai defunti ha avuto sicuramente un ruolo decisivo dal punto di vista della costruzione del sé in rapporto agli altri, indice di una nuova umanità ormai capace di condividere la percezione del mondo, i prodotti dei processi immaginativi e il contenuto stesso dei sogni.
Sogno e cultura. – Nonostante la natura universale dell’esperienza onirica, esistono più modi di sognare e luoghi diversi generano s. diversi. La documentazione etnografica al riguardo è piuttosto vasta. In seguito alla pubblicazione dell’opera rivoluzionaria di Sigmund Freud Die Traumdeutung(1900), molti antropologi vollero verificare sul terreno l’ipotesi relativa all’esistenza di simboli universali, se cioè l’attività onirica fosse ovunque la stessa. Il dato suffragato dalle etnografie del Novecento, da Bronisław Malinowski a Géza Róheim, da Jackson Stewart Lincoln a Dorothy Way Eggan fino al padre dell’etnopsichiatria George Devereux, fu anzitutto che il ruolo e le funzioni del s. variano nelle diverse culture e il significato stesso dei s. dipende dal posto che ciascuna cultura assegna al mondo dei s. (Il sogno e le civiltà umane, con introduzione di V. Lanternari, 1966).
Nella nostra cultura lo stato di veglia ha un valore contrapposto a quello del sonno e il s. tutt’al più è stato pensato, per es. lungo il Medioevo, come possessione o come liberazione di forze vitali eccezionali, dunque come viaggio dell’anima fuori dal corpo. L’attività razionale (in quanto forma reale) è divenuta così il fondamento della civiltà della veglia (lo stato in cui solo può darsi la pienezza del pensiero), in contrapposizione al mondo irreale e illusorio del s. e della trance, dominanti nell’orizzonte magico delle culture arcaiche (Charuty 1996). Presso queste ultime, infatti, con modalità diverse a seconda dei contesti storici e culturali, il s. ha continuato a manifestarsi e a trovare un senso compiuto persino nelle istituzioni culturali (rituali magico-terapeutici, rituali di iniziazione, cerimonie sciamaniche, ricorso a sentenze oracolari), cioè nei luoghi sociali fondanti la struttura e l’identità dei gruppi umani (Douglas 1992).
I sogni degli ‘altri’. – Il s. è un’esperienza culturalmente determinata, che connette l’immaginario e la memoria di un individuo all’immaginario collettivo di una società. In questo senso chiama sempre in causa i rapporti tra l’identità (il sé in relazione agli altri), la cultura (intesa come coscienza condivisa di un repertorio di riferimenti valoriali) e quel flusso di sempre più intense comunicazioni inter-culturali che definiamo modernità (Augé 1997). L’immaginario, vale a dire le rappresentazioni simboliche espresse in s., canzoni, fantasie, miti e storie, deriva sempre da un circuito di relazioni pluralizzate di immagini e idee che vengono da altrove. I s. quindi «vengono da fuori», dato che «la società entra inevitabilmente nella nostra vita notturna» (Cecconi 2012, p. 19).
Gli studi antropologici hanno fornito prove piuttosto evidenti dell’omologia esistente, presso popolazioni diverse dalla nostra, tra il contenuto dei s. e le basi delle civiltà in stato di veglia (V. Lanternari, Antropologia del sogno, in Antropologia e imperialismo, 1974, pp. 139-90). Presso le società di interesse etnologico, non solo il nesso tra s. e mito non viene mai reciso, ma il mondo intimo dell’esperienza privata, di cui il s. fa parte, si integra nella dimensione sociale ricevendone stimoli e influssi culturali. Inoltre, in quelle società c’è un preciso sistema di traduzione fra le rappresentazioni individuali e quelle collettive. L’esperienza ‘interiore’ del s. viene infatti costantemente convertita in forme culturalmente convenzionali, tali da poter essere fruite e interpretate pubblicamente. Alcuni antropologi hanno privilegiato nei loro studi proprio le modalità di racconto e di pubblica rappresentazione del s., vale a dire come circolano le espressioni oniriche all’interno di una comunità. Barbara Tedlock, per es., ha evidenziato come nelle citazioni presenti nei racconti di s. dei Maya Quiché l’impiego di pronomi personali diversi da ‘io’ afferma l’esistenza di una ‘anima libera’, che nel sonno si distacca da chi sogna e sperimenta una realtà distinta dall’esperienza personale dell’individuo. In questo caso, le citazioni sono introdotte da «lui, lei, esso dice», e riguardano aneddoti e racconti mitici che non hanno a che fare con l’esperienza personale, a sottolineare che l’‘io’ del s. non è l’‘io’ del narratore (Dreaming. Anthropological and psychological interpretations, ed. B. Tedlock, 1987).
Benché i casi di studio siano molto diversi tra loro, i sistemi di rappresentazione analizzati dagli etnologi rilevano tutti l’esistenza di una realtà del sogno (nei termini di continuità fra vita di veglia e vita di s.) e di una pluralità dell’io. Per i Pumé del Venezuela, una popolazione che vive non lontano dalla frontiera colombiana, uno stesso individuo può riunire diverse personalità distinte, dette pumetho. Più si ha potere e prestigio, più pumetho si posseggono. Nel corso di una cerimonia chiamata tõhe, mentre il cantador (lo sciamano) presiede la cerimonia insieme a uno dei suoi pumetho nello stesso tempo compie un viaggio nel mondo extraumano con un altro dei pumetho, per incontrare antenati e parlare con gli dei. Durante il rito il cantador sogna da sveglio (viene posseduto dagli dei), sogna nel sonno (viaggia nel mondo degli dei) e prova allucinazioni e visioni, dimostrando in questo caso una straordinaria ricettività alle influenze provenienti dal mondo moderno esterno (Augé 1997).
Strumento dell’istituzione rituale, il s. libera le potenzialità creative della cultura e ne condensa in immagini il repertorio mitologico. Per suo tramite, l’operatore rituale può così ricomporre in un quadro unitario e dotato di senso le questioni identitarie poste dalle contingenze storiche, interpretandole per conto della società che gli attribuisce il potere di farlo. L’identità di natura, fra uomini e altre personalità, postulata dal rito è certo per noi inconcepibile. La terminologia del racconto di s., lo statuto dei morti, i racconti cosmogonici, le visite degli dei, la confusione di mondi che contraddistinguono le cerimonie dove il s. è coinvolto in termini istituzionali, contrastano con la nostra concezione dualistica della persona (corpo e anima), che rifiuta la dissociazione del Sé e la rappresentazione plurale dell’Io. Ma di fronte a visioni del mondo così diverse dalla nostra, non possiamo che riconoscere l’alterità, prendere sul serio la ‘civiltà del sogno’ e cercare di comprendere il significato culturale della differenza.
Bibliografia: M. Douglas, Risk and blame. Essays in cultur al theory, London-New York 1992 (trad. it. parziale Credere e pensare, Bologna 1994, Rischio e colpa, Bologna 1996); C. Charuty, Destins anthropologiques du rêve, «Terrain», 1996, 26, pp. 518, nr. monografico: Rêver; M. Augé, La guerre des rêves. Exercises d’ethno-fiction, Paris 1997 (trad. it. Milano 1997); J.-P. Warnier, Construire la culture matérielle. L’homme qui pensaitavec ses doigts, Paris 1999 (trad. it. La cultura materiale, Roma 2005); A. Cecconi, I sogni vengono da fuori. Esplorazioni sullanotte nelle Ande peruviane, Firenze 2012; I. Tattersall, Masters of the planet. The search for our human origins, Basingstoke 2012(trad. it. Torino 2013).