SOL
La questione del culto del Sole come dio indigete o come nume introdotto in Roma dalla Grecia non tocca l'iconografia, perché mancano in età repubblicana rappresentazioni figurate diverse dai tipi ellenici (v. helios). Nella serie monetale cosiddetta romano-campana appare la testa di faccia e di profilo del Sol. Nella monetazione romana, a coininciare dai conî di Manio Aquilio del 90 a. C., fino in età augustea (denaro di Aquilio Floro del 14 a. C.), si incontra in varie emissioni di denari e di aurei la testa di profilo, giovanile, con la corona radiata sui folti riccioli, che risale evidentemente a tipi ellenistici.
Si distinguono fra le altre le monete di M. Antonio, di cui alcune recano la testa del S. di faccia, col nimbo radiato, racchiusa entro un tempietto, in cui si può forse riconoscere il templum Solis apud Circum (Tac., Ann., xv, 74). Il particolare del nimbo radiato potrebbe significare un rapporto con divinità solari orientali. La quadriga al galoppo vista di profilo era familiare alla zecca di Roma e forse perciò la quadriga solare venne presto accolta fra i tipi monetali. La si trova nei denarî di M. Aburio Gemino, che coniò fra il 124 e 103 a. C., e più tardi. Nella lorica della statua di Augusto da Prima Porta al Vaticano, sulla quadriga di profilo è rappresentato il S. nelle lunghe vesti dell'auriga ellenico. Nel frontone del ricostruito Capitolium domizianeo erano collocate le quadrighe del S. e della Luna, con i cavalli volti verso il centro, come testimoniano un noto rilievo del Museo dei Conservatori con la riproduzione del tempio e alcuni disegni.
La tipologia e il mito greco continuano a predominare nelle piccole rappresentazioni delle arti minori, come i bronzetti, e anche nelle opere provinciali, come un rilievo frammentario narbonense, in cui il dio con la face in mano emerge dai flutti. Mentre in Grecia la divinità solare aveva avuto scarsa importanza, nell'Impero ne andò sempre più acquistando per la concomitanza di alcuni fattori: l'estendersi dei culti orientali, la tendenza degli imperatori ad assimilarsi al S., l'incanalarsi delle correnti spirituali verso un sincretismo, che finisce per riconoscere nel S. un Ente supremo moderatore dell'universo. Augusto nelle monete postume fu talora rappresentato con la corona radiata, segno dell'assimilazione al S., che fu apposta anche a taluni ritratti (Venezia, Costantinopoli). Nerone negli ultimi anni fece rappresentare due volte se stesso in figura di S.: nella quadriga collocata nel teatro di Pompeo e nel colosso posto da Decriano nella Domus Aurea (Suet., Nero, 25), che Adriano, sostituito il ritratto con una testa del S., trasportò altrove, (Hist. Aug., Hadrianus, 19-13). Forse il Nerone-Helios è da riconoscersi nell'originale di un tipo, di cui la copia migliore, al Louvre, aveva la corona radiata; l'atteggiamento e la corona di riccioli rivelano l'ispirazione da modelli ellenistici. Invece in alcuni aurei Nerone è presentato togato e con corona radiata.
Da Nerone in poi gli imperatori si fecero rappresentare nei dupondî con corona radiata; non vi è però altro segno dell'identificazione c l S. (ad eccezione di una moneta di Antonino Pio col nimbo radiato) fino alla dinastia dei Severi. Tuttavia gli stretti rapporti del S. con l'imperatore sono testimoniati dal grande rilievo di Efeso a Vienna, ove il nume tunicato e clamidato, con nimbo e raggi, avanza, insieme alla dea Roma, alla testa della quadriga di Marco Aurelio. All'età di Settimio Severo, che fece consacrare Commodo, va ascritta una testa idealizzata di questo imperatore al Museo Naz. Romano, raffigurato giovanissimo con lunghi riccioli e corona radiata, di cui restano i fori. Nelle monete di Caracalla il S. radiato, nudo, con clamide svolazzante, tiene nella sinistra il globo, alzando la destra nel gesto magico proprio della divinità orientale. Elagabalo nel suo effimero tentativo di identificazione col dio solare della città nativa, è rappresentato come S., avendo nella destra il fulmine, o con la destra alzata nel gesto sacro e la frusta nella sinistra. Con frusta e scettro è rappresentato il S. su uno dei lati dell'ara dei Vicani Magontiacenses, di età severiana, a Magonza. Questi nuovi elementi figurativi si introducono con l'accrescersi dell'importanza della Siria. Anche nei conî con quadriga solare di Tetrico, di Aureliano, di Probo, di Costantino, di Licinio il nume stringe nella sinistra globo e frusta e alza la destra: non è più Helios-S., ma il Sol Invictus, divinità e appellativo che, attraverso la religione solare mitriaca e le divinità di Siria (gli dèi ἀνίκητοι), era entrata fin dal II sec in Roma e nelle province e che, nel corso del III sec. d. C., si afferma mediante l'assimilazione stessa all'imperatore, come dio dell'Impero Romano. Esso è rappresentato a mezzo busto in un rilievo capitolino nel gesto benedicente, con frusta e globo nella sinistra; appare con lunga veste e clamide svolazzante, cavalcante fra i Dioscuri in un frammento di rilievo da Corstopitum. Lo si incontra nel motivo classico della quadriga, al posto del greco Helios, nel sarcofago capitolino detto di Prometeo, dove nella lunga veste di auriga, con i cavalli al galoppo, alza la mano destra. Molto simile a questo nella composizione ancor classica e nel tipo è anche un rilievo appartenente a una grande opera di arte aulica, il tondo del lato orientale sull'Arco di Costantino. Nello stesso gesto ed aspetto è raffigurato nella patera argentea di Parabiago che, sulla base di confronti con illustrazioni dei codici, è stata datata non più al II sec. d. C., ma al IV, come opera della rinascenza classicheggiante teodosiana. Dal III sec. d. C. in poi compare anche un altro schema di quadriga solare: il carro è visto di faccia, i cavalli sono volti due a destra e due a sinistra, il dio fa il gesto magico e brandisce la frusta (monete di Settimio Severo, di Gallieno, disco argenteo dell'Ermitage ecc.). Aureliano collocò nel sontuoso tempio del Sole da lui edificato in Roma due statue, una di Helios e una di Bēl, secondo Zosimo (i, 61). Lo scrittore non ha voluto indicare col nome di Bēl il dio supremo della triade palmirena, ma un dio solare siriaco, la cui identità è discussa. La tipologia di queste opere è ignota, giacché un torso da Carnuntum, creduto copia del S. di Aureliano, pare rappresenti Elagabalo. Importante è il fatto che il nume era adorato nel tempio nel suo doppio carattere occidentale e orientale. La tipologia degli dèi solari di Oriente è generalmente nota. In molti casi essi sono figurati in aspetto ellenizzato, come un giovane imberbe con corona radiata, che veste una tunica. Così son rappresentati Adone e Attis assimilati al Sole, l'uno in monete di Cipro, l'altro in un rilievo da Koloe in Frigia, in cui è affiancato al dio lunare anatolico Mm. All'infuori delle assimilazioni, il S. era particolarmente adorato in Siria e dai seguaci di Mithra (v.).
In Siria, solare per eccellenza era il nume centrale della triade di Baalbek-Heliopolis, che diede il nome alla città, benché qualche studioso propenda per l'attribuzione del carattere solare al terzo nume, il dio-figlio. Il nume è raffigurato in numerose gemme locali con la corona radiata, ma serba la tipologia indigena, con lunga tunica ed ependỳtes, fiancheggiato dai tori, con la sferza levata e il fulmine. Solo nell'aretta già posta nella cappella centrale del tempietto siriaco al Gianicolo, ora al Louvre, il busto del dio ha l'aspetto ellenizzato. Egualmente è rappresentato in un rilievo del Museo Naz. Romano il Sol Invictus, onorato dal dedicante insieme a Giove Dolicheno. A Palmira erano due le divinità solari. Yarhibōl, nume della triade celeste, era raffigurato nei rilievi alla destra di Bēl, vestito come guerriero romano di lorica e paludamento, ma con le brache all'orientale, imberbe e giovanile, con nimbo radiato; aspetto non dissimile aveva nei rilievi Malakbēl, il messaggero di Bēl, affiancato talora sui rilievi ad Aglibōl, il dio lunare. Invece nell'ara del Capitolino dedicata al dio da una fedele di origine palmirena abitante in Roma, il busto di Malakbēl, chiamato Sol Sanctissimus corrisponde alla comune tipologia occidentalizzata, benché porti il nimbo radiato caratteristico delle sculture palmirene. Il mitriacismo, erede dello zoroastrismo persiano e imbevuto della teologia astrale, caldea, colloca il S. in posizione di grande rilievo (v. mithra; nimbo, tavola a colori).
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