SOLARI, Cristoforo detto il Gobbo
– Nacque tra il 1467 e il 1470 da Bertola, «magister muri et lignaminis», e da madre ignota (Biscaro, 1912, p. 67). Ebbe almeno quattro fratelli e una sorella: Giacomo, Alberto, Pietro, Andrea e Domenica, che sposò nel 1485 Molo Lemi da Desio. È incerto il luogo di nascita, forse Angera (Morigia, 1603, 1977, p. 186). Cristoforo apparteneva a una ramificata consorteria di lapicidi e architetti originari del lago di Lugano, nell’odierno Canton Ticino, discendenti da Marco da Carona; era quindi imparentato con Giovanni Solari e i suoi figli. Una deformità fisica gli valse il soprannome di Gobbo, con cui è spesso citato nei documenti contemporanei.
Il 12 novembre 1483 entrò, per cinque anni, nella bottega del cugino Pietro Antonio Solari, figlio di Guiniforte, affermato scultore e architetto (Biscaro, 1912, p. 76). Non sono note opere che possano essere riferite con certezza agli anni che precedono il soggiorno veneziano dell’artista.
È stato suggerito di riconoscere la più antica prova di Cristoforo in un rilievo del Castello Sforzesco di Milano, raffigurante Cristo in pietà tra la Vergine e s. Giovanni Evangelista (Trittico di Vighignolo), forse eseguito nella fase finale del suo apprendistato, verso il 1487-88 (Markham Schulz, 2013, pp. 97-99; contrario all’attribuzione è Zani, 2014).
Tra la fine del 1488 e il 1493 Cristoforo si recò una prima volta a Venezia, già forse insieme al fratello minore Andrea; qui conobbe Mauro Codussi e Giovanni Bellini, che nel 1494 lodò le sue opere; con lui strinse un’amicizia, poi guastata, secondo quanto riferito dallo stesso pittore, dalle maldicenze di alcuni colleghi invidiosi.
Sono stati riferiti al Solari dei primi anni veneziani due tondi con Profeti nella facciata della chiesa di S. Zaccaria e l’Incoronazione della Vergine, ora nel seminario patriarcale ma proveniente dalla distrutta chiesa di S. Maria Celeste (Ceriana - Markham Schulz, 2011, pp. 6-10).
Forse dopo una breve tappa milanese nel 1493 – durante la quale avrebbe lavorato in palazzo Carmagnola, dimora di Cecilia Gallerani (Luchini, 1907; ma il Cristoforo, «ducalis ingignierius», che tentò di sostituire Gian Giacomo Dolcebuono alla guida della fabbrica di S. Maria dei Miracoli presso S. Celso potrebbe essere un omonimo: Morscheck, 2016, p. 437) – Solari tornò in laguna; qui eseguì per il capitano di marina Giorgio Dragan un altare in S. Maria della Carità, fondazione dei canonici lateranensi (ora sede delle Gallerie dell’Accademia). Provengono da tale cornice, che ospitava la pala di Cima da Conegliano ora all’Accademia, le sette Virtù della Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro, che alternano a citazioni dirette dall’antico un classicismo di marca lombardesca (Zanuso, 2000, pp. 26 s., e 2004); nel 1494 le sculture già ultimate sono descritte in una lettera inviata l’8 aprile al cardinale Francesco Todeschini Piccolomini dal camaldolese bresciano Bernardino Gadolo, che le vide in casa del committente: qui, oltre ad alcune Virtù, non perfettamente coincidenti con quelle oggi conservate, Gadolo menzionava una Venere e un Apollo realizzato a somiglianza di quello del Belvedere, mentre nello studio dello scultore aveva visto «cereas imagines scemate antiquo» (Meneghin, 1970, pp. 255 s.). È probabile che Piccolomini volesse commissionare a Solari il completamento delle sculture del suo altare nel duomo di Siena, in seguito affidate a Michelangelo, ma non sembra che l’abboccamento abbia avuto conseguenze (Caglioti, 2005, pp. 438-440). A Venezia Cristoforo lasciò un’altra opera non identificata, un’«antica madre» – forse Eva – celebrata nel 1587 nelle Rime di Lomazzo (Agosti, 1986, p. 64 nota 17).
Sulla base dello scarto stilistico tra le prime presunte prove veneziane e le Virtù della Ca’ d’Oro; del probabile aspetto dell’altare Dragan (smantellato all’inizio dell’Ottocento), forse ispirato alle opere romane di Andrea Bregno; dell’esistenza di una copia scolpita da Solari delle Tre Grazie Piccolomini (coll. privata; per Ceriana - Markham Schulz, 2011, pp. 10 s., eseguita per lo stesso cardinale senese); e della menzione nel suo studio di una copia dell’Apollo del Belvedere, Anne Markham Schulz (2013) ha ipotizzato che il primo viaggio dell’artista nell’Urbe abbia avuto luogo prima del 1494.
Nel 1495, alla morte dello scultore Antonio Mantegazza, Cristoforo tornò in Lombardia per lavorare alla certosa di Pavia con il sostegno di Ludovico Sforza, che lo aveva raccomandato il 24 maggio 1494 e di nuovo, anche come architetto, l’11 ottobre 1495. Il mese successivo il duca prescrisse che l’artista fosse impiegato nei lavori di scultura della facciata (Morscheck, 1978, pp. 300, 302 s., docc. 249, 272, 274, 279). Charles Morscheck ha proposto di riconoscere in un gruppo di opere della Certosa qualcuna delle «molte cose [da lui lavorate]» per il monastero (Vasari, 1568, 1984, V, p. 434): undici medaglioni nello zoccolo della facciata e altri rilievi nel Museo e all’interno della chiesa (Morscheck, 1978, pp. 244-250, 1983, 1998 e 2016).
Morta il 3 gennaio 1497 la duchessa Beatrice d’Este, il Moro commissionò a Solari un monumento funebre per la moglie e per sé (ed, eventualmente, anche un altare, poi non realizzato) da porre in opera nella tribuna della chiesa di S. Maria delle Grazie a Milano, che nelle intenzioni del duca sarebbe dovuta diventare un mausoleo sforzesco. Da aprile cominciarono ad affluire, da Venezia e dalla certosa di Pavia, i marmi di Carrara in casa dello scultore, che lì lavorò con aiuti; di questo sepolcro, rimasto interrotto nel 1499 a causa della caduta del duca di Milano, fuggito dalla città il 2 settembre, e forse ripreso durante il governo dei figli Massimiliano (1512-15) e Francesco II Sforza (1521-35), sopravvivono i due gisants, rimasti in casa Solari fino al 1535 e ora collocati nel transetto sinistro della certosa di Pavia, dove giunsero nel 1564 (Morscheck, in Arte e storia in Lombardia, 2006; Schofield, 2013, p. 47). Secondo Vasari (1568, 1987, VI, p. 204), prima di essere abbandonato, il progetto avrebbe dovuto essere compiuto da Gian Giacomo della Porta. Possibili frammenti del monumento sforzesco sono stati identificati da Morscheck (2016).
È probabile che con l’arrivo dei conquistatori francesi Solari, come altri artisti legati agli Sforza, abbandonasse il ducato; si è ipotizzato che si recasse in questo frangente a Roma, dove i fratelli Alberto e Pietro si erano trasferiti, possedevano beni e avevano legato con altri lombardi, come l’orafo Caradosso Foppa e i suoi familiari (Bertolotti, 1883, p. 101; Shell, 1987, p. 294, doc. 25). Si colloca proprio nell’Urbe, e si ambienta in questi anni, a riprova della fama raggiunta dallo scultore fuori dalla Lombardia, l’aneddoto vasariano sulla firma apposta da Michelangelo sulla Pietà vaticana per scongiurare il rischio che l’opera venisse invece riferita al suo collega (Agosti, 1986, p. 57).
Cristoforo era nuovamente a Milano il 18 febbraio 1501, quando fu assunto dalla Fabbrica del duomo «ad laborandum [...] in figuris», ricevendo in concessione una bottega nel camposanto, con condizioni contrattuali molto vantaggiose e del tutto anomale che confermano l’altissima considerazione in cui era tenuto (Annali..., 1880, p. 117). I documenti dell’archivio della Fabbrica offrono saltuarie notizie sulla sua attività per la cattedrale, che si svolse, con interruzioni, dal 1501 al 1524 (Morscheck, 2016): nel 1501 fece eseguire gli attributi in ottone per i dottori della Chiesa del tiburio; come esperto di architettura partecipò alle sedute per la porta del duomo verso Compedo: il 23 febbraio 1503 fu incaricato di fabbricare, con Bartolomeo Briosco, uno dei tre modelli lignei (gli altri due furono commissionati alla coppia Amadeo-Dolcebuono e ad Andrea Fusina), ma già il seguente 26 giugno fu accusato di avere usato misure scorrette; nel maggio del 1504 plasmò sei figure in argilla e un agnello perché fossero utilizzati come modelli per l’esecuzione di sculture; nel 1506 fu eletto ingegnere del duomo come collega di Giovanni Antonio Amadeo, a condizione di continuare a scolpire; nel gennaio del 1508 appoggiò Fusina nello scontro con il più anziano collega riguardo alla guglia maggiore; nell’ottobre del 1510, alla presenza di Leonardo da Vinci, partecipò alle riunioni riguardanti gli stalli del coro (Annali..., 1880, pp. 118, 120, 124-126, 135, 140, 153).
L’attività di scultore per il duomo, oggi meglio nota ma non completamente chiarita, include al momento diverse statue dalla cronologia incerta, alcune delle quali citate nei documenti o firmate: S. Sebastiano (firmato; Zanuso, 2000; per il quale Morscheck, 2016, propone una datazione tra il 1501 e il 1502), Adamo (post 1502) e Lazzaro-Giobbe (firmato) nel Museo del duomo, Cristo alla colonna (firmato) nella sagrestia meridionale; altre già menzionate dalle fonti tardocinquecentesche e solo di recente riferite all’artista: Davide con la testa di Golia (Binaghi Olivari, in Arte e storia in Lombardia, 2006, pp. 221-223); più dubbie la S. Elena nel Museo del duomo, S. Giovanni evangelista, S. Pietro, Giuditta con la testa di Oloferne e una S. Lucia (Zanuso, 2000; Bruzzese, in Albuzzi, 1772-1778, 2015, pp. 133 s.). A queste sculture si sono ultimamente aggiunti il S. Paolo e il S. Giovanni Battista sull’altare bambaiesco della Presentazione al tempio e un Profeta in marmo di Candoglia riapparso sul mercato antiquario (Zanuso, 2018). La S. Elena e il S. Pietro sono riprodotti nel taccuino di disegni di Berlino attribuito ad Agostino Busti, detto il Bambaia, datato 1514, cosa che confermerebbe l’importanza della produzione solariana per gli inizi del più giovane collega (Zanuso, 2000). L’opera di Solari, che spesso raggiunge esiti di alto livello tecnico-esecutivo, contribuì a traghettare la scultura e l’architettura lombarde dalla tradizione locale, ancora legata al magistero di Amadeo e della sua scuola, verso il classicismo già in auge in altre città d’Italia, come Venezia, Mantova e Roma.
In parallelo a quella per il duomo Cristoforo portò avanti la sua attività fuori della cattedrale: nel 1502 sovrintese con Ambrogio de Predis all’esecuzione, probabilmente su suo progetto, del perduto monumento funebre di Erasmo Brasca in S. Eufemia a Milano (Shell - Sironi, 1995); lo stesso anno realizzò «medalias sex ex marmore» (Annali..., 1880, p. 122) per un maresciallo di Francia, Gian Giacomo Trivulzio o Pierre de Rohan-Gié (Jestaz, 2003, pp. 293-295); dal 1° giugno 1503 si assentò un mese per lavorare per Simone Crotti e dal 12 agosto 1504 fu per un anno al servizio di Trivulzio (Annali..., 1880, pp. 125, 129).
La fama crescente gli procurò una menzione nel De Sculptura (1504) di Pomponio Gaurico, che gli rimproverò le membra erculee tipiche dei suoi personaggi, nei Commentari rerum urbanarum (1506) di Raffaele Maffei e nel canzoniere di Lancino Curzio, edito postumo nel 1521, nove anni dopo la morte dell’autore (Agosti, 1986, p. 61).
Nello stesso periodo il Gobbo intensificò la sua attività di architetto, in cui si trova traccia del soggiorno romano, con l’aggiornamento sulle opere del Bramante e di Francesco del Borgo: nel 1505 realizzò un modello per il portico quadrilatero di S. Maria presso S. Celso (Riegel, 1998, pp. 92-98, 229-241; Schofield, in Arte e storia in Lombardia, 2006); continuò nel frattempo a lavorare anche per i canonici lateranensi: nel 1505 fornì il modello ligneo per il chiostro della canonica di S. Pietro al Po a Cremona (Werdehausen, 1985) e nel 1510 disegnò le semicolonne nell’ottagono della tribuna di S. Maria della Passione a Milano, mai poste in opera (Modesti, 1998-1999, p. 114); dal 1508 cominciò a prestare la sua consulenza per lavori in S. Vittore al Corpo a Milano (Baroni, 1940-1968, II, p. 219, doc. 721) nuovamente contattato nell’aprile del 1512 per essere assunto come ingegnere di S. Maria presso S. Celso, dovette però essere indisponibile perché la fabbrica si rivolse infine a Cesare Cesariano e Bernardo Zenale (Riegel, 1996).
Le ricorrenti assenze per servire altri committenti suscitarono, il 17 giugno 1507, le rimostranze dei deputati della Fabbrica del duomo, tuttavia senza conseguenze (Annali..., 1880, p. 138). Il 18 e 19 agosto 1508, infatti, Cristoforo periziò insieme ad Ambrogio da Angera l’ancona lignea dei fratelli De Donati per l’altare maggiore della chiesa di S. Lorenzo a Lugano (Gatti, 1977, pp. 165 s.); e tra il 1509 e il 1513, secondo Venanzio de Pagave, lavorò ai chiostri di S. Ambrogio, lasciati interrotti dal Bramante (Baroni, 1940-1968, I, p. 59 nota 1).
Il 19 marzo 1509 è menzionato insieme al Bramantino nelle ultime volontà di Giovanni Antonio Castiglioni: avrebbe dovuto realizzare per la sua cappella in S. Pietro in Gessate a Milano un piedistallo marmoreo per una statua da trasformare in una Maddalena (Frattini, 1983, doc. 21, pp. 47 s.). Una commissione simile è testimoniata dalla S. Caterina d’Alessandria del Metropolitan Museum di New York (Ceriana - Markham Schulz, 2011, pp. 11 s.).
Il 16 luglio 1509 assunse l’incarico di eseguire in marmo di Carrara il monumento funebre di Charles du Hautbois, vescovo di Tournai (1505-13), affidandone in parte l’esecuzione alle botteghe genovesi di Alessandro Della Scala e Pace Gagini, che vi lavoravano forse ancora nel 1514: nel 1510 commissionò a Della Scala parte del basamento; l’anno dopo a Gagini tre riquadri con la Crocifissione e Santi; il 6 agosto 1511 subappaltò a Gagini e a Giovanni Antonio da Osnago la figura giacente, da realizzare entro sei mesi, fornendo il marmo e il modello in cera (Schofield-Shell, 1993; Zurla, 2013-14, pp. 98 s.; Repishti, 2013, p. 22). Di questa tomba, forse destinata alla cattedrale di Tournai, ma probabilmente mai ultimata a causa dell’occupazione inglese della città (1513-18) e delle vicende personali del prelato francese, dimessosi nel 1513 e morto poco dopo, non sono stati individuati resti.
Nel 1513 e nel 1514 Solari era a Roma. Il 28 aprile 1514 riscosse una somma dovuta al fratello Alberto, da poco defunto, per l’opera che questi aveva prestato per il cardinale Raffaele Riario nel cantiere del palazzo della Cancelleria (Valtieri, 1982, p. 8); il disbrigo delle questioni ereditarie trattenne Cristoforo ancora per poco nell’Urbe: in memoria del congiunto appose insieme ai fratelli una lapide, non più conservata, in S. Girolamo della carità, che celebrava Alberto quale «architecto peritissimo» (Bertolotti, 1881, p. 41). Il 1° luglio sottoscrisse il contratto per l’erezione della cappella funeraria del cardinale Carlo Domenico del Carretto, dei marchesi del Finale, in S. Cecilia in Trastevere (Frommel, 1990, p. 59).
A dicembre era di nuovo a Milano, dove fu riassunto dalla Fabbrica del duomo con gli antichi privilegi; lo affiancarono nella bottega, dove aveva già formato degli allievi, tra cui Girolamo della Porta da Novara, i nipoti Nicolò e Michele da Merate e il figlio Paolo (Annali..., 1880, pp. 169 s., 185; Morscheck - Sironi - Venturelli, 2000, p. 323).
Intorno a quest’epoca intraprese i lavori di rifacimento di palazzo Rabia in piazza S. Sepolcro a Milano (non più esistente), che il proprietario Gerolamo Rabia aveva ereditato dal fratello Giacomo, morto nel 1513, e poi decorato con affreschi mitologici di Bernardino Luini; un’iscrizione, oggi perduta ma trascritta nel Settecento da Giuseppe Allegranza, ne celebrava le doti di architetto (Agosti - Stoppa, 2014, p. 102).
Dal marzo del 1516 scolpì per Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, un gruppo marmoreo di Ercole e Caco, saldato il 31 marzo 1517 (Venturi, 1884); l’identificazione proposta da Alison Luchs con una scultura del Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo è problematica a causa della non perfetta corrispondenza con le descrizioni dell’opera negli inventari cinquecenteschi (Farinella, 2014, p. 136 nota 196); la produzione di piccole sculture di tema mitologico per il collezionismo privato è testimoniata anche dal Giovane Ercole a riposo firmato (Luchs, 2007). Per Isabella d’Este iniziò due anni più tardi a scolpire, con l’aiuto di collaboratori, una fontana, forse destinata alla delizia gonzaghesca di Porto: dal 16 luglio 1523 vi lavorarono Paolo della Porta e Michele da Merate (Annali..., 1880, p. 226); il 6 maggio 1525, morto Cristoforo l’anno precedente, l’opera era già passata in mano al figlio Paolo (Danzi, 1989, pp. 304 s.), ma era ancora in lavorazione il 25 giugno 1527 (Bertolotti, 1885, p. 173; Luzio, 1901, pp. 174 s.); è possibile che non fosse ancora terminata alla morte di Paolo, nel marzo del 1528 (Morscheck, in Arte e storia in Lombardia, 2006, p. 231).
Già nel marzo del 1517 Cristoforo, allora ritenuto «il prima [sic, ma primo] sculptor de Italia» (Luzio - Renier, 1899-1903, 2005, pp. 82 s.), era stato avvicinato dall’agente mantovano Raffaele Gusperto perché giudicasse un disegno per il monumento funebre del carmelitano Battista Spagnoli; entro settembre eseguì, probabilmente per ottenere la commissione dell’opera, una medaglia con il ritratto di Tolomeo, fratello del defunto, cui la inviò in dono a Mantova (ibid.). Nel 1518 fu interpellato come ingegnere riguardo ai lavori necessari a rendere navigabile l’Adda (Agosti, 1986, p. 62). Nel 1519 si recò a Como per valutare il modello per l’abside del duomo approntato da Tommaso Rodari; dopo averlo criticato, ne realizzò un secondo – identificato con quello conservato presso i Musei civici –, approvato dai canonici e messo in opera dal collega (Gatti Perer, 1953, pp. 305-307, docc. 37-38). La scelta fu forse favorita dal comasco Benedetto Giovio, fratello di Paolo e padre di Giulio, i quali celebrarono Solari nelle loro opere letterarie; proprio a Como fu stampato nel 1521 il commento di Cesariano a Vitruvio, dove Solari è ricordato accanto al Bambaia, che nel 1568 Vasari avrebbe immaginato suo «concorrente» nell’edizione giuntina delle Vite (Agosti, 1986, p. 63). Nel novembre del 1519 fu eletto architetto del duomo di Milano e il 4 giugno 1520 fu affiancato a Bernardo Zenale, che aveva ricevuto l’ordine di costruire il grande modello ligneo della cattedrale (Museo del duomo; Annali..., 1880, pp. 210, 213). Il 14 novembre 1520 furono sottoscritti i patti per il rifacimento, su suo progetto, delle tre facciate del cortile (dal piano nobile in su) nel palazzo milanese di Giovanni Angelo Selvatico (Gatti, 1976; Martinis, 2008, pp. 54-58, 129-145).
Nel luglio del 1524 consegnò il modello per la chiesa di S. Cristoforo a Vigevano. Morì di peste entro l’agosto di quell’anno (Binaghi Olivari, in Arte e storia in Lombardia, 2006, pp. 218-221).
L’opera grafica di Cristoforo, in mancanza di disegni a lui sicuramente attribuibili, va forse circoscritta al solo progetto per la tomba Brasca, mentre non sussistono prove evidenti che gli spetti il foglio del Cabinet des dessins del Louvre con la facciata di una chiesa, assegnatogli da Frommel (1990; cfr. Gritti, 2014, pp. 320-333).
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