sole
Il termine è di alta frequenza nelle opere dantesche, ove assume una vasta gamma di valori, da quelli strettamente naturali e astronomici ad altri di più profondo contenuto simbolico. Il s. è visto da D. come pianeta portatore di significati naturali e figurali, legati essenzialmente alla luce. La luce solare, infatti, è intesa come forza vivificante, dotata di potere seminale, germinale e cosmogonico, e come forza luminosa irradiante, che travalica nei valori di luce mentale come emanazione di conoscenza e di sapienza. Il s., oltre che immagine dell'intelligenza e dell'anima, è immagine di Dio unitrino, di Cristo-Verbo (tradizionalmente simboleggiato nel Medioevo come sol oriens, per la nascita, sol occidens, per la morte, sol salutis, per la redenzione, sol invictus, per la resurrezione, e sol iustitiae), di Maria (in D., in Pd XXXII 107-108), della Chiesa, del papa, dell'imperatore, ecc., tutti simboli a cui D. direttamente o indirettamente si richiama.
Soltanto in qualche caso il termine indica semplicemente il pianeta: così in Rime CXIII 9 Non è colpa del sol se l'orba fronte / nol vede; Rime dubbie VIII 9; " ... l'altr'ier... tonda / vi si mostrò la suora di colui ", / e 'l sol mostrai, Pg XXIII 121; l'uccello con ardente affetto il sole aspetta (Pd XXIII 8, dove il termine si lega all'idea di " giorno "; così in If XXXIII 54, dove l'altro sol è " il nuovo giorno "); già volgeva il mio disio e 'l velle / ... l'amor che move il sole e l'altre stelle, Pd XXXIII 145; X 48. Cfr. ancora XXIX 99, dov'è ricordata l'eclisse di s. che accompagnò la passion di Cristo, II 80 e XXV 119; e infine, in If XXXIV 105, la stupita domanda di D., che non si è reso conto di esser passato nell'altro emisfero: come, in sì poc'ora, / da sera a mane ha fatto il sol tragitto?
La parola ricorre spesso in perifrasi che servono a fornire indicazioni varie: per esempio, esortando i compagni a non negar l'esperïenza, / di retro al sol, del mondo sanza gente (If XXVI 117), Ulisse li spinge a continuare la navigazione " ad aliud hemisperium inferius, ad quod sol accedit quando recedit a nobis " (Benvenuto, Buti e altri), oppure " verso occidente " (cfr. Vellutello, Lombardi, Porena e altri); e anche " procedevamo verso occidente " significa l'espressione andavam col sol novo [" sorto da poco "] a le reni (Pg XIX 39; in XXXII 18 invece è indicata la direzione verso oriente). L'" occidente " è la parte... de l'orizzonte / ... dove 'l sol declina (Pd XXXI 120), il " tramonto " il momento in cui il sol si corca o è già nel corcar (Rime C 2, Pg XVII 9); lo stesso verbo ritorna in un passo del Purgatorio, nell'ultima di tre espressioni dal significato analogo che si succedono nel giro di pochi versi: Lo sol sen va; io toglieva i raggi / dinanzi a me del sol ch'era già basso; 'l sol corcar, per l'ombra che si spense, / sentimmo (XXVII 61, 66 e 68). Per altre formule, cfr. V 39, VII 54 e 85.
Con mentre che 'l sol ferve (Pg XXVII 79) D. indica le ore più calde del giorno, quelle in cui si stanno ruminando manse / le capre (vv. 76-77); con pur che 'l sol ne riluca (XVIII 110) allude al sorgere del nuovo giorno, quando potrà riprendere il cammino interrotto dal sopraggiungere della notte (" cioè pur che 'l Sol si levi, secondo la lettera, non aspetta altro... ma secondo l'allegoria s'intende de la grazia di Dio illuminante, sensa la quale non si può fare niuna buona opera ", Buti); era già per noi... del cammin del sole assai più speso / che non stimava l'animo (XII 74) significa " avevamo impiegato più tempo " di quanto non pensassimo. L'espressione sotto lo sole con cui D. traduce il " sub sole " di Salomone (Eccl. 5, 12; cfr. Cv II X 10 dice Salomone ne lo Ecclesiaste: " E un'altra infermitade pessima vidi sotto lo sole... ") significa " sulla terra ", " nel mondo ", " fra gli uomini "; e così l'esse sub sole di VE I VI 2.
In qualche altro passo il s. indica la via da seguire: lo sol vi mosterrà, che surge omai, / prendere il monte a più lieve salita (Pg I 107, con una forte componente allegorica: " la chiaritade della grazia... vi mostrerà la via abile a montare ", Ottimo); XIII 13.
Più numerose le occorrenze in cui il s. è visto come fonte di luce o di calore: vedemo lo sole che, discendendo lo raggio suo qua giù, reduce le cose a sua similitudine di lume (Cv III XIV 3; VII 3 [tre volte]), e che rivela, colpendola con la sua luce, la presenza di una pietra preziosa (Rime CII 20); Folchetto di Marsiglia risplende qual fin balasso in che lo sol percuota (Pd IX 69; cfr. II 33), al pari delle anime che formano l'immagine dell'aquila nel cielo di Giove, ognuna delle quali parea... rubinetto in cui / raggio di sole ardesse sì acceso, / che... (XIX 5). Per altre occorrenze in cui lo splendore dei beati è paragonato al riverbero del s., cfr. IX 114, e XVII 123 La luce [di Cacciaguida] ... si fé... corusca, / quale a raggio di sole specchio d'oro. In Pg XXXI 121 è detto che il grifone si specchiava negli occhi di Beatrice come in lo specchio il sol.
Ancora con riferimento alla luce, cfr. Vn XXIII 5 (e 24 51), Cv II XIV 6, III IX 12, IV XXIX 1; Pg I 39 (il volto di Catone, illuminato dalle quattro stelle [v. 23], appare a D. come 'l sol fosse davante), XVII 6, XXX 25, Pd I 63 e 80, XXXII 108, Rime LXXXIII 117. Lo splendore del s. può essere inoltre assunto a termine di paragone con quello della bellezza femminile: la donna cantata nel Detto ha sì chiara luce / ch'al sol to' la sua luce / e lo scura e l'aluna, / sì come il sol la luna (vv. 188 e 190); e cfr. anche Fiore XLI 14, detto di Ragione.
Più di una volta D. accenna alla difficoltà per l'occhio umano di resistere alla viva luminosità del s. (mentre l'occhio dell'aquila pate il sole, Pd XX 31; ma lo stesso D., contemplando Beatrice rivolta e riguardar nel sole, può ‛ figgere ' li occhi al sole oltre nostr'uso, I 47 e 54): le verità della Filosofia soverchian lo nostro intelletto, / come raggio di sole un frale viso (Cv III Amor che ne la mente 60, commentato in VIII 14; Vn XLI 6 e Pd XXX 25, ancora in sede di paragone; Pg XXXII 11; Cv II XIII 19, in contesto metaforico); così anche in Pg XVII 52 come al sol che nostra vista grava / e per soverchio sua figura vela..., da accostare all'immagine del sol che si cela elli stessi / per troppa luce " quando è a la terza, che colli suoi raggi à consummato li vapori terrestri... [e] si cela per lo troppo splendore sì che non si può guardare nella sua rota " (Buti, a Pd V 133).
Altro motivo più volte ricorrente è quello dell'ombra che D. proietta nel Purgatorio, suscitando la meraviglia dei penitenti (Pg III 88 ss., V 25 ss.), tanto che lo stesso Virgilio ne previene la domanda, dichiarando che questo è corpo uman che voi vedete; / per che 'l lume del sole in terra è fesso (III 96; cfr. anche XXIII 114 e XXVI 23; in III 16 il fenomeno, al suo primo verificarsi, spaventa lo stesso D. che, vedendo proiettata solo la propria ombra, crede di essere stato abbandonato da Virgilio).
La luce del s., che crea talvolta i colori (quel color che per lo sole avverso / nube dipigne da sera o da mane, Pd XXVII 28; cfr. anche Pg XXIX 78), è anche considerata in contrapposizione più o meno esplicita all'ombra: così dove si parla di valli volte ad aquilone, o vero spelunche sotterranee, dove la luce del sole mai non discende (Cv IV XX 8), o dell'acqua del Lete che si muove bruna bruna / sotto l'ombra perpetüa, che mai / raggiar non lascia sole... né luna (Pg XXVIII 33; XXIX 6); così, l'ombra della selva è dove 'l sol tace (If I 60). Il contrasto rende ancora più luminoso un raggio di sol, che puro mei / per fratta nube (cfr. Boezio Cons. phil. III m. IX 25-28), illuminando un prato di fiori, mentre gli occhi dello spettatore restano coverti d'ombra (Pd XXIII 79; un'altra immagine di fiori in If II 128).
Una vera identificazione s.-luce si ha in Pg XIII 67 (E come a li orbi non approda il sole...), in Cv IV XXIII 15, e in Rime CIII 57, dov'è detto che i colpi della scherana raggiungono il poeta tanto... nel sol quanto nel rezzo: qui, oltre all'accostamento s.-ombra già visto, c'è da notare che il s. vi è considerato anche come calore (cfr. Rime LXXXIII 93 il sole al cui esser s'adduce / lo calore e la luce), giacché l'espressione " probabilmente significa ‛ di giorno e di notte ' " o, secondo altri, " sia d'estate che d'inverno " (cfr. Barbi-Pernicone); così ancora in Rime XC 2 (cfr. il v. 5).
Del resto, il s. è segno di foco (Rime XC 42); col suo calore disperde le nebulette matutine (Cv II XV 5; Pd XII 15, Pg I 122), conforta / le fredde membra che la notte aggrava (XIX 10), fa ‛ dilatare ' la rosa (Pd XXII 56) e ‛ disigillare ' la neve (XXXIII 64; cfr. anche Rime CXVI 37, in espressione fortemente allusiva: Ben conosco che va la neve al sole, " Ben so che recandomi a vederla [la donna], vado a distruggermi, come avviene della neve esposta al sole ", Barbi-Pernicone). Altre occorrenze in Cv II IX 7 e Rime C 16; contrapposto a gel, in Pg XXVI 45. Infine - e si noti l'efficacia dell'immagine che Benvenuto definisce " pulcerrima et propria " - è lo stesso calor del sol che si fa vino (Pg XXV 77).
In due luoghi, nella rievocazione dei dannati, il s. si riconnette all'immagine della vita: così gl'iracondi ricordano l'aere dolce che dal sol s'allegra (If VII 122) e Maometto affida a D. un messaggio per un vivo, giacché tu... forse vedra' il sole in breve (XXVIII 56).
Il termine può essere adibito anche a indicare lo spazio di un anno (per esser vivuto di là quando / visse Virgilio, assentirei un sole / più che non deggio al mio uscir di bando, Pg XXI 101; secondo le previsioni di Ciacco, nella lotta fra la Parte bianca e la nera la prima cadrà infra tre soli, If VI 68; XXIX 105); oppure si trova in perifrasi che alludono alla ‛ rivoluzione ' del s. e al conseguente ‛ svolgersi ' del tempo, come i / di sol, gli " anni " che Adamo trascorse in attesa di salire al beato concilio (Pd XXVI 120); si aggiunga Rime CIV 89 s'io ebbi colpa, / più lune ha volto il sol [" parecchi mesi sono trascorsi "] poi che fu spenta, e CXI 2. In Quaestio 88 in die Solis vale " di domenica ".
Anche nell'uso figurato il termine è visto sotto diversi aspetti: è considerato, per esempio, come " luce " intellettuale quando è riferito al commento in volgare alle canzoni del Convivio, commento che sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale... darà lume a coloro che sono in tenebre... per lo usato sole che a loro non luce (Cv I XIII 12; per il valore delle espressioni sole nuovo e usato sole, cfr. M. Barbi, in " Studi d. " XIII [1928] 158-159), o quando è attribuito a Virgilio, il sol che risolve ardui problemi (If XI 91. Un riferimento analogo per Beatrice [Pd XXX 75], che però altrove è vista come il sol che... d'amor mi scaldò 'l petto [III 1]), o ancora quando definisce gli spiriti dei sapienti ardenti soli (Pd X 76) " per lo splendore della dottrina " (Landino). E ancora luce - ma luce diversa, della grazia divina - è il sole che, al pari di una candela, ha ‛ stenebrato ' la mente di Stazio permettendogli di attingere le verità della fede (Pg XXII 61).
Il papa e l'imperatore possono esser detti soli in quanto " directores sive illuminatores " (Serravalle) destinati a mostrare agli uomini l'una e l'altra strada, quella del mondo e quella di Deo (Pg XVI 107), mentre l'equazione s. Francesco (Pd XI 50) risale alla fonte agiografica dell'episodio (" Quasi sol oriens in mundo Beatus Franciscus ", dice Tommaso da Celano; per altri riferimenti, cfr. Scartazzini-Vandelli, ad locum. Cfr. anche U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 321-323).
Quasi ovvio, si direbbe, il riferimento a Dio, che è sole spirituale e intelligibile (Cv III XII 6), suprema aspirazione del pellegrino D. cui largisce la sua grazia (Pg VII 26, Pd X 53), appagatore di ogni desiderio (Pd IX 8), luce e fuoco che illumina di sapienza e accende di carità tutta la corte celeste (XV 76, XXV 54, XVIII 105), calore benefico che permette il perpetuo fiorire della rosa sempiterna dei beati in un'aria d'immutabile primavera (XXX 126). Il sol che nel cielo Stellato ‛ accende ' le migliaia di lucerne è Cristo (XXIII 29).
In Pg XXVII 133 (Vedi lo sol che 'n fronte ti riluce: è Virgilio che si rivolge a D., ormai al termine del percorso penitenziale), " il sole è figura di Dio, sole spirituale e intelligibile, e qui si ha anche da intendere che D., ora che dalla fronte sua son cancellati i sette P, ben può ricevere la luce di Dio " (Scartazzini-Vandelli).
Il sol di Pd X 41 è il cielo del S.; in Pg XXIX 117 e 118 il richiamo è al mitologico carro del s. e a Fetonte (cfr. Ovid. Met. II 304 ss.); anche in Cv IV XXIII 14 è ricordato 'l carro del sole (cfr. carro de la luce, in Pg IV 59), tirato da quattro cavalli (nell'ordine, Eoo, Pirroi, Eton, Filogeo, per cui cfr. Ovid. Met. II 153-154; e v. FILOGEO). Con richiamo alla figurazione mitologica di Apollo-Febo (v.) il s. è chiamato ‛ figlio di Latona ' (Pd XXIX 1), ‛ nato da Iperione ' (XXII 142 ed Ep III 7, per cui cfr. Ovid. Met. IV 192 ss.), fratello della Luna (Pg XXIII 120, Mn II XI 5), ‛ Titan ' (Ep V 3, VII 5, Eg IV 2) e ‛ Delio ' (Ep VI 8), per cui v. alle rispettive voci. La chiarissima ancella / del sol (Pd XXX 8) è l'Aurora, che D. chiama così " quasi parificandola alle Ore (v. Purg. XII, 81), non perché fosse considerata tale nella mitologia " (Porena).
Temi di Simbologia Solare In Dante. - La priorità del s. nella speculazione astrologica medievale e la ricchezza di contenuti simbolici che il pensiero teologico attribuì al pianeta, trovano ampio riscontro nelle opere dantesche. Il s., per D., esprime nel suo più alto significato naturale l'energia seminale e il potere illuminante della luce e, per questa via, diviene segno sensibile, simbolo immanente alla natura, della divinità nelle sue più diverse espressioni e così pure degli enti e dei poteri che da essa derivano immediatamente.
In Mn I IX 1, all'interno dell'universo creato come vestigium quoddam divinae bonitatis (VIII 2), il genere umano è detto filius coeli, in quanto generat... homo hominem et sol (cfr. Aristotele Phys. II 2). Con ciò D. vuol affermare che l'assimilazione dell'uomo a Dio, come suo vestigium, avviene - per via naturale - attraverso l'induzione nel seme del calor naturalis (v. CALORE) che è prima condizione dello sviluppo organico e della vita e che è derivato in primo luogo dal generante prossimo, che è l'uomo, e in secondo luogo dal s. che è fonte astrale primigenia della temperatio mundi. Il s. infatti presiede all'armonica costituzione del cosmo in tutte le sue parti, regolandone l'ordinato sviluppo. In tal senso il s. è padre d'ogne mortal vita (Pd XXII 116), ministro maggior de la natura (X 28 e, con significato simbolico, ‛ luminare magnum ' assieme alla Luna e maius rispetto ad essa, Mn III I 5, IV 2-3), è il gran pianeto che co li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso (Rime LXXXIII 96-101). Suo ‛ segno ' è luce e calore (Cv IV XXIX 1, Rime LXXXIII 97 e 117) e pertanto è dolce lume e specchio di luce per il mondo (If X 69, Pg XIII 16, IV 62-63), gran luce (XXXII 53), lucerna del mondo (Pd I 38), carro de la luce (Pg IV 59), colui che 'l mondo schiara (If XXVI 26), colui che tutto 'l mondo alluma (Pd XX 1). Esso è inoltre fonte di luce celeste (I 80), ‛ occhio ' del cielo (Pg XX 132) e misura del tempo (XII 74, Pd X 28-30).
Più di ogni altro pianeta, il s. è strumento dell'ordine mondano, quale fu fissato per divino provedimento (Cv III V 21, e cfr. Ep XIII 82). La sua virtù che procede, diversificandosi, come luce e calore vivificante le creature, diviene l'exemplum sensibile dello stesso procedere, dall'unità divina, dell'amore e della bontà con cui Dio vivifica e riduce a sé, in gradi diversi, ogni creatura mondana. Il paragone tra l'emanazione della luce e del calore solare e l'emanare da Dio della bontà e dell'amore (chiaramente ispirato all'analogo paragone dei neoplatonici che così esemplificavano la discesa del molteplice dall'Uno, come fonte unica e inesauribile), serve a D. (Cv III VII 2-3) per enunciare il principio secondo cui ai vari gradi di partecipazione dei corpi sublunari alla virtù solare (v. DIAFANO), corrispondono vari gradi di partecipazione degli esseri creati alla bontà che discende da Dio, che è prima bontade (cfr. anche Cv III II 5). In tale modello emanatistico, il s. assume una funzione privilegiata come ‛ tipo esemplare ' dell'unicità della prima causa (Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che 'l sole, Cv III XII 7): il sole corporale e sensibile è infatti il riflesso mondano del sole spirituale e intelligibile, che è Iddio (cfr. Pd X 53). Come dal s. emana la sensibile luce che illumina di sé i corpi celesti e terrestri, così da Dio emana la luce intellettuale che, risplendendo dapprima in lui, si riverserà poi sulle creature celesti e intelligibili (Cv III XII 7). Qui i temi della tradizione dionisiana e neoplatonica trovano pieno accoglimento. Il potere illuminante e vivificante della luce solare come bontà naturale, diviene misura sensibile e immagine manifesta della potenza creatrice e animatrice di Dio in quanto bontà soprannaturale. Dio e s. sono, ciascuno nel proprio ordine, principi fontali e cause inesauribili. Ciò che procede da loro, in quanto cause, è solo bene e se qualche effetto risulterà manchevole in bontà, la ragione non deriva dalla causa ma da un evento accidentale inerente la materia, a un determinato grado del processo di discesa. Infatti: Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica, e se alcuna ne corrompe, non è de la 'ntenzione de la cagione, ma è accidentale effetto: così Iddio tutte le cose vivifica in bontade, e se alcuna n'è rea, non è de la divina intenzione, ma conviene quello per accidente essere [ne] lo processo de lo inteso effetto (Cv III XII 8).
L'affinità dei due processi di emanazione, e la correlazione del s., come suo simbolo, a Dio, si esprime in una duplice capacità vivificante: naturale l'una (calore), spirituale l'altra (bontade) e, di contro - ove tale capacità non venga ad effetto -, in una duplice manchevolezza nella materia soggetta: naturale l'una (‛ corruzione ') e spirituale l'altra (malizia). Non a caso, laddove il secondo termine di confronto (Dio-bontà) non è esplicitato, la connotazione simbolica del s. riesce pur sempre a includerlo. È il caso della selva dantesca, ove il ‛ tacere ' del s. (dove 'l sol tace, If I 60) è lo stesso tacere della bontà divina nell'ombra della malizia (cfr. Cv IV XX 8; e v. SELVA).
Quando il processo di emanazione giunge a effetto, esso si conclude, neoplatonicamente, in un ritorno alla sua causa. Tale ritorno, quanto all' ‛ itinerario ', si risolve in un moto di ascesa; ma, quanto alla sua essenza, si risolve in un' ‛ assimilazione ' dell'effetto alla causa, del paziente informato all'agente informante. Il potere della virtù della causa è, infatti, quello di ridurre... in sua similitudine ciò che patisce la sua azione, per quel tanto che il soggetto passivo ne è capace (Cv III XIV 2; cfr. Rime XC 42). Su questo fondamento D. istituisce ancora il confronto tra il s. che reduce le cose a sua similitudine di lume, e Dio che a sua similitudine reduce l'amore per la filosofia-sapienza (§ 3; cfr. Mn I IX).
Il tema luministico dello splendore solare diviene in tal modo portatore della simbologia sapienzale. Così sole nuovo (Cv I XIII 12) è il ‛ pane degli angeli ' che D. intende somministrare ai lettori del suo commento volgare, e che s'identifica con la verità eterna qual è rivelata dalla divina Sapienza e dal Verbo. Sulla stessa linea è la figurazione del s.- sapienza la cui luce sovrasta la capacità dell'occhio (o mente) degli uomini. Le verità della filosofia-sapienza (cfr. Mn II I 5, Ep XII 9), che sono preannuncio della visione beatifica, soverchian lo nostro intelletto, / come raggio di sole un frate viso (Cv III Amor che ne la mente 60), in quanto da esse è ‛ riflessa ' la luce della verità divina, che all'intelletto creato non è dato fissare perennemente (III VIII 14, e cfr. Pg XVII 52-53, XXXII 11, Pd XXIII 33, XXV 118-123, Cv II XIII 5 e Rime CXIII 9).
Il sostenere la luce intellettuale piena d'amore (Pd XXX 41) che emana da Dio è perciò connotato delle anime beate, che divengono, a loro volta, specchi del s. divino ai nostri occhi. Già in Vn XLI 6, D. aveva detto che lo nostro intelletto sta alle benedette anime come l'occhio debole a lo sole. Il guardare in queste anime è come guardare per speculum (Cacciaguida è lo specchio beato, Pd XVIII 2; crf. Pg XXXI 121), nello stesso splendore di Dio. In Beatrice, soprattutto, D. vede assolta la funzione rispecchiatrice e mediatrice tra Dio e intelletto umano. Tale funzione è resa manifesta attraverso la figurazione, a un tempo sensibile e allegorica, di Beatrice che infigge gli occhi nel s. oltre nostr'uso (Pd I 54; cfr. il v. 47) - appunto perché creatura atta a ricevere in massimo grado il bene-amore-luce-verità di Dio - e, di conseguenza, come s. che illumina di verità la mente umana (III 1, XXX 75), tanto da lasciarla sanza la vista (Pg XXXII 11-12) e scema (Pd XXX 25-27). Tutta la rappresentazione luministica del Paradiso implica infatti l'idea di Dio-s. che irraggia di sé l'universo come amore e lo muove (Rime XC 2, Pd XXXIII 145) e che si manifesta negli spiriti beati come sapienza, splendore, amore e gaudio (cfr. Pd I 61-63, IX 67-70 e 114, XV 76-77, XVII 123, XVIII 103-105, XXV 54). Così Dio è il sole che accende d'amore e di luce gli spiriti (faville) del cielo di Giove (Pd XVIII 105) nel loro trasformarsi via via nel simbolo imperiale dell'aquila, anch'essa in grado di sostenere la piena che defluisce dalla divina fonte (XX 19-21) e la sua ispirazione (vv. 22-27), e perciò capace di ‛ patire ' il s. (v. 31). Anche Cunizza si rivolge al s. che la riempie di luce e di bene (IX 8). Con figurazione amplificata nella totalità delle implicazioni simboliche, Dio è il s. che dilata, informandola e assimilandola a sé, la rosa dei beati (XXX 124-126, e cfr. XXII 55-57).
La funzione ‛ illuminante ' del s., come simbolo di Dio, si svolge anche al livello della ragione naturale. Virgilio (Pg XIII 16-21), dopo aver posto gli occhi fisamente al sole, rivolge al dolce lume (cfr. Eccle. 11, 7, e Pd III 37-39) un'apostrofe che è solenne celebrazione della sua funzione direttrice (conduci, condur, duci) nell'intraprendere novo cammin (il s. è il pianeta / che mena dritto altrui per ogne calle, If I 17-18). Si tratta dell'illuminazione e della sapienza di Dio, che rivela alla ragione il suo fine ultimo. Essa, un tempo ignota al Virgilio personaggio (Pg VII 26-27 l'alto Sol che tu disiri / e che fu tardi per me conosciuto), diviene, ora che gli si è svelata, ragione d'irresolubile rimpianto (sospiri, v. 30) per lui, e d'insostituibile rimedio e suggerimento per D.; Virgilio, in tal senso, ‛ riverbera ' per D. il raggio illuminante nell'ordine delle verità di ragione (cfr. If XI 91, Pg XVIII 10-12, e anche Mn II I 5 e 7-8) finché non brillerà sulla fronte di D. stesso, sorgendo da oriente, come sapienza illuminante (Pg XXVII 133). È lo stesso s. che ‛ stenebrò ' Stazio (XXII 61-63), che fu guida alla esperienza fin troppo tentata da Ulisse (If XXVI 117) e che si rifletterà nel volto di Catone attraverso la luce delle quattro stelle (Pg I 39).
Nei canti di Pd X-XIV 1-78, infine, il s. è intimamente implicato come astro e come simbolo. Nel cielo del S., infatti, dimorano gli spiriti sapienti dotati di quella Sapienza di Salomone che, immediata derivazione di Dio, da lui promana come candore de la etterna luce (Cv III XV 5 = Sap. 7, 26), come Verbo o Logos vivificante il creato (v. SAPIENZA) e come seconda persona della Trinità. Non a caso Trinità, emanazione del Verbo e conseguente derivazione del creato sono evocati da D. come esordio al cielo del Sole. Di essi, infatti, il s. era considerato il simbolo sensibile e il principale strumento naturale.
Nel s., oltre l'indiscussa primalità come astro, i medievali avevano visto il simbolo più appropriato dell'essenza divina, in quanto capace di riassumere in sé le proprietà delle tre persone, della Trinità (crf. Agost. Solil. I VIII). In tal senso Bonaventura (Coll. in Hexaëm. IV II 2-3, ma cfr.III I 22-25) aveva potuto affermare: " Est igitur Sol aeternus [cioè Dio] vigens, fulgens, calens. Per quod intelligitur trinitas Pater, Filius, Spiritus Sanctus. Pater summe vigens, Filius summe fulgens, Spiritus Sanctus summe calens; Pater lux vigentissima, Filius splendor fulgidissimus, Spiritus Sanctus amor ferventissimus. Et sicut in iis tribus proprietatibus solis est circumincessio - est namque solis vigor splendens calens, splendor est vigens calens, calor est vigens splendens - sic in personis est cum unitate discretio, cum discretione circumincessio ". Appunto dalla struttura del simbolo del s. qual era presente nella speculazione astrologica e teologica del tempo, nascono, si sviluppano e si organizzano alcune sequenze tematiche dei canti di Pd X-XIV. Il s. non è semplice insegna giustapposta al racconto poetico, ma agisce all'interno della costruzione figurativa e delle soluzioni formali dei canti, mediante un accorto intreccio di temi, connessi alla sua funzione astronomico-astrologica e alla trasfigurazione simbolica operatane dalla teologia. Per quest'ultima basterà ricordare il citato passo di Bonaventura e gli ulteriori significati mistici attribuiti al s.: " sol exprimit Deum trinum et unum ", " per solem... intelligitur spiritualis sapientia, scilicet Deus exemplar aeternum " (e qui citava i passi canonici di Eccle. 11,7 " Dulce lumen et delectabile est oculis videre solem ", e di Sap. 7,29); " per solem intelligitur angelica sublimitas ", " de Ecclesia triumphante... per solem intelligitur "; e ancora: " Christus intelligitur per solem ", " de ecclesia militante... per solem intelligitur " (con la specificazione che il s. è simbolo degli spiriti contemplativi o amanti e la luna degli spiriti attivi), e infine " per solem intelligitur Spiritus Sancti gratia ", " per solem intelligitur spiritualis cathedra, scilicet doctrinae, iudicii, magisterii ", " per solem intelligitur spiritualis pugna " (cioè la lotta Cristo-Anticristo, cristiani-infedeli, verità-falsità).
In D. gli spunti tematici offerti dalla simbologia solare si suddividono in un duplice ordine: quello naturale, del s. come astro della periodica rigenerazione del mondo e suo supremo reggitore, e quello soprannaturale, del s. come rigenerazione interiore e metafora sensibile di Dio e della Trinità. Tali ordini, da D. continuamente implicati l'uno nell'altro, appaiono sin dall'attacco di Pd X, dove all'epifania trinitaria di Dio attraverso lo spirare da lui, come Padre onnipotente (Valore, v. 3), del Figlio come Logos e Sapienza, e dello Spirito Santo come Amore (v. 1), fa immediato seguito la celebrazione dell'ordine sapientissimo del creato, emanante dalla Trinità, e che si realizzò anzitutto nei cori angelici e nelle sfere celesti, quali provvidenti strumenti della vicenda del mondo sublunare e del regolato sviluppo di ogni creatura terrena. Punto nodale di questa vicenda del creato è quella parte / dove l'un moto e l'altro si percuote (vv. 8-9), cioè il punto equinoziale di primavera, dove non soltanto s'incontrano zodiaco ed equatore celeste (e quindi moto del cielo Stellato e moti planetari) ma da dove il s. sorge nella condizione di massima potenzialità generativa. E proprio questo punto, da cui si dirama / l'oblico cerchio [lo zodiaco o circulus obliquus] che i pianeti porta, / per sodisfare al mondo che li chiama (Pd X 13-15), era già stato celebrato da D. come la migliore ‛ foce ' della quale il s. (la lucerna del mondo), sorgendo ai mortali nella sua congiunzione ottimale con Ariete, è in grado d'imprimere nel modo più efficace la virtù generante dei cieli e di conformare nel modo più armonico la natura e le creature terrene (la mondana cera / più a suo modo tempera e suggella, I 37-42). E andrà ricordato che la ‛ congiunzione ' del s. con Ariete è quella che si verifica all'atto del viaggio dantesco (con quella parte che sù si rammenta / congiunto, si girava, X 31-32) e all'atto stesso della creazione del mondo (If I 38-40; cfr. ancora Pg II 1-6, 56-57, VIII 133-135, XI 115-117, XXV 2, XXXII 53-54, Pd XXIX 1-2, Cv III V 8 e 18).
L'eccellenza del s. in Ariete era un luogo comune dell'astrologia medievale. Dice Cecco d'Ascoli (Commento all'Alcabizzo, ediz. G. Boffito, p. 21): " Sol exaltatur in Ariete... Aries fuit exaltatio Solis ista de causa, quia Sol est nobilius corpus quod sit in coelo, sed nobiliori corpori debetur nobilior locus ut exerceat actum suae dignitatis sive exaltationis... cum Aries sit nobilius signum quod sit in zodyaco... Vel aliter natura Aries dicitur cor coeli... quia sicut cor est callidae et siccae complexionis et in medio mundi et principium circuli. Unde sicut virtuti regitivae totius fuit distributum cor... sic Soli fuit tributum signum Arietis tamquam cor coeli vivificans omnia alia corpora mediante suo lumine effectivo, et sicut virtus regitiva totius stando in sede suae dignitatis, scilicet in corde, est causa vigoris operationum membrorum et per remotionem ipsius membra omnia moriuntur, sic cum Sol est in Ariete est causa vigorationis naturae, quia videmus omnia pullulare et effici et augeri et per longam ipsius distantiam ab Ariete incipiunt quasi omnia mortificari, ut patet in autumpno et in yeme ".
È infatti il moto periodico di accesso e recesso del s. dallo zodiaco, nel corso dell'anno, a determinare (e in ciò la provvidente obliquità della fascia zodiacale ricordata in Pd X 21: cfr. Cv III V 13-22) la vicenda universale della generatio e della corruptio, dell'augmentum e della declinatio. Ogni specie vivente pertanto trova nel s. la misura e la qualità della propria durata temporale e del proprio destino cosmico. Punto equinoziale e zodiaco divengono a buona ragione i due elementi astrologici che concorrono a sanzionare la primalità del s. come ministro maggior de la natura. Nascendo in Ariete e percorrendo l'eclittica, il s. imprime del vigore celestiale le creature, destinandole al loro ritmo temporale di nascita, crescita e corruzione (del valor del ciel lo mondo imprenta / e col suo lume il tempo ne misura, Pd X 29-30).
Tema di fondo di questo inno astrale è dunque il potere palingenetico del s., nel duplice significato di vivificatore del creato e di rigeneratore delle energie spirituali. Di qui la puntuale ripresa di tali significati a proposito di Francesco, Domenico (e dei rispettivi ordini), e poi di Adamo, Cristo e Salomone.
Francesco è nato al mondo come sole che sorge di Gange (cioè dal punto equinoziale in Ariete, XI 50-51), allorché, cioè, si trova alla sorgente della sua virtù vivificatrice ed è in grado di far sentir la terra / de la sua gran virtute alcun conforto (vv. 55-56). Si tratta del s. che sorge a levante, nel pieno della sua significazione sacrale e astrologica (ed ecco la ‛ interpretatio nominis ' di Ascesi come Oriente [vv. 52-54] e Porta Sole nella parte orientale di Perugia, v. 47). La sacralità del s. a oriente e alla destra (cfr. Pg XIII 13-15, XXVI 4, XXXII 16-18), ovviamente connessa all'immagine tradizionale di Cristo come sol oriens (cfr. Pd XXIII 8-12, 16-33) si ripete in Francesco nei termini di una nascita palingenetica che ricorda da vicino quella di un altro typus Christi, il monarca pacificante e giustiziere, che sorge al mondo come sol iustitiae.
Così, l'imperatore è il sol noster il cui sorgere, lungamente atteso (Titan praeoptatus exoriens), arrecherà i saturnia regna (Ep VII 5-8, e cfr. Mn I XI 1-2 e 5; il tema riporta all'interpretazione cristiana della IV egloga di Virgilio), mentre in Ep V 2-3 l'avvento del nuovo monarca è tutto nei toni dello splendore del s. nascente (dies nova splendescit ab ortu) portatore di energia seminale (aurae orientales crebescunt), di letizia, pace e giustizia (nos gaudium expectatum videbimus... quoniam Titan exorietur pacificus, et iustitia, sine sole quasi helitropium [cfr. Plinio Nat. hist. II XLI] hebetata, cum primum iubar ille vibraverit, revirescit).
Il potere di tale energia nativa si esprime in Francesco con l'ardore-amore - che è qualificazione solare della gerarchia dei Serafini (Pd XI 37) e dello Spirito Santo (Etterno Spiro, v. 98) - e nel suo ordine con l'originaria dedizione alla caritas e all'ascesa a Dio come strumenti di rigenerazione interiore della Chiesa di Cristo. La stessa vicenda dell'ordine francescano, coinvolta da D. con quella della Chiesa attraverso l'immagine della rota del carro della Santa Chiesa (XII 106-111), riporta alla parallela figurazione del carro solare (carro de la luce, Pg IV 59 e Cv IV XXIII 14) che, sotto la guida del falso auriga Fetonte, deviò dalla traccia già segnata dal padre (cfr. Ovid. Met. II 133 " Hac sit iter; manifesta rotae vestigia cernes "; Cv II XIV 5, e Galassia) sconvolgendo la temperatio che regola l'armonia del mondo. In tal senso, il decadere dell'ordine francescano (e della Chiesa) - raffigurato da D. con l'abbandono del suo corso circolare (orbita... derelitta) giunto con Francesco (e con Cristo) alla sua ‛ acmé ' (la parte somma / di sua circunferenza, Pd XII 112-113) - non fa che ripercorrere, per trasposizione simbolica, l'augmentum e la colpevole exorbitatio del carro solare che comportò una tragica degenerazione dell'effetto temperante del s. (cfr. Platone Timaeus nella traduzione di Calcidio, 22 CD " fama... vobis quoque comperta est, Phaetontem quondam, Solis filium, affectantem officium patris currus ascendisse luciferos nec servatis sollemnibus aurigationis orbitis exussisse terrena... Fit enim longo intervallo mundi circumactionis exorbitatio... "; per derelitta cfr. Ovidio Met. II 167).
Ciò consente di restituire valore all'improvvisa variazione naturalistica (Pd XII 114) della gromma e della muffa, cioè dei sedimenti del vino buono e del vino alterato (v. GROMMA, e If XVIII 106), come effetti simmetrici e opposti della duplice condizione di ascesa e di tralignamento dell'orbita solare. È un modo diverso per ricordare che al calor del sol che si fa vino (Pg XXV 77), al biblico vin della Sapienza (Pd X 88; cfr. Prov. 9,2 " Sapientia... miscuit vinum et proposuit mensam suam ") figura del sangue di Cristo, è succeduta l'alterazione del calor naturalis, con cui il s. tempera il mondo, e la degenerazione dell'umor sapienziale, ovvero, com'è detto con significato più ampio, che la buona pianta / che fu già vite... ora è fatta pruno (XXIV 110-111; in XII 86-87 torna la metafora della vigna / che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo; v. anche Pg XXXII 53-57).
Se in Eg IV 3 il declinare del s. è descritto come orbita, qua primum flecti de culmine coepit (cfr. il declivi... solis di Eg II 12), e l'intera orbita solare come la strada / che mal non seppe carreggiar Fetòn (Pd IV 71-72; delle due strade, naturale e figurale, dice Pg XVI 107), un analogo e illuminante confronto tra fatale deviazione del carro solare e della Chiesa era già in Pg XXIX 115-120 (Non che Roma di carro così bello / rallegrasse Affricano, overo Augusto, / ma quel del Sol saria pover con ello; / quel del Sol che, svïando, fu combusto / per l'orazion de la Terra devota, / quando fu Giove arcanamente giusto) e, soprattutto, in Ep XI 5. Qui D. accusa i cardinali d'Italia - colpevoli di non aver tenuto il carro della Chiesa lungo l'orbita già segnata da Cristo (per manifestam orbitam Crucifixi currum Sponsae regere negligentes) - di aver deviato da quell'orbita (exorbitastis) come già fece il ‛ falso auriga ' Fetonte (non aliter quam falsus auriga Phaeton), coinvolgendo nella rovinosa ‛ declinatio ' il gregge dei fedeli (sequentem gregem... una vobiscum ad praecipitium traduxistis; v. anche il § 6 che chiarisce ottimamente Pd XII 115-120 e che, attraverso Ezech. 8, 16 e III Reg. 18, 20-40, rimanda alla falsa adorazione dell'ortum solis e al colpevole disprezzo del'ignis Domini).
Se con Francesco è tracciata la linea ascendente del sol oriens che feconda la terra e rinnova i tempi, con Domenico affiorano i temi agonistici e leonini del s. che, al culmine dei suoi effetti, si appresta a chiudere il suo corso (sol occidens) traendo a frutto ogni seme e concludendo i tempi (da ricordare che Cristo stesso era figurato nel duplice aspetto di sol oriens e sol occidens). In Domenico, colmo della cherubica luce della sapienza (Pd XI 38-39) - che è attributo solare in rapporto alla persona di Cristo-Verbo - si esprimono chiari i segni della " spiritualis pugna " simboleggiata dal sole. Egli nacque là di dove spira Zefiro dolce (XII 46-48; cioè il vento fecondatore di ponente, quasi omologo dello Spirito vivificante) e dove il s., dopo il corso impetuoso della parabola diurna in estate, tramonta tra il combattere delle onde contro la sponda atlantica. Stemma della nativa Calaruega è lo scudo dei re di Castiglia in cui campeggia il leone (vv. 52-54), l'animale solare e la costellazione elettiva del s. (" Leo domum Solis... Leo est fortius signum in caliditate et siccitate et masculinum et diurnum, nec est aliud signum in quo Sol possit sic exercere suas operationes, idcirco natura tribuit Soli ut fortissimo agenti " (Cecco d'Ascoli Comm., cit., pp. 18-19; cfr. anche Ep V 4 e Rime LXVII 53). Il " fortissimus agens " impresse di sé Domenico, ‛ campione ' dell'essercito di Cristo (Pd XII 37), santo atleta / benigno a' suoi e a' nemici crudo (vv. 56-57), che domandò licenza di combatter per lo seme (v. 95) - cioè per la stessa possibilità che il vigore e l'ardore sapienziali di Dio fruttificasse - e che ne li sterpi eretici percosse / l'impeto suo (vv. 101-102). Ma in Domenico, oltre ai segni trionfali dell'influsso solare, sono anche presenti quelli in virtù dei quali " per solem intelligitur spiritualis cathedra, scilicet doctrinae, iudicii, magisterii " (Bonaventura loc. cit.). La sua mente fu infatti repleta / ... di viva vertute (Pd XII 58-59), per amor de la verace manna [il pane sapienziale] / in picciol tempo gran dottor si feo (vv. 84-85) e, ancora, al suo ufficio apostolico si mosse con dottrina e con volere insieme (v. 97), cioè con l'agonismo della fede e con il rigore razionale della scienza teologica.
Analogo andamento ha il canto di Pd XIII, nel quale torna nuovamente il tema del processo da Dio della Trinità e dei successivi gradi della creazione (vv. 52-66). Qui l'accento è posto sulla funzione del Verbo che, come eterno archetipo, come mediatore della Trinità e dell'immagine moltiplicata di essa, è il suggello che impronta di sé la cera delle creature (vv. 67-69). In tal senso s'innesta, con rinnovata trasposizione simbolica, la figurazione del s. che, già richiamato dal tema trinitario, s'impone ora come il mediatore naturale che imprime nelle creature l'illuminazione del Verbo, in proporzione alla loro disponibilità (Se fosse a punto la cera dedutta / e fosse il cielo in sua virtù suprema, / la luce del suggel parrebbe tutta, vv. 73-75). L'immagine della cera e del suggel e della virtù supprema del cielo - cioè del culmine ottimale della disposizione astrale - non soltanto riconducono al s. (cfr. Pd I 37-42, X 28-34, Rime LXXXIII 99-101, Cv III XIV 3), ma lo esigono allorché D., ricapitolando la presenza trinitaria (amor, vista, virtù, Pd XIII 79-80) nel plasmare la materia elementare sotto il ‛ segno ' divino, ricorda come la terra fu disposta nella pienezza delle sue capacità (la paolina plenitudo temporis di Mn I XVI 2) per accogliere gli ottimamente naturati: Adamo e Cristo (Pd XIII 82-84). L'accenno agli ottimamente naturati (l'umana natura mai non fue / né fia qual fu in quelle due persone, vv. 86-87) riporta infatti alla perfezione della loro complessione seminale (la complexio aequalis iustitialis, o temperata) che si verifica - nel caso di nascite eccezionali - sotto l'influenza di specialissime congiunzioni astrali tra il s. che ‛ tempera secondo giustizia ' l'universo in tutte le sue parti, gli altri pianeti e i segni zodiacali (in particolare l'Ariete; cfr. anche Cv IV XXI 7 e 10, XXIII 7 e 10).
Con Salomone ‛ re ' perfettamente naturato in ‛ sapienza ' D. riprende, da un lato (Pd XIII 88-108), il motivo centrale delle cantiche e uno dei più importanti della simbologia solare cristiana (Cristo - Verbo - Sapienza) e, dall'altro, un elemento saliente dell'eliolatria tardo - pagana presente ampiamente nella simbolica medievale (il s. come segno dell'imperatore e dei re, della maestà e della giustizia regale; cfr. Pg XVI 107-108). Anche Salomone surse ai mortali (Pd XIII 106 = X 114 e XI 126) come ‛ re ' a nessuno secondo per la regal prudenza; egli, come già Adamo e Cristo, fu toccato in modo eminente dallo splendore illuminante di Dio (Pd XIII 43-45). Di qui poi trova ragione la condanna della falsa sapienza di chi ha perduto l'illuminazione divina (XIII 109-142, e cfr. XI 1-9).
Ma la simbologia solare interviene in modo determinante nella stessa costruzione figurativa dei canti. Notevole, in tal senso, è il tema dei tre cerchi dei beati rotanti attorno al centro, del loro canto e della loro danza alternata secondo il ritmo del procedere, stazionare e retrocedere (centro ... corona, Pd X 65; girati... tre volte, v. 77; ghirlanda, v. 92; beato serto, v. 102; gloriosa rota, v. 145; punto ... cerchio, XI 14; santa mola, XII 3; archi, v. 11; ghirlande, v. 20; rota, XIII 12; girarsi, v. 17; doppia danza / che circulava il punto, vv. 20-21; centro in tondo, v. 51; centro e cerchio, XIV 1; rota, v. 20; santi cerchi, v. 23; torneare, v. 24; giro, v. 74; circunferenze, v. 75).
Il tema non soltanto visualizza il moltiplicarsi concentrico e ternario di Dio punto centrale e cardine della Trinità e del creato (cfr. Boezio Cons. phil. IV VI 13-17; Proclo Decem dubit. V 24) e il simbolo astrologico del s. (un ‛ punto ' contornato da un ‛ cerchio ': O) ma testimonia del persistere di un antico mito astrale del s. corifeo, al cui comando roteano attorno stelle e pianeti in ritmiche evoluzioni. Si trattava della trasposizione mitologica delle ‛ progressioni ', ‛ stazioni ' e ‛ retrogradazioni ' osservate nelle traiettorie descritte dai pianeti dei quali il s., quarto della serie planetaria, costituiva il ‛ centro ' costante.
Il procedere, stazionare e retrocedere dei pianeti era infatti giustificato con l'influenza esercitata dai raggi del s. che, posto al centro, ne cadenzava il ritmo secondo moti regolari e alternati (cfr. ad es. Cicerone Div. II XLII 89, Somn. Scip. 4, Tusc. I XXVIII 68; Plinio Nat. hist. II V 12; Lucano Phars. X 199-203; Marziano Capella Nupt. VIII 857 " eorum [dei pianeti] circuli terras omnino non ambiunt, sed circa Solem laxiore ambitu circulantur. Denique circulorum suorum centron in Sole constituunt "). Nell'inno al s. di Marziano Capella (II 186-187) è detto tra l'altro: " nam medium tu curris iter dans solus amicam / temperiem superis compellens atque coercens / sidera sacra, deum cum legem cursibus addis. / Hinc est quod quarto ius est te currere circo, / ut tibi perfecta numerus ratione probetur: / nonne hac principio geminum tu das tetrachordum? " (commenta Remigio d'Auxerre Comm. in Mart. Cap., ediz. C. Lutz, I, p. 197: " Radii enim solis nunc incitantur planetae, nunc retrogradantur, nunc stationantur " e, riprendendo il tema del ‛ canto ' e dell'armonia delle sfere regolata dal s., " locum obtinet sol in musica caelesti quem mese, id est media chorda, in musica artificiali "; p. 88: " est sol moderator musicae caelestis "; il tema della corona e del coro delle Muse attorno al s.-Apollo è ancora in Marziano Cap. II 117-127; per questa e altre suggestioni solari cfr. Macrobio Comm. Somm. Scip., in partic. I XX 3 ss.).
Significativa, al riguardo, è la correzione che D. compie in senso cristologico-trinitario dell'impianto pagano della danza e del canto (Lì si cantò non Bacco, non Peana, / ma tre persone in divina natura, / e in una persona essa e l'umana, Pd XIII 25-27; cfr. X 49-51, XIV 28-33) e la metafora astrale della doppia schiera delle 12 stelle (la doppia danza / che circulava il punto) e della ‛ corona ' di Arianna mutata in costellazione da Bacco (XIII 1-21 e X 76-78; per l'esordio di Pd XIII cfr. Boezio Cons. phil. IV m. VI). Utile ancora il riscontro con Marziano Capella che parlava del s.-Apollo come redimito di un serto di luci (II 98 " [Phoebus] hoc quoque Nysiacis quod sparsum floribus ardet / multiplici ambitum redimitur lumine sertum ") e con il commento di Remigio d'Auxerre (ediz. cit., I p. 144: " sertum dicit coronam Ariadnes uxoris Liberi... Redimitur id est ornatur, illud sertum ambitum, id est circumdatum, multiplici lumine. Habet enim XII stellas clarissimas... "). Il s. come Phoebus-Auricomus coronato di raggi fiammanti è ancora in Marziano I 12-13 (" Solis augustum caput radiis perfusum circumactumque flammantibus velut auratam caesariem rutili verticis imitatur ", e commenta Remigio d'Auxerre [I p. 88]: " Phoebus interpretatur novus, et re vera sol in ortu suo novus cernitur... "); per l'aspetto teologico da ricordare la figurazione di Bonaventura Coll, in Hexaëm. IV 4 (" De contemplatione mentis humanae hierarchizatae, quae intelligitur per 12 stellas ").
Infine, oltre l'ovvia preminenza del simbolo s.- Cristo richiesta dalla struttura cristocentrica dei canti (cfr. Pd XI 31 ss., 72, 102 e 107, XII 37, 71, 73 e 75, XIII 40 e 111; in XXV 54 Cristo è il sol che raggia tutto nostro stuolo, e ancora XXIII 29 e 79-84) e la studiata collocazione di Beatrice, specchio del s., al centro delle ghirlande dei beati (cfr. X 65, XIV 1-9; i beati stessi sono detti ardenti soli, X 76), andrà rilevato come la terminologia luministica della Commedia trovi qui una delle sue più serrate sequenze, indotta, ovviamente, dall'assidua presenza del simbolo solare (un esempio è in XIV 38-60 con la serie raggio, raggerà, luce, lume, chiarezza, fulgore, fiamma, ardore, amore, grazia, sommo bene; v. anche LUCE).
È con la tradizionale pregnanza dei significati sopra accennati che D. propone, in Mn III I 5, IV 2, 3 e 21, la figurazione dei due regimina, lo spirituale e il temporale, come quella dei duo luminaria magna (Gen. 1,16), il s. e la luna, il primo segno dell'autorità papale, il secondo segno di quella imperiale (e cfr. Pg XVI 107-108 ed Ep VI 8).
Il Pianeta Sole. - Per la teoria planetaria medievale il s. è un pianeta al pari di tutti gli altri (If I 17), il quarto del sistema tolemaico (Cv II III 7; cfr. § 4). Il suo moto, pertanto, si svolge in una sezione sferica concentrica e contigua, verso l'interno, alla sezione sferica di Venere e, verso l'esterno, a quella di Marte. Quello del s., comunque, è il più semplice dei moti planetari: il s. infatti non ha epiciclo, in quanto è il pianeta stesso a percorrere con moto regolare il proprio deferente, eccentrico rispetto alla terra. Tale moto, d'altro canto, è in rapporto privilegiato con quelli di tutti gli altri pianeti, in particolare con quello di Mercurio (Cv II XIII 11) e, soprattutto, con quello di Venere. La teoria di quest'ultimo pianeta è tale, che il centro del suo epiciclo si trova continuamente in direzione del s. (Cv II V 16, prima occorrenza). Questa situazione è all'origine del supposto ‛ vagheggiare ' del s. nei confronti di Venere (Pd VIII 12).
Anche se per l'astronomia medievale era un fatto scontato che il s. ruotasse attorno alla terra con moto simile a quello di tutti gli altri pianeti (cfr. Cv III Amor che ne la mente 21, e 113, V 2-3, XII 6), tuttavia, attraverso le confutazioni di Aristotele, si era conservato il ricordo di quanti avevano creduto in un sistema eliocentrico: si trattava dell'ipotesi attribuita ai Pitagorici (III V 4), secondo la quale la terra, insieme a un'anti-terra ad essa diametralmente opposta, era collocata su una sfera che girava attorno al sole.
In quanto pianeta - e astraendo, pertanto, dal suo moto diurno - la durata della rivoluzione del s. è di un anno (Cv II XIV 16, due volte). Tale durata corrisponde al tempo impiegato dal s. a percorrere sulla sfera celeste il circolo massimo denominato zodiaco (Cv III V 13; v. ZODIACO), del quale il s. occupa successivamente le dodici suddivisioni o segni, ritmando in tal modo l'avvicendarsi di mesi e stagioni (Pg XXXII 56). Durante il viaggio di D., ad esempio, il s. si trova in Ariete e pertanto, quando D. è nei Gemelli, è separato dal poeta da un intero segno zodiacale (Pd XXVII 86). Quanto ai modi di computare la durata della rivoluzione solare, ricordiamo l'anno tropico (cioè il tempo intercorrente tra due passaggi successivi del s. al medesimo punto d'intersezione tra lo zodiaco e l'equatore) che è di 365 giorni, 5 ore e 48 minuti, e l'anno civile, il quale invece risulta da una valutazione approssimata del valore dell'anno tropico, allo scopo di farlo coincidere con un numero intero di rivoluzioni diurne, in misura di tre anni di 365 giorni e uno di 366.
Per poter disporre di riferimenti cronologici, a D. capita talvolta di utilizzare la periodicità del movimento del s. sullo zodiaco (If VI 68, XXIX 105, Pg VIII 133, XXI 101, Pd XXVI 120, Rime CXI 2), oppure di far ricorso alla sua posizione sullo zodiaco, la quale varia lungo tutto l'anno (If XXIV 2, Pd X 28-34, XXVII 69; per la determinazione della data del viaggio di D. in base alla posizione del s. sullo zodiaco v. ARIETE; profacio).
Tuttavia il s. partecipa anche del movimento diurno della sfera celeste, del quale costituisce, peraltro, la testimonianza più evidente (Cv II V 16, seconda occorrenza). Di qui una nuova serie di riferimenti cronologici destinati a fornire, anche se in maniera approssimata, l'ora del giorno, sia nel caso in cui D. indica la posizione del s. in rapporto all'orizzonte (If I 38, XXXIV 96, Pg II 1, IV 16 e 138, IX 44, XV 5, XXXIII 104, Pd XXIII 12, XXVI 142 e passim, Cv III VI 1-2, tre volte), sia quando indica, genericamente, il segno o il grado dello zodiaco che si trova temporaneamente sull'orizzonte est e ovest o al meridiano (If XI 113, Pg II 1-6 [cfr. Quaestio 54] e 56, XXV 2, XXVII 1-5, Pd XXIX 1). Per l'ubicazione geografica del Mediterraneo in rapporto all'est, punto di nascita del s., cfr. Pd IX 85.
Anche se simile, sul piano della teoria, agli altri pianeti, il s. gioca evidentemente un ruolo preminente e per la sua ampiezza (Cv IV VIII 7, due volte, e cfr. Pd XXX 105 ed Ep XIII 7) e per l'intensità del suo splendore. Esso infatti non soltanto è causa del brillare delle stelle (Cv II XIII 15, III II 5, XII 7) e della luminosità della luna (Cv II XIII 9, due volte, Mn III IV 3; ma al § 18 è detto che habet... aliquam lucem ex se) ma, soprattutto, trasforma il movimento diurno della nona sfera in un ciclico alternarsi di giorni e di notti. In ragione di ciò, del resto, il s. simboleggia in D., a seconda delle circostanze, Dio (Pd IX 8, Cv III XII 6-8, quattro volte), il potere (Pg XVI 107, Mn III IV 17-19 e 21), la santità (Pd XI 50) o Beatrice (III 1, XXX 75).
A seguito di tale splendore determinate congiunzioni (o incontri di due astri sullo zodiaco) della luna e del s. provocano un estinguersi temporaneo di quest'ultimo, dando luogo all'eclissi solare (Pd II 80, XXIX 99, Cv II III 6, due volte, Quaestio 61, Mn III IV 18; in contesto metaforico Ep XI 23), mentre la loro opposizione dà luogo a un'eclissi di luna (v. ECLISSI). A parte questi casi particolari le congiunzioni e le opposizioni dei due astri scandiscono il susseguirsi di luna piena e luna nuova e degli ‛ aspetti ' intermedi; ad esempio, nel suo primo aspetto prossimo alla congiunzione col s. la luminosità della luna è quasi del tutto scomparsa (Pd XXVII 136-138). Per l'ubicazione della luna in rapporto al corso solare, di Pg XVIII 80, vedi LUNA.
Oltre che responsabile del calendario, il movimento del s. è altresì all'origine dell'organizzazione cosmografica della sfera terrestre e della sfera di riferimento, cioè quella celeste. L'asse del moto diurno determina infatti i due poli e, in via subordinata, il cerchio dell'equatore che il s. percorre esattamente due volte l'anno, quando è all'inizio di Ariete e quando è all'inizio della Bilancia (Cv III V 8 e 13, due volte). Agl'inizi sia dell'estate che dell'inverno, il percorso del s. è alla sua massima distanza dall'equatore, cioè a 23° 1/2 a nord o a sud. A un tale variare di posizioni del percorso quotidiano del s. corrispondono archi di cerchio più o meno alti e più o meno lunghi, percorsi al di sopra dell'orizzonte, a cui conseguono giorni più o meno lunghi e notti più o meno corte (Cv III V 14-21, otto volte; cfr. anche Pg IV 61, dove il s., che si trova nei Gemelli quasi al solstizio d'estate, passa assai alto sopra l'orizzonte).
Concretamente, il moto diurno del s. al di sopra dell'orizzonte si traduce nello spostamento delle ombre e nel variare della loro lunghezza: ognuno infatti può constatare che, a mezzogiorno, le ombre non soltanto sono corte al massimo, ma che si riducono (prima di mezzogiorno) e si allungano (dopo mezzogiorno) con tale lentezza, da dare l'impressione che il s. avanzi meno velocemente (Pg XXXIII 104).
Per un osservatore posto nell'emisfero nord il s. si leva a est, raggiunge il suo punto di massima elevazione in direzione sud e declina poi verso ovest dove sembra scomparire dentro l'oceano (Pd XII 51); se l'osservatore invece è agli antipodi, il passaggio del s. avverrà in direzione nord, ed è per questo che D. rimane sorpreso nel constatare che, voltosi verso est, i raggi del s. provengono dalla sua sinistra (Pg IV 56, 67-84 e 119; in XXVI 4, dopo che D. ha percorso un mezzo giro attorno alla montagna, il s. si trova nuovamente a destra).
Il Cielo del Sole. - La descrizione del cielo quarto o del S., in cui si mostrano a D. gli spiriti sapienti, occupa i canti X - XIII e il XIV (fino al v. 81) del Paradiso. Il c. X ha inizio con la constatazione, quasi liberatrice nella sua grandiosità, dell'alta e provvida armonia dell'universo: una visione del cosmo dalla quale il poeta transita con facilità a dire del S., ove egli sale, e nel quale distingue, per la luminosità superiore alla stessa grande luce dell'astro, gli spiriti dotti nella scienza divina. Agevole comprendere perché D. abbia fatto del S. la dimora dei sapienti, quando si pensi che egli stesso in Cv III XII 7 aveva definito il s. come la cosa sensibile più degna di farsi essemplo di Dio: segno, in particolare, di luce intellettuale.
D. vede una corona di spiriti (successivamente circondata da una seconda e poi da una terza) danzare in cerchio tre volte attorno a lui e a Beatrice. Colui che per tutti parla è s. Tommaso che nomina come presenti Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi l'Areopagita, Paolo Orosio, s. Agostino, Boezio, Isidoro, Beda, Riccardo da San Vittore, Sigieri di Brabante, mentre successivamente s. Bonaventura presenta i francescani Illuminato e Agostino, Ugo da San Vittore, Pietro Mangiatore, Pietro Ispano, il profeta Natan, Giovanni Crisostomo, Anselmo d'Aosta, Elio Donato, Rabano, Gioacchino da Fiore (per ognuno v. alle rispettive voci). S. Tommaso, domenicano, dopo aver compiuto un elogio di s. Francesco, chiamato dalla Provvidenza, assieme a Domenico, a restaurare la Chiesa, spiega che nell'ordine domenicano ben ci s'impingua spiritualmente, se non si vaneggia: seguirà il francescano Bonaventura a far l'elogio di s. Domenico e a deprecare la decadenza francescana. Tommaso spiega poi, dissipando dubbi di D., come abbia designato Salomone come il più sapiente degli uomini alludendo ai re, che han bisogno di un particolare genere di sapienza, e come le sembianze dei beati saranno visibili nella luce dopo la resurrezione.
Se tale è la trama del cielo dei sapienti - particolarmente estesa in rapporto all'importanza che il tema della sapienza (v.) aveva per il poeta - D. la vivifica poi, momento per momento, con gli atteggiamenti affettivi con i quali investe la materia. L'affermazione iniziale dell'importanza dell'elemento solare nel cosmo è soffusa del senso dell'armonia dell'universo fisico, armonia che deriva, nella concezione di D., dalla somma fra tutte le sapienze, quella divina: mentre sia questo, sia lo specifico accenno alla dolcezza che dà la contemplazione appunto del cosmo (un tema che sarà ripreso, creando una linea unitaria all'interno del gruppo dei canti, all'inizio del c. XI, con l'espressione, da parte di D., del proprio spirituale distacco dalle meschine ambizioni degli uomini) si contrappongono, secondo la consueta tecnica del contrasto efficace, alla deteriore attenzione degli uomini al maladetto fiore e in genere ai beni terreni che corrompono tutti, anche gli uomini di chiesa, denunciata nello scorcio del precedente c. IX.
Il tono sublime del proemio del c. X prosegue nell'epica forza con cui D. descrive questo alto e perfettamente nobile cielo, che segue ai tre primi abitati da anime maculate in sia pur lieve misura da inclinazioni terrene: mentre il tema della luce che è gloria di Dio, caro così all'estetica e alla teologia medievale come a D., domina la rappresentazione del cielo del S., assieme agli altri temi della musica e della danza, pur essi chiamati a esprimere quell'armonia che è per D. carattere anche della sapienza. La danza degli spiriti dotti è realizzata con talune di quelle geometrie luminose, disegnate con preziosa tecnica, che hanno fatto parlare di una poesia metafisica di Dante. Di ognuno dei sapienti il poeta, allo scopo di animare la materia potenzialmente arida, cerca di designare la personalità e l'opera nel modo più efficace possibile, in un elenco reso vivo dal fatto che quel complesso di opere definisce per il poeta, in una certa misura, anche il proprio itinerario di studioso. È tuttavia incontrovertibile che due figure si stacchino dalle altre, quasi avessero esaltato in D. non soltanto l'anima del dotto, ma anche lo spirito del combattente e dell'uomo, Boezio, anch'egli asceso al Paradiso da martiro e da essilio, e Sigieri, l'uno e l'altro vittime delle coraggiose verità predicate: né probabilmente è senza significato il fatto che i due vengano indicati con parole che ricordano quelle con le quali nel prossimo cielo anche Cacciaguida consiglierà a D. di esprimere con coraggiosa voce altri invidiosi veri.
Ciò crea oltretutto un'altra linea poetica unitaria di questo cielo del S., poiché, a parte il fatto che anche per Francesco, contro la tradizione che tendeva a metterne in rilievo la mansuetudine, D. sottolinea la qualità di combattente, di uomo capace di sostenere sua dura intenzione, tale dote di combattente a difesa della verità viene attribuita in modo assai spiccato a Domenico, contro la realtà storica - pur a D., probabilmente, non ignota - del carattere mansueto del santo. Il tema della provvidenziale armonia viene ripreso dall'idea del contrapporsi e del congiungersi della serafica e della cherubica luce di Francesco e di Domenico e ritorna ancora - unito al motivo solare - nelle immagini che D. evoca per descrivere la nascita dei due campioni di Cristo, per l'uno dei quali si parla di s. nascente, per l'altro di s. occidente.
Viva sostanza umana D. dà ancora alle altre prospettive secondo le quali considera la sapienza: il quesito su Salomone diviene così il problema, tanto attuale per D., del particolare genere di sapienza necessario per governare saggiamente il mondo; la questione dei giudizi dati dagli uomini, derivanti pur essi dalla maggiore o minore sapienza, si traduce, scendendo al tono quotidiano, nella viva polemica sulla consuetudine pettegola e amara di trinciar giudizi sugli altri, anche - per fare il caso più grave e insieme più alto - sulla salvezza dell'anima; l'osservazione della luminosità esterna delle anime si muta nel problema della riconoscibilità dei corpi risorti, e questo vien risolto positivamente, tenendo conto della gioia che si proverà rivedendo i propri cari nelle loro precise sembianze, facendo secondare dalla sapienza teologica le ragioni dell'affetto.
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