SOLE (XXXII, p. 47; App. II, 11, p. 858)
I progressi compiuti nell'ambito della fisica solare negli ultimi anni sono stati notevolissimi, grazie ai perfezionamenti tecnici degli strumenti di osservazione ed alla creazione di nuovi strumenti particolarmente adatti: un notevole contributo hanno portato le nuove tecniche sviluppate per osservare il S. da palloni stratosferici o da razzi ad alta quota.
Oltreché dalle conquiste tecniche i progressi della fisica solare sono stati determinati anche da alcune recenti acquisizioni della fisica dei plasmi e della magnetoidrodinamica, che hanno portato a una migliore e più solida interpretazione unitaria dei fenomeni osservati.
La fotosfera. - Per ovviare alle difficoltà frapposte dalla continua agitazione della nostra atmosfera all'osservazione delle strutture fotosferiche (granulazione, macchie, facole) si è cercato di trasportare adatti strumenti ad alta quota mediante palloni. Esperimenti pioneristici furono fatti nel 1957 da A. Dollfus e D. E. Blackwell in Francia, in pallone aperto alla quota di 6000 metri; più tardi M. Schwarzschild e collaboratori impiegarono un grosso pallone stratosferico senza equipaggio, ottenendo bellissime e dettagliate fotografie della fotosfera solare da 25.000 metri di quota.
Ottime osservazioni delle strutture fotosferiche sono state pure eseguite dal suolo, in giornate particolarmente favorevoli, da J. Rösch al Pic du Midi nei Pirenei e da R. E. Loughhead e collaboratori a Sydney (Australia); grazie all'impiego di accorgimenti speciali essi sono riusciti a minimizzare l'effetto delle correnti convettive che si formano nell'interno e nelle immediate vicinanze degli strumenti a causa del riscaldamento prodotto dalla radiazione solare.
Da tutto questo materiale si è dedotto che la dimensione media dei granuli fotosferici (fig. 1) è dell'ordine di 700 km, con minimi di 200 e massimi di 1600 km; inoltre, si è potuto chiaramente individuare la presenza di granuli nell'ombra delle macchie e accertare la struttura filamentosa della fotosfera nella penombra. La tecnica consistente nel proiettare a velocità normale lente sequenze di fotogrammi (tecnica dell'accelerazione artificiale) ha messo particolarmente bene in evidenza i moti di espansione delle macchie nella fase di evoluzione.
Altre informazioni sulla "turbolenza fotosferica" si possono ottenere dalla struttura delle righe spettrali. Quando si eliminino gli effetti perturbatori dei moti convettivi dell'aria nello spettrografo, evacuando parzialmente lo strumento, le righe solari non appaiono più rettilinee ma presentano una tipica struttura a zig-zag: ciò rivela l'esistenza di velocità radiali il cui valore accertato va da 0,4 a 1,5 km/sec. Ulteriori informazioni si ottengono studiando il profilo delle righe, cioè la distribuzione dell'energia in funzione della lunghezza d'onda nell'ambito delle righe stesse.
La struttura a zig-zag delle righe è stata osservata per la prima volta (1956) da L. Goldberg e collaboratori mediante un grande spettrografo solare di 18 metri di lunghezza parzialmente evacuato dall'aria atmosferica.
Grazie all'impiego di spettrografi installati a bordo di missili stratosferici è stato possibile estendere lo studio dello spettro della fotosfera solare verso le lunghezze d'onda più brevi, fortemente assorbite dai gas atmosferici. Questa parte dello spettro appare solcata da numerose righe di assorbimento, previste dalle leggi spettroscopiche, fra 2800 e 1860 Å. Intorno a questa ultima lunghezza d'onda il carattere dello spettro cambia: il continuo scompare e si osservano invece delle righe di emissione (fig. 2) che vengono attribuite non più alla fotosfera ma agli strati soprastanti.
L'analisi quantitativa accurata condotta per via spettroscopica ha confermato che la composizione del S. è, eccezion fatta per i gas leggeri (He, O, N, ecc.), praticamente identica a quella delle altre stelle e della Terra. Significative discrepanze si notano tuttavia nella abbondanza relativa degli isotopi dell'idrogeno e del carbonio.
Il campo magnetico generale del Sole. - Progressi decisivi sono stati fatti nella misura del campo magnetico generale del Sole.
Mentre il campo magnetico delle macchie, che ha intensità dell'ordine di 1000÷3000 øersted, è misurabile con relativa facilità, quello generale è molto debole e viene meno pertanto l'applicabilità dell'ordinario metodo di misurazione basata sull'osservazione della scissione delle righe spettrali per effetto Zeeman. Si ricorre allora alla misura del grado di polarizzazione circolare prodotta dal campo magnetico delle righe spettrali. Si deve a H. W. Babcock, dell'Osservatorio di Monte Wilson, la costruzione del primo magnetografo solare, uno strumento capace di misurare campi magnetici inferiori a 1 øersted e che fornisce automaticamente diagrammi (magnetoeliogrammi) indicanti la distribuzione del campo magnetico sulla superficie solare.
Oggi (1961) funzionano quattro di tali magnetografi in tutto il mondo, e precisamente a Monte Wilson (S. U. A.), a Cambridge (Inghilterra) in Crimea (URSS) e a Friburgo (Germania).
Notevolissima agli effetti delle teorie solari è la scoperta fatta dal Babcock (1960) che la polarità della sfera solare si è invertita; attualmente il polo sud magnetico coincide col polo sud eliografico. Non è stato possibile accertare ancora se questo fenomeno si verifichi periodicamente, in concomitanza col ciclo solare.
La cromosfera. - Osservata al bordo del S. all'inizio e alla fine della fase totale di un'eclissi, la cromosfera appare come un sottile anello luminoso che dà uno spettro di emissione; in realtà essa è costituita da sottili filamenti gassosi (spiculae), del diametro di 500 km circa, aventi una vita di qualche minuto: le spicule hanno temperatura di 10.000÷20.000 °K e si trovano immerse in un ambiente a temperatura molto più elevata.
Una parte dei risultati sinora acquisiti sono stati ottenuti da spettri presi durante le eclissi totali; specialmente fruttuosa è stata l'eclisse del 25 febbraio 1952, osservata da numerose spedizioni scientifiche a Khartoum (Sudan). La struttura "spiculare" della cromosfera è peraltro osservabile, in condizioni particolarmente favorevoli, anche fuori eclisse. Rapidi progressi sono stati fatti in questo settore grazie alla diffusione del filtro monocromatico a polarizzazione di B. Lyot, che consente osservazioni molto più rapide che non lo spettroeliografo, precedentemente in uso. Oggi moltissimi osservatorî solari sorvegliano regolarmente il S. riprendendone immagini monocromatiche nella riga Hα dell'idrogeno (v. tav. f.t.) a cadenza di qualche minuto e talvolta anche a cadenza di pochi secondi. Proiettando le immagini a velocità normale (16 o 24 fotogrammi al secondo), si possono studiare, secondo la tecnica dell'accelerazione artificiale, le particolarità dei fenomeni cromosferici. Così, per es., molto si è appreso sui brillamenti solari e sulla emissione di materia solare dal brillamento stesso. Pare anche che dalla zona dei brillamenti partano delle onde materiali (forse onde d'urto) che, viaggiando con velocità dell'ordine di 1000 km/sec, eccitano a distanza altri brillamenti o producono addirittura lo sfaldamento e la sparizione di enormi protuberanze.
Molti di questi fenomeni hanno ricevuto una buona interpretazione in base alla fisica del plasma e alle teorie magnetoidrodinamiche.
I gas solari sono infatti fortemente ionizzati e sono immersi, specie nelle zone delle macchie, in campi magnetici assai intensi e inomogenei; la materia solare subisce quindi probabilmente effetti di compressione magnetica analoghi a quelli che si possono realizzare in laboratorio nelle macchine a plasma. A. Severny per esempio interpreta i brillamenti solari come dovuti a una violenta compressione (pinch-effect) del plasma coronale ad opera del campo magnetico delle macchie nella zona dove il gradiente del campo è più forte; tale compressione porterebbe all'emissione di particelle di alta energia (raggi cosmici solari), e, in seguito a fenomeni secondarî, anche all'emissione di raggi X e di radioonde. Il fenomeno si estinguerebbe per la produzione, in seno al brillamento, di onde d'urto controbilancianti a un certo punto la pressione magnetica.
È certa comunque l'esistenza di un processo di compressione in seno al brillamento. L'osservazione spettroscopica mostra infatti che le righe spettrali sono notevolmente allargate: alle volte la riga Hα, che normalmente in assorbimento ha una larghezza di 1 o 2 Å, appare larga anche 30 o 40 Å dando origine a caratteristici "baffi" (moustaches, nella terminologia originale). Questo fenomeno starebbe a significare densità elettroniche relativamente alte e giustificherebbe quindi la precedente asserzione.
I brillamenti si innalzano di poco sulla cromosfera, raggiungendo al massimo 15÷16.000 km di altezza; la loro temperatura non supera in generale 10÷12.000 °K. La densità raggiunge in essi anche 1013 particelle per cm3, mentre l'ambiente coronale circostante ha densità dell'ordine di 108 el/cm3 e temperatura dell'ordine di 106 °K. Nella zona di transizione fra la cromosfera e la corona la temperatura varia rapidamente con l'altezza, passando da circa 10.000 °K a 200.000 °K ed oltre. È in questa zona di transizione che vengono prodotte le righe di emissione osservate nello spettro ultravioletto del S. fuori dell'atmosfera.
La corona. - La corona, che appare in tutta la sua estensione soltanto durante le eclissi totali di S., ha uno splendore superficiale dell'ordine di un milionesimo di quello del centro del Sole. Si tratta essenzialmente di un'atmosfera costituita di idrogeno completamente ionizzato ed estendentesi molto lontano dal S.; all'osservazione spettroscopica essa mostra nella sua parte interna uno spettro continuo con alcune righe di emissione dovute ad atomi metallici più volte ionizzati: tipica è l'emissione della intensa riga 5303 Å dovuta al Fe XIV, cioè all'atomo del ferro ionizzato 13 volte.
La corona che emette lo spettro di righe viene anche chiamata corona L, quella che emette lo spettro continuo corona K. Corona L e K sono sovrapposte nella parte più vicina al S. (corona interna); nella parte intermedia, si ha solo la corona K, mentre la parte esterna e più debole della corona, che mostra uno spettro di assorbimento identico a quello del S., viene chiamata corona F.
Secondo l'idea più accreditata, la corona K è dovuta a diffusione della radiazione solare da parte di elettroni liberi, la corona F invece a diffusione della radiazione solare da parte di un ammasso di particelle materiali le cui dimensioni sono dell'ordine di qualche micron. Gli elettroni della corona K sono animati da moti termici disordinati, mentre le particelle materiali della corona F sono invece praticamente in riposo rispetto al Sole. Considerazioni di varia natura portano a concludere che la temperatura della corona deve essere dell'ordine del milione di gradi Kelvin.
La corona K forma, in corrispondenza delle zone attive, delle "condensazioni coronali" nelle quali la densità può essere da 1.000 a 10.000 volte più elevata della corona circostante. Ricerche condotte da D. E. Blackwell hanno mostrato che la corona F si prolunga ben lontano dal S. e forma quell'ammasso di particelle che è responsabile della produzione della "luce zodiacale".
La corona interna è osservabile anche fuori di eclissi nella radiazione verde 5303 Å mediante il coronografo (App. II,1, p. 699), inventato da B. Lyot. Sempre ad opera di Lyot e dei suoi allievi è ora entrato nell'uso corrente il coronametro fotoelettrico, strumento che, misurando il tasso di polarizzazione della luce coronale rispetto a quella diffusa del cielo, rivela la corona "non monocromatica" K.
Benché si siano fatti notevoli progressi nella conoscenza della natura e dei movimenti della corona, molti problemi sono ancora insoluti. Soprattutto non si conosce ancora fino a qual punto si estende la corona K, e se i pennacchi coronali che si osservano nelle migliori fotografie prese durante le eclissi rappresentino realmente dei fasci direzionali di corpuscoli che vengono emessi dal Sole.
Le protuberanze. - Sono un fenomeno che pur essendo collegato alla cromosfera ha sede nella corona. I migliori film ripresi con la tecnica della accelerazione delle immagini mostrano come le protuberanze si formino per condensazione della materia coronale e come alle volte nella corona si dissolvano. Tipico è il fenomeno della sparizione brusca di protuberanze quiescenti, che dopo un lungo periodo di stabilità scompaiono per un po' di tempo riformandosi dopo qualche giorno nello stesso posto.
Sia questo fenomeno sia altri connessi alla dinamica delle protuberanze trovano la loro spiegazione nella interazione fra plasma e campo magnetico. L'analisi spettroscopica delle protuberanze mostra infatti che la temperatura di queste non supera i 10÷12.000 °K e che i gas si muovono nella massa della protuberanza in modo turbolento con velocità di 4÷8 km/sec. La densità nelle protuberanze è dell'ordine di 1010 atomi per cm3, cosicché il prodotto densità per temperatura è praticamente identico a quello della corona: questo fatto giustifica l'ipotesi fatta che le protuberanze si condensino dal plasma coronale.
Radiazione radioelettrica del Sole. - Il S. emette radioonde su tutta la gamma di frequenze compresa fra qualche MHz e qualche migliaio di MHz; non si sono riscontrate finora righe di emissione nel dominio delle radiofrequenze solari. Si osservano una componente di base (componente termica), emessa dalla corona nel suo complesso, una componente lentamente variabile, collegata alla presenza di condensazioni coronali nell'emisfero visibile, e variazioni rapide (bursts, outbursts e noise storms), sensibili specialmente sulle onde metriche e che costituiscono fenomeni tipici del S. "attivo".
La componente termica viene prodotta nella corona da fenomeni di frenamento di elettroni nel campo coulombiano dei protoni (brehmsstrahlung). La temperatura ad essa corrispondente si aggira su 1.000.000 °K per le onde metriche, su 100.000 °K per quelle decimetriche e su 10.000. °K per le onde centimetriche: ciò perché l'emissione ha luogo a livelli diversi (nella corona, nell'alta cromosfera e nella bassa cromosfera).
La componente variabile è ben correlata con le macchie solari ed è sensibile soprattutto nelle ondee decimetriche; essa corrisponde a temperature dell'ordine del milione di gradi assoluti.
Gli outbursts sono aumenti improvvisi del flusso radioelettrico solare (sino a 10.000 volte il normale) e sono correlati, almeno in parte, con fenomeni cromosferici a rapida evoluzione, come i brillamenti e le protuberanze eruttive. Le noise storms (tempeste di rumore) consistono in un aumento del flusso radioelettrico solare, caratterizzato da una grande variabilità; esse durano qualche giorno e sono correlate all'apparire di certe grosse macchiei Se si volesse far corrispondere una temperatura al flusso radioelettrico emesso dal S. durante questi fenomeni si troverebbero valori troppo elevati per essere reali: si conclude che si tratta di fenomeni "supertermici", cioè non più prodotti da elettroni in agitazione termica ma, per es., da elettroni accelerati in campo magnetico.
Mentre l'emissione della componente termica avviene in tutta la corona, la componente lentamente variabile, gli outbursts e le noise storms vengono invece emesse in zone ben circoscritte della corona, per la localizzazione delle quali viene proficuamente usato il radiointerferometro (v. radioastronomia, in questa Appendice).
Col radiospettrografo (v. radioastronomia) si è trovato che gli aumenti rapidi del flusso solare si verificano prima sulle onde centimetriche, poi, a distanza anche di minuti, sulle onde metriche: questo fa pensare che queste perturbazioni vengano prodotte da un agente di natura sconosciuta che viaggia attraverso la corona partendo dalla superficie solare.
Sulla base di questa ipotesi si calcola pure che la velocità di questo agente sia dell'ordine di 500÷1000 km/sec in alcuni casi, mentre in altri raggiunge circa un terzo della velocità della luce. È molto probabile che nel primo caso si tratti di corpuscoli relativamente lenti emessi dal S., probabilmente gli stessi che producono le perturbazioni magnetiche e le aurore polari sulla Terra; nel secondo invece si ritiene trattarsi di vera e propria radiazione cosmica emessa dal Sole. Confrontando i risultati ottenuti col radiospettrografo e col radiointerferometro, J. P. Wild ha trovato a Sydney che realmente un agente eccitatore si sposta in seno alla corona solare.
Un nuovo tipo di perturbazioni è stato scoperto da A. Boischot e J. Denisse col grande interferometro di Nançay (Francia).
Si tratta di nuvole di plasma espulse dal S. durante un brillamento, le quali si stabilizzano ad una distanza di circa 500.000 km circa dal S. ed emettono radiofrequenze per un certo tempo.
Dalle modalità del fenomeno si è concluso che queste nuvole di plasma devono contenere elettroni di elevatissima energia che si muovono nel campo magnetico "congelato" nelle nuvole stesse, emettendo per "effetto sincrotrone", in analogia a quanto succede nella macchina acceleratrice dello stesso nome. Non è improbabile che, data la successione dei fenomeni, siano queste nuvole che durante il passaggio attraverso la corona producono i fenomeni precedentemente descritti. Vedi tav. f. t.
Bibl.: M. Waldmeier, Ergebnisse und Probleme der Sonnenforschung, Lipsia 1941; F. Hoyle, Some recent researches in solar physics, Cambridge 1949; G. P. Kuiper, The Sun, Chicago 1953; Problemi della fisica solare, Atti dei Convegni A. Volta, Roma 1953; W. J. G. Beynon e G. M. Brown, Solar eclipses and the ionosphere, Londra 1955; M. Waldmeier, Die Sonnenkorona, Basilea 1957; G. Abetti, The Sun, Londra 1957; K. Kiepenheuer, The Sun, Ann Arbor (Mich.) 1959; D. H. Menzel; Our Sun, Cambridge (Mass.) 1959.