solere [indic. pres. III singol. anche sole: cfr. Petrocchi, Introduzione 426-427; I plur. solemo; indic. imperf. I singol. solea e, in rima, solia; I plur. solavam, in Fiore CLV 4; II plur. solavate, in Vn XXXVII 2: cfr. Barbi, p. CCCV; III plur. solean, solieno e solien: cfr. Petrocchi, Introduzione 463]
Ricorre in tutte le opere di D., compreso il Fiore, ma non nel Detto, ed è usato solo nel presente e nell'imperfetto indicativo. Si hanno inoltre due esempi d'infinito sostantivato. È anche da rilevare la larghissima prevalenza della III singol. del presente e dell'imperfetto.
Come verbo servile (modale) è accompagnato di regola dall'infinito di un verbo (che può anche essere sottinteso). Da un punto di vista semantico non si differenzia dal valore che gli è tuttora proprio; perciò, se il soggetto è una persona, indica che questa ha l'abitudine di compiere l'azione espressa dal verbo posto all'infinito; se invece il soggetto è un sostantivo indicante una cosa o un astratto, il sintagma formato da s. e dall'infinito sottolinea la regolarità con la quale una determinata causa provoca un certo effetto o la costanza con la quale si svolge un certo fenomeno.
La latitudine semantica di s. è quindi molto limitata; solo in alcuni esempi è possibile cogliere un'accezione meno generica di quella ora chiarita, nel senso che in essi il valore del verbo è trasferito dal concetto di abitudine a quello dell'azione effettuata in modo costante o della norma fissa.
Dei casi in cui s. acquista questa particolare accezione si dà qui l'indicazione, restando inteso che in tutte le altre occorrenze (v. oltre) il verbo conserva il valore fondamentale già illustrato: If IV 18 Come verrò, se tu paventi / che suoli al mio dubbiare esser conforto?; XII 82 Così non soglion far li piè d'i morti; XXXIII 44 l'ora s'appressava / che 'l cibo ne solëa essere addotto; Pg XXII 123 Io credo ch'a lo stremo / le destre spalle volger ne convegna, / girando il monte come far solemo. Quest'accezione risulta anche più evidente quando s. ricorre in relazione a fenomeni fisici che avvengono sempre nello stesso modo: If XIX 28 suole il fiammeggiar de le cose unte / muoversi pur su per la strema buccia; XXIX 51 tal puzzo n'usciva / qual suol venir de le marcite membre; Pd I 49 come secondo raggio suole / uscir del primo e risalire in suso.
Sia in provenzale e francese antico, sia nell'italiano del Duecento (cfr. i commenti del Contini a Rime LXVII 53, e di Casini-Barbi a If XXVII 48), le forme del presente di s. hanno spesso valore consuetudinario d'imperfetto. Quest'uso, attestato anche in D., appare evidente allorquando dal contesto risulta chiaramente che l'abitudine espressa dal verbo è ormai venuta meno: Cv II Voi che 'ntendendo 14 Suol esser vita de lo cor dolente / un soave penser (ripreso in VII 9 e tradotto nella prosa: quello speziale pensiero... solea esser vita..., IX 1); Pd XXI 111 un ermo, / che suole esser disposto a sola latria (il valore d'imperfetto di suole è comprovato dal confronto con il v. 118 Render solea quel chiostro a questi cieli / fertilemente; e ora è fatto vano); Fiore XLVIII 2 Non ti maravigliar s' i' non son grasso / ... com' i' soglio (che potrebbe però anche significare " come sono abitualmente "); e così in Rime LXVII 53, XCI 6, Cv II Voi che 'ntendendo 28 (ripreso in IX 1), VII 5 e 9, Pd XII 123.
Il valore temporale assegnato al verbo non è però sempre facilmente apprezzabile, e questo spiega perché i commentatori non siano concordi nel determinarlo, come risulta dai seguenti esempi: If VIII 30 segando se ne va l'antica prora / de l'acqua più che non suol con altrui (il Mattalia riporta la spiegazione del Barbi [" di solito "], mentre nella nota a XXVII 48 inserisce questo esempio tra quelli in cui il presente di s. è usato con incluso significato d'imperfetto); XVI 68 cortesia e valor di se dimora / ne la nostra città sì come suole (" come soleva ai tempi nostri ", Scartazzini-Vandelli; " non è necessario forzarlo a un ‛ soleva ', perché Iacopo parla fermo nel ‛ presente ' del suo tempo e del suo ricordo; e il presente riesce psicologicamente più efficace ", Mattalia); XXVI 21 più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio (" più di quanto non fossi solito fare ", Sapegno; " più di quello che non faccia per abitudine ", Chimenz); XXVII 48 'l martis vecchio e 'l nuovo da Verrucchio / ... là dove soglion fan d'i denti succhio (" dove solevano per l'addietro ", Casini-Barbi; " per antica abitudine estorcono i beni altrui ", Fallani); Pd III 28 sopra 'l vero ancor lo piè non fida, / ma te rivolve, come suole, a vòto (" come suole accadere in tali condizioni intellettuali ", Chimenz; " come era solito ", Porena; " è un presente sentenziale, comprensivo del passato ", Mattalia).
In due casi la determinazione della funzione temporale è subordinata all'interpretazione di tutto il contesto. In If XVI 22 Qual sogliono i campion far nudi e unti, a sogliono dovrà assegnarsi valore perfettivo o quello oggi ordinario a seconda che nei campion si vedano gli atleti e lottatori del mondo antico o i campioni dei duelli giudiziari medievali (per la questione, v. Petrocchi, ad l., e Sapegno). Per XXX 125 Così si squarcia / la bocca tua per tuo mal come suole, l'interpretazione del Del Lungo (" perché la tua malattia ti costringe a tenerla sempre avidamente spalancata ") e del Rossi (" per l'arsura del tuo male, dalla febbre, ora e sempre ") impone di dare a suole il valore di presente, mentre l'accoglimento della spiegazione del Sapegno (" per l'abitudine della maldicenza, come già soleva nel mondo ") gli assegna la funzione d'imperfetto.
I casi discussi sono due. La lama, cioè la bassura che il Mincio impaluda, suol di state talor esser grama (If XX 81); il Torraca ritenne che suol, per il fatto stesso d'indicare uno stato più o meno costante, mal si conciliasse con talor, e propose quindi di attribuirgli il significato di " può ". Ma, osserva il Chimenz, " ‛ suole ' in D. non ha mai questo significato più debole, anzi ha, spesso, quello più forte di ‛ è norma ' "; egli preferisce quindi intendere: " la lama, d'estate, suole, per qualche periodo d'essa estate (talor), esser grama ". A quanto afferma Folco di Marsiglia, il Mediterraneo contra 'l sole / tanto sen va, che fa meridïano / là dove l'orizzonte aria far suole (Pd IX 87), si estende cioè tanto da ovest a est, che lo stesso cerchio celeste rappresenta l'orizzonte per la sua estremità occidentale e il meridiano per la sua estremità orientale. Secondo quest'interpretazione, che è la più convincente, suole o dovrebb'essere considerato pleonastico o sottolineerebbe il fatto che questa situazione geo-fisica è costante. Per l'Antonelli e il Della Valle, invece, D. avrebbe inteso dire che, in certe circostanze, e cioè agli equinozi, per l'estremo orientale del Mediterraneo è mezzogiorno, quando per l'estremo occidentale è l'alba; in questo caso, suole alluderebbe all'occasionalità del fenomeno (v. anche MEDITERRANEO; MERIDIANO).
L'uso del sintagma ‛ s. con infinito ' è regolato da norme costanti. L'infinito, che in prosa non è quasi mai apocopato (unica eccezione in Cv IV II 12), in poesia lo è sempre, a meno che non sia seguito da una parola che inizia per vocale, non si trovi in rima o non abbia forma riflessiva o intransitiva pronominale. Sia in prosa sia in poesia, nella larghissima maggioranza dei casi s. precede immediatamente l'infinito (sono però frequenti anche gli esempi d'iperbato); allorquando i due stilemi non appartengono al medesimo verso, si hanno tre tipi di congiunture: s. (in rima) e infinito nella posizione iniziale del verso successivo (Cv IV Le dolci rime 1, Pd I 49, Fiore C 2); s. (nel corpo del verso) e infinito nella posizione iniziale del verso successivo (If XV 18, XIX 28); s. e infinito in clausola finale, e quindi in rima, di due versi successivi (Fiore XI 3); anche in Pg XVI 106 Soleva Roma, che 'l buon mondo feo, / due soli aver, il valore semantico dei due termini del sintagma è reso più evidente dal fatto che il primo forma l'incipit, mentre il secondo conclude il primo emistichio ed è seguito da una forte cesura. Più raramente l'infinito precede la forma di s.; in questo caso, non si hanno mai esempi d'iperbato e, in poesia, il sintagma occupa o la clausola finale (e quindi s. cade in rima) o, più raramente, si dispone nel primo emistichio.
Segue, in ordine alfabetico, l'indicazione completa degl'infiniti che danno origine al sintagma; il verbo è citato nella forma (apocopata o no; attiva, passiva, riflessiva o intransitiva pronominale) nella quale effettivamente ricorre; per ‛ essere ' usato come copula, si dà anche l'indicazione del predicato.
Essere addotto (If XXXIII 44); agurarsi (Pd XVIII 102); amare (Fiore CL 14); andare (If XII 57); apparire (Vn XXXIX 4); aver (Pg XVI 106, Fiore CL 3); cercar (Cv IV Le dolci rime 1, ripreso in I 9; rielaborato [nella forma cercare] in II 3); chiamare (II VI 8); essere chiamati (III VII 8); confortare (Fiore XI 3); correr (Rime CXVI 36); creder (Pd VIII 1); dare (Cv I VIII 6); dire (§ 13); disporre (Pd XXII 6); esser disposto (XXI 111); essere (Cv II XII 5); esser (Fiore CCIII 8); esser... amar (XVI 2); esser badia (Pd XXII 76); esser conforto (If IV 18); esser... fonte (Pd II 96); esser grama (If XX 81); esser testimon (Pg XXVIII 45); esser vita (Cv II Voi che 'ntendendo 14, ripreso in IX 1; rielaborato [nella forma essere] in VII 5 e 9); far (Rime CI 33, Cv IV II 12 [si suole, con il si passivante]; If XII 82, XVI 22, XXXI 4, Pg XXII 123, XXIII 2, Pd IX 87, XVIII 127); fare (Cv III XII 3, If XXVII 93); fare piangere (Vn XXXVII 2); farsi (Rime CII 3); giovare (Pg IV 54); guardare (If XV 18); guerir (Fiore CLXXXIX 6 [qui se ne suole, con la particella pronominale rafforzativa]); essere imputata (Cv I III 4); muoversi (If XIX 28); mutare (Fiore C 2 [si solea, con si passivante]); parlar (Cv II Voi che 'ntendendo 28, ripreso in IX 1); parlare (XI 6); pianger (If XXXIII 42); piangere (Vn XXXVII 2); portar (Rime dubbie II 7); prender (Pg XX 129, IX 143 [si suole, con si passivante]); prendere (Cv I II 1); procedere (III XII 4); quetar (Pg II 108); render (Pd XXI 118); seguitar (If XXV 41 [suol usato impersonalmente]); tener (Rime LXVIII 3); esser tolto (If XXIII 106); trovarsi (Pg XVI 116); uscir (Pd I 49); venir (If XXIX 51).
Oltre che nella locuzione incidentale come suole (Pd III 28; XVII 53 come suol) che vale " come spesso accade ", l'infinito che accompagna s. è sottinteso quando s. funge da predicato verbale di una proposizione subordinata (comparativa o relativa) e il verbo cui dovrebbe accompagnarsi compare, come predicato verbale o in una forma nominale, nella proposizione reggente. In una comparativa di maggioranza (s. è sempre preceduto da un ‛ non ' pleonastico): Cv IV XXVII 16 A me è ricresciuto e volontà e diletto di stare in colloquio più ch'io non solea (cfr. Cic. Amic. XIV 46); Fiore CLV 4 parlar possiamo... / più arditamente ... / che noi non solavam; e così in If VIII 30 e XXVI 21, già citati. In una comparativa di minoranza: Rime XCI 6 io son meno ognora ch'io non soglio (si noti anche qui il non pleonastico). In una comparativa di uguaglianza: Rime LXVII 53 il desire / ... mi combatte così come sole, già citato; If XXI 130 tu se' sì accorto come suoli; e così XVI 68, XXX 125, Fiore XLVIII 2, già citati. In una relativa: Pd XII 123 I' mi son quel ch'i' soglio, e If XXVII 48, già citati. E vada qui anche XI 77 Perché tanto delira / ... lo 'ngegno tuo da quel che sòle?, unico esempio in cui l'infinito sottinteso (‛ essere ' o ‛ accadere ', a seconda delle interpretazioni) è diverso dal verbo della reggente.
In due casi l'infinito ricorre in funzioni di sostantivo con il valore di " solito ": Pg XXVII 90 vedea io le stelle / di lor solere e più chiare e maggiori; Pd XVIII 57 la sua sembianza / vinceva li altri e l'ultimo solere, superava ogni altro aspetto suo, compreso l'ultimo (l'espressione presuppone implicitamente l'uso dell'infinito declinato: li altri [soleri]).