Solidarietà per debiti fiscali e scissione di società
La responsabilità per i debiti tributari, in ipotesi di scissione societaria, è incentrata sul regime della solidarietà fra tutte le società beneficiarie unitamente alla società scissa – vuoi che la scissione sia totale, vuoi che sia parziale. Si tratta di un regime illimitato e senza beneficio di escussione, essendo nella normativa fiscale omesso ogni riferimento al valore effettivo del patrimonio netto che radica, invece, il limite di responsabilità per le obbligazioni in genere. Vengono qui presi in considerazione gli elementi differenziali della disciplina tenendo conto della recente sentenza della Corte costituzionale del 26.4.2018, n. 90.
La scissione societaria disciplinata dagli artt. 2506 c.c. e ss., come modificati dal d.lgs. 17.1.2003, n. 6, consiste nel trasferimento del patrimonio a una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l’assegnazione di azioni o di quote delle stesse ai soci. Ben vero la modifica dell’art. 2506 c.c., che descrive l’operazione come di “assegnazione” patrimoniale dalla scissa alle beneficiarie, anziché come “trasferimento”, secondo il testo dell’anteriore art. 2504 septies c.c., non ha determinato elementi di novità nella fattispecie, i cui confini restano sempre quelli che il legislatore aveva definito nel 1991 in attuazione della sesta dir. 82/891/CEE del Consiglio, del 17.12.1982. L’operazione di scissione determina così, al pari delle altre operazioni straordinarie, una modificazione del contratto sociale. Sul piano generale si distingue la scissione per essere totale o parziale, secondo che la società scissa assegni (o trasferisca) l’intero suo patrimonio a più società (cosiddette beneficiarie), preesistenti o di nuova costituzione, ovvero solo parte del suo patrimonio in favore di più società o, in tal caso, anche di una sola. Le relative azioni o quote, corrispondenti all’intero patrimonio assegnato della società scissa o a parte di esso, sono, di norma, attribuite ai soci della società beneficiaria e, in ipotesi di scissione totale, la società scissa può contestualmente attuare il proprio scioglimento senza liquidazione, essendo stato il suo patrimonio interamente assegnato; così come, alternativamente, può anche continuare la propria attività eventualmente a seguito di una ricapitalizzazione. Si è quindi dinanzi essenzialmente a un’operazione riorganizzativa dell’attività d’impresa in forma societaria e di riassetto della partecipazione (azionaria o per quote) dei soci, pur con effetti traslativi del patrimonio sociale1.
In considerazione del fine che l’operazione complessivamente si propone, è da sempre ritenuta fondamentale l’individuazione dei limiti di responsabilità delle società partecipanti con specifico riferimento ai debiti della scissa.
La complessità della questione è determinata dal differente regime che, al riguardo, caratterizza il versante tributario rispetto a quello civilistico.
Dal punto di vista civilistico rileva l’art. 2506 quater c.c., che contiene la disciplina degli effetti della scissione. La scissione ha effetto dall’ultima delle iscrizioni dell’atto di scissione nell’ufficio del registro delle imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie (salvo che non sia stabilita una data successiva, e tranne che nel caso di scissione mediante costituzione di società nuove), e ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto a essa assegnato o rimasto, dei debiti della scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico. Dal punto di vista tributario rileva invece il distinto principio dettato dall’art. 173, co. 13, d.P.R. 22.12.1986, n. 917, recante il t.u.i.r., e dall’art. 15, co. 2, d.lgs. 18.12.1997, n. 472, in materia di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie. L’art. 173 t.u.i.r., in particolare, contempla un più dettagliato regime giuridico, essenzialmente incentrato sul criterio per cui gli obblighi tributari della società scissa riferibili a periodi di imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione ha effetto sono adempiuti, in caso di scissione parziale, dalla stessa società scissa o trasferiti, in caso di scissione totale, alla società beneficiaria appositamente designata nell’atto di scissione. Peraltro, i controlli, gli accertamenti e ogni altro procedimento relativo ai suddetti obblighi sono svolti nei confronti della società scissa o, nel caso di scissione totale, di quella appositamente designata, ferma restando la competenza dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate della società scissa2. In ogni caso le altre società beneficiarie sono responsabili in solido per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito, e anche nei loro confronti possono essere adottati i provvedimenti cautelari previsti dalla legge. Invero le società coobbligate hanno facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti, senza tuttavia oneri di avvisi o di altri adempimenti per l’amministrazione. L’art. 15 d.lgs. n. 472/1997, integra i suddetti principi stabilendo a sua volta che nei casi di scissione, anche parziale, ciascuna società o ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto. In ordine al profilo di responsabilità è dunque possibile affermare che, quanto ai debiti tributari, il regime della solidarietà fra tutte le società beneficiarie unitamente alla società scissa – vuoi che la scissione sia totale, vuoi che sia parziale – è sempre illimitato e senza beneficio di escussione, essendo nelle distinte norme omesso ogni riferimento al valore effettivo del patrimonio netto.
È opportuno focalizzare l’attenzione sulla suaccennata divergenza di regime tenendo conto della più recente elaborazione giurisprudenziale.
La disciplina civilistica, mediante l’art. 2506 quater c.c., riprende senza sostanziali novità ciò che anteriormente alla riforma era stabilito dall’allora art. 2504 decies c.c.
Diversamente dall’art. 2506 bis c.c., che disciplina la responsabilità solidale per i debiti di incerta destinazione, limitandola solo per le beneficiarie al valore effettivo del patrimonio netto assegnato, ferma la responsabilità integrale per la scissa –, l’art. 2506 quater c.c. (esattamente come l’anteriore art. 2504 decies c.c.) stabilisce che tutte le società coinvolte nel procedimento di scissione siano garanti in via sussidiaria della società titolare del debito. A tal riguardo la Cassazione ha precisato, quanto all’art. 2504 decies, co. 2, c.c., ma con orientamento chiaramente estensibile all’attuale art. 2506 quater, co. 3, c.c., che la previsione va interpretata nel senso che la società scissa risponde sì in via solidale, unitamente alla società di nuova costituzione, beneficiaria di una parte del patrimonio originario, del debito a quest’ultima trasferito o mantenuto, ma con diverse modalità. Le debitrici solidali sono tenute con modalità diverse nel senso che la responsabilità della società scissa, presupponendo che il credito da far valere sia rimasto insoddisfatto, postula solo la previa costituzione in mora della società beneficiaria (cd. beneficium ordinis), non anche la sua preventiva escussione3. Solo la società cui il debito è trasferito o mantenuto risponde dell’intero debito, mentre la società scissa risponde nei limiti della quota di patrimonio netto rimastale al momento della scissione, e dunque disponibile per il soddisfacimento dei creditori. Ciò in quanto la disposizione tende a mantenere integre le garanzie dei creditori sociali per l’ipotesi di scissione, non anche ad accrescerle. La responsabilità per i debiti preesistenti, la cui destinazione è individuata nel progetto di scissione, è quindi diretta e illimitata per la società debitrice, mentre è sussidiaria e limitata al valore effettivo del patrimonio netto per le altre società partecipanti alla scissione: patrimonio netto assegnato alla beneficiaria, se il debito è rimasto nel patrimonio della scissa; patrimonio netto residuo della scissa, se il debito è stato trasferito alla beneficiaria. In ambito civilistico il problema che semmai può prospettarsi attiene alla corretta determinazione del “valore effettivo” del patrimonio netto, che deve essere indicato dagli amministratori nella relazione illustrativa. Da tempo si discute sulla rilevanza di una simile informazione, così come si discute in ordine all’opponibilità di essa ai creditori4, e in generale si ritiene che l’indicazione non sia opponibile ai creditori, nel senso che questi possono sempre agire in giudizio – anche senza necessità di proporre opposizione alla scissione – per far accertare quale sia il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle beneficiarie ovvero rimasto alla scissa, allo specifico fine di determinare la misura della garanzia patrimoniale. Può osservarsi che una conferma in tal senso è costituita dalla previsione di cui all’art. 2506 ter c.c.: la relazione dell’organo amministrativo deve illustrare i criteri di distribuzione delle azioni o delle quote e deve indicare il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle società beneficiarie e di quello che eventualmente rimanga nella società scissa, menzionando, quando la scissione si realizza mediante aumento di capitale con conferimento di beni in natura o di crediti, l’elaborazione della relazione di cui all’art. 2343 c.c. e il registro delle imprese presso il quale tale relazione è depositata. Nondimeno col consenso unanime dei soci e dei possessori di altri strumenti finanziari che danno diritto di voto nelle società partecipanti alla scissione l’organo amministrativo può essere esonerato dalla redazione dei documenti come sopra previsti. Il che testimonia che la relazione è essa stessa disponibile da parte dei soci essendo posta nel loro esclusivo interesse; donde non incide sui diritti dei creditori.
A fronte della dianzi sommariamente riportata ricostruzione della responsabilità civile per i debiti della scissa, ben diverso e ben più tranciante è il modello di responsabilità fiscale. In base al t.u.i.r. la scissione è invero un’operazione fiscalmente neutra, sia con riferimento alle società partecipanti, sia con riferimento ai soci della scissa. In particolare, ai sensi dell’art. 173 t.u.i.r., (i) la scissione totale o parziale di una società in altre preesistenti o di nuova costituzione non dà luogo a realizzo né a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni della società scissa, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento; (ii) nella determinazione del reddito delle società partecipanti alla scissione non si tiene conto dell’avanzo o del disavanzo conseguenti al rapporto di cambio delle azioni o quote ovvero all’annullamento di azioni o quote a norma dell’art. 2506 ter c.c. (in quest’ultima ipotesi i maggiori valori iscritti per effetto dell’eventuale imputazione del disavanzo riferibile all’annullamento o al concambio di una partecipazione, con riferimento a elementi patrimoniali della società scissa, non sono imponibili nei confronti della beneficiaria); (iii)i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti; (iv) il cambio delle partecipazioni originarie non costituisce realizzo, né distribuzione di plusvalenze o di minusvalenze, né conseguimento di ricavi per i soci della società scissa, fatta salva l’applicazione, in caso di conguaglio, dell’art. 47, co. 7, t.u.i.r. e, ricorrendone le condizioni, degli artt. 58 e 87 t.u.i.r. Quanto alle posizioni soggettive riflettenti la responsabilità per i debiti della scissa anteriori alla scissione, l’art. 173, co. 13, t.u.i.r. prevede la regola generale per cui «le altre società beneficiarie sono responsabili in solido per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito», e anche nei loro confronti possono essere adottati i provvedimenti cautelari previsti dalla legge. La giurisprudenza ha interpretato siffatta previsione in modo rigoroso, affermando che, nella scissione parziale, per i debiti fiscali della società scissa relativi a periodi d’imposta anteriori all’operazione, rispondono, ai sensi dell’art. 173, co. 13, t.u.i.r. solidalmente e illimitatamente tutte le società partecipanti alla scissione, come confermato dall’art. 15, co. 2, d.lgs. n. 472/1997, che, con riguardo alle somme da pagarsi in conseguenza delle violazioni fiscali commesse dalla società scissa, prevede la solidarietà illimitata di tutte le beneficiarie5. Nella prospettiva fiscale, cioè, non operano i limiti della responsabilità stabiliti dal codice civile, poiché l’art. 173 t.u.i.r. possiede natura speciale e derogatoria, finendo col sancire un tipo di responsabilità diretta e senza alcuna limitazione. Tale differenza di disciplina, fortemente criticata in dottrina, ha dato luogo al dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 173, co. 13, t.u.i.r. e dell’art. 15, co. 2, d.lgs. n. 472/19976, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. In particolare, si è dubitato della legittimità delle disposizioni nella parte in cui prevedono, per i debiti tributari, la responsabilità solidale illimitata delle società beneficiarie di scissione parziale (ma lo stesso può dirsi per la scissione totale), in luogo di quella, limitata alla quota di patrimonio netto attribuito, prevista dalla disciplina generale per i debiti civilistici. In tal senso le norme citate sono state ritenute in contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, nonché con l’art. 53 Cost., perché l’obbligazione tributaria non sarebbe determinata in ragione della capacità contributiva dell’obbligato. La solidarietà illimitata è stata vista al fondo di indebiti vantaggi per il creditore e di altrettanti svantaggi per le situazioni debitorie pregresse, rispetto al nuovo assetto organizzativo societario, così da rivelarsi incompatibile col già visto principio di neutralità fiscale sancito dai primi tre commi dell’art. 173 t.u.i.r.. Dacché il rilievo di irrazionalità di ciascuna norma, anche tenuto conto delle diverse scelte compiute dal legislatore con riferimento alla cessione d’azienda, regolata dall’art. 14 d.lgs. n. 472/1997, e alla trasformazione e alla fusione, regolate dagli artt. 170, 171 e 172 t.u.i.r. Fattispecie nelle quali la disciplina fiscale si conformerebbe, invece, agli elementi strutturali e alle finalità delle relative operazioni: in caso di cessione di azienda, per essere il cessionario responsabile in solido dei debiti fiscali del cedente entro i limiti del valore dell’azienda ceduta, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente medesimo; in caso di trasformazione e fusione, per essere la responsabilità degli enti una diretta conseguenza del venir meno del soggetto originario. Quanto poi alla specifica disciplina delle sanzioni (art. 15 d.lgs. n. 472/1997), si è osservato che l’equiparazione del trattamento sanzionatorio della società scissa, autrice della violazione, con quello della società beneficiaria, estranea alla commissione dell’illecito, sarebbe in sé determinativa di un contrasto con l’art. 3 Cost.
Gli anzidetti profili di incostituzionalità sono stati ritenuti infondati dalla sentenza 21.3.2018, n. 90, della Corte costituzionale, che ha ribadito la connotazione affatto peculiare dei crediti tributari nell’ordinamento giuridico e ha evidenziato gli elementi di intrinseca razionalità della disciplina di favore per l’amministrazione finanziaria7. Indubbiamente, comparando la disciplina speciale tributaria con quella generale civilistica, si ha che l’amministrazione finanziaria, che vanti un credito tributario nei confronti della società scissa, versa in una situazione più favorevole rispetto a quella dei creditori sociali della medesima società. Essa infatti conserva la garanzia patrimoniale su tutto quello che era il patrimonio della società originariamente debitrice, alla quale si affianca la garanzia costituita dall’intero patrimonio delle società risultanti a seguito della scissione o delle società beneficiarie. In sostanza l’adempimento dell’obbligazione tributaria può contare sulla responsabilità solidale illimitata di tutte tali società, mentre i creditori sociali, diversi dall’amministrazione finanziaria, vedono frazionato il patrimonio della scissa e, con esso, la responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., in parziale deroga al principio generale che governa la responsabilità contrattuale, secondo cui il debitore non può sostituire a sé un terzo senza il consenso del creditore (art. 1406 c.c.). Vero è che i creditori sociali, ove pregiudicati dal frazionamento del patrimonio sociale, possono proporre opposizione alla scissione (ex art. 2506 ter, co. 5,c.c.). È però altrettanto vero che – in considerazione del termine appositamente fissato per la tal opposizione (sessanta giorni) – a tali creditori (e non all’amministrazione finanziaria per i crediti fiscali) è richiesta una particolare vigilanza, tanto più che la Cassazione ha stabilito che, una volta divenuta definitiva la scissione per mancanza di opposizione, non è più possibile domandare l’accertamento dell’invalidità della scissione medesima8.
La circostanza che il piano delle obbligazioni tributarie veda i debitori obbligati tutti per la medesima prestazione, e quindi tenuti all’adempimento per la totalità, a prescindere dal valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria, si è detta confacente alla specialità dei crediti in ragione dello stretto rapporto di derivazione dal precetto di cui all’art. 53, co. 1, Cost.
Di tale specialità la Corte costituzionale non ha mancato di evidenziare la ragione.
Poiché tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in proporzione alla loro capacità contributiva, i crediti tributari vanno ad alimentare la finanza pubblica onde sia assicurato il prescritto equilibrio di bilancio tra entrate e spese, elevato a vincolo costituzionale dalla l. cost., 20.4.2012, n. 1. E poiché la sostenibilità della finanza pubblica e la stabilità finanziaria costituiscono altresì vincoli europei a seguito del Trattato 2.3.2012 sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nella UE, ne deriva un’esigenza ancora superiore di regolare l’adempimento delle obbligazioni tributarie, in quanto su tale regolare adempimento l’amministrazione finanziaria deve poter confidare proprio al fine di conseguire l’equilibrio di bilancio e di rispettare i parametri europei del debito pubblico.
La rilevata connotazione di specialità dei crediti tributari giustifica, quindi, sul piano costituzionale, il rispetto del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, nonostante che in caso di scissione societaria vi sia una disciplina differenziata quanto al regime della solidarietà per i debiti sociali, più favorevole per l’amministrazione finanziaria.
La necessità infatti che sia assicurato il regolare adempimento delle obbligazioni tributarie si traduce nell’esigenza di conservazione piena della garanzia ex art. 2740 c.c. quanto al patrimonio della società originaria, che permane con la stessa non limitata ampiezza sul patrimonio delle società risultanti dalla (o interessate alla) scissione.
Né l’obiettivo che l’operazione di scissione societaria non abbia a essere pregiudizievole per l’amministrazione finanziaria può ritenersi in contrasto col criterio di neutralità dell’operazione sotto l’aspetto passivo.
In verità il versante della neutralità va considerato nel suo insieme, ed è abbastanza ovvio che quello della responsabilità patrimoniale è coerente, in chiave sistematica, con la neutralità sul versante attivo. Il versante passivo è garantito dalla non configurabilità di plusvalenze tassabili dei beni della società scissa secondo il disposto dell’art. 173, co. 1, t.u.i.r. La neutralità fiscale della scissione societaria, quale operazione sostanzialmente organizzativa di riassetto della partecipazione societaria, è quindi incontestabilmente legata al fatto che se essa, da un lato, non pregiudica l’amministrazione finanziaria – perché quest’ultima conserva la garanzia patrimoniale potendo contare sulla (non limitata) responsabilità solidale delle società risultanti dalla scissione –, dall’altro non produce plusvalenze tassabili dei beni della scissa. D’altronde la solidarietà per i debiti tributari non costituisce una sopravvenienza imprevedibile, lesiva dell’affidamento delle società beneficiarie, poiché la scissione societaria trae origine da un atto volontario e consapevole anche in relazione ai debiti tributari della società scissa, nella misura in cui questi ultimi risultino – secondo un principio di precauzione – dal progetto di scissione recante la situazione patrimoniale con l’allegata relazione illustrativa ex artt. 2506 bis e 2506 ter c.c. Da questo punto di vista la disciplina della responsabilità per i debiti tributari della scissa non viola neppure il principio di capacità contributiva.
È decisivo sottolineare che la capacità contributiva rileva in capo alla società del cui debito si tratta, e tale è quella originariamente debitrice. Sarebbe irrazionale parametrare il concetto al patrimonio netto delle beneficiarie, perché codeste assumono rilevanza a seguito di un’operazione (di scissione) alla quale l’amministrazione finanziaria è del tutto estranea, e che invece resta sempre nella disponibilità della società debitrice.
Occorre dire che una tal differenza di disciplina degli effetti del fenomeno organizzativo societario, quando si passi dal piano del diritto civile al piano del diritto tributario, non deve stupire. Per quanto non direttamente sottolineato dalla Corte costituzionale, è un fatto che il diritto tributario e il diritto civile guardano alle operazioni straordinarie delle società, e in genere ai fenomeni commerciali, in un’ottica del tutto diversa: al primo interessa essenzialmente la determinazione della correlata capacità economica, mentre al secondo interessano i rapporti interni ed esterni, negoziali, di corporate governance e via dicendo, col fine di tutela dei soci, dei creditori o dei terzi. Se dunque la disciplina specifica degli effetti della scissione sui debiti fiscali non appare suscettibile di censure sul versante della coerenza intrinseca e dei parametri costituzionali, taluni profili problematici residuano dal punto di vista procedimentale e in rapporto al regime del regresso.
In linea generale l’istituto del regresso consente di bilanciare il vincolo di solidarietà piena delle beneficiarie, sicché il vincolo che per i debiti fiscali grava sulle società beneficiarie a seguito della scissione, per quanto speciale sul piano della disciplina propria, va coordinato con la disciplina ordinaria dell’azione di regresso tra coobbligati prevista dall’art. 1299 c.c. L’effetto di bilanciamento si coglie pienamente in ciò: che, nella scissione, il carattere illimitato della responsabilità patrimoniale solidale delle società beneficiarie nei confronti dell’amministrazione finanziaria non esclude – e anzi necessariamente comporta – che nei rapporti interni tra debitori solidali l’esposizione di ciascuna sia infine pur sempre contenuta nel limite del patrimonio assegnato. Da tal punto di vista sembra possibile affermare che il contenimento rileva nonostante la presunzione di cui all’art. 1298, co. 2, c.c., secondo la quale l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori in parti eguali ove non risulti diversamente. Consegue che la società beneficiaria, alla quale sia stato chiesto dall’amministrazione finanziaria il pagamento dell’intero, ha azione di regresso nei confronti delle altre coobbligate, ma nei limiti dell’eccedenza.
Più delicato è il profilo concerne l’ambito delle garanzie procedimentali. Il legislatore tributario esonera gli uffici da ogni onere di comunicazione, nei confronti dei coobbligati, degli atti emessi a carico della scissa o della beneficiaria designata, limitandosi a stabilire la facoltà delle debitrici di partecipare ai procedimenti già instaurati. Tanto legittima il principio giurisprudenziale secondo cui i procedimenti riguardanti gli obblighi tributari per i periodi d’imposta anteriori alla scissione sono svolti nei confronti della società scissa, se si sia trattato di scissione parziale, e di quella designata, se la scissione sia stata totale; anche se possono essere adottati i provvedimenti cautelari e compiute tutte le attività di riscossione pure nei confronti delle beneficiarie solidalmente responsabili. Ciò può esser fatto senza oneri di avvisi o altri adempimenti per l’amministrazione, salva la possibilità per le società beneficiarie di partecipare ai relativi procedimenti e prendere visione degli atti. Per esempio, notificato un avviso di accertamento nei confronti della società scissa o della designata, anche in epoca successiva all’efficacia della scissione, non vi è necessità di rinnovare la notifica, né di integrare il contenuto della conseguente cartella di pagamento nei confronti delle società beneficiarie9. La Suprema Corte ha altresì chiarito che, una volta intervenuta la notifica dell’avviso di accertamento a carico della società scissa, ai fini della notifica della successiva cartella di pagamento nei confronti della beneficiaria dopo l’efficacia della scissione non sussistono neppure requisiti motivazionali della cartella ulteriori rispetto a quelli dettati, in linea generale, dall’art. 25, d.P.R 29.9.1973, n. 602. Proprio l’art. 173 t.u.i.r. esclude, invero, il sussistere di tali requisiti motivazionali ulteriori.
Fermo il principio, già affermato dalla giurisprudenza secondo cui, in base a detto art. 173, co. 13, t.u.i.r. non è necessario reiterare la notifica dell’avviso di accertamento alla società beneficiaria della scissione ai fini del conseguente procedimento di riscossione, è giocoforza ritenere che, nella scissione parziale, per le obbligazioni tributarie anteriori alla scissione «gli accertamenti e ogni altro procedimento […] sono svolti nei confronti della società scissa», mentre resta salva, nella scissione totale, la prosecuzione dell’accertamento presso la designata. Le società beneficiarie, obbligate in ogni tipologia di scissione solidalmente e illimitatamente – e assoggettate anche ai provvedimenti cautelari consequenziali – hanno solo la «facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti». Il che – responsabilizzando gli organi della società beneficiaria che dalla scissa traggono la loro ragion d’essere – implica che nessuno specifico ulteriore onere di comunicazione sussiste a carico dell’ente impositore (o, per esso, dell’ente di riscossione), una volta che i passaggi procedimentali previsti siano stati attuati nei confronti della scissa. Tale soluzione ha ingenerato perplessità derivanti dal fatto che le società coobbligate sono alfine chiamate a rispondere delle obbligazioni tributarie della scissa nonostante che alle stesse non siano notificati gli atti diretti a codesta. Cosicché la società coobbligata, nonostante sia estranea agli atti impositivi, resterebbe sottoposta dopo l’iscrizione a ruolo a carico della scissa (o della designata), all’esazione coattiva del debito. Ciò – si è detto – sarebbe distonico rispetto alla sequenza che lega l’atto impositivo, il ruolo e la cartella, e il cui rispetto determina la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria secondo una progressione ben determinata di atti10. Non sembra per la verità che simili obiezioni abbiano fondamento. È da considerare risolutiva la circostanza che l’individuazione di uno o più nuovi soggetti giuridici all’esito della scissione resta (deve restare) sempre neutra e indifferente ai fini tributari, salvo che per la responsabilità, altrimenti insussistente, delle partecipanti quali condebitrici solidali a prescindere dai limiti di cui all’art. 2506 quater c.c., e salvo che per la prosecuzione nei confronti di queste dell’accertamento e della riscossione. La ratio di tale disciplina è individuata nella circostanza per cui – secondo l’id quod plerumque accidit – gli organi delle società beneficiarie sono da ritenere informati della precedente vita societaria. E in ogni caso sarebbe irrazionale semmai proprio la diversa ipotizzata conclusione che imponesse all’amministrazione finanziaria, in dipendenza di un’operazione societaria che essa non può in alcun modo impedire o posporre, procedimenti di accertamento o riscossione dei tributi inutilmente aggravati, o assoggettati a incertezza quanto alla regolarità e all’esito. Il che certamente avverrebbe ove tali procedimenti dovessero essere rinnovati o integrati. In altre parole, operazioni straordinarie a tipo scissione possono essere realizzate in qualunque stadio dei procedimenti tributari, anche a fini di mero ostacolo dell’attività impositiva, e tanto legittima, come opportunamente osservato dalla Cassazione11, la scelta del legislatore di evitare oneri di avvisi o altri adempimenti per l’amministrazione, salva la possibilità per le beneficiarie di partecipare ai relativi procedimenti e di prendere visione degli atti.
Dalla previsione dell’art. 173, co. 13, t.u.i.r. circa la possibilità delle coobbligate di partecipazione al procedimento avente a oggetto il debito tributario della società scissa può trarsi argomento per dire che l’eventuale controversia tributaria, in cui l’amministrazione finanziaria faccia valere la piena responsabilità patrimoniale di una sola società beneficiaria, legittima altresì l’intervento nel giudizio di tutte le altre. Ciò ancorché non sia configurabile nella fattispecie un’ipotesi di litisconsorzio necessario.È da ritenere che le società coobbligate possano essere chiamate in quello stesso giudizio dalla beneficiaria cha sia stata richiesta dell’adempimento integrale, perché comunque tutte le altre società, oltre alla stessa scissa, sono parti del rapporto societario sostanziale sotteso all’operazione straordinaria. In un simile contesto processuale con pluralità di parti (art. 14 d.lgs. 31.12.1992, n. 546, recante le disposizioni sul processo tributario) dovrebbe trovar tutela l’interesse della società beneficiaria che sia (stata) esposta per l’intero nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Per modo tale da consentire la formazione del giudicato anche nei confronti delle altre società obbligate in solido, in vista giustappunto dell’azione conseguente di regresso per la parte eccedente il patrimonio assegnato o la quota di obbligazione solidale. Ben vero è da avvertire che solo una esegesi di tal fatta consente di mantenere inalterate le garanzie procedimentali. Se infatti si rimanesse ancorati al dato testuale potrebbero configurarsi talune difficoltà ad ammettere l’intervento nel giudizio tributario e con esso il pieno dispiegarsi del diritto di difesa. Occorre puntualizzare che il discorso è nel concreto necessariamente limitato alla tipologia dell’intervento adesivo dipendente, vale a dire all’intervento col quale il terzo si limita a sostenere le ragioni di una parte del giudizio poiché titolare di un rapporto strutturalmente dipendente da quello che ne costituisce oggetto. La solidarietà che si determina per l’obbligazione tributaria in caso di scissione è da questo punto di vista tipicamente riconducibile alla sfera dell’intervento adesivo dipendente, visto che le società beneficiarie, coobbligate, sono estranee al rapporto tributario della scissa e alla relativa consequenziale fase attuativa. Sennonché per molto tempo la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile, nel processo tributario, l’intervento adesivo dipendente, ravvisandone l’incompatibilità con la natura impugnatoria del giudizio, la cui introduzione è notoriamente subordinata a un termine di decadenza. In particolare è stata ravvisata un’incompatibilità dell’intervento adesivo dipendente proprio in base al testo dell’art. 14 d.lgs. n. 546/1992. E in effetti l’art. 14 cit., letteralmente consentendo all’interveniente di proporre domande diverse da quelle avanzate dalle parti originarie soltanto qualora l’intervento abbia luogo entro il termine assegnato per l’impugnazione, sembra riconoscere la legittimazione a intervenire ai soli soggetti che, in qualità di destinatari dell’atto o parti del rapporto controverso, potrebbero proporre essi stessi un’autonoma impugnazione. Dunque in tal senso sembrerebbe escludere, invece, la possibilità di spiegare intervento a tutela di interessi sui quali l’atto può produrre un effetto di mero pregiudizio o di vantaggio12. La giurisprudenza successiva ha peraltro mostrato di voler superare una simile angusta visione della facoltà di intervento nel giudizio tributario. Da un lato si è affermato il principio secondo cui in un tale processo, e ai sensi dell’art. 14, co. 3, d.lgs. n. 546/1992, possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio solo i soggetti che, insieme al ricorrente, siano destinatari dell’atto impugnato o siano parti nel rapporto controverso13. Dall’altro è stato precisato che il soggetto potenzialmente inciso dal tributo, perché possibile destinatario di rivalsa per traslazione a suo carico dell’imposta cui altri sia tenuto e che trovi la propria determinazione nel corso del giudizio, può proporre anch’egli intervento adesivo dipendente, limitandosi a chiedere l’accoglimento della domanda già proposta dal contribuente e senza ampliare in alcun modo il thema decidendum con autonomi motivi di ricorso14. Gli enunciati completano il percorso dell’interpretazione evolutiva della norma processuale. Ed è certamente da condividere l’assunto che impone di far luogo a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, co. 3, d.lgs. n. 546/1992. Una simile interpretazione porta a non escludere l’ammissibilità dell’intervento adesivo dipendente di chi, pur non essendo destinatario dell’atto impositivo impugnato, potrebbe esser chiamato ad adempiere l’obbligazione tributaria. Cosa che giustappunto accade quando la legge riconosce un determinato soggetto come solidalmente responsabile per il debito d’imposta, nonostante egli non abbia realizzato un fatto indice di capacità contributiva15. In tal caso la responsabilità solidale trae fondamento nell’essere la posizione di quel terzo di per sé collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui l’amministrazione finanziaria è da considerare, tuttavia, estranea.
È utile sottolineare che, per esempio, in base a consimile principio la Cassazione ha ritenuto ammissibile l’intervento, oltre tutto spiegato direttamente nel giudizio di appello, dell’acquirente del ramo d’azienda del soggetto destinatario dell’avviso opposto, responsabile solidale, fatto salvo il beneficio di escussione del cedente, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti16. Ebbene la fattispecie della responsabilità d’imposta delle società beneficiarie della scissione rientra in pieno in simile prospettiva. E anzi da tal punto di vista proprio l’art. 173 t.u.i.r. consente di declinare la correttezza dell’esegesi in senso evolutivo dell’art. 14 d.lgs. n. 546/1992. Ogni diversa interpretazione, infatti, che escludesse la possibilità di spiegare intervento ad adiuvandum della società coobbligata solidale nella controversia insorta con l’amministrazione finanziaria quanto al debito d’imposta facente capo alla società originaria, avrebbe la conseguenza di privare il condebitore solidale di ogni possibilità di difesa. La sfera economico-giuridica delle società beneficiarie obbligate per i debiti della scissa, ovvero della società designata, resterebbe in tal modo incisa irreversibilmente dall’esito del giudizio, nonostante che alle stesse nessun atto sia stato notificato. E in questo modo le suddette società, senza avere la qualità di obbligate principali per le imposte, e senza essere destinatarie degli atti impositivi diretti alla formazione del titolo, resterebbero praticamente senza tutela, poiché soggette all’iscrizione a ruolo a carico della scissa o della designata e all’esazione del debito. L’incidenza della fattispecie sulla loro responsabilità dipendente, sostanzialmente correlata a un’obbligazione di garanzia illimitata ex lege a beneficio dell’amministrazione finanziaria per i debiti scaturenti da un rapporto tributario proprio di altro soggetto (la scissa), non consentirebbe neppure l’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c., poiché la mancata riproduzione di tale norma nel processo tributario (art. 50 d.lgs. n. 546/1992) non lascia spazio alla proponibilità del rimedio. Delineando la possibilità dell’intervento (o della chiamata) in giudizio delle società beneficiarie coobbligate per i debiti della scissa, ovvero della beneficiaria designata, è possibile completare il quadro delle garanzie direttamente previste dall’art. 173, co. 13, t.u.i.r., il cui testuale riferimento è limitato alla facoltà di partecipazione ai «suddetti procedimenti» – id est, a quelli amministrativi di accertamento e controllo.
1 Cfr. Cass., S.U., 15.11.2016, n. 23225.
2 Se la designazione è omessa si considera designata la beneficiaria nominata per prima nell’atto di scissione.
3 Cass., 7.3.2016, n. 4455; Cass., 24.4.2003, n. 6526. Nel senso invece della sussistenza di un vero beneficio di escussione, Cass., 28.11.2001, n. 15088.
4 Indicativamente Scognamiglio, G., Le Scissioni, in Trattato della società per azioni, diretto da Colombo, G.E.Portale, G.B., Torino 2004, 7, 284; Picone, L.G., in Trasformazione – Fusione – Scissione, Bianchi, L.A., a cura di, Milano 2007, 1169 e seg.; Magliulo, F., La scissione delle società, Milano 2012, 670 e ss.
5 Cfr. Cass., 24.6.2015, n. 13059; Cass., 11.5.2016, n. 9594. In dottrina, in senso critico, Montanari, F., La responsabilità tributaria nelle operazioni di scissione parziale: la deriva della Suprema Corte verso la salvaguardia della ragion fiscale, in Riv. dir. trib. 2018, 4 e ss.
6 C.T.P. Pisa, 10.9.2015, n. 10 inedita.
7 Sui temi implicati dalla sentenza cfr. Beghin, M., Scissione societaria e responsabilità d’imposta delle beneficiarie: una questione di “garbo giuridico”, in Corr. trib., 2018, 2675; Ferrara, G., Il principio dell’equilibrio di bilancio e l’interesse fiscale non giustificano la responsabilità solidale illimitata della beneficiaria di scissione parziale, in GTRiv. giur. trib. 2018, 568; Fimmanò, F., La Consulta introduce la “supersolidarietà” tributaria nella scissione, in Soc., 2018, 894.
8 Cass., 20.11.2013, n. 26043. E si noti che l’irreversibilità dell’operazione di scissione societaria in caso di concordato fallimentare è ora prevista come criterio di delega dall’art. 6, co. 2, lett. c), della l. delega 19.10.2017, n. 155, per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza.
9 Così Cass., 16.11.2016, n. 23342.
10 Cfr. tra gli altri Manoni, E., Scissione societaria e limiti alla responsabilità per i debiti fiscali, in Il Fisco 2016, 467.
11 Cons. specificamente Cass., 16.11.2016, n. 23342.
12 Cfr. in particolare Cass., 10.11.2006, n. 24064, che in base al principio ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile l’intervento in appello spiegato da un comune in un giudizio avente a oggetto l’impugnazione di un atto di classamento, escludendo che l’ente fosse destinatario dell’atto o parte del rapporto controverso.
13 Cfr. Cass., 11.9.2013, n. 20803, che nell’enunciare il principio ha ritenuto ammissibile l’intervento volontario adesivo dipendente di una regione nel giudizio di secondo grado, in quanto interessata perché destinataria dell’intero gettito dell’IRAP.
14 Specificamente Cass., 19.4.2013, n. 9567.
15 Sul tema, in generale, Fransoni, G., L’esecuzione coattiva a carico dei debitori diversi dall’obbligato principale, in Rass. trib. 2011, 823; Castaldi, L., L’intervento adesivo dipendente nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Rass. trib., 2012, 1284.
16 Così Cass., 12.1.2012, n. 255.