Abstract
Viene esaminata la disciplina della solidarietà avuto riguardo all’individuazione delle singole fattispecie ed in relazione al regime sostanziale, procedimentale e processuale. Premessa, quindi, la tradizionale distinzione tra solidarietà paritetica e dipendente, si tenta un inquadramento sistematico delle più recenti fattispecie non trascurando l’analisi della applicazione al diritto tributario delle previsioni contenute nel codice civile a partire dall’art. 1292. Ci si sofferma, da ultimo, sui problemi rimasti irrisolti sul piano processuale avuto specifica attenzione alla necessità di conciliare il diritto alla difesa con i principi sanciti dagli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione.
L’istituto della solidarietà tributaria pone l’interprete di fronte a dubbi non sempre agevolmente risolvibili in ragione degli elementi caratteristici e delle peculiarità della nostra materia. Come è noto, infatti, il diritto tributario non conosce un’autonoma disciplina delle obbligazioni solidali ancorché di esse ci si debba occupare in forza del richiamo contenuto in singole leggi di imposta ai casi di responsabilità solidale ovvero alle ipotesi di responsabili in solido; rinvio estremamente frequente dal momento che l’istituto ha finito con il rappresentare uno degli strumenti giuridici più efficaci per la tutela dell’interesse dello Stato garantendo una pronta e sicura riscossione dei tributi.
L’analisi del fenomeno richiede l’esame di tre distinti profili: sostanziale, procedimentale e processuale ed impone fin da subito alcune precisazioni. Innanzitutto, occorre sottolineare come, in assenza di una definizione specifica, mentre si ritiene comunemente che il riferimento sia alla nozione di solidarietà di cui all’art. 1292 c.c. (più debitori obbligati tutti per la medesima prestazione in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri), l’opinione di dottrina e giurisprudenza non è unanime avuto riguardo agli effetti riconducibili all’applicazione dell’art. 1292 c.c. nonché all’estensione della disciplina civilistica complessivamente intesa ovvero di singole previsioni contenute nel codice civile (sull’applicabilità delle norme del codice civile, in una prospettiva di teoria generale, cfr. Vanoni, E., Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, in Opere giuridiche, I, Milano, 1961, 130 ss. Dissente da quanti affermano che l’obbligazione tributaria sarebbe soggetta al regime privatistico Russo, P., Manuale di diritto tributario, Milano, 2007, 183 ss. Per una ricostruzione strettamente privatistica dell’obbligazione tributaria, confronta, per tutti, Batistoni Ferrara, F., Obbligazione nel diritto tributario, in Dig. comm., vol. XI, Torino, 1994, 296 ss.).
Indispensabile è, poi, premettere, la distinzione tra solidarietà paritetica e solidarietà dipendente al fine di distinguere tra coloro ai quali è direttamente imputabile il presupposto d’imposta e coloro ai quali è invece riferibile esclusivamente l’effetto giuridico che sorge dal verificarsi della fattispecie di cui è titolare il debitore principale, soggetto passivo in senso proprio (per un ampio inquadramento dell’elaborazione dottrinale sul tema della soggettività tributaria: Giovannini, A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, passim e specialmente 273 ss.).
Infine, si impongono due ulteriori precisazioni sintetizzabili nella riconosciuta inapplicabilità dello schema della solidarietà attiva (cfr. per tutti: Moretti, G.C., Gli Enti locali nel processo e nel procedimento tributario, Padova, 1976) e nell’impossibilità di ricomprendere nell’alveo della solidarietà tributaria le ipotesi di obblighi strumentali posti a carico di una pluralità di soggetti (Castaldi, L., Solidarietà tributaria, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2; Miccinesi, M., Solidarietà nel diritto tributario, in Dig. comm., vol. XIV, Torino, 1997, 446; Fregni, M.C., Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, 265).
Si configura solidarietà paritetica ogniqualvolta il legislatore prende atto del verificarsi di un presupposto d’imposta che per sua natura è passibile di essere riferito a più soggetti cosicché tutti sono tenuti all’adempimento di un’obbligazione impositiva per avere partecipato o concorso al suddetto presupposto. In questo caso, la scelta del legislatore avviene conformemente al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. in quanto, di fronte ad un presupposto d’imposta suscettibile di riferirsi ad una pluralità di soggetti, ciascuno degli interessati manifesta una propria attitudine alla contribuzione (Fedele, A., La solidarietà tra più soggetti coinvolti nel prelievo,in La casa di abitazione tra normative vigenti e prospettive, III, Aspetti finanziari e tributari, Milano, 1986, 509 ss.). Detto in altri termini, l’ipotesi di solidarietà nel debito tributario si verifica, in applicazione del principio fissato nell’art. 1294 c.c., ogniqualvolta più soggetti si trovano, rispetto ad una distinta fattispecie, nella relazione posta dalla legge per la nascita dello stesso debito. Diversamente il legislatore potrebbe riferire l’obbligazione d’imposta ad uno soltanto dei soggetti ai quali il presupposto è ascrivibile nella sua interezza, mentre quando il fatto economico è inscindibilmente riferibile per intero ad entrambi i soggetti non potrebbe frazionare il presupposto d’imposta in tante porzioni quanti sono i soggetti coinvolti (per questi aspetti Miccinesi, M., Solidarietà, cit., 446 e Schiavolin, R., Il collegamento soggettivo, in La capacità contributiva,a cura di F. Moschetti, Padova, 1993, 83). Occorre, tuttavia, distinguere le ipotesi anzidette, in cui il medesimo presupposto imputabile ai soggetti passivi risulta indivisibile e per il quale, stante il divieto di doppia imposizione, non è ipotizzabile che possano essere colpiti distintamente tutti i soggetti passivi (così Castaldi, L., op. cit., 4 e Miccinesi, M., op. loc. ultt. citt.), da quelle rispetto alle quali il fatto indice di capacità contributiva, seppure assunto unitariamente dal legislatore, si prospetta come divisibile per quote tra i condebitori. In questi casi, infatti, il condebitore chiamato a corrispondere il tributo per l’intero è, di fatto, investito del prelievo in misura superiore alla propria capacità contributiva (in termini critici Moschetti, F., Capacità contributiva, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 13) con conseguente disparità di trattamento ed in contrasto, quindi, non solo con l’art. 53 della Costituzione, ma anche con l’art. 3 della legge fondamentale «per l’assoluta identità di situazioni e l’assenza di valide ragioni discriminatorie»(l’espressione è di Miccinesi, M., op. loc. ultt. citt.).
Il tema della rilevanza della fattispecie imponibile in termini di indice unitario di capacità contributiva (ovvero di più presupposti in ragione degli eventuali più soggetti passivi), nell’ambito specifico dell’imposta di successione, è stato affrontato in dottrina particolarmente da Fedele A. (La solidarietà, cit., 542 ss.). Sotto questo profilo, l’Autore evidenzia come, pur muovendo da una concezione unitaria della fattispecie imponibile, non si possa negare che da essa emerga un criterio di ripartizione del tributo fra i più soggetti passivi rilevanti anche in ordine al principio di capacità contributiva. In altre parole, l’imposta non può che ripartirsi in proporzione al valore del lascito spettante a ciascun successore e la capacità contributiva evidenziata dal presupposto è «divisibile», per quote, in relazione ai diversi coeredi. Ne discende che l’orientamento assunto dal diritto vivente (C. cost., 19.03.1985, n. 68) che attribuisce natura principale o paritetica alla coobbligazione dei coeredi e li qualifica tutti come soggetti passivi in ragione di un unico presupposto, si deve ritenere condizionata da un’esigenza di “difesa dell’istituto della solidarietà passiva in materia tributaria” ma non risolve del tutto i dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina della solidarietà nell’imposta di successione. Né, per questo aspetto, si può ritenere che possa venire in soccorso, con effetto risolutivo, l’istituto della rivalsa che affida al corretto atteggiarsi dei rapporti interni tra condebitori la giusta ripartizione dell’onere tributario (Fantozzi, A., La solidarietà tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Padova, 1994, vol. II, 453). Mi sembra, infatti, che sul punto si debba convenire con quanto afferma Miccinesi M. (op. cit., 447) per il quale la redistribuzione fra i vari coobbligati dell’onere economico, da uno di essi soltanto sopportato in sede di adempimento dell’obbligazione nei confronti dell’erario, non attiene più a profili di attuazione dell’obbligo contributivo ma si pone unicamente sul piano dei rapporti interni tra i diversi soggetti passivi come dimostra il fatto che il singolo contribuente può risultare gravato da un peso contributivo non corrispondente alla sua effettiva capacità contributiva tutte le volte che l’azione di regresso non si conclude positivamente.
Venendo ora all’esame delle fattispecie cui l’ordinamento riconduce il regime della solidarietà tributaria paritetica (comprendendo anche quelle ipotesi rispetto alle quali la corrispondenza con il precetto costituzionale non appare perfetta), si può senz’altro sottolineare come il ricorso a questo istituto sia sempre meno diffuso e, venute meno l’ILOR e INVIM, risulti oggi limitato ad un numero esiguo di fattispecie, tutte riconducibili alle imposte indirette qui di seguito elencate:
a) l’art. 57, d.P.R. 26.04.1986, n. 131 per il quale al pagamento dell'imposta in materia di registro sono obbligate solidalmente le parti contraenti;
b) l’art. 36, d.lgs. 31.10.1990, n. 346 a mente del quale nell’ambito dell’imposta di successione gli eredi sono obbligati solidalmente al pagamento dell’anzidetta imposta nell’ammontare complessivamente dovuto anche dagli eventuali legatari;
c) ancora, l’art. 65, co. 1, d.P.R. 29.09.1973, n. 600, che, avuto specifico riguardo alla posizione degli eredi, prevede che essi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa.
Sicuramente più numerose, le ipotesi di solidarietà dipendente sono riconducibili a schemi tra loro profondamente diversi, cosicché, fatta salva la comune esigenza di garanzia per la riscossione del tributo ancorata ad un nesso di pregiudizialità-dipendenza posto dal legislatore, si rivela oltremodo difficile il tentativo di un inquadramento sistematico uniforme (sull’impossibilità di definire un’unica figura di obbligazione solidale si veda per tutti Busnelli, F., L’obbligazione soggettivamente complessa, Milano, 1974, 60).
Seguendo l’impostazione tradizionale, vengono innanzitutto in considerazione i casi in cui la legge riferisce il pagamento e/o l’adempimento di obblighi di carattere strumentale anche a soggetti diversi da coloro nei cui confronti viene in essere il presupposto d’imposta soddisfacendo così l'esigenza di rendere più agevole il prelievo. Il riferimento è alla figura del responsabile d’imposta; di colui, cioè, che, ai sensi dell’art. 64 del d.P.R. n. 600/1973, in forza di disposizione di legge, è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi.
Scopo della coobbligazione solidale, è, in questa ipotesi, la funzione di garanzia rispetto all’adempimento dell’obbligazione principale. La coobbligazione solidale dipendente pone, infatti, l’obbligo del pagamento del tributo a carico di un soggetto completamente estraneo alla manifestazione di capacità contributiva che ha generato il debito d’imposta e in questo caso, al fine di evitare il contrasto con l’art. 53 Cost., il diritto del coobbligato dipendente di rivalersi sul debitore principale non può essere in alcun modo limitato (così Miccinesi, M., op. cit., 452).
Sulla compatibilità della coobbligazione solidale dipendente con il principio di capacità contributiva la Corte costituzionale esprime un orientamento consolidato, rievocato, da ultimo, nell’ordinanza 13.06.2008, n. 211. Afferma la Corte che il principio di capacità contributiva non esclude ex se che la prestazione patrimoniale possa essere posta a carico anche di soggetti diversi dal debitore principale inciso dal prelievo non ostando in tal senso la costituzione di una solidarietà tributaria passiva.
I casi di responsabilità d’imposta sono numerosi. A titolo di esempio, si possono ricordare:
a) l’art. 10 del T.U. delle imposte di registro (notai, ufficiali giudiziari, segretari o delegati della pubblica amministrazione, pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati);
b) l’art. 28 del d.lgs. n. 346/1990, che sancisce, in tema di imposta sulle successioni, l’obbligo della dichiarazione, oltre che per gli eredi e i legatari, anche per i loro rappresentanti legali, gli amministratori delle eredità e i curatori delle eredità giacenti nonché gli esecutori testamentari;
c) l’art. 35, co. 28, d.l. 4.7.2006, n. 223, convertito dalla l. 4.8.2006, n. 248, che, in caso di appalto di opere o di servizi, prevede che l’appaltatore risponde in solido con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore all’erario in ragione delle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto. In questo caso la responsabilità solidale viene meno qualora l’appaltatore verifichi, acquisendo la documentazione prima del versamento del corrispettivo, che gli adempimenti di cui al periodo precedente, scaduti alla data del versamento, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore. L’attestazione dell’avvenuto adempimento dei suddetti obblighi può essere rilasciata anche attraverso un’asseverazione dei soggetti richiamati dall’art. 35, co. 1, d.lgs. 9.7.1997, n. 241, e all’art. 3, co. 3, lettera a), del regolamento di cui al d.P.R. 22.7.1998, n. 322. L’appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione della predetta documentazione da parte del subappaltatore. Gli atti che devono essere notificati entro un termine di decadenza al subappaltatore sono notificati entro lo stesso termine anche al responsabile in solido;
d) l’art. 14, co. 5, d.l. 14.3.2005, n. 35, convertito dalla legge n. 80 del 14 maggio dello stesso anno, che sancisce la responsabilità solidale dell’ente beneficiario e dei suoi amministratori con i soggetti erogatori per le maggiori imposte accertate e per le sanzioni nel caso in cui si riveli indebita la detrazione di liberalità a favore di onlus o soggetti del terzo settore, risultando non sussistenti, in capo all’ente beneficiario, i caratteri solidaristici e sociali dichiarati.
In tutti questi casi, il legislatore subordina la responsabilità alla connessione tra le diverse situazioni giuridiche del soggetto passivo e del responsabile, la cui posizione finisce per essere qualificata dall’esercizio di una funzione pubblica, ovvero, più semplicemente, dall’interesse alla riscossione dell’imposta.
Il responsabile d’imposta è posto, qui, nei rapporti con l’ente impositore, alla stessa stregua del debitore principale, in modo che il creditore può indifferentemente rivolgersi a lui anziché, o prima che, al soggetto passivo del tributo. Costituisce un’eccezione, rispetto a questo schema, la figura dello spedizioniere doganale cui l’amministrazione in forza dell’art. 41, d.P.R. 23.1.1973, n. 43, si può rivolgere soltanto dopo l’inutile escussione del debitore principale.
Altre figure di responsabile d’imposta discendono da mutamenti successivi dei soggetti passivi (Castaldi, L., op. cit., 454). Così, l’art. 14 del d.lgs. 18.12.1997, n. 472 stabilisce, per esempio, la responsabilità del cessionario di un’azienda, salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente, per il pagamento delle imposte e delle sanzioni riferibili all’anno nel quale è avvenuta la cessione e nei due anni precedenti nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
Infine, in materia IVA, si devono segnalare le ipotesi contemplate dall’art. 17, co. 3, d.P.R. 26.10.1972, n. 633 per il quale il rappresentante fiscale del soggetto non residente risponde in solido con il rappresentato relativamente agli obblighi derivanti dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto. Mentre, a mente dell’art. 60 bis del medesimo decreto, in caso di mancato versamento dell'imposta da parte del cedente per cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale nelle ipotesi di beni appartenenti a specifiche categorie (individuate con d.m. 22.12.2005), il cessionario, sia esso soggetto passivo in senso formale o meno (co. 3 bis), è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta. In tal caso l’obbligato solidale di cui al co. 2, può, tuttavia, documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta mentre il cessionario che non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni può regolarizzare la violazione versando la maggiore imposta dovuta entro sessanta giorni dalla stipula dell’atto. Entro lo stesso termine, il cessionario che ha regolarizzato la violazione presenta all’ufficio territorialmente competente copia dell’attestazione del pagamento e delle fatture oggetto della regolarizzazione.
Parzialmente difformi dagli schemi fino ad ora tratteggiati si rivelano le due ipotesi di solidarietà riconducibili ai regimi opzionali della trasparenza (artt. 115-116 TUIR) e del consolidato (artt. 117-129 TUIR) introdotti con la riforma dell’imposta sul reddito delle società. L’art. 115, co. 8, prevede, infatti, che «la società partecipata è solidalmente responsabile con ciascun socio per l’imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all’obbligo di imputazione del reddito». Avuto riguardo a questa fattispecie il decreto ministeriale di attuazione (d.m. 23.4.2004) limita la responsabilità solidale alla sola fase di accertamento del tributo cosicché sembrerebbe escludere che essa possa operare in materia di riscossione. Non sussisterebbe, infatti, responsabilità solidale della partecipata ove l’imputazione ai soci fosse avvenuta correttamente ma questi non abbiano eseguito il versamento per l’intero importo dovuto. Siffatta impostazione sembrerebbe, del resto, trovare conforto nell’art. 13 del medesimo decreto che esclude la responsabilità solidale nelle seguenti ipotesi: a) quando vi è omessa o parziale dichiarazione dei soggetti partecipanti a condizione che la società partecipata abbia comunicato i dati necessari per adempiere l’obbligo; b) in caso di omesso o carente versamento da parte dei soci.
Avuto riguardo a quest’ultimo aspetto la circ. 49/E precisa che nessuna responsabilità può affermarsi in capo alla partecipante per liti ascrivibili al comportamento dei soci (concordano su questa interpretazione Ficari, V., Profili applicativi e questioni sistematiche dell’imposizione «per trasparenza» delle società di capitali, in Riv. dir. trib., 2005, 62 e Batistoni Ferrara, F.-Bellè, B., L’imposta sul reddito delle imprese commerciali, Padova, 2007, 154).
Ne discende un’ipotesi di solidarietà non riconducibile a nessuno degli esempi fino ad ora tratteggiati nell’ambito del perimetro delineato dalla classica bipartizione, giacché, diversamente da quanto avviene nella solidarietà paritetica, non vi è compartecipazione al medesimo presupposto e, contrariamente a quanto si verifica nella solidarietà dipendente, chi svolge la funzione di garanzia non è estraneo al presupposto d’imposta ma, al contrario, coincide con il soggetto che quel presupposto ha realizzato o contribuito a realizzare. Dirimente è poi la precisazione in ordine alla sussistenza di obbligazione solidale nel solo caso di accertamento di maggior reddito in capo alla controllante la quale permette di eludere il problema posto in dottrina in ordine alla conformità del dettato normativo al principio di capacità contributiva (Marello, E., Il regime di trasparenza, in Tesauro, F., L’imposta sul reddito delle società, Bologna, 2007, 546 e Carinci, A., L’accertamento nel regime di trasparenza delle società: responsabilità, garanzie e tutele per la società e per i soci, in Rass. trib., 2006, 199). Principio che, peraltro, nelle ipotesi di solidarietà dipendente mentre è in ogni caso garantito dal diritto di rivalsa, risulta al tempo stesso inevitabilmente limitato dalla possibilità del suo effettivo esercizio.
Si determina, quindi, una fattispecie del tutto nuova che sposa della solidarietà dipendente la funzione di garanzia; la quale, però, trova la propria ragion d’essere oltre che nell’interesse ad una riscossione certa da parte dell’erario, in una sorta di “compartecipazione al presupposto” in seguito accertato in misura difforme da quanto dichiarato (nel senso della riconducibilità della fattispecie in esame ad un’ipotesi di solidarietà dipendente, seppure con peculiarità che non la rendono agevole, cfr. Albertini, V., Solidarietà nel diritto tributario, in Dig. comm., Aggiornamento V, Torino, 2009, 5).
Letta in questi termini la fattispecie che si esamina permette di accettare in modo meno critico anche il riferimento alla responsabilità solidale per la sanzione essendo la controllante, in buona sostanza, la responsabile del minor reddito imputato dalle controllate.
La medesima ratio è poi riconducibile alla fattispecie delineata per il consolidato domestico nell’art. 127 del TUIR. In questo caso, la società (o ente controllante) è responsabile per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi, riferite al proprio reddito complessivo, per le somme che risultano dovute con riferimento alla propria dichiarazione a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, nonché per l’adempimento di tutti gli obblighi connessi alla determinazione del reddito complessivo di cui all’art. 122, ma è altresì responsabile, in solido con ciascuna società controllata, per il pagamento di una somma pari alla sanzione di cui alla lettera b) del co. 2 dello stesso art. 127 irrogata alla controllata stessa. Ciascuna controllata, per parte sua, è, invece, responsabile:
a) solidalmente con l’ente o società controllante per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all'articolo 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e per le somme che risultano dovute, con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36 ter del d.P.R. n. 600/1973, e dell’attività di liquidazione di cui all’articolo 36 bis del medesimo decreto, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi;
b) per la sanzione correlata alla maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e alle somme che risultano dovute con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36 ter del d.P.R n. 600/1973, e dell’attività di liquidazione di cui all'articolo 36 bis del medesimo decreto, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi;
c) per le sanzioni diverse da quelle di cui alla lettera b).
Anche in questa ipotesi la responsabilità solidale della società controllata trae il proprio fondamento dall’essere essa il soggetto che ha generato il presupposto su cui si basa l’imposizione. Si tratta, quindi, non di un’ipotesi di responsabilità paritetica, né dipendente, ma di una responsabilità solidale in ragione della capacità economica che si presume in capo al soggetto che ha generato per la propria quota un presupposto d’imposta di cui, in assenza di “anomalie” al momento dell’esercizio dell’opzione si fa interamente carico la controllante. Anche in questo caso, quindi, non si ricade in un’ipotesi di solidarietà paritetica in quanto l’obbligazione tributaria in ragione dell’opzione è esclusivamente riferibile ad un soggetto passivo; ma neppure in un’ipotesi di solidarietà dipendente (per sua natura del tutto svincolata dalla partecipazione al presupposto d’imposta) giacché in questo caso, in sede di accertamento, si riconduce il debito d’imposta al soggetto che effettivamente esprime per quel presupposto idoneità (ancorché parziale) alla contribuzione. Sul punto Gianni e Paola Marongiu (Il consolidato fiscale domestico nello "schema di decreto" fra proposte di disciplina generale e dubbi di costituzionalità in tema di responsabilità solidale, in Fisco, 2003, 1, 6363) evidenziano come l’innesto sulle situazioni digruppo di una solidarietà paritetica si scontri inevitabilmente con ildettato dell’art. 53 della Costituzione, cosicché, per evitare questa inesorabile conclusione, a detta degli Autori, altro non resterebbe cheattribuire alla disciplina in questione una funzione almeno parziale digaranzia nel senso che ciascuna delle società (la controllante e le controllate) assumerebbe la duplice veste di contribuente-soggetto passivo per la prestazione corrispondente alla porzione di capacità contributiva che le compete e di responsabile di imposta per la rimanente prestazione che sta a fronte dell’ulteriore porzione di detta capacità che, viceversa, le è estranea.
Un discorso a parte merita, infine, la disciplina delle sanzioni amministrative.
Al riguardo, osservo che, il principio della personalità della sanzione esclude che vi possa essere solidarietà fra più individui autori della medesima violazione. Tuttavia, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento posto solidalmente a carico di più soggetti (art. 9, d.lgs. n. 472/1997), anche l’obbligazione per sanzione dà luogo ad un debito in solido tra i coobbligati inadempienti. Ad altra ratio risponde, invece, la previsione contenuta nell’art. 11 del medesimo decreto. In questo caso il soggetto contribuente che si è avvantaggiato delle violazioni commesse da un suo dipendente o rappresentante, risponde in solido con l’autore della violazione ma le due obbligazioni hanno natura diversa e divergono nella misura. È questa un’ipotesi in cui lo schema della solidarietà non assolve neppure alla funzione di garanzia ma ha permesso al legislatore di “attenuare” in qualche misura le anomalie che il principio personalistico della sanzione poneva nella fattispecie descritta avuto riguardo all’entità della sanzione irrogabile all’esecutore materiale.
Da sempre dottrina e giurisprudenza, avuto specifico riguardo alle ipotesi di solidarietà paritetica, si interrogano circa la possibilità di riferire la disciplina privatistica alla nostra materia al fine di risolvere aspetti problematici connessi alla procedura di attuazione del rapporto (Fantozzi, A., op. cit., 45 ss.). In particolare, in passato, in ragione della ritenuta unicità dell'obbligazione tributaria, si era elaborata una teoria che riconosceva a ciascuno dei coobbligati la rappresentanza degli altri, in forza di una pretesa solidarietà processuale tributaria che faceva ricadere su tutti gli effetti dei comportamenti (anche omissivi) riferibili direttamente ad uno o ad alcuni soltanto, così che la decisione della Commissione tributaria sul ricorso da questi proposto ovvero la definitività dell'avviso sopravvenuta in difetto di valida impugnazione erano considerate efficaci nei confronti di tutti i condebitori. La tesi, in manifesta violazione dell'art. 24 Cost., fu rovesciata dalla Corte costituzionale con le sentenze 6.5.1968, n. 48 e 28.12.1989, n. 119 (le due sentenze dichiararono rispettivamente, l’illegittimità dell’art. 20, R.d. 7.8.1936, n. 1639 e dell’art. 66, R.d. 30.12.1923, n. 3270) sentenze che, come sottolinea Tesauro (Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, pag. 11), determinarono una svolta radicale nella configurazione degli effetti soggettivi del giudicato.
Si può, quindi, oggi, sicuramente affermare che il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa impediscono sempre di opporre il giudicato a chi non ha partecipato al processo o non è stato messo in grado di esserne parte o, per dirla con altre parole, che il terzo, può solo profittare del giudicato reso inter alios, ma non può esserne pregiudicato. Ne consegue una definitiva limitazione anche degli effetti degli atti dell’Amministrazione finanziaria e la possibilità che ciascuno dei coobbligati possa vedere determinato in termini diversi il proprio rapporto obbligatorio con buona pace dei principi sanciti dagli artt. 3, 53, 97 Cost. che, al contrario, determinano coloro che in dottrina, in luogo dell’unitarietà inscindibile dell’obbligazione, hanno teorizzato l’unitarietà dell’accertamento (Fantozzi, A., oltre alle opere citate cfr. Ancora in tema di solidarietà tributaria, in Riv. dir. fin, 1970, II, 136 ss.) o, quanto meno, la ricomposizione ad unitarietà delle singole situazioni giuridiche in sede giurisdizionale (Russo, P., op. cit., 172; Castaldi, L., op. cit., 15; Bellé, B., Il processo, cit., 89 ss.).
La soluzione prospettata dal Giudice delle leggi non fu in un primo momento recepita dalla Corte di cassazione la quale pretese che l’avviso di accertamento venisse notificato a tutti i coobbligati, pena la sua invalidità anche nei confronti di quelli cui la notificazione fosse stata regolarmente eseguita (sent. 6.5.1972, n. 1357). In seguito, tuttavia, hanno trovato applicazione anche nell’ambito tributario gli ordinari principi civilistici che regolano la solidarietà passiva (artt. dal 1292 al 1313 c.c.). Il condebitore può, quindi, giovarsi degli effetti del comportamento dell’altro condebitore e della sentenza pronunziata a favore di questi, mentre non può riceverne pregiudizio, cosicché la pluralità di obbligazioni, sebbene legate dalla stessa causa e dal medesimo contenuto, possono essere definite in tempi e modi diversi a seconda del comportamento di ciascuno dei soggetti coinvolti. Conseguentemente, il giudicato favorevole ottenuto da altro condebitore solidale, purché non fondato su motivi personali, è opponibile all’amministrazione finanziaria da parte dei condebitori rimasti estranei al giudizio ed anche da quelli nei cui confronti non siano state pronunciate decisioni passate in giudicato (art. 1306, co. 2, c.c.). La questione è stata così definita dalla Corte di cassazione (S.U., 22.6.1991, n. 7053) mentre, in precedenza, talune pronunzie (21.2.1989, n. 1725) avevano accolto la tesi contraria. Più di recente, poi, la Suprema Corte (25.2.2011, n. 4641, in Giur. it., 2011, 2426 con nota di Picciaredda, F., Estensione in utilibus del giudicato favorevole ex art. 1306, comma 2, c.c., in tema di solidarietà tributaria, nei confronti dei coobbligato rimasti estranei al giudizio)ha affermato che il coobbligato che non ha impugnato l’avviso di accertamento può avvalersi del giudicato favorevole formatosi in altro procedimento non solo per paralizzare la pretesa del creditore, ma anche per ripetere l’indebito quando abbia pagato il tributo non per spontanea adesione alla pretesa tributaria ma al fine di evitare l’azione esecutiva.
Occorre ora segnalare che, secondo che la solidarietà sia paritaria o dipendente, la posizione dei condebitori non è uniforme: essi, infatti, conoscono i provvedimenti dell’Amministrazione a loro diretti in maniera diversa.
Nel primo caso, la notifica di ciascun provvedimento non può non essere preceduta dall’atto prodromico; di conseguenza, l’esecuzione di un pignoramento non preceduta dalla notificazione dell’atto presupposto si deve, senz’altro, ritenere illegittima. Nelle ipotesi di solidarietà dipendente, invece, se sarà confermata la prassi secondo cui l’Amministrazione può agire contro il coobbligato notificandogli solo gli atti della riscossione (in senso favorevole Cass., 10.4.1989, n. 141; 9.5.2006, n. 10584 e 21.4.2008, n. 10267) non si può escludere che il coobbligato venga a conoscenza del vincolo di coobbligazione anche in fase di pignoramento, in assenza della previa notificazione dell’accertamento esecutivo, con evidente compressione del diritto di difesa del coobbligato. Diritto, peraltro, fortemente compromesso anche dall’art. 11 del d.l. 13.5.1991, n. 351, convertito in l. 12.7.1991, n. 202, in forza del quale, nell’ambito delle imposte indirette, è consentita l’emissione di ruoli intestati a più obbligati solidali con notifica solo al primo intestatario e mera comunicazione agli altri.
Avuto ancora riguardo alle ipotesi di mancata notifica degli atti ad alcuni dei condebitori, si deve dar conto dell’orientamento giurisprudenziale per il quale la notifica degli atti ad uno solo di essi comporta l’interruzione del termine di decadenza anche nei confronti degli altri. Afferma, infatti, la Suprema Corte (14.6.1995, n. 6729) che, alla stregua della disciplina dettata dal codice civile, con riguardo alla solidarietà fra coobbligati, applicabile – in mancanza di specifiche deroghe di legge – anche alla solidarietà fra debitori d’imposta, l’avviso di accertamento, tempestivamente notificato solo ad alcuni debitori, spiega nei confronti di costoro tutti gli effetti che gli sono propri, mentre, nei rapporti tra l’Amministrazione finanziaria e gli altri condebitori ai quali non sia stato notificato validamente, pur non essendo idoneo a produrre effetti che possano comportare pregiudizio di posizioni soggettive dei contribuenti, determina pur sempre l’effetto conservativo di impedire la decadenza dell’Amministrazione stessa dal diritto all’accertamento, consentendole, quindi, la notifica o la rinnovazione della stessa anche dopo la scadenza del termine stabilito. La tesi che ha suscitato nel tempo vivaci critiche da parte della dottrina (tra le posizioni maggiormente contrarie si vedano: Russo, P., op. cit., 169; Fedele, A., Solidarietà tributaria e termini di decadenza, in Giur. cost., 1974, II, 2744; Miccinesi, M., op. cit., 458) per l’evidente anomalia di estendere, in via analogica, alla decadenza dell’azione amministrativa, un istituto dettato in materia di prescrizione, in aperto contrasto, tra l’altro, con l’art. 2964 c.c., sembra oggi ancor meno giustificabile in ragione della tutela dell’affidamento e dell’evoluzione del suddetto principio a seguito dell’introduzione dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente (l. 27.7.2000, n. 212).
Già si è detto che sul piano processuale nelle ipotesi di solidarietà una delle conseguenze più significative consiste nell’estensione del giudicato favorevole a patto che la sentenza non sia fondata su ragioni personali del condebitore (art. 1306, co. 2, c.c.).
Occorre adesso verificare se, ed in che misura, trovino applicazione gli istituti tipici del processo con pluralità di parti.
Preliminarmente occorre domandarsi se i casi di solidarietà tributaria paritaria o dipendente configurino ipotesi di litisconsorzio necessario.
La risposta data in passato dalla dottrina nel senso di assoggettare al litisconsorzio necessario l’accertamento delle obbligazioni solidali paritarie (la tesi è ampiamente descritta nei contributi di Fantozzi, Russo e Castaldi più volte citati) non ha trovato immediata conferma nella giurisprudenza che, tuttavia, se ne è distaccata con un percorso non sempre lineare. Ed infatti, la solidarietà tributaria paritaria genererebbe un fascio di obbligazioni distinte, collegate dall’identità di titolo e di contenuto ma l’esistenza di siffatto insieme di vincoli non creerebbe un unico rapporto plurisoggettivo bensì tanti rapporti quanti sono i coobbligati solidali (Cass., 22.6.1991, n. 7053).
Ne discende, con una certa evidenza, che, se la solidarietà tributaria paritaria non rientra tra le ipotesi di litisconsorzio necessario a maggior ragione deve ritenersi estranea a siffatto fenomeno anche quella dipendente. Sul punto la Corte di cassazione ha, infatti, in più occasioni chiarito che, nel caso in cui un condebitore non abbia impugnato un avviso di accertamento a lui diretto, esso può giovarsi della decisione favorevole ad altro condebitore solidale, sempreché colui che si avvale dell’art. 1306, co. 2, non abbia partecipato al giudizio o ne abbia instaurato uno autonomo prevalendo in tali casi la statuizione derivante dall’esito del giudizio proprio.
Vero è, che quanto fin qui affermato è stato oggetto di ripensamento nella più recente giurisprudenza della Cassazione (S.U., 18.1.2007, n. 1052) che, ancorché sotto angolazioni diverse, è sembrata viceversa volere recuperare l’istituto della supersolidarietà. Ed infatti, prendendo le mosse dai principi di capacità contributiva e di eguaglianza (artt. 53 e 3 Cost.), essa ha rispolverato la vecchia teoria in una riesumata dimensione costituzionale (Cass., 3.3.2010, ord. n. 5146) ed ha precisato che la sussistenza del litisconsorzio necessario deve ritenersi riferibile al solo caso peculiare dell’atto unitario di accertamento per imposta di successione incidente su più eredi e non nel caso in cui questi sono solidalmente responsabili per il debito verso il fisco del de cuius (in precedenza, siffatta operazione ermeneutica, aveva condotto la Suprema Corte a ricomprendere, invece, nel litisconsorzio necessario tutte le ipotesi di solidarietà paritaria derivanti dalla compartecipazione dei coobbligati al fatto generatore dell’imposta in quanto ognuno dei coobbligati può essere chiamato a rispondere solo dell’imposta complessiva dovuta effettivamente e non anche di imposte di ammontare diverso in ordine allo stesso fatto generatore).
Le difficoltà di inquadramento sono evidenti ma è altresì chiaro che le ipotesi di solidarietà paritaria continuano a non trovare una soluzione appagante nell’attuale assetto normativo che anzi (e giustamente) esclude che l’istituto del litisconsorzio necessario possa trovare compimento rispetto alle situazioni sostanziali fondate su rapporti giuridici autonomi e distinti, legati tra loro esclusivamente da un nesso di pregiudizialità-dipendenza (nello stesso senso, Russo, P., La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione, in Rass. trib., 2001, 1064).
La possibilità di una fase amministrativa non vincolata nel senso dell’unitarietà, consente, infatti, che il medesimo presupposto possa assumere valenza diversa per i distinti soggetti coinvolti dal medesimo fatto indice di capacità contributiva e ciò in aperta violazione dei principi sanciti dagli artt. 53, 3 e 97 della Costituzione. È evidente, infatti, che in presenza di accertamenti definitivi tra loro difformi e fondati sul medesimo presupposto alcuni tra i provvedimenti non possano che risultare inevitabilmente eseguiti in violazione della reale ed effettiva capacità contributiva e che l’azione amministrativa non possa non essere giudicata in aperto contrasto con il principio di uguaglianza e di imparzialità (in senso favorevole Russo, P., Manuale, cit., 172; Castaldi, L., op. cit., 15. Contrario Miccinesi, M., op. cit., 461-462).
Detto in altri termini, l’unitarietà dell’accertamento sul quale si fonda l’individuazione di ipotesi di litisconsorzio necessario da parte della Corte di cassazione allo stato dell’attuale disciplina del procedimento è, e resta, un fatto meramente eventuale con la sola eccezione della rettifica delle dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale (art. 40 bis, d.P.R. 600/1973) e, dunque, negazione della stessa premessa e dell’istituto processuale e, del resto, anche quando la Suprema Corte rivendica l’unitarietà dell’accertamento (S.U., 4.6.2008, n. 14815) non sempre riesce a tratteggiare un quadro del tutto appagante.
Afferma la Corte che l’unitarietà dell’accertamento deve essere alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all’art. 5 TUIR e dei soci delle stesse (art. 40, d.P.R. n. 600/1973) e la conseguente automatica imputazione dei redditi della società a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguardi inscindibilmente la società ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali devono essere tutti parte nello stesso processo giacché la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (art. 14, co. 1, d.lgs. 31.12.1992, n. 546). Oggetto del processo non è, infatti, la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione. Si tratterebbe, pertanto, di fattispecie di litisconsorzio necessario originario, con la conseguenza che il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati, destinatario di un atto impositivo, aprirebbe la strada al giudizio necessariamente collettivo ed il giudice adito in primo grado dovrebbe ordinare l’integrazione del contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente, ai sensi dell’art. 29, d.lgs. n. 546/1992. Nel primo caso la competenza territoriale si radica con il primo ricorso). Qualora, invece, una o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell’atto di accertamento, o avendola ricevuta, non l’abbiano impugnato, il giudice adito per primo dovrebbe disporre l’integrazione del contraddittorio, mediante chiamata in causa cosicché anche il litisconsorte necessario non destinatario dell’atto impositivo ma chiamato in giudizio, potrà subire le conseguenze dell’eventuale giudicato favorevole all’Amministrazione che sarà a lui opponibile in ordine all’accertamento dei fatti (l’Amministrazione, tuttavia, non potrà procedere all’immediata riscossione del dovuto dovendo previamente notificare, se ancora in termini, un nuovo avviso di accertamento). Di contro, il litisconsorte necessario che non ha tempestivamente impugnato il provvedimento a lui notificato e che viene chiamato in giudizio può opporre all’ufficio la sentenza favorevole in sede di impugnazione della cartella esattoriale o di opposizione agli atti esecutivi, con il solo limite dell’irripetibilità di quanto già versato. Infine, ove, in violazione dei principi del litisconsorzio necessario, si formino giudicati parziali relativi a singole posizioni, i rapporti fra il giudicato parziale e le posizioni dei soggetti nei cui confronti non si sia formato il giudicato debbono essere risolti in base ai principi del contraddittorio e del diritto di difesa per cui il terzo può trarre beneficio dal giudicato inter alios ma non può esserne pregiudicato cosicché il giudicato di annullamento (totale) dell’avviso relativo al reddito sociale impugnato dalla società di persone fa stato nel processo relativo ai soci laddove non sia stato pronunciato per vizi sussistenti solo nei confronti della società (e l’Ufficio non subisce alcuna lesione dei suoi diritti essendo stato parte nel giudizio promosso dalla società) mentre il giudicato di annullamento parziale dell’avviso relativo al reddito sociale notificato alla società di persone fa stato nel processo relativo ai soci nei limiti in cui loro giovi e a meno che nei confronti dei soci non si sia già formato un giudicato. Analoghi principi risultano applicabili ove il giudicato favorevole si formi in favore di uno o più soci e l’annullamento non sia pronunciato per motivi specifici e relativi al singolo socio.
La sentenza passata in giudicato che decida su una sola delle posizioni coinvolte in un litisconsorzio necessario ben può essere prodotta in altri giudizi aventi il medesimo oggetto ed ove non produca gli effetti del giudicato dovrà formare oggetto di prudente apprezzamento da parte del giudice.
Emerge con evidenza dalle diverse incongruenze rinvenibili nel percorso motivazionale della Suprema Corte, che molto si diffonde sulle conseguenze di un’eventuale sentenza favorevole al contribuente sottintendendo, invece, la rinuncia all’unitarietà o l’impossibilità di conseguirla quando la pronuncia favorevole non lo è, che ci si muove in un edificio dalle fondamenta sicuramente poco stabili, costellato di anomalie significative tra le quali non può essere taciuto il riferimento a giudicati parziali laddove si sarebbe dovuto, al contrario, affermare l’inutilità di una sentenza resa in assenza dei necessari contradditori, inutilità che la Corte trascura sistematicamente di considerare pur essendo essa conseguenza processuale indefettibile in ipotesi di litisconsorzio necessario (va da sé, che, nelle ipotesi di notificazione a tutti i coobbligati, le anomalie anzidette possono trovare soluzione nei diversi istituti del litisconsorzio facoltativo, della chiamata e dell’intervento. Per una più ampia disamina di questi istituti, mi permetto di rinviare a Bellé, B., Il processo tributario con pluralità di parti, Torino, 2002).
Art. 3 Cost.; art. 24 Cost.; art. 53 Cost.; art. 1292 c.c.; art. 1294 c.c.; art. 2964 c.c.; art. 10 e 57 d.P.R. 26.4.1986 n. 131; art. 28 e 36, d.lgs. 31.10.1990, n. 346; artt. 36 bis-36 ter, 40,64-65, d.P.R. 29.9.1973, n. 600; art. 14, d.l. 14.3.2005, n. 35; art. 35, co. 28, d.l. 4.7.2006, n. 223; art. 14, d.lgs. 18.12.1997, 472; art. 17, d.P.R. 26.10.1972, n. 633; art. 60 bis, d.P.R. 26.10.1973, n. 633; artt. 5, 115-117, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (TUIR); artt. 9-11, d.lgs. 18.12.1997, n. 472; art. 18, d.lgs. 18.12.1997, n. 472; art. 14, d.lgs. 31.12.1992, n. 546; art. 41, d.P.R. 23.1.1973, n. 43; art. 20, R.d. 7.8.1936, n. 1639; art. 66, R.d. 30.12.1923, n. 3270; art. 10, l. 27.7.2000, n. 212.
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