SOLMIZZAZIONE (Solmisazione)
Sistema di lettura musicale apparso in Italia poco dopo il 1000, e che consiste nella rappresentazione simbolica di suoni realizzati fonicamente a mezzo di sillabe. Gli elementi di cui si vale sono le denominazioni sillabiche dei suoni e la loro applicazione alle denominazioni alfabetiche allora in uso; lo scopo a cui tendeva era di dare allo scolaro la possibilità di leggere intonando il canto liturgico senza ausilio alcuno.
La paternità dell'idea viene attribuita a Guido d'Arezzo, benché tentativi di denominare i suoni con le sillabe pare siano stati fatti contemporaneamente anche da altri, ma con scarsa fortuna. Guido d'Arezzo, allo scopo d'insegnare ai suoi scolari a distinguere rapidamente l'intervallo di un tono da quello di un semitono, adottò il principio di denominare i suoni con le sillabe Ut - Re - Mi - Fa - Sol - La, sillabe che rappresentavano sei suoni ascendenti della scala e che servivano come mezzo per imprimere nella mente dell'allievo la differenza d'altezza fra i suoni stessi. Le sei sillabe furono tolte dall'inizio dei sei primi emistichî dell'inno di S. Giovanni, inno attribuito a Paolo Diacono (770 circa) e che suona:
Guido, avendo notato come nella melodia l'inizio dei sei primi emistichî cadesse su un suono diverso della scala, pensò di staccare la prima sillaba di ciascuno di essi per giovarsene come mezzo d'insegnamento. Ne ottenne sei sillabe che dispose in ordine progressivo, formando una successione di sei suoni ascendenti. Ne derivò così il versus memorialis, cantando il quale, come spiega Guido stesso nella sua epistola ‟Regulae de ignoto cantu,, diretta a Frate Michele, lo scolaro poteva ritrovare i sei suoni ogni qual volta li avesse incontrati nella melodia e cogliere quindi i punti nei quali essi procedevano per tono piuttosto che per semitono.
La distanza fra un suono e l'altro del versus memorialis era di un tono, eccezione fatta per quella fra il terzo e quarto suono, che era di un semitono. Le sillabe Mi-Fa esprimevano quindi la distanza di un semitono, tutte le altre invece esprimevano la distanza di un tono.
In un primo momento le sillabe servivano ad indicare le note finali dei modi ecclesiastici, in seguito furono applicate ai suoni per dare modo allo scolaro di conoscere i rapporti intercorrenti fra sillabe e suoni stessi.
Il sistema adottato da Guido era formato da tre serie di suoni, ciascuno delle quali cominciava con la nota La. I suoni della prima serie, suoni gravi, venivano indicati con le lettere maiuscole dell'alfabeto A, B, C, D, E, F, G; quelle della seconda serie, suoni acuti, venivano indicati con le stesse lettere, in minuscolo, e i cinque suoni della terza serie, suoni superacuti, con le lettere minuscole raddoppiate. Guido, seguendo ciò che aveva già esposto Oddone da Cluny, aggiunse la nota Sol nella parte più grave del sistema, premettendola alla prima serie ed indicandola con la lettera Γ dell'alfabeto greco, chiamata gamma (da ciò la derivazione del vocabolo gamma, usato come sinonimo di scala). Incluse anche il Si♭ nelle due serie più acute, suono che, a detta anche di Ucbaldo, si presentava di frequente in talune melodie non solo, ma si alternava anche col si♮. Per indicare questi due suoni Guido si servì della lettera B, modificandola in b rotundum (♭) per il Si bemolle e in b quadratum (???) per il Si naturale. Complessivamente quindi la scala di suoni adottata da Guido, trascritta in notazione moderna, era la seguente:
Quando si trattò di applicare le sillabe ai suoni, Guido si trovò davanti al problema di dover denominare i tre semitoni del sistema B-C, E-F, a-b, non avendo a sua disposizione che un termine solo, il Mi-FA. La soluzione trovata fu la seguente: Guido applicò il versus memorialis su tre punti del sistema, Γ, C e F, corrispondenti alle note Sol, Do e Fa, a partire dai quali gl'intervalli fra i suoni concordavano perfettamente con quelli dati dalle sillabe, ottenendo in tal modo di denominare le distanze di un tono con le sillabe esprimenti il tono e le distanze di un semitono con le sillabe Mi-Fa.
L'applicazione delle sillabe venne ripetuta anche sulle note Sol, Do e Fa delle ottave superiori.
Ne derivò quindi la divisione del sistema fatta in piccole parti di sei suoni ciascuna, chiamate esacordi. Ogni esacordo aveva per base una delle seguenti note Sol, Do e Fa e presentava il semitono fra il terzo e il quarto suono. Complessivamente quindi, come è dimostrato dal seguente quadro, il sistema comprendeva sette esacordi.
L'esacordo si distingueva in naturale, molle e duro, a seconda che fra i suoni costituenti il rispettivo semitono vi erano inclusi o esclusi il Si e il Si♭. L'esacordo naturale incominciava dalla nota Do; aveva il semitono formato dalle note Mi-Fa, ed escludeva quindi la nota Si. L'esacordo molle incominciava dalla nota Fa e aveva il semitono formato dalle note La-Sia (b rotundum o molle). L'esacordo duro incominciava dalla nota Sol e aveva il semitorno formato dalle note Si♮ Do (??? quadratum o durum).
L'applicazione del sistema alla lettura dei canti veniva fatta nel seguente modo: lo scolaro doveva scegliere innanzi tutto l'esacordo la cui estensione fosse in relazione con quella della melodia e le cui sillabe Mi-Fa concordassero col semitono. Nei casi in cui le note della melodia non oltrepassavano i limiti di un esacordo, come ad esempio quelle dell'inno di S. Giovanni, il compito era facile, perché a ciascuna di esse corrispondeva la rispettiva sillaba dell'esacordo; nei casi invece in cui le note varcavano i limiti suddetti e presentavano quindi nuove possibilità di incontrare altri semitoni, diversi dal primo, allora occorreva mutare l'esacordo per ottenere con le sillabe offerte da questo, il mezzo di denominare anche le note suaccennate, tenendo presente però che il semitono doveva essere invariabilmente rappresentato dalle sillabe Mi-Fa.
Il passaggio da un esacordo all'altro si chiamava mutazione. Per mutare l'esacordo era necessario seguire la regola di far corrispondere al semitono le sillabe Mi-Fa, e quella di evitare nella successione dei suoni il rapporto di tritono (diabolus in musica). Perciò bisognava saper scegliera quello dato dalla sillaba Sol che si collegava con la sillaba Mi; dalla congiunzione ottenuta Sol-Mi derivò poi la voce Solmizzazione, usata a significare il concetto teorico e pratico del sistema.
Il procedimento della mutazione, per quanto ingegnoso e logico, non era però semplice, e la sua applicazione riusciva difficile specialmente per i giovani scolari, i quali duravano fatica a ricordare il nome delle note.
Un mezzo semplice, ma altrettanto pratico, che serviva a rendere agevole lo studio del sistema, era la mano armonica o mano guidonica o guidoniana (così chiamata perché attribuita a Guido stesso) che consisteva nel disporre sulle falangi e sulle estremità delle dita della mano sinistra la denominazione alfabetica e sillabica di tutte le note componenti il sistema. Lo scolaro leggendo sulla mano come su un libro aperto, aveva modo così di imparare facilmente le denominazioni delle note e di esercitarsi a cogliere i punti adatti alla mutazione.
Dagl'insegnamenti della mano guidonica derivò poi il sistema di denominare i suoni non più con una sillaba sola, secondo il principio guidoniano, bensì con la forma composta dalla denominazione alfabetica congiunta alle diverse sillabe applicate a ciascun suono in ogni esacordo. Così la nota la, A, che nei diversi esacordi poteva essere successivamente La, Mi, Re veniva denominata A-la-mi-re; il Si, B, per la stessa ragione veniva denominato B-fa-mi; il Do, C, C-fa-ut; il Re, D, D-la-sol-re, ecc. Queste denominazioni sopravvissero ancora dopo il tramonto della solmizzazione e rimasero in uso fino alla fine del sec. XVIII a indicare il nome delle tonalità secondo il nuovo sistema.
Le difficoltà della solmizzazione aumentavano ancora più quando si trattava di decifrare canti nei quali si presentavano suoni estranei al sistema. Erano suoni, codesti, derivati da alterazioni momentanee che formavano una delle caratteristiche della musica ficta, la quale già verso la fine del sec. XV, si presentava con varî atteggiamenti. Questi suoni, non potendo essere compresi nella serie dei tre esacordi, venivano collocati fuori della mano e determinavano con i loro rapporti una nuova situazione tonale. Da ciò derivò la necessità di nuove tonalità, per le quali gli esacordi vennero trasportati sulle note sol-do-re, re-sol-la, fa-si♭-do, si♭- mi♭- fa, ecc.
Con i nuovi rapporti e con i nuovi passaggi tonali si preannunzia già il principio di ciò che doveva essere poi la modulazione, ma in pari tempo si complica il meccanismo della solmizzazione. Se da un lato si possono notare i germi di quell'evoluzione che porterà la musica alla conquista della tonalità moderna, dall'altro lato non si può a meno di avvertire le cause che determineranno il decadimento del sistema esacordale.
La solmizzazione infatti declina lentamente per scomparire definitivamente tra la fine del sec. XVII e il principio del XVIII.