solvere [partic. pass. soluto e solvuto, che talvolta si alternano all'interno della tradizione manoscritta: cfr. Pd XV 52; solve, in rima, cong. pres. II singol.]
Significa " sciogliere " (v.). Nei due soli casi di uso proprio e concreto il verbo accoglie due ben distinte accezioni fondamentali: quella di " districare ", " disincagliare ", nell'esempio del marinaio che va giuso / ... a solver l'àncora ch'aggrappa / o scoglio o altro (If XVI 134); e, nella forma pronominale, quella di " diventar liquido ", detto della nebbia... che.../ questo emisperio chiude tutto... / e poi si solve, e cade... / in noiosa pioggia (Rime c 20).
In tutti gli altri casi, sempre in senso figurato, il verbo si riconnette alla prima delle accezioni ora considerate (cui può ricondursi anche quando la connessione è meno evidente ed esplicita), essendone l'oggetto visto sempre come un ‛ nodo ' da districare, ovvero un impedimento (o un debito) di cui liberarsi. Il richiamo al ‛ nodo ' è proprio esplicito quando si tratti della ‛ soluzione ' di un problema o di un dubbio: solvetemi quel nodo / che qui ha 'nviluppata mia sentenza (If X 95: è il problema della prescienza dei dannati, su cui D. ha una falsa opinione: cfr. infatti il v. 114 pensava / già ne l'error che m'avete soluto. Con diverso costrutto, in Pd VII 54 Ma io veggi' or la tua mente ristretta / ... dentro ad un nodo, / del qual con gran disio solver s'aspetta, " una difficoltà, della quale attende... di liberarsi " [Scartazzini-Vandelli]: si noti il valore riflessivo del verbo); Ancora in dietro un poco ti rivolvi / .., là dove di' ch'usura offende / la divina bontade, e 'l groppo solvi (If XI 96; al v. 92 in forma assoluta: tu mi contenti sì quando tu solvi, / che, non men che saver, dubbiar m'aggrata).
Anche il peccato può essere visto " quale un legame che con forte nodo stringe il peccatore e gl'impedisce di fare il bene ", tanto vero che i penitenti della terza cornice sono definiti da Virgilio come coloro che d'iracundia van solvendo il nodo (Pg XVI 24; la chiosa è di Scartazzini-Vandelli). Altrettanto si dica del " debito (dover) contratto verso Dio con la colpa " (Porena, a XXIII 15), per l'immagine delle ombre che vanno / ... di lor dover solvendo il nodo, dove il contesto conduce alla metafora del ‛ pagare ' cui ricorrono l'Anonimo e altri commentatori: " ciò è pagando con pena la sua colpa ", e quindi " liberandosene ". (Si aggiunga qui Cv III VIII 10 Stazio... dice che [Edipo] " con etterna notte solvette lo suo dannato pudore ", da intendere " pagò " la sua vergogna con la cecità, " se ne liberò pagando ": o, più esattamente, " sciolse ", " dette soluzione a ", considerando che solvette traduce il " merserat " di Stazio [Theb. I 47-48 " merserat aeterna damnatum nocte pudorem / Oedipodes "]).
E ‛ nodo ' è ancora il dover di cui parla Traiano alla vedovella (Pg X 92 ei convene / ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova; contestualmente, " adempia il mio dovere d'imperatore, cioè faccia giustizia ", Rossi-Frascino); l'enigma (Pg XXXIII 50), il dubbio (questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse... fedele d'Amore; e a coloro che vi sono è manifesto ciò che solverebbe le dubitose parole, Vn XIV 14; cfr. anche XII 17), la dubitazione di Cv III XV 10, dove ricorre una formula - è la dubitazione soluta - che si ripete in altri due luoghi per questione (II VIII 6, IV XIII 5; anche If XIV 135 'l bollor de l'acqua rossa [del Flegetonte] / dovea ben solver l'una [cfr. question, v. 133] che tu faci): in questi ultimi casi l'accezione di ‛ districare ' conduce a quella di " risolvere ".
Per Pd VII 22 come giusta vendetta giustamente / punita fosse, t'ha in pensier miso; / ma io ti solverò tosto la mente, se parecchi commentatori ricorrono ancora alla metafora del ‛ nodo ' (" quae [mens] ligata est tanto dubio ", Benvenuto; così Vellutello, Tommaseo, Andreoli, Casini-Barbi, ecc.), il Buti fa battere l'accento soprattutto sull'idea di ‛ liberazione ' (" libererò tosto la mente tua... da cotesto dubbio ") accolta anche da alcuni esegeti moderni (cfr. per es. Sapegno, Chimenz, Mattalia). Per effetto di questo luogo si crea, in Pd XXXII 50, la variante ma io ti solverò invece di ma io discioglierò; cfr. Petrocchi, ad locum.
Ancora per " liberarsi ", " districarsi ", nella forma pronominale: Quando Làchesis non ha più del lino, / [l'anima] solvesi da la carne, " (si) desliga dal corpo " (Lana, a Pg XXV 80); Da questa tema a ciò che tu ti solve [" cioè sciolghi, sì che ella non ti tenga più impedito ", Boccaccio], / dirotti perch'io venni (If II 49: si noti la rima, con rivolve e dolve, che si ripete solo in Pd II 131-135 volve/ polve/ risolve, e in Rime LII 10-12 dissolve/volve); analogamente per Beatrice, che D. può contemplare in tutta la sua bellezza (quando ne l'aere aperto ti solvesti, Pg XXXI 145: " scoprendoti al mio sguardo, ti sciogliesti dal velo ", Rossi-Frascino).
A Pd XXI 51 Solvi il tuo caldo disio, il Lombardi commenta: " cioè ‛ assolvi ed adempi il tuo caldo disio ', chiosa il Landino; ed anche il Vocabolario della Crusca per questo passo di D. insegna che ‛ solvere il disio ' vale ‛ adempirlo ', ‛ saziarlo '... Potrebbe però essere che ‛ solvere ' adoperi qui D. per ‛ isvelare ', per ‛ manifestare ', come in quell'altro verso: ‛ Quando nell'aere aperto ti solvesti ' ". Dei commentatori più recenti, il Torraca e il Momigliano intendono " sciogli, manifesta "; altri (Scartazzini-Vandelli, Porena, Sapegno, ecc.) spiegano generalmente " sazia ", " sfoga ", " soddisfa ".
Per Rime CVI 91 Morte, che fai? che fai, fera Fortuna, / che non solvete quel che non si spende?, Barbi-Pernicone propongono la spiegazione " liberano dal chiuso in cui si trova, mettono in circolazione, ridistribuendo, il denaro che l'avaro non ha speso "; Del Monte intende " sciogliete, diffondete ", Contini " disperdete " (e così Pazzaglia).
‛ S. il digiuno ' vale " romperlo ", spiega il Tommaseo (Dizionario), citando i due passi del Paradiso in cui ricorre il sintagma. Ma mentre nel primo caso il grato e lontano digiuno di Cacciaguida, che D. ha solvuto (XV 52), è il " lungo desiderio ", lo " studio protratto " (Ottimo) che il poeta " ha appagato " (" adimplevisti ", dice infatti Benvenuto; cfr. XXI 51, citato) liberandone l'avo, nel secondo (D. invoca gli spiriti dei giusti di ‛ solvergli ' il gran digiuno / che lungamente m'ha tenuto in fame, XIX 25) il sostantivo allude al " vòto di quella verità della quale ha... gran cupidità di sapere " (Landino); opportunamente dunque il Porena rileva la non aderenza di significato del sintagma al modello latino solvere ieiunum (cfr. Ovid. Met. V 535), che significa " interrompere il digiuno ", mentre qui " il verbo sciogliere conviene all'idea di dubbio che è espressa metaforicamente nell'immagine del digiuno ".
In Pd IV 109 e 113 ricorre la variante voglia soluta (quindi " libera " da qualsiasi impedimento, ostacolo) in luogo di voglia assoluta; cfr. Petrocchi, ad locum.