Somalia
Somàlia. – L’inizio del nuovo secolo trovava, per molti versi, immutati i termini della crisi somala intorno alle questioni principali che erano emerse con la sostanziale dissoluzione dello Stato seguita nel 1991 alla caduta di Muḥammad Siyād Barrī: l’accentuazione degli scontri spesso sanguinosi tra clan familiari e il proliferare dei gruppi armati, le tendenze indipendentiste con il tentativo da parte di diverse enclaves territoriali di sostituire all'inesistente autorità statale amministrazioni stabili, dando vita a realtà consolidate come il Somaliland e il Puntland nel Nord del Paese, o precarie ed embrionali, come Merca, Baidoa o Chisimaio, infine l’affermazione di un islam politico fondamentalista che interrompeva la neutralità tradizionalmente assunta dalla religione musulmana in Somalia. Questi fattori hanno contribuito al fallimento del tentativo di pacificazione promosso dalla Conferenza di Arta (Gibuti) nel maggio 2000, nonostante il cauto ottimismo che ne aveva connotato lo svolgimento. Contrariamente ad altre conferenze, svoltesi numerose a partire dalla seconda metà degli anni Novanta dopo l’esito disastroso delle missioni internazionali (Restore Hope e UNOSOM), questa conferenza aveva infatti coinvolto molte forze in campo (non però i rappresentanti del Somaliland e del Puntland e non tutti i capi dei clan e delle fazioni armate) e aveva avuto importanti riconoscimenti internazionali. Fu possibile procedere alla costituzione dell’Assemblea nazionale di transizione della S. e alla elezione da parte di questa, il 26 agosto del 2000, di Abd Qāsim Ṣalād Ḥasan alla presidenza della Repubblica. Emersero però assai precocemente la fragilità interna delle nuova autorità e il suo precario controllo del territorio. Già nel marzo 2001 le fazioni contrarie ad Ḥasan diedero vita in Etiopia a un Consiglio di restaurazione e riconciliazione, mentre i combattimenti riprendevano violenti in tutto il Paese. In una situazione nuovamente incerta e confusa il Somaliland, nel maggio 2001, si dava, con un referendum, una nuova costituzione che ne dichiarava l’indipendenza, e il Puntland vedeva nel dicembre dello stesso anno il ritorno al potere di Abd Allah Yūsuf Aḥmad con il sostegno dell’Etiopia. Per altro verso i movimenti islamici sembravano rappresentare nel Sud del Paese l’unico elemento di relativa stabilità soprattutto attraverso il ruolo progressivamente assunto dalle Corti islamiche che amministravano la sharia. In questo conteso, nel gennaio 2004 a Nairobi, grazie alla mediazione dell’Intergovenmental autority for development (IGAD, comprendente Kenya, Gibuti, Etiopia, Eritrea, Sudan, Uganda, Somalia), è stato sottoscritto un accordo di pace dalla quasi totalità delle fazioni in lotta, ma non dalle Corti islamiche, ormai sempre più coordinate e attive sul territorio, e dal Somaliland. Dopo faticose trattative si è costituita comunque in agosto l’Assemblea di transizione composta di 275 membri (61 esponenti per ciascuno dei 4 clan principali e 31 per l’insieme dei clan minori) che ha eletto in ottobre (2004), non senza contrasti, Yūsuf presidente della Repubblica. Quest’ultimo, in novembre ha nominato Alī Muḥammad primo ministro, ma solo nel maggio 2005, e dopo molti tentennamenti, il governo e l’Assemblea si sono trasferiti in S. prima a Jawhar e poi a Baidoa, preferita a Mogadiscio considerata insicura. L’Assemblea si è riunita per la prima volta nel febbraio 2006 in assenza di un consistente gruppo di deputati a testimonianza che le tensioni interne non erano superate, mentre la sempre più stretta relazione con l’Etiopia da parte del presidente ne suscitava di nuove e più forti anche in seno allo stesso governo. La debolezza delle istituzioni risultava del resto evidente anche dal precario controllo del territorio ancora in mano ai diversi clan e alle loro milizie. Nella primavera 2006 le Corti islamiche, riunitesi nell’Unione delle corti islamiche (UCI) con a capo D. Aweys, un esponente del fondamentalismo musulmano sospettato di legami con al-Qā'ida, hanno avviato una campagna militare che nel giro di pochi mesi le ha portate a conquistare una consistente parte del Paese e in particolare a ottenere il totale controllo di Mogadiscio. L’UCI rappresentava un composito raggruppamento in cui accanto a una componente fondamentalista erano presenti gruppi moderati e altri sostenuti da un assai vago riferimento religioso. Se la prima componente si presentava con un progetto politico di riunificazione di tutte le popolazioni somale in nome della comune appartenenza di fede, e quindi una prospettiva di fatto destabilizzante per tutta l’area (somali sono presenti in Kenya e in Etiopia), la componente moderata appariva incline a trovare un compromesso con il governo ufficiale. A modificare decisamente la situazione è stato nel dicembre 2006 l’intervento militare dell’Etiopia. Su richiesta del governo di transizione, quest’ultima con truppe di terra, coadiuvate dall’aviazione, è avanzata da Baidoa fino a conquistare Mogadiscio e Chisimaio, abbandonate senza combattere dalle Corti. Nel novembre 2008 a Gibuti, dopo mesi di colloqui, è stato firmato un accordo, sotto l’egida dell’ONU (presente nel Paese con African union mission in Somalia, Amisom), tra l’ala islamista più moderata, che nel settembre 2007 aveva dato vita, ad Asmara, all’Alleanza per la ri-liberazione della S. (ARS) e il governo di transizione. Nel frattempo la mancanza di un potere centrale ha favorito il diffondersi di forme di illegalità anche molto particolari come la pirateria. A largo delle coste somale nel corso del 2007 e del 2008 si è assistito al sequestro di numerose navi, in prevalenza mercantili, restituite soltanto dopo ingenti riscatti. Nel giugno 2012 si sono aperti a Londra nuovi, decisivi colloqui, sotto l’egida dell’Unione Europea e della Norvegia, che hanno portato, nell’agosto, a una nuova bozza di costituzione e alla nomina di un nuovo parlamento, ponendo così fine al processo di transizione durato otto anni. Il 10 settembre il parlamento ha eletto presidente della Repubblica, a larga maggioranza, Ḥasan Shaykh Maḥmūd, una personalità indipendente, accademico e attivista per i diritti civili. A Mogadiscio, appena due giorni dopo la sua elezione, il presidente è uscito illeso da un attentato suicida di matrice fondamentalista. Negli ultimi giorni di settembre le forze Amisom conquistavano, quasi senza combattere Chisimaio, una roccaforte della milizia islamica al-Shabāb, affiliata ad al-Qā'ida.