Somalia
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Geografia umana ed economica
di Paolo Migliorini
Stato dell'Africa orientale. I dati statistici relativi alla consistenza demografica sono incerti, e variano da 10,3 milioni (Nazioni Unite, 2004) a 6,8 milioni di ab. secondo il Somalia Watching Brief, uno strumento utilizzato dalla Banca mondiale per monitorare l'evoluzione socioeconomica dei Paesi in situazioni di conflitto o di postconflitto.
Nel 1991, dopo la caduta del regime di M. Siad Barre, la S. è precipitata nel baratro della guerra civile (v. oltre: Storia). Il conflitto ha causato più di mezzo milione di vittime, un numero di profughi valutato a 370-400.000 (più del 5% della popolazione), e ha lasciato il Paese con uno dei più bassi indici di sviluppo del mondo. Nel 2002 fu stimato che il 43% della popolazione disponeva di un reddito pro capite inferiore a 1 dollaro al giorno.
Secondo la Banca mondiale, il tasso di accrescimento annuo della popolazione è stato del 3,2% fra il 2000 e il 2005. La maggior parte dei somali rimane legata al genere di vita nomade, pastorale o agropastorale. Gli agropastori e gli agricoltori stanziali vivono in villaggi o piccoli insediamenti dove c'è disponibilità d'acqua, mentre i pastori nomadi compiono spostamenti stagionali con il loro bestiame in cerca di risorse idriche e di nuovi pascoli. Si calcola che il 77% della popolazione somala sia privo di accesso ad acqua dotata di un minimo di garanzie igieniche. La povertà e l'incertezza alimentare delle aree rurali, la situazione di generale insicurezza, aggravata dalla tendenza a un inurbamento incontrollato di masse di profughi e di popolazioni rurali estremamente povere, e la già ricordata scarsità di risorse idriche, rappresentano i maggiori ostacoli sulla via dello sviluppo.
La ripartizione dell'apporto al PIL per settori di attività economica (2002) vede al primo posto l'agricoltura e l'allevamento (66,9%), seguiti dai servizi (21,1%) e dall'industria (12%). La S. è cronicamente afflitta da scarsità di dotazioni alimentari, una situazione che è stata aggravata dalla guerra civile e da ricorrenti calamità naturali (siccità anomale, inondazioni, epidemie del bestiame).
La produzione locale di mais e di sorgo non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare interno, che ammonta a 500.000 t annue, e che deve essere integrato con 200.000 t importate dall'estero. Si stima che un raccolto su cinque si risolva in un fallimento parziale, e che uno su dieci vada completamente perduto. Le poche industrie esistenti operano a passo ridotto nei settori chimico (a Giohar e Mogadiscio), petrolchimico (raffineria a Mogadiscio), tessile e conciario (Mogadiscio), e alimentare (zuccherifici, oleifici). Il settore dei servizi, malgrado l'apparente anarchia, è riuscito a sopravvivere e a crescere. In tutti i maggiori centri abitati sono disponibili servizi di telecomunicazioni efficienti e tariffe telefoniche internazionali tra le più basse del continente.
Le esportazioni consistono principalmente in animali vivi, carni e pelli, destinati in gran parte all'Arabia Saudita. Le banane, che erano il principale raccolto da esportazione (120.000 t annue prima della guerra), hanno perso d'importanza a causa degli eventi bellici, delle alluvioni del 1997 e di un nuovo regime dei mercati importatori, in particolare l'Unione Europea. Le importazioni riguardano prodotti petroliferi, alimentari e materiali da costruzione. La S., infine, pesantemente indebitata con il Fondo monetario internazionale, si vede costretta a fare assegnamento sulle rimesse degli emigrati e su consistenti aiuti dall'estero.
Storia
di Emma Ansovini
L'inizio del nuovo secolo trovava per molti versi immutati i termini della crisi somala intorno alle questioni principali che erano emerse con la sostanziale dissoluzione dello Stato seguita alla caduta di M. Siad Barre nel 1991: l'inasprimento degli scontri tra clan familiari e il proliferare dei gruppi armati, le tendenze indipendentiste con il tentativo da parte di diverse enclave territoriali di sostituire alla inesistente autorità statale amministrazioni stabili, dando vita a realtà consolidate come il Somaliland e il Puntland nel Nord del Paese, o precarie ed embrionali, come Merca, Baidoa o Chisimaio. Inoltre, l'affermazione di un Islam politico interrompeva la neutralità tradizionalmente assunta dalla religione musulmana nel Paese. Quest'ultimo aspetto, soprattutto dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e Washington, richiamava sul Paese l'attenzione internazionale, in particolare degli Stati Uniti, che vi scorgevano il possibile terreno di insediamento di un Islam fondamentalista. Il vuoto istituzionale offriva in effetti spazio alla diffusione di organizzazioni caritatevoli di ispirazione islamica che aiutavano i più bisognosi, mentre le scuole coraniche erano spesso l'unica fonte di istruzione per i più giovani (il 40% della popolazione somala aveva agli inizi del 21° sec. meno di 14 anni). Questi fattori contribuirono al fallimento del tentativo di pacificazione promosso della Conferenza di Arta (Gibuti) nel maggio 2000, nonostante il cauto ottimismo che ne aveva connotato lo svolgimento. Infatti, contrariamente ad altre conferenze, svoltesi numerose a partire dalla seconda metà degli anni Novanta dopo l'esito disastroso delle missioni internazionali (Restore Hope e UNOSOM, United Nations Operation in Somalia), questa coinvolse molte forze in campo (a eccezione dei rappresentanti del Somaliland e del Puntland e di alcuni capi dei clan e delle fazioni armate) ed ebbe importanti riconoscimenti internazionali. Fu quindi possibile procedere alla costituzione dell'Assemblea nazionale di transizione della S. e alla elezione da parte di questa, il 26 agosto del 2000, di A.S. Hasan alla presidenza della Repubblica. Emersero però assai precocemente la fragilità interna della nuova autorità e il suo precario controllo del territorio. Le stesse festose accoglienze riservate al nuovo presidente, giunto a Mogadiscio il 30 agosto 2000, esprimevano più le speranze di una popolazione duramente provata dall'assenza di qualsiasi istituzione che un reale consenso intorno alla sua figura, peraltro immediatamente messa in discussione da molti di quei 'signori della guerra' che pure avevano concorso alla sua elezione. Già nel marzo 2001 le fazioni contrarie a Hasan diedero vita in Etiopia a un Consiglio di restaurazione e riconciliazione, mentre i combattimenti riprendevano violenti in tutto il Paese. In una situazione nuovamente incerta e confusa il Somaliland, nel maggio 2001, si dava con un referendum una nuova Costituzione che ne dichiarava l'indipendenza, e il Puntland vedeva, nel dicembre dello stesso anno, il ritorno al potere, con il sostegno dell'Etiopia, di A. Yusuf. Per altro verso i movimenti islamici sembravano rappresentare nel Sud del Paese l'unico elemento di relativa stabilità, soprattutto grazie al ruolo progressivamente assunto dalle Corti islamiche che amministravano la šarī̔a garantendo livelli minimi di convivenza civile. In questo contesto nel gennaio 2004 a Nairobi, grazie alla mediazione dell'Intergovernmental Authority for Development (IGAD, comprendente Kenya, Gibuti, Etiopia, Eritrea, Sudan, Uganda, S.) fu sottoscritto un accordo di pace dalla quasi totalità delle fazioni in lotta, ma non dalle Corti islamiche, ormai sempre più coordinate e attive sul territorio, e dal Somaliland. Dopo faticose trattative, si costituì in agosto l'Assemblea di transizione composta di 275 membri (61 esponenti per ciascuno dei 4 clan principali e 31 per l'insieme dei clan minori) che elesse in ottobre, non senza contrasti, Yusuf presidente della Repubblica. Quest'ultimo in novembre nominò A.M. Gedi primo ministro, ma solo nel maggio 2005, e dopo molte incertezze, il governo e l'Assemblea si trasferirono in S., prima a Giohar e poi a Baidoia, preferita a Mogadiscio per ragioni di sicurezza. L'Assemblea si riunì per la prima volta nel febbraio 2006 in assenza di un consistente gruppo di deputati, a testimonianza che le tensioni interne non erano superate. Inoltre, la sempre più stretta relazione del presidente con l'Etiopia ne suscitava di nuove e più forti anche in seno allo stesso governo. La debolezza delle istituzioni risultava del resto evidente anche dal precario controllo del territorio, ancora in mano ai diversi clan e alle loro milizie. Nella primavera 2006 le Corti islamiche, riunitesi nell'Unione delle corti islamiche con a capo H.D. Aweys, un esponente del fondamentalismo musulmano sospettato di legami con al-Qā̔ida, avviarono una campagna militare che nel giro di pochi mesi le portò a conquistare una consistente parte del Paese e a ottenere il totale controllo di Mogadiscio. Le Corti si mossero nei territori conquistati nel complesso con efficacia, nominando le autorità locali e ristabilendo livelli minimi di legalità e di controllo. A Mogadiscio fu riaperto l'aeroporto e ripristinata la libertà di movimento della popolazione, da anni impedita dalla divisione della città in zone controllate dalle diverse bande. L'introduzione della šarī̔a veniva sopportata dalla popolazione come baluardo contro i furti, le violenze e le vessazioni a cui era stata quotidianamente sottoposta. L'Unione delle corti islamiche rappresentava un composito raggruppamento in cui, accanto a una componente fondamentalista, erano presenti gruppi moderati e altri sostenuti da un assai vago riferimento religioso. Se la prima componente si presentava con un progetto politico di riunificazione di tutte le popolazioni somale in nome della comune appartenenza di fede, e quindi una prospettiva di fatto destabilizzante per tutta l'area (somali sono presenti in Kenya e in Etiopia), quella moderata appariva incline a trovare un compromesso con il governo ufficiale. A modificare decisamente la situazione fu, nel dicembre 2006, l'intervento militare dell'Etiopia. Su richiesta del governo di transizione, quest'ultima, con truppe di terra coadiuvate dall'aviazione, avanzò da Baidoia fino a conquistare Mogadiscio e Chisimaio, abbandonate senza combattere dalle Corti. In un contesto di grande incertezza, mentre da più parti si chiedeva l'intervento dell'Unione Africana (UA, fondata nel 2002 in sostituzione dell'OUA, Organizzazione dell'Unità Africana) e il ritiro dell'esercito etiopico, verso il quale serpeggiava tra la popolazione un sentimento di generale ostilità, gli Stati Uniti effettuarono nel gennaio 2007 diverse incursioni aeree con l'obiettivo di colpire basi di al-Qā̔ida, provocando decine di morti tra i civili.
bibliografia
K. Menkhaus, Somalia: in the crosshairs of the war on terrorism, in Current history, 2002, 655, pp. 210-18; F. Mini, Le (non) lezioni della Somalia, in Aspenia, 2005, 29, pp. 236-44; L. Muscarà, Islamismo somalo, in Limes, 2006, 3, pp. 211-14; M. Raffaelli, L. Muscarà, Somalia, la quattordicesima prova, in Limes, 2006, 3, pp. 203-11.