sonar
Uno strumento per ‘vedere’ sott’acqua
Il sonar, o ecoscandaglio, è un dispositivo utilizzato durante la navigazione per individuare corpi sotto la superficie dell’acqua e per misurare la profondità del mare. Un sonar può semplicemente captare i suoni che si propagano nell’acqua per rilevare la presenza di corpi in movimento oppure, nel caso di un sonar attivo, emettere suoni e poi misurare la loro eco per individuare anche oggetti fermi
Il sonar è in grado di individuare oggetti sott’acqua e di misurarne la distanza. La parola è la sigla di s(ound), na(vigation) and r(anging), espressione inglese che significa «suono, navigazione e misurazione».
Questo dispositivo si può considerare una variante del radar, lo strumento utilizzato per rilevare oggetti a grande distanza sulla superficie terrestre o in volo. Il radar funziona emettendo onde elettromagnetiche e misurando la loro riflessione da parte dei corpi, ma sott’acqua le onde elettromagnetiche sono troppo attenuate per essere utili a questo scopo. Perciò si utilizzano le onde sonore, che non sono altro che vibrazioni che si propagano attraverso il mezzo, liquido in questo caso, così come al di sopra della superficie si propagano attraverso l’aria. Il suono sott’acqua viaggia più rapidamente che attraverso l’aria, copre distanze maggiori e, più è bassa la frequenza dell’onda – cioè, più è grave il suono prodotto –, più distante arriva.
Esistono due tipi fondamentali di sonar: attivi e passivi. I sonar passivi si limitano ad ascoltare i suoni che attraversano le acque senza emettere impulsi propri. Di solito sono equipaggiati con un computer che possiede un archivio ordinato di rumori e che, per confronto, consente di riconoscere il suono di un determinato genere di nave o di un siluro. Sonar di questo tipo possono servire anche a scopi scientifici, per esempio per studiare la comunicazione tra i cetacei (balene).
Il sonar attivo invece non si limita a captare i suoni, ma ne emette alcuni propri. Crea una pulsazione regolare chiamata ping e, in base al tempo che separa l’emissione dell’impulso dalla ricezione dell’eco, stima la distanza dell’oggetto.
Il sonar fu inventato dallo statunitense Lewis Nixon nel 1906 e doveva servire alle navi per individuare gli iceberg in tempo per evitare collisioni. In seguito, durante la Prima guerra mondiale, venne sviluppato un particolare tipo di sonar adatto a individuare i sommergibili. Entrambi i dispositivi erano sonar passivi, e solo verso la fine del conflitto l’esercito britannico e quello statunitense svilupparono i primi strumenti attivi.
Oggi i sonar vengono usati, oltre che per guidare la navigazione dei sommergibili, anche per la ricerca di mine, per la misurazione delle profondità marine e per la pesca.
Il sonar viene usato anche per le comunicazioni, in particolare dei sommergibili, che utilizzano gli impulsi sonori insieme al codice Morse – quello usato anche per il telegrafo – per scambiare informazioni tra loro e con le imbarcazioni che si trovano in superficie.
Oltre a imbarcazioni e sommergibili, anche i grandi cetacei, come balene e delfini, usano i suoni sottomarini a proprio vantaggio. I ‘canti’ di questi animali costituiscono probabilmente un vero e proprio linguaggio che permette a individui della stessa specie di segnalarsi reciprocamente la presenza di pericoli o fonti di cibo e di orientarsi nei loro spostamenti.
Secondo un’ipotesi accreditata, anche se mai confermata con certezza, la causa degli spettacolari ‘spiaggiamenti’ dei cetacei – che sembrano perdere l’orientamento e finiscono arenati a morire su qualche litorale – sarebbero proprio i suoni emessi dai sonar (ma anche dai test condotti sui fondali oceanici durante la ricerca di petrolio) che mandano in tilt il sonar naturale degli animali.
Per questo da anni molti gruppi di ambientalisti chiedono a gran voce limitazioni all’utilizzo di sonar, in particolare di quelli a bassissima frequenza, sperimentati da molti eserciti, capaci di emettere suoni che raggiungono anche distanze di centinaia di chilometri.