Sonde molecolari
Può essere definita sonda molecolare una qualsiasi molecola capace di riconoscerne una seconda, che presenti con la prima somiglianze più o meno estese, tramite processi di complementarità di sequenza oppure per reazione immunologica (antigene-anticorpo). Le sonde più utilizzate in biologia molecolare sono molecole di DNA a singolo filamento oppure di RNA che, opportunamente marcate, si accoppiano (ibridazione molecolare) a una seconda molecola contenente una sequenza nucleotidica complementare, sovente immobilizzata su supporto solido e definita bersaglio. La stabilità dell'ibrido risultante dipende dall'estensione della complementarità di sequenza.
L'idea di ibridazione molecolare tra sequenze complementari è implicita nel modello di DNA proposto da J. Watson e F. Crick nel 1953; lo studio di cinetica di rinaturazione è stato, in tempi pionieristici, un metodo per valutare la complessità dei genomi. Nella storia recente dell'analisi della complementarità di sequenza tramite s. m., un posto d'onore spetta a due tecnologie di analisi mediante ibridazione molecolare: a) il trasferimento e l'immobilizzazione di acidi nucleici su supporto solido dopo elettroforesi, definito Southern blotting dal nome dello scienziato che ha introdotto tale tecnica; b) l'ibridazione in situ su preparati cromosomici (Knoll, Lichter 1995).
Punto critico di ogni esperimento di ibridazione è il calcolo della stabilità dell'ibrido, espresso dalla sua temperatura di fusione Tm (Dyson 1991), temperatura alla quale la s. m. dissocia dalla sua sequenza bersaglio. La temperatura di fusione può essere calcolata attraverso appropriate formulazioni matematiche: una Tm media, a una forza ionica di 0.15M ioni Na+ è di circa 85 °C (Boncinelli, Simeone 1991). Altra considerazione riguarda la velocità con la quale l'ibrido si forma. Entrambi questi parametri dipendono da una serie di proprietà chimico-fisiche, quali la lunghezza dell'ibrido, la presenza di regioni non complementari, la forza ionica della soluzione, la temperatura, la presenza di agenti chimici destabilizzanti quali la formamide. Un tipico esperimento di ibridazione di acidi nucleici può avvenire con la sequenza bersaglio immobilizzata su supporto solido, sia in specifici punti designati, noti come dot-blot (Denhardt 1966), sia dopo elettroforesi.
Un ampliamento del concetto dell'ibridazione su dot-blot è dato dall'ibridazione di genoteche per identificare frammenti genomici e/o di RNA messaggero (tecnica di ibridazione su colonia). Le colonie di batteri ricombinanti vengono fatte crescere su piastra di agar che viene poi opportunamente replicata su supporto solido (ossia un filtro di nitrocellulosa/nylon). Nell'immobilizzazione dopo elettroforesi, il DNA viene digerito enzimaticamente con appropriate endonucleasi di restrizione, che lo frammentano in corrispondenza di determinate sequenze nucleotidiche palindromiche. Esso viene poi sottoposto a elettroforesi su supporto solido inerte (spesso un polimero di carboidrati, l'agarosio) e successivamente trasferito da tale supporto a membrane di nitrocellulosa oppure di nylon (Southern blotting). Nel caso che l'acido nucleico trasferito sia RNA, il procedimento è definito, per analogia con il nome dello scopritore della tecnica, Northern blotting. Questa tecnica è stata per anni la sola metodica per definire il livello di trascrizione di un gene ed è ampiamente impiegata. Continuando l'analogia, il trasferimento di proteine su filtro è definito Western blotting; in questo caso la sonda è rappresentata da un anticorpo che, prodotto a partire dall'iniezione in un coniglio (anticorpo policlonale) di una soluzione o sospensione dell'antigene proveniente dalla specie in esame, riconosce il corrispondente epitopo antigenico nella specie desiderata. Il trasferimento del DNA dall'agarosio al supporto membranoso fa sì che tale membrana rappresenti la copia conforme dell'elettroforesi appena effettuata. L'acido nucleico si trasferisce per capillarità, trascinato dalla soluzione, in cui si realizza il trasferimento stesso e che può essere ad alta forza ionica o alcalina. Un'alternativa al trasferimento per capillarità è rappresentata dall'elettroblotting (trasferimento per passaggio di corrente), usata principalmente per il trasferimento di proteine. L'acido nucleico a singolo filamento, legato alla membrana in maniera non covalente (su nitrocellulosa) oppure covalente (su nylon), può essere a questo punto efficientemente ibridato con specifica s. m., che riconoscerà la sequenza a essa complementare. L'avvento di questa tecnica e la possibilità di riconoscere frammenti di DNA sulla base dell'omologia di sequenza hanno reso possibile l'ottenimento di informazioni sull'organizzazione fisica di sequenze singole e ripetute di un determinato genoma. Questa tecnologia ha contribuito all'identificazione e al clonaggio di geni e allo studio della diversità genomica, attraverso analisi di polimorfismi di restrizione (RFLP) e, successivamente, con la tecnologia dell'impronta molecolare (fingerprinting). L'analisi prenatale e la medicina forense sono in molti casi basate ancora sull'ibridazione molecolare, con appropriate sonde, tra DNA e/o RNA derivati da svariate fonti biologiche (Lewin 1997).
Marcatura della sonda molecolare di DNA o di RNA
L'avvenuta formazione dell'ibrido molecolare può essere seguita attraverso la marcatura della sonda con specifici isotopi radioattivi che si incorporano nella molecola ed emettono segnali capaci di impressionare una lastra autoradiografica. Il limite inferiore di sensibilità per una sonda molecolare marcata radioattivamente, con un'attività specifica media (108-109 dpm/microgrammo di DNA) è di circa 0,5 picogrammi di DNA (1 picogrammo corrisponde a 10−12 g di DNA). La marcatura può anche essere effettuata con sostanze non radioattive, quali la biotina oppure la digossigenina, ed essere poi rivelata enzimaticamente oppure per fluorescenza. Dieci microgrammi di DNA genomico umano contengono all'incirca 1,5 picogrammi di un gene a copia singola, composto da 500 nucleotidi: analizzando tale quantità è ragionevole attendersi un'efficiente rilevazione.
La marcatura degli acidi nucleici riveste un'importanza chiave nella loro efficacia quali sonde molecolari. I metodi di marcatura permettono di marcare la molecola alla sua estremità oppure in tutta la sua lunghezza, indipendentemente dal tracciante adoperato. La marcatura all'estremità 5'OH, per es., di una molecola di DNA avviene tramite l'enzima polinucleotide chinasi, che catalizza il trasferimento di un atomo di fosforo dall'ATP (acido adenosintrifosforico) a un terminale 5'-OH libero (spesso previo trattamento della molecola di DNA con una fosfatasi, che elimina il fosfato all'estremità 5'). Tali metodi introducono una o pochi residui marcati radioattivamente: questa peculiarità può essere utile per specifici esperimenti di mappatura genetica o quando la s. m. è costituita da una corta sequenza di DNA, sintetizzata chimicamente (oligonucleotide). In tal caso, data l'esigua lunghezza della molecola usata, anche una marcatura in un singolo residuo può condurre a un'alta attività specifica (rapporto delle conte per minuto/quantità di acido nucleico). Una marcatura più efficace è quella che invece coinvolge la sonda nella sua interezza. Il metodo più usato è stato messo a punto nei laboratori di P. Berg e T. Maniatis ed è chiamato in inglese nick translation, a indicare lo spostamento del taglio a singola elica che rende possibile la marcatura stessa. La reazione di marcatura è ripresa dalla reazione di riparazione del DNA batterico dopo danno tramite UV, ed è catalizzata dalla DNA polimerasi i (Pol i). La prima fase della reazione prevede un taglio endonucleolitico effettuato dalla DNAsi i, che produce su entrambi i filamenti una rottura del legame 5'P-3'OH fosfodiesterico tra due basi contigue. L'aggiunta alla miscela di reazione della DNA polimerasi i e di una miscela dei 4 deossinucleotidi trifosfati marcati nella posizione α dà inizio alla reazione di aggiunta di nucleotidi. La DNA polimerasi i agisce attraverso un innesco (primer) che trova nell'estremità 3'OH lasciata libera dall'azione precedente dell'endonucleasi DNAsi i. L'enzima avanza in direzione 5'P-3'OH, scalza le basi non radioattive presenti nella molecola di DNA e le sostituisce con quelle, radioattive, presenti nella miscela di reazione. La DNA polimerasi i è provvista anche di un'attività esonucleasica, 3'-5' con la quale può eliminare anche le basi che ha appena aggiunto (attività di 'correzione di bozze'). Il risultato finale della reazione è una specifica molecola di DNA resa radioattiva nella sua maggior parte, se non totalmente; quindi, la sua attività specifica è enorme (109 conte per minuto/microgrammo di DNA). Sonde ad alta attività possono essere prodotte anche a filamento singolo, attraverso l'azione del frammento di Klenow, la porzione esclusivamente polimerasica della DNA polimerasi i. Il frammento di Klenow è utilizzato anche in un secondo metodo di marcatura su DNA a doppio filamento, definita a innesco casuale. In questo caso, il DNA denaturato si appaierà con una miscela di piccoli oligonucleotidi (6-8 basi di lunghezza) che rappresentano una combinazione casuale di sequenze. Questi oligonucleotidi si legheranno in più punti al DNA denaturato, fungendo da innesco. A questo punto il frammento di Klenow inizia la polimerizzazione utilizzando precursori radioattivi. Questa tecnologia consente di ottenere molecole marcate con efficienza molte volte più alta che nella nick translation. La marcatura tramite innesco casuale è tuttavia più efficace quando la lunghezza del frammento da marcare è limitata (〈500 coppie di basi). S. m. marcate con alta efficienza possono essere ottenute anche tramite la reazione di polimerizzazione a catena o PCR (Polymerase Chain Reaction).
Nel caso specifico della marcatura di sonde a DNA, i due inneschi, uno a monte e uno a valle del frammento da marcare, lo amplificano e nel contempo lo marcano se nella miscela di reazione si utilizzano appropriate concentrazioni di precursori nucleotidici radioattivi. Tecnicamente differente è la marcatura del RNA, spesso utilizzato per studi di espressione genica, quali, per es., gli esperimenti di ibridazione in situ su preparati istologici. Questa tecnologia è risolutiva per specifiche necessità, quali l'ottenimento di sonde ad altissima efficienza per individuare trascritti anche estremamente rari e/o presenti in ristrette regioni di un organismo e per la minimizzazione del segnale di fondo che altrimenti darebbe luogo a marcature uniformi del preparato. In questo caso, la s. m. è sintetizzata e contemporaneamente marcata in vitro attraverso una RNA polimerasi fagica, quale quella dei fagi SP6, T7 e T3; tali enzimi lavorano in presenza di specifici promotori, clonati in vettori batterici progettati ad hoc, a monte del DNA stampo da trascrivere in RNA. Queste ribosonde formeranno ibridi RNA:RNA più stabili degli ibridi DNA:RNA delle normali reazioni di ibridizzazione molecolare.
La maggiore delicatezza di questi esperimenti spesso impone accorgimenti speciali volti a migliorare il rapporto tra segnale specifico e segnale di fondo; di qui l'utilizzo di sonde non molto lunghe, che favoriscano la penetrazione della sonda stessa nel preparato istologico, o di precursori radioattivi con maggiore potere risolutivo, quali lo zolfo S35 invece che il fosforo P32. Essenziali risultano l'incubazione (preibridazione) del filtro o del preparato istologico con sostanze che, formando una patina, impediscano alla sonda di fissarsi specificamente, e la scelta delle condizioni di lavaggio, fase immediatamente successiva alla reazione di ibridazione. Nel caso più semplice di ibridazione di membrane dopo trasferimento di acidi nucleici (Southern blotting e derivati), per la preibridazione si usano sostanze quali l'albumina, il ficoll, il polivinilpirrolidone (miscela di Denhardt), oltre che DNA non complementare al DNA bersaglio, quale DNA da sperma di salmone o aringa; per le condizioni di lavaggio, le possibili variabili sono temperatura e forza ionica della soluzione di lavaggio, modulate in dipendenza del grado di omologia di sequenza delle molecole ibridizzanti. Lavaggi a bassa forza ionica sono detti stringenti: la soluzione è solitamente costituita da sodio salino citrato. Lavaggi ad alta forza ionica sono consigliabili quando la complementarità di sequenza tra sonda e bersaglio non appare molto estesa, per es. nell'identificazione di sequenze geniche interspecifiche, quali geni ortologhi. L'evolversi di sistemi di marcatura alternativi ai radioisotopi ha leggermente modificato i protocolli sperimentali, dalla fase di preparazione della sonda a quella di rilevazione del segnale. Un caso esemplificativo è l'ibridazione in situ su cromosomi metafasici, tecnologia largamente e variamente utilizzata sia nella ricerca di base sia in applicazioni biomediche e biotecnologiche. In questo caso, il campione viene deposto su vetrini da microscopia mentre la sonda, tramite nick translation oppure random priming, viene biotinilata o marcata con digossigenina (Knoll, Lichter 1994); la rilevazione è poi fatta per fluorescenza, incubando il sistema sonda/vetrino con un fluorocromo oppure con uno specifico enzima. La scelta della marcatura non isotopica riflette alcuni vantaggi che queste tecnologie mostrano rispetto alle isotopiche. In primo luogo, le tecniche basate sulla fluorescenza non necessitano dei lunghi tempi di esposizione; ancora, per studi di biologia umana, molecole come la digossigenina presentano un segnale di fondo minore, poiché non sono componenti naturali delle cellule di mammifero; inoltre, con l'uso di appropriati filtri, è possibile visualizzare più sonde contemporaneamente. I fluorocromi più comunemente utilizzati sono eccitati a differenti lunghezze d'onda ed emettono differenti fluorescenze: esempi sono la fluoresceina isotiocianato (FITC), che emette nel verde, la rodamina tetrametil isotiocianato, emittente nel rosso, il Texas Red e la ficoeritrina. La rilevazione enzimatica viene fatta tramite perossidasi di rafano o HRPO (Histofine simple stain Rat MAX PO) usando diaminobenzidina (DAB) come substrato. Le analisi di ibridazione in situ per fluorescenza o FISH (Fluorescent In Situ Hybridization), oltre al contributo all'identificazione di geni, allo studio dei riarrangiamenti cromosomici nella diagnostica molecolare e dell'evoluzione del genoma, possono dare un contributo allo studio della regolazione dell'espressione genica. Questo è stato provato da studi sui cambiamenti dell'architettura nucleare, che si modula nel caso di geni attivati o repressi occupanti differenti posizioni nel nucleo, con i primi localizzati sulla superficie dei territori cromosomici e i secondi principalmente spostati verso il suo interno.
Applicazioni
La disponibilità delle sequenze di tutti i geni di un determinato organismo, derivata dalla conclusione del Progetto Genoma, ha contribuito alla modernizzazione del concetto stesso di sonda molecolare. Un esempio viene fornito dalla tecnologia dei microarray, nata dagli sforzi congiunti di biologia molecolare, bioinformatica e microelettronica; qui, per s. m. si intendono migliaia o centinaia di migliaia di sequenze codificanti, regioni regolative o interi genomi che, depositati con diverse metodiche su barrette di silicio, vengono 'interrogati' per ibridazione con una miscela di molecole, spesso complessa, definita target. La s. m. immobilizzata può essere costituita da RNA retrotrascritto (cDNA) oppure oligonucleotidi depositati e/o sintetizzati in situ. I microarray a oligonucleotidi hanno un consistente potenziale applicativo perché sfruttano la ridondanza del probe, ossia sullo stesso microarray vengono depositati oligonucleotidi multipli, con diversa sequenza, disegnati per ibridare con differenti regioni della stessa molecola target. Questa strategia mitiga gli effetti delle ibridazioni spurie, riducendo il numero di falsi positivi, e quindi migliora l'accuratezza dell'analisi, fondamentale nella ricerca di mutazioni puntiformi in geni specifici. Applicazioni di questa tecnologia si ritrovano nella definizione del profilo di espressione di cellule e tessuti, nella diagnostica molecolare di malattie a carattere familiare, in special modo per patologie altamente polimorfiche che non sono efficientemente studiate con protocolli di uso corrente. Inoltre, l'accoppiamento di tecniche sofisticate di biologia molecolare (immunoprecipitazione della cromatina) con tecniche di ibridazione su vetrino permette la definizione dei siti di legame di proteine regolative nell'ambito di un intero genoma (Weinmann, Yan, Oberley et al. 2002) oppure la definizione delle modificazioni genomiche (metilazione del DNA) o post-traduzionali (modificazioni delle lisine istoniche) a valore regolativo, specifiche di un determinato genoma in una determinata finestra di sviluppo. Essendo una tecnologia in piena espansione, il miglioramento tecnico delle sue componenti fondamentali e accessorie è una delle principali frontiere verso cui la ricerca scientifica si sta muovendo. Un esempio è la sintesi di analoghi del DNA, definiti peptide nucleic acids (PNA) e locked nucleic acids (LNA) che limiterebbe il formarsi di strutture secondarie o l'alterazione della concentrazione del cDNA sonda in particolari punti, tramite l'azione di campi elettrici (piezoelectric printing method). I LNA sono analoghi del DNA, carichi negativamente, contenenti un ponte metilenico che connette l'ossigeno in posizione 2' del ribosio con il carbonio in posizione 4'. Tale conformazione chiusa (locked) riduce la flessibilità conformazionale del ribosio, rendendo i LNA resistenti all'azione delle nucleasi e con un'altissima affinità per DNA o RNA a esso complementari (Aartsma-Rus, Kaman, Bremmer-Bout et al. 2004). I LNA hanno le seguenti caratteristiche: a) possiedono un legame estremamente efficiente al DNA complementare; b) sono molto efficaci come molecole antisenso per applicazioni terapeutiche, in vitro e in vivo; c) sono disponibili commercialmente.
I PNA sono molecole sintetiche a carica neutra (Nielsen, Egholm, Berg et al. 1991). In tali molecole la carica negativa dello scheletro di (deossi-) ribosio fosfato è rimpiazzata da una struttura neutra composta di N-2-aminoetil-glicina. La natura neutra di questa molecola è responsabile della stabilità dell'ibrido PNA-DNA rispetto all'ibrido DNA-DNA. Conseguentemente, differenze in una singola base hanno un effetto più destabilizzante sull'ibrido PNA-DNA, in maniera direttamente dipendente dalla posizione della base variante nella sequenza. Lo scheletro neutro permette un'ibridazione molecolare al DNA indipendente dalle condizioni saline: in questo modo la struttura è stabile in un vasto spettro di condizioni di pH e di temperatura, a differenza del DNA che si deteriora (per depurinazione) in condizioni acide. Questi analoghi del DNA sono utilizzati in una larga varietà di applicazioni, sia nel campo della ricerca di base sia in applicazioni terapeutiche, quali: ibridazione in situ su cromosomi metafasici (PNA-FISH), metodica del PCR clamping; determinazione del genotipo tramite PNA-LNA-SNP (Single Nucleotide Polymorphism) (Vester, Wengel 2004). In tal caso, la maggiore stabilità di queste sonde, accoppiata alla maggiore capacità discriminativa, rende l'analisi estremamente efficiente. Ancora, sonde a LNA sono utilizzate per identificare RNA messaggeri aventi al terminale 3' lunghi poly-A. Sono anche usati in microarray oppure in altri biosensori (Brandt, Hoheisel 2004), per lo studio dell'espressione genica o per lo studio di specifici elementi regolativi, quali, per es., i micro RNA. L'uso di PNA e LNA è infine estensivo nella terapia genica tramite oligonucleotidi antisenso, ed è stato provato anche nella correzione di difetti dei meccanismi di splicing, per es. nella terapia della distrofia muscolare di Duchenne (Aartsma-Rus, Kaman, Bremmer-Bout et al. 2004). Miglioramenti sono evidenti anche nelle tecniche di marcature delle molecole target da ibridare alle sonde di vario tipo immobilizzate sui microarrays.
I protocolli iniziali di marcatura erano basati sulla marcatura diretta: l'mRNA retrotrascritto (cRNA) era direttamente marcato nel processo stesso di ottenimento del cRNA effettuato immettendo, nella miscela di reazione, dCTP oppure dUPT coniugato con molecole fluorescenti (tipicamente Cy3 oppure Cy5): tale sistema era però inefficiente e l'ammontare dell'incorporazione differiva a seconda del marcatore fluorescente utilizzato. Questo problema è stato inizialmente affrontato tramite l'uso di enzimi (trascrittasi inversa) più intrinsecamente efficienti; in genere si preferisce ricorrere a metodi indiretti di marcatura, come, per es., la marcatura aminoallilica. Questa metodica non prevede l'incorporazione del precursore fluorescente durante la reazione di retrotrascrizione: vengono invece utilizzati dUTP modificati per aggiunta di gruppi aminoallilici. Dopo la reazione di trascrizione inversa, l'amino-gruppo libero del dUTP modificato è associato a un colorante fluorescente rappresentato da un estere N-idrossisuccinimidilico reattivo. Questa tecnica è più laboriosa della precedente, ma assicura maggiore sensibilità, assenza di marcatura differenziale dei diversi fluorofori e costi diminuiti. In commercio sono reperibili differenti coloranti N-idrossisuccinimidilici.
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