sonetto
Il sonetto è la forma metrica più celebre e fortunata della tradizione lirica italiana (Beltrami 20024: 99-100, 274-289; per l’uso dantesco, Baldelli 1976). Nella forma tipica si compone di 14 endecasillabi (➔ endecasillabo), divisibili in una prima parte di 8 versi (detta anche ottava o ottetto; ma il primo termine ingenera ambiguità con l’ottava, strofa detta anche ➔ ottava rima) e una seconda di 6 (sestina o sestetto; anche in questo caso, il primo termine si sovrappone alla denominazione della ➔ sestina).
Secondo una consolidata, anche se discussa, tradizione (che si è a lungo riverberata anche nelle modalità grafiche di riproduzione della forma), tanto la prima quanto la seconda parte sono a loro volta divisibili per due (la prima in due quartine o quartetti, la seconda in due terzine o terzetti). La prima parte è costruita su due rime, alternate (ABABABAB) o incrociate (ABBAABBA): il primo schema, che nel Duecento convive con il secondo (i trattatisti parlano, rispettivamente, di sonetti dimidiati e incrociati o semplici), viene assai presto, e in particolare a partire dallo Stil Novo, sostituito da quest’ultimo (del tutto minoritarie altre varianti, per quanto sporadicamente rappresentate nel Canzoniere petrarchesco). La seconda parte è costruita su due o tre rime, diverse dalle prime e disposte in maniera da non lasciare versi a rima irrelata. Gli schemi più frequenti sono quello a rime alterne CDC DCD, o replicate CDE CDE; meno diffusi quello a rime replicate con inversione CDE DCE, o retrogradate CDE EDC (e altri ancora: per l’intera casistica resta fondamentale il censimento di Biadene 1888). Uno sperimentalismo eccentrico tendente all’espansione del numero di versi della prima e della seconda parte è tipico, nel Duecento, di Guittone d’Arezzo e di Monte Andrea (➔ Duecento e Trecento, lingua del). Le articolazioni sintattiche nello spazio breve del sonetto possono essere, in relazione alle sue partizioni metriche, le più varie, esercitando la libertà stilistica degli autori.
Per quanto articolate e non convergenti siano le teorie relative alle sue origini, è indubbio che il sonetto nasca in Italia con il primo poeta della ➔ Scuola poetica siciliana, Giacomo da Lentini, che ne è pertanto considerato l’inventore. Del metro, in sé non strofico (ma in origine spesso destinato a rispecchiarsi nel dialogo delle tenzoni a più voci), alcuni hanno contestato, altri sostenuto con buoni argomenti l’identificazione con una stanza di ➔ canzone, secondo il tipo della cobla esparsa provenzale (tra questi, Antonelli 1989).
Per le sue doti di concisione e di versatilità, il sonetto si è prestato, a differenza della più paludata e tecnicamente ardua canzone (nella gerarchia della ‘nobiltà’ metrica codificata da ➔ Dante nel De vulgari eloquentia, il sonetto occupa il terzo rango, dopo la canzone e la ➔ ballata), ai generi e ai temi più svariati, anche non lirici, godendo d’ininterrotta fortuna, dalle origini al Novecento (notevoli i sonetti, o i componimenti che al sonetto direttamente s’ispirano, di Giorgio Caproni, Andrea Zanzotto, Giovanni Raboni), e non soltanto in Italia, ma anche nelle principali letterature romanze e non (in forme direttamente imitate o in parte adattate e rielaborate: basti pensare, per la Spagna, a Luis de Góngora; per la Francia, ai poeti della Pléiade; per l’Inghilterra, a William Shakespeare e a John Milton).
Si citano alcune tra le varianti più significative della forma. Il sonetto doppio prevede l’integrazione allo schema principale di un ➔ settenario (in genere in rima con il verso che lo precede) dopo i versi dispari delle quartine e dopo il verso mediano delle terzine: così nel dantesco Morte villana, di pietà nemica (Vita nova VIII, 8-11; Rime 7), a schema AaBBbA AaBBbA CDdC CDdC.
Del tutto affine – le due forme vengono infatti spesso confuse – è il sonetto rinterzato («rafforzato»), tipico di Guittone d’Arezzo, nel quale il settenario segue anche il primo verso delle terzine. Il sonetto ritornellato prevede in chiusa l’aggiunta di un endecasillabo in rima con l’ultimo verso, o, più comunemente, di un distico di endecasillabi monorimi (l’esempio più antico in Guido Cavalcanti). Il sonetto caudato, diffuso a partire dal Trecento, prevede l’aggiunta di una ‘coda’, composta in genere di un settenario in rima con l’ultimo verso dello schema principale e da un distico di endecasillabi a rima baciata. Le code possono essere anche due o più di due (il settenario della seconda coda rima con l’endecasillabo che lo precede, e così via). Nel Trecento il sonetto caudato si applica soprattutto alla trattazione di temi non lirici o espressamente comico-realistici; nel Cinquecento (nella poesia bernesca) si diffondono i sonetti con un numero elevato di code, detti anche sonettesse (di argomento deliberatamente comico-parodico). Per estensione, anche se impropriamente, è detto caudato anche il sonetto ritornellato.
Varianti poco significative e assai poco diffuse si riferiscono a peculiarità metriche o linguistiche. Nel sonetto comune o misto alcuni endecasillabi possono essere sostituiti da settenari. Nel sonetto minore tutti i versi sono di misura inferiore a quella endecasillabica (in particolare, settenari: in questo caso si parla anche di sonetto settenario; sonetti minori e caudati di ottonari sono riscontrabili nella versificazione pascoliana di Myricae). Il sonetto muto o tronco è formato di endecasillabi tronchi; il sonetto duodenario e sdrucciolo di sdruccioli (eventualmente alternati a endecasillabi piani). Nel sonetto continuo l’intero schema è costruito su due rime. Poco più di esperimenti artificiosi (Duso 2004) sono anche i sonetti metrici (nei quali si alternano versi italiani a versi latini desunti da autori classici), semiletterati (nei quali si alternano versi italiani a versi latini costruiti come endecasillabi) e bilingui (nei quali si alternano versi italiani a versi in altre lingue romanze, come il francese) o trilingui.
Antonelli, Roberto (1989), L’“invenzione” del sonetto, in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena, Mucchi, 4 voll., vol. 1°, pp. 35-75.
Baldelli, Ignazio (1976), Sonetto, sonetto doppio, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970-1978, 6 voll., vol. 5º, ad vocem.
Beltrami, Pietro G. (20024), La metrica italiana, Bologna, il Mulino (1a ed. 1991).
Biadene, Leandro (1888), Morfologia del sonetto nei secoli XIII-XIV, «Studj di filologia romanza» 4, 1 (rist. anast. a cura di R. Fedi, Firenze, Le Lettere, 1977).
Duso, Elena Maria (2004), Il sonetto latino e semilatino tra Medioevo e Rinascimento, Roma - Padova, Antenore.