sonno
In senso proprio, per l'atto di dormire e il riposo e la quiete che ne derivano: Pg XXX 104 Voi vigilate ne l'etterno die, / sì che notte né sonno a voi non fura / passo che faccia il secol per sue vie; XXXII 72 Però trascorro a quando mi svegliai, / e dico ch'un splendor mi squarciò 'l velo / del sonno, e un chiamar: " Surgi: che fai? ". Talvolta il termine è preceduto da aggettivo: alto sonno (If IV 1), soave sonno (Vn III 3), deboletto sonno (§ 7).
Nei seguenti sintagmi s. compare come complemento diretto o indiretto: ‛ rompere il s. ' (nella forma attiva in If IV 1, intransitiva in Vn XII 9, e passiva in Pg XXXII 78; con costrutto intransitivo pronominale in IX 33); ‛ lusingare il s. ' (Rime CVI 79): ‛ perdere il s. ' (If XIII 63; si veda, per la variante le vene e' polsi, Petrocchi, Introduzione 136 e ad l.); ‛ slegarsi dal s. ' (Pg XV 119); il s. si frange (XVII 40), ‛ sopraggiunge ' (Vn III 3), ‛ se ne va ' (Pg IX 63), ‛ fugge ' (IX 41, XXVII 113), ‛ piglia ' D. (If III 136), o lo ‛ prende ' (Pg XXVII 92, dove il termine ricorre una seconda volta, personificato: mi prese il sonno; il sonno che... / anzi che 'l fatto sia, sa le novelle).
Nel senso piuttosto di " sonnolenza ", in If I 11 era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai (simbolicamente, il s. sta qui a significare lo " smarrimento " del poeta: cfr. Petrocchi, in Nuove Lett. I 14; cfr. anche G. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla " D.C. ", Firenze 1967, 55-58); XXV 90 Lo trafitto [Buoso Donati, morso da un serpe nella bolgia dei ladri]... / sbadigliava / pur come sonno o febbre l'assalisse; Pg IX 11 vinto dal sonno, in su l'erba inchinai; XV 123 se' venuto... / velando li occhi e con le gambe avvolte, / a guisa di cui vino o sonno piega.
Nel senso di " sogno ", in If XXXIII 26 feci 'l mal sonno / che del futuro mi squarciò 'l velame (propriamente " sonno " [contrapposto a ‛ desto ' dei vv. 37 e 43], ma turbato da orribili sogni premonitori, al v. 38 pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli, dove alcuni chiosano " mentre dormivano " [Torraca], " dormendo o sognando " [Mattalia]); Pd XII 65 la donna che per lui [s. Domenico] l'assenso diede, / vide nel sonno il mirabile frutto / ch'uscir dovea di lui e de le rede; Vn III 9 scrissi a loro ciò che io avea nel mio sonno veduto, e XII 4, dove il termine ricorre al plurale.
in If IV 68 Non era lunga ancor la nostra via / di qua dal sonno, quand'io vidi un foco / ch'emisperio di tenebre vincia, la lezione oggi più seguita dagli editori, di qua dal sonno, è da interpretare " postquam excitatus sum ab illo somno " (Benvenuto, che prospetta anche la possibilità di leggere di qua dal sono, cioè " non multum iveramus post introitum primi circuli, ubi terribilis sonus lamentorum excitavit autorem dormientem ", aggiungendo che " est tamen idem sensus "; il Sapegno spiega " dal punto in cui Dante udì il tuono "); sonno legge anche il Landino (" di qua dal luogo dove fui posto dormendo, che fu la ripa d'Acheronte "). Ma già i primi commentatori riconoscevano, oltre a sono, la presenza di un'altra lezione, di qua dal sommo, " dalla sommità onde si scende nel primo cerchio " (Landino), " dalla ‛ proda ' in cui Dante si trovava quando il tuono gli ruppe il sonno " (Petrocchi, ad l.), " dalla proda, dall'orlo del cerchio " (Torraca).