Sonno
«Caro m’è ‘l sonno e più l’esser di sasso»
(Michelangelo Buonarroti)
La medicina del sonno
di
13 giugno
Uno studio dell’Associazione italiana di medicina del sonno, presentato in un convegno a Milano, rivela che almeno il 30% degli italiani soffre di disturbi del sonno, che vanno dalla più comune insonnia fino all’estremo opposto, l’ipersonnia. Si tratta di patologie molto spesso trascurate, talvolta minimizzate dalle stesse persone che ne sono affette, ma che invece incidono profondamente sulla qualità della vita.
Lo studio sistematico delle malattie e dei disturbi del sonno ha avuto inizio nei primi anni Sessanta del 20° secolo, dopo che nel 1957 Nathaniel Kleitman e William Dement avevano descritto gli aspetti poligrafici del sonno dell’uomo, dall’addormentamento al risveglio fisiologici. La polisonnografia ha consentito di distinguere il sonno normale da quello patologico, aprendo la strada a quella che oggi chiamiamo medicina del sonno. I disturbi di cui si occupa sono suddivisi in: insonnie, ipersonnie, parasonnie, disturbi del ritmo sonno-veglia.
Le insonnie
Sono insonni coloro che asseriscono di dormire poco e male. In questa accezione, l’insonnia è un sintomo, non una malattia. L’insonnia può essere un segno oggettivo di alcune malattie neurologiche, come per esempio l’encefalite epidemica e l’insonnia fatale familiare. Il disturbo è, in questi casi, generato dalla lesione selettiva di strutture nervose (ipotalamo o talamo) coinvolte nella fisiologia del sonno. Il termine più appropriato per definire queste e altre forme ‘organiche’ di insonnia è agrypnia (in greco «che caccia il sonno»). Come sintomo l’insonnia può manifestarsi in forma transitoria, in qualsiasi situazione che crei disagio fisico o psicologico (il timore di un esame, un cambiamento di letto, un trasloco ecc.). Anche eventi piacevoli, come una grossa vincita al gioco o un successo professionale, possono dar luogo a una notte insonne. Le insonnie di una o pochissime notti non sono un problema clinico; se, invece, le notti insonni si susseguono per alcune settimane (insonnia acuta o di breve durata) diventano un disturbo di cui deve occuparsi il medico di famiglia, al quale spetta il compito di aiutare il paziente a riconoscere e rimuovere le cause dell’insonnia e, se lo ritiene opportuno, somministrare terapie adeguate, tra cui anche un ipnotico che, interrompendo la serie delle notti insonni, potrà evitare i circuiti di autoaggravamento, che trasformano l’insonnia transitoria in un disturbo cronico. Le insonnie croniche, che si sono instaurate da mesi o da anni, sono un problema piuttosto serio, di cui si devono occupare gli psichiatri o i neurologi. Sono molto diffuse: se ne lamentano infatti tra il 10 e il 15% delle persone, in tutte le popolazioni occidentali. Le donne ne sono affette più degli uomini (il 17% rispetto al 10%, secondo i dati raccolti in un’indagine epidemiologica da noi svolta a San Marino: Lugaresi et al. 1983). Il numero degli insonni aumenta con l’età: i bambini che se ne lamentano sono meno del 10%; i giovani adulti tra il 10 e il 20%; gli anziani di sesso maschile più del 30%, di sesso femminile più del 40%. Se a un insonne cronico viene chiesto perchè non dorme, spesso risponde «perché sono preoccupato». Con questo termine generico, si riferisce a tutto ciò che gli crea inquietudine, ansia o depressione, come, per esempio, una tensione o un conflitto all’interno della famiglia o dell’ambiente di lavoro. In ogni caso, è difficile capire se i problemi che una persona insonne riferisce siano legati a situazioni oggettive, o non siano piuttosto da ricondurre a una personalità rigida e mal adattabile, a un temperamento portato al pessimismo. Gli insonni giovani, o relativamente giovani, riferiscono molto spesso di essere iperemotivi, ansiosi, depressi; quelli anziani forse più spesso tendono ad attribuire il loro disturbo a problemi fisici (dolori muscolari o articolari, bruciori di stomaco, disfunzioni prostatiche ecc.). Ciò è certamente legato al fatto che, nell’età avanzata, i problemi fisici aumentano, ma è anche vero che gli anziani sono spesso ipocondriaci e tendono a trasformare le sofferenze morali in problemi fisici.
Una forma piuttosto comune di insonnia è quella che, con termini abbastanza oscuri, è stata definita insonnia psicofisiologica. Questa forma colpisce persone scrupolose, con un alto senso del dovere, che lavorano con molto impegno e che, durante il lavoro, hanno difficoltà a concedersi delle pause. Pur dormendo male, non avvertono stanchezza o sonnolenza durante il giorno ma, dopo cena, sono spesso assalite da una sonnolenza molto intensa. Quando, però, si stendono sul letto e cercano di addormentarsi, si risvegliano e non riescono più a prendere sonno, per decine di minuti o anche per ore. Il mattino seguente si sentono stanche e depresse. Questa forma di insonnia è stata definita anche condizionata perché spesso il disturbo si manifesta solo nel momento in cui il paziente, che dorme davanti alla televisione o sdraiato sul divano, si trasferisce dal soggiorno nella propria camera da letto, dove non riesce più a prendere sonno. Anthony Kales, uno psichiatra americano che, prima e forse meglio di ogni altro, si è occupato di questo argomento, ha ipotizzato che le insonnie psicofisiologiche siano legate a uno stato di iperattivazione cerebrale, una condizione che ha definito hyper-arousal. Lo studio anatomo-funzionale, eseguito tramite PET (Positron Emission Tomography) in un gruppo di insonni, sia pur indirettamente, conferma questo assunto. Nelle persone insonni, la corteccia cerebrale, durante il sonno, resta più attiva (cioè ha un metabolismo più elevato) che di norma. Le persone affette da insonnie condizionate dormono meglio in laboratorio che nel loro letto. L’insonnia paradossale è una forma più rara, ma molto fastidiosa. I pazienti che ne sono affetti raccontano di essere mentalmente attivi per tutta o quasi tutta la notte. Per quanti sforzi facciano, non riescono a smettere di ‘ruminare’ pensieri, spesso assurdi e stereotipati, dal momento dell’addormentamento a quello del risveglio. Al mattino, si sentono affranti. Il loro racconto contrasta però con il dato strumentale della polisonnografia: dal punto di vista poligrafico, il loro sonno è normale. La discordanza tra esperienza soggettiva e dato strumentale aveva suggerito che queste persone fossero degli ‘pseudoinsonni’. Si deve invece prendere atto che il dato strumentale non è abbastanza sensibile da riconoscere questo tipo di insonnia. Del resto tutti gli insonni, senza eccezioni, sopravvalutano la durata dei loro risvegli notturni. Asseriscono spesso di non avere chiuso occhio, mentre l’esame polisonnografico li smentisce. La sindrome delle gambe inquiete (RLS, Restless Legs Syndrome) è una forma comune di insonnia secondaria. Si tratta di uno strano disturbo sensitivo-motorio, che insorge quando ci si corica e si cerca di prendere sonno, e può causare insonnie intense e ostinate: consiste in parestesie (sensazioni sgradevoli) profonde, avvertite alla superficie delle ossa o nella compagine dei muscoli, tipicamente localizzate tra caviglie e ginocchia, ma spesso diffuse alle cosce e agli arti superiori. Il disturbo sensitivo si accompagna al bisogno impellente di muoversi, perché con il movimento, sia pure transitoriamente, esso scompare. Parestesie e agitazione motoria possono manifestarsi anche nel tardo pomeriggio o alla sera, al cinema, a teatro, davanti alla televisione o durante un viaggio, in treno o in automobile. Nei casi in cui il disturbo è più intenso e insistente, i pazienti devono alzarsi e camminare su e giù per la stanza. Solo in questo modo riescono a liberarsi, sia pure temporaneamente, del loro insopportabile fastidio. All’agitazione motoria si associano scosse muscolari involontarie, che si ripetono ogni 20-40 secondi e persistono anche nel sonno. Mioclono notturno o, come oggi si preferisce, movimento periodico degli arti (periodic limb movement) sono i termini con cui questo fenomeno è stato etichettato. La RLS è molto diffusa; i casi gravi, quelli che provocano insonnie ostinate, riguardano il 2-4% della popolazione adulta. Esistono, e non sono rari, anche casi eredo-familiari, di cui però non sono ancora state identificate le mutazioni genetiche che li sottendono. La RLS può comparire, come disturbo transitorio, negli ultimi mesi di gravidanza e manifestarsi in corso di anemie ipocromiche (da mancanza di ferro) e di insufficienze renali. Un’alterazione del metabolismo cerebrale del ferro è la causa più comune del disturbo. Quasi per caso si è scoperto che i farmaci impiegati nella terapia della malattia di Parkinson, levodopa e dopaminoagonisti, sono efficaci nel trattamento della RLS. Bisogna però usarli con precauzione, perché se se ne abusa, o se non vengono correttamente somministrati, possono creare problemi: il disturbo non si manifesta più all’addormentamento, ma insorge nel cuore della notte o il mattino seguente, coinvolgendo spesso distretti muscolari più estesi di quelli precedentemente interessati. Nei casi resistenti alla levodopa o ai farmaci dopaminoagonisti, possono essere di aiuto antidolorifici di tipo oppiaceo.
Le ipersonnie
La sonnolenza diurna eccessiva può essere provocata dall’abuso di sostanze sedative (alcol, benzodiazepine o altri farmaci), da encefalopatie metaboliche (insufficienza respiratoria, epatica, renale ecc.),
da danni strutturali del cervello (traumi, neoplasie, infezioni, cerebropatie vascolari). In alcune affezioni cerebrali o extracerebrali, la sonnolenza rappresenta l’unico o il principale segno di malattia. Tra le malattie caratterizzate da sonnolenza, devono essere segnalate, per la loro importanza, la narcolessia, relativamente rara ma di grande interesse teorico, e la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, un disturbo del respiro nel sonno molto diffuso e universalmente conosciuto per le sue implicazioni mediche e sociali.
I sintomi essenziali sono una sonnolenza continua e intensa, colpi improvvisi di sonno e crisi cataplettiche, caratterizzate da improvvisa perdita del tono muscolare con caduta a terra. Tali crisi sono, in genere, provocate da emozioni piacevoli come, per esempio, l’incontro inatteso di una persona amica o uno scoppio di riso. A questi segni, fondamentali per la diagnosi di narcolessia, possono aggiungersi allucinazioni visive, dell’addormentamento (ipnagogiche) e del risveglio (ipnopompiche) e paralisi del sonno (un risveglio notturno accompagnato dalla sensazione sgradevole di essere paralizzati).
Il sonno dei narcolettici è discontinuo e frammentato da risvegli e da sogni spesso ricchi di contenuti emotivi disturbanti. La malattia colpisce entrambi i sessi (prevale leggermente nei maschi) e, benché generalmente insorga nella seconda e terza decade della vita, può manifestarsi anche nell’infanzia o in età relativamente avanzata (dopo i 40-50 anni). Ha un decorso cronico, anche se alcuni sintomi, come per esempio la cataplessia, possono regredire con il passare degli anni. Le persone affette sono 25-30 ogni 100.000 abitanti nelle popolazioni caucasiche, mentre nella popolazione giapponese la malattia è 5-6 volte più frequente. Sotto l’aspetto elettrofisiologico, il dato più significativo è la spiccata tendenza del sonno REM a comparire in forma completa (colpi di sonno) o incompleta (crisi cataplettiche) durante la veglia. Di questa anomala tendenza a comparire del sonno REM sono espressione anche le allucinazioni visive dell’addormentamento e del risveglio, l’abbondante attività onirica durante il sonno e la paralisi del sonno. Alla fine del 20° secolo l’identificazione di un nuovo neurotrasmettitore dell’ipotalamo ha consentito di scoprire l’eziopatogenesi della malattia, che era stata descritta fin dall’Ottocento. Nel 1998 si è scoperto che un gruppo di neuroni della regione postero-laterale dell’ipotalamo produce una sostanza denominata orexina (o ipocretina, cioè ormone secreto dall’ipotalamo). I neuroni che secernono orexina, attraverso molteplici connessioni con altri sistemi neuronali, stimolano l’appetito e il movimento e producono effetti risveglianti, che conseguono all’attivazione dei sistemi aminergici dell’ipotalamo e del tronco encefalico. L’anno successivo a questa scoperta, un gruppo di ricercatori ha dimostrato che una forma ereditaria di narcolessia che colpisce alcune razze di cani (doberman e labrador) è legata a una mutazione genetica del recettore per l’orexina dei neuroni aminergici. Nello stesso anno, un altro gruppo di ricercatori ha documentato che il topo, se privato del gene che codifica l’orexina, presenta disturbi comportamentali simili a quelli della narcolessia umana. Poco tempo dopo, è stato comprovato che, nell’uomo, tranne rare eccezioni, la malattia è dovuta all’atrofia (degenerazione) dei neuroni ipotalamici, che secernono orexina, e che il liquido cefalorachidiano dei narcolettici non contiene, o contiene quantità irrilevanti, di questa sostanza. Qualche decennio prima di queste osservazioni cliniche e sperimentali, alcuni ricercatori giapponesi avevano scoperto che le persone affette da narcolessia hanno in comune un polimorfismo dell’antigene HLA (Human Leucocyte Antigene), un complesso antigenico che regola le reazioni immunitarie dei tessuti. Il legame tra narcolessia e meccanismi immunitari ha suggerito che la malattia sia di origine disimmune (la perdita selettiva dei neuroni orexinergici potrebbe essere frutto di un’autoaggressione immunitaria). Le prove a favore di questa ipotesi sono, però, almeno per ora, deboli.
Sonnolenza e colpi di sonno sono parzialmente controllati da farmaci risveglianti, il più efficace dei quali e, soprattutto quello con minori effetti collaterali, è il modafinil. Sugli attacchi cataplettici, con un meccanismo ancora non chiarito, agiscono alcuni farmaci antidepressivi (in particolare i triciclici). Sonnellini diurni programmati possono, sia pur transitoriamente, ridurre sonnolenza eccessiva e colpi di sonno, limitando i rischi di incidenti del lavoro e della strada.
Qualcuno ha giustamente affermato che, se questo disturbo della respirazione nel sonno non esistesse, la medicina del sonno, come disciplina clinica autonoma, non sarebbe mai nata. Tale osservazione sottolinea, meglio di qualsiasi altro argomento, l’importanza clinica di una sindrome che, pur descritta dal punto di vista letterario da Charles Dickens nel Circolo Pickwick (1835) e dal punto di vista clinico da William H. Broadbent (The Lancet, 1877), fu interpretata correttamente solo negli anni Sessanta del 20° secolo, quando questi pazienti
furono studiati con tecniche polisonnografiche.
I segni essenziali della malattia sono un russamento intermittente (interciso da apnee ostruttive ricorrenti, che si susseguono pressoché ininterrottamente per tutta o quasi tutta la durata del sonno) e una sonnolenza diurna che può diventare così intensa da sconvolgere la vita familiare, sociale e lavorativa del paziente. A questi disturbi possono associarsi obesità (che è la causa più comune della sindrome), ipertensione arteriosa sistemica e polmonare, e segni di cardiopatia (disturbi del ritmo, cardiomegalia). Le complicanze cardiache compaiono nelle forme più gravi e avanzate. Nei casi paradigmatici, gli uomini presentano i primi segni di malattia (apnee nel sonno e sonnolenza diurna) tra i 35 e i 45-50 anni; prima di allora erano stati, per anni e talora per decenni, soltanto dei forti e abituali russatori. Spesso il russamento era insorto in seguito a un aumento rapido di peso, conseguente a un cambiamento del proprio stile di vita (in seguito al matrimonio o a un’occupazione sedentaria). Le donne cominciano a russare e a presentare apnee nel sonno molto più tardi, tra i 45 e i 55 anni, durante o dopo la menopausa. Nei bambini, il disturbo è spesso, ma non sempre, legato a ipertrofia delle tonsille e delle adenoidi. La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno che si manifesta nell’infanzia è spesso ignorata o sottovalutata, perché il russamento è meno intenso che nell’adulto e perché i bambini, anziché ipersonnolenti, diventano irrequieti e irritabili. Il russamento e le apnee ostruttive hanno origine dalla stenosi ipnogenetica dell’istmo orofaringeo. Le cause più comuni di questa stenosi sono di natura anatomica: l’obesità (il grasso depositato nei muscoli e nelle mucose della lingua e del faringe), l’ipertrofia delle tonsille e delle adenoidi, l’ipoplasia della mandibola o di entrambe le mascelle. Non tutti gli obesi, però, né tutti coloro che hanno grosse tonsille e piccole mascelle russano e presentano apnee ostruttive nel sonno: nella genesi di russamento e apnee, accanto alle cause anatomiche, intervengono anche fattori di natura funzionale, quali il rilassamento eccessivo dei muscoli o l’indebolimento del controllo centrale del respiro durante il sonno. Alcolici o sonniferi accentuano il russamento e aumentano il numero delle apnee ostruttive, aggravando i fattori funzionali (ipotonia muscolare e indebolimento del respiro) che ne sono alla base. Il russamento è un rumore inspiratorio: l’aria, passando a velocità elevata attraverso un pertugio ristretto, crea dei vortici che fanno vibrare le pareti del rino- e dell’orofaringe. Le apnee compaiono se, e quando, le forze che provocano il collabimento delle pareti dell’orofaringe (una pressione negativa molto elevata) superano quelle che le mantengono pervie (la contrazione dei muscoli dilatatori del faringe; fig. 3). L’anossia prodotta dall’arresto del respiro produce un brusco risveglio (arousal) che provoca la riapertura dell’istmo orofaringeo per l’energica contrazione dei muscoli dilatatori del faringe. Alla fine di ogni apnea, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa sistemica e polmonare si elevano, fino a raggiungere valori 2-3 volte superiori a quelli fisiologici. Il polso raggiunge 150-200 battiti al minuto, la pressione arteriosa supera 200 mmHg e quella polmonare passa da valori normali (20-30 mmHg) a 60-80 mmHg. All’inizio dell’episodio apnoico successivo, polso, pressione arteriosa e polmonare ritornano a valori simili a quelli della veglia. Le imponenti oscillazioni della frequenza cardiaca e della pressione sistemica e polmonare, negli anni, favoriscono l’ipertrofia cardiaca e l’ipertensione sistemica e polmonare. Il russamento cronico è molto più diffuso di quanto si ritenesse in passato: le indagini epidemiologiche, eseguite su tutte le popolazioni del mondo occidentale nel corso degli ultimi 30 anni, hanno infatti documentato che russa abitualmente tra il 25 e il 30% degli uomini, circa il 15% delle donne e il 5% dei bambini. Il numero dei russatori abituali cresce progressivamente, almeno fino all’età di 60-65 anni; le persone obese russano molto più spesso di quelle non obese.
Terry Young, un’epidemiologa statunitense che da 15 anni studia russamento e apnee ostruttive nel sonno, ha documentato che almeno il 4% degli uomini e il 2% delle donne presentano più di 5 apnee per ogni ora di sonno e che i russatori con più di 5 apnee per ora di sonno diventano più spesso ipertesi di coloro che non russano. Chi russa rumorosamente disturba il sonno del compagno di stanza o di letto. Se uno dei due è insonne e l’altro un forte russatore, i problemi di convivenza possono diventare seri.
Una semplice perdita di peso, diminuendo la continuità e l’intensità del russamento, può migliorare la situazione. Talvolta può essere di aiuto una protesi dentaria mobile che, applicata di notte, evita la caduta all’indietro della mandibola e della lingua e fa scomparire o attenua il russamento. Un intervento plastico relativamente semplice, ma piuttosto doloroso, che consiste nell’asportazione dell’ugola, l’ablazione delle tonsille e lo stiramento delle arcate palatine (uvulo-palato-faringo-plastica), può essere proposto e attuato nei casi in cui questi rimedi non funzionino. Nei bambini, l’ablazione di tonsille ipertrofiche spesso migliora il disturbo nel sonno e quelli del comportamento che a esso conseguono. Negli adulti, in cui la sonnolenza è un problema serio, il provvedimento che oggi viene proposto è la CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), che consiste in un piccolo compressore che, attraverso un tubo, immette aria a pressione debolmente positiva nelle prime vie aeree. Se la macchina è ben tarata, le apnee scompaiono e con esse la sonnolenza. Nei casi in cui la CPAP non funziona o non è ben tollerata, un intervento impegnativo, ma spesso risolutivo, è l’allungamento (avanzamento) di circa 10-12 mm di entrambe le mascelle. Allargando lo spazio aereo compreso fra lingua e faringe, questo intervento migliora sensibilmente la situazione clinica nell’80-90% dei casi.
Le parasonnie
Il termine parasonnie indica i fenomeni psichici-motori-vegetativi inabituali che possono manifestarsi durante il sonno. Si distinguono: parasonnie dell’addormentamento, del risveglio, del sonno lento e del sonno REM.
La più diffusa e nota parasonnia dell’addormentamento è la sindrome delle gambe inquiete, che abbiamo già ricordato. Un’altra parasonnia molto disturbante, ma per fortuna rara, è il mioclono propriospinale. Improvvisi e violenti sussulti muscolari, che iniziano in un muscolo del tronco (addome, torace, collo) e con relativa rapidità si diffondono agli arti, possono insorgere solo o prevalentemente nel momento in cui il paziente sta per addormentarsi. Questi violenti sussulti, ripetendosi con brevi intervalli per decine di minuti o anche per ore, causano forme gravi e persistenti di insonnia.
Una forma rara di parasonnia del risveglio è la sleep drunkenness (ebbrezza da sonno), o sindrome di Elpenore, dal nome di un compagno di Ulisse che, risvegliatosi da un sonno profondo, cadde rovinosamente dal tetto della casa su cui stava dormendo e morì. L’ebbrezza da sonno è uno stato confusionale o sub-confusionale, con amnesia e comportamenti automatici, che in genere compare quando ci si sveglia improvvisamente da un sonno molto profondo. Il fenomeno può sporadicamente manifestarsi nei bambini e negli adolescenti; molto più raramente compare in adulti stressati dal superlavoro e in debito cronico di sonno, e spesso per l’assunzione occasionale di un ipnotico. Le parasonnie del sonno lento più conosciute sono il pavor nocturnus e il sonnambulismo. Il pavor si manifesta soprattutto in età infantile e consiste in un risveglio parziale dal sonno profondo (fasi 3-4 del sonno lento). Il bambino apre gli occhi, borbotta parole incomprensibili e solleva la testa dal cuscino, è pallido, sudato e ha gli occhi sbarrati, le pupille dilatate, polso e respiro frequenti. Dopo pochi minuti riappoggia la testa sul cuscino e si riaddormenta, non serbando alcun ricordo di quanto gli è accaduto. Il sonnambulismo compare nei bambini, ma abbastanza spesso anche negli adolescenti. Può iniziare in modo simile al pavor, ma poi evolve in un automatismo ambulatoriale: il bimbo (o il ragazzo) scende dal letto, gira per la stanza o si dirige verso la stanza dei genitori, coricandosi nel loro letto. Più raramente, scende dalle scale ed esce dalla porta: in questi casi, il disturbo è potenzialmente pericoloso. Il sonnambulo si muove con circospezione, ma in modo abbastanza coordinato: poi, se non viene risvegliato, torna nel proprio letto e riprende a dormire. Non conserva alcun ricordo di quanto gli è accaduto. Pavor e sonnambulismo erano già noti in epoche molto remote: leggende celtiche, ancora vive nelle campagne, li attribuivano all’intervento di uno spiritello maligno. In epoche più recenti, si è sospettato che pavor e sonnambulismo fossero forme larvate di epilessia. Le registrazioni poligrafiche notturne, eseguite negli anni Sessanta del 20° secolo, tolsero però ogni dubbio sull’origine e sul significato di questi episodi: sonnambulismo e pavor sono soltanto risvegli parziali da un sonno profondo. Roger Broughton, un neurologo canadese che tra i primi ha studiato questi episodi con tecniche polisonnografiche, li ha definiti «disturbi psicosomatici del risveglio». Arousal disorders è il termine che oggi si usa per indicare questi eventi notturni, che tendono spontaneamente a scomparire nel corso degli anni. Per quasi due decenni altri episodi di breve durata, come risvegli improvvisi accompagnati da movimenti anomali e stereotipati, che insorgono dal sonno lento, sono stati confusi con il pavor e il sonnambulismo. Solo eseguendo le registrazioni polisonnografiche sotto controllo audiovisivo (osservando simultaneamente gli aspetti poligrafici e comportamentali degli episodi motori legati al sonno), a partire dalla fine degli anni Settanta, ci si è accorti che queste crisi notturne erano una variante di epilessia che non era mai stata identificata (Provini et al. 1999).
Le crisi che caratterizzano le epilessie frontali notturne possono assumere l’aspetto di risvegli parossistici, distonie parossistiche notturne e sonnambulismi agitati. I risvegli parossistici hanno una brevissima durata (pochi secondi), sono frequenti (si ripetono una o più volte tutte le notti) e consistono in un sussulto accompagnato da posture distoniche o da movimenti discinetici (in genere di un polso, di una mano o di un arto) che si ripetono sempre, a ogni episodio, con le stesse caratteristiche. Le distonie parossistiche notturne iniziano come le crisi precedenti, ma si sviluppano con posture distoniche diffuse ai quattro arti o con movimenti discinetici di tipo ‘ballico’ (gli arti vengono proiettati disordinatamente in tutte le direzioni) o ‘ritmico’ (il paziente batte ritmicamente le mani o i piedi, flette ed estende alternativamente il tronco, muove ritmicamente il bacino simulando un coito). Il paziente inoltre può emettere suoni o urla gutturali, bestemmiare, chiedere aiuto, pronunciare frasi incomprensibili, fischiare o sputare. L’attacco dura 1-2 minuti e, come i precedenti, si ripete tutte le notti, spesso più volte per notte. Al mattino il paziente si sente stanco, ma non ricorda nulla di quanto gli è accaduto. Il sonnambulismo agitato può iniziare con movimenti e gesticolazioni simili a quelli che caratterizzano le crisi precedenti, ma poi il paziente si alza, corre, saltella e compie giravolte, in una specie di danza grottesca. Dopo qualche minuto torna a sdraiarsi e si riaddormenta. Il sonnambulismo agitato è assai meno frequente delle crisi precedenti. Il focolaio epilettogeno da cui insorgono le crisi è localizzato nella profondità del lobo frontale. Le attività bioelettriche anomale che produce emergono raramente alla superficie degli emisferi, in fase sia intercritica sia critica: le registrazioni elettroencefalografiche, sia diurne sia notturne, sono perciò di scarso aiuto nella diagnosi di questa forma di epilessia. Samuel Berkovic et al. (1995) hanno segnalato l’esistenza di forme eredo-familiari. Successivamente sono state identificate alcune delle mutazioni genetiche che sono causa di questa forma ereditaria di epilessia.
Le parasonnie del sonno REM consistono in sogni terrifici e in RBD (REM Behaviour Disorders). I sogni terrifici sono abbastanza comuni in età infantile: il bambino si sveglia nel cuore della notte, piange, chiede aiuto e, al genitore che accorre, racconta di aver fatto un brutto sogno. Tranquillizzato, riprende a dormire. Il mattino seguente è spesso in grado di ricordare ciò che gli è accaduto. Sono eventi rari, spesso collegati a un’esperienza diurna che ha suscitato una forte emozione. Episodi simili possono comparire in persone adulte che hanno assistito a eventi catastrofici: un terremoto devastante, un’azione di guerra molto cruenta, un incidente d’auto di particolare gravità. In questi casi, i sogni terrifici possono ripetersi per settimane, mesi o anche anni. Nel 1965 Michel Jouvet ha documentato che nel gatto la lesione selettiva di una piccola area del tegmento pontino produce un sonno REM senza atonia: non più paralizzato dal blocco funzionale dei muscoli scheletrici, l’animale presenta violente scosse muscolari e comportamenti di attacco o di fuga. Soltanto vent’anni dopo due ricercatori americani, Mark Mahowald e Carlos Schenck, hanno scoperto che, anche nell’uomo, il difettoso funzionamento del sistema che paralizza i muscoli durante il sonno REM può generare gli stessi disturbi provocati sperimentalmente nel gatto. Mahowald e Schenck hanno chiamato gli episodi di agitazione notturna, causati da sonno REM senza atonia, REM Behaviour Disorders. Gli RBD si manifestano soprattutto nelle persone anziane (in media sessantenni) e di sesso maschile (il rapporto maschi:femmine è di 9:1). Il disturbo spesso (in circa il 60% dei casi) compare in persone affette da malattie neurodegenerative della senescenza (soprattutto parkinsoniani). Durante gli RBD, i pazienti si agitano, parlano, simulano comportamenti di attacco o di difesa, lanciando pugni in aria o proteggendosi il viso con le mani. Risvegliati, riferiscono di aver sognato di stare litigando con qualcuno. Uno dei nostri pazienti si alzava sul bordo del letto e, dopo aver pronunciato una bestemmia, con sguardo minaccioso urlava: «ti ammazzo!». Risvegliato, diceva di aver sognato che un suo vicino di casa, con il quale in passato aveva avuto qualche diverbio, stava per aggredirlo. Un altro paziente, un vecchio alpino, rideva fragorosamente: risvegliato, diceva di aver sognato di stare scherzando con i suoi compagni di trincea nella pausa di un combattimento.
I disturbi del ritmo sonno-veglia
Nelle società più evolute, i disordini del ritmo sonno-veglia sono eventi di comune riscontro e di rilevante importanza sociale. Vengono suddivisi in: sindrome del sonno anticipato, sindrome del sonno posticipato, ritmo sonno-veglia irregolare o ipernictemerale (di durata superiore alle 24 ore), disturbi del sonno e della veglia legati ai viaggi intercontinentali (jet lag) e al lavoro a turni.
La sindrome del sonno anticipato consiste nell’abitudine (o tendenza) a coricarsi molto presto, fra le 18 e le 20. Chi ha preso quest’abitudine si sveglia nel cuore della notte e non è più in grado di riaddormentarsi. Il dilemma allora, per il paziente, è se restarsene a letto, nell’attesa che anche il resto della casa o della città si svegli, oppure alzarsi, non sapendo come impiegare le ore che lo separano dal risveglio degli altri membri della famiglia. Qualsiasi decisione prenda, il paziente passa alcune ore nella noia e nella solitudine. Questa situazione si riscontra soprattutto nelle persone molto anziane, fisicamente e mentalmente deteriorate, che vivono sole o in comunità. La sindrome del sonno anticipato viene, in genere, attribuita al cattivo funzionamento dell’orologio biologico (nucleo soprachiasmatico) che regola il ritmo sonno-veglia. Il sonno, fisiologicamente, inizia mentre la temperatura decresce e termina dopo che la temperatura ha ricominciato a salire. Con la senescenza, la temperatura corporea anticipa di qualche ora la sua discesa e la sua successiva risalita: ciò spiega l’anticipazione dell’addormentamento e del risveglio in questi pazienti. Il disturbo può colpire anche interi gruppi familiari e manifestarsi fin dalla giovinezza; in questi casi ha un’origine genetica ed è legato a mutazioni dei geni che regolano il funzionamento del nucleo soprachiasmatico. La sindrome del sonno posticipato consiste nell’abitudine a coricarsi e alzarsi molto tardi. Anche se vanno a letto presto, le persone che ne sono affette non riescono ad addormentarsi prima delle 2-4 di notte e a risvegliarsi prima di mezzogiorno. La sindrome colpisce soprattutto adolescenti e giovani adulti. Fino a che il paziente non ha impegni di studio o di lavoro che lo obbligano ad alzarsi presto, il disturbo è ben tollerato, ma si trasforma in un vero e proprio tormento quando si è costretti a svegliarsi nelle ore ‘canoniche’, tra le 7 e le 8 del mattino. Ci si può riuscire, sia pure con grande fatica, ma si resta obnubilati e si è incapaci di concentrarsi e di essere efficienti per alcune ore, fin quasi a mezzogiorno. Nella maggior parte dei casi, l’origine del disturbo sembra da attribuirsi a una cattiva abitudine, contratta nell’adolescenza o nella prima giovinezza, che, con il passare degli anni, sposta stabilmente e irrimediabilmente di qualche ora le frecce dell’orologio biologico: da quel momento, quella che era una scelta di vita diventa una necessità biologica a cui non ci si riesce più a sottrarre. Vi sono, però, anche casi in cui la sindrome si presenta in molti membri della stessa famiglia: in queste situazioni, il disturbo potrebbe essere di natura genetica e dipendere, come per le forme familiari di sonno anticipato, dalla mutazione di uno dei geni che regolano il funzionamento del nucleo soprachiasmatico. Sia la sindrome del sonno posticipato sia quella del sonno anticipato si sono dimostrate resistenti ai trattamenti, farmacologici e non, fino a oggi provati.
Il ritmo sonno-veglia irregolare (superiore alle 24 ore o ipernictemerale) è proprio di quelle persone la cui giornata biologica è tendenzialmente superiore alle 24 ore. Questo disturbo è relativamente comune nei non vedenti. Le persone affette da sindrome ipernictemerale riferiscono di dormire in modo molto irregolare: a volte si addormentano dopo cena, altre volte prendono sonno solo nel cuore della notte, altre volte ancora non riescono a dormire per tutta la notte e fanno sonni compatti e ristoratori solo durante il giorno. Se tengono un diario accurato sull’ora dell’addormentamento e del risveglio, per alcune settimane, in realtà quasi sempre si scopre che il disturbo consiste in un lieve posticipo quotidiano dell’ora dell’addormentamento.
Questo singolare disturbo può essere trattato con successo soltanto se è legato all’anomala secrezione della melatonina (la mancata secrezione notturna di melatonina è però un evento infrequente, che riguarda persone affette da rare forme di endocrinopatia o che hanno perso la vista in età adulta). In tali casi la somministrazione serale di melatonina può essere di qualche giovamento.
Il jet lag e il disturbo del ritmo sonno-veglia nei turnisti sono ben noti a chiunque abbia attraversato oceani o continenti in aeroplano (da cui il termine jet lag) e a chi, periodicamente, lavori di notte (turnisti). Il disturbo è legato all’allungamento o all’accorciamento della giornata biologica, che provoca un transitorio sfasamento tra oscillazioni circadiane della temperatura corporea e ritmo sonno-veglia. Per effetto dello sfasamento tra ritmo sonno-veglia e delle oscillazioni circadiane della temperatura, ci si sente stanchi e sonnolenti in alcune ore della giornata e si stenta a prendere sonno o ci si risveglia troppo presto durante la notte. Henry Kissinger ha raccontato nelle sue memorie di aver dato la sua peggiore performance diplomatica in occasione di un incontro con i leader sovietici Leonid Breznev e Andrei Gromyko, successivo al trasferimento notturno da Washington a Mosca: capiva con ritardo il senso delle domande che gli venivano poste, rispondeva in modo confuso e non appropriato. Tornato a Washington, deluso e frustrato, si ripromise di non commettere più l’errore di trasferirsi all’ultimo minuto nel luogo di un incontro importante, distante molti fusi orari dalla sua residenza.
Il lavoro notturno può condurre a errori ancora più nefasti: l’affondamento della Exxon Valdez, la superpetroliera naufragata nelle acque dell’Alasca nel 1989, che causò una vera e propria catastrofe ambientale, fu dovuto all’errore dell’ufficiale che dirigeva le operazioni, il quale non si era adeguatamente riposato il giorno precedente e, quella stessa notte, aveva abusato di bevande alcoliche. Qualche cosa di simile sembra essere accaduto quando, a Chernobyl, esplose la centrale termonucleare. I turnisti dovrebbero seguire alcune regole abbastanza semplici: dormire nelle ore più favorevoli al sonno nella giornata precedente il turno di notte e astenersi dall’alcol o da altre sostanze sedative durante le ore di lavoro; il giorno seguente, dovrebbero coricarsi nelle ore in cui la propensione al sonno è maggiore (le prime ore del pomeriggio). Alcune grandi corporations e assicurazioni pubbliche americane ricorrono alla consulenza di esperti per organizzare i turni di lavoro dei loro dipendenti. Questi esperti, oltre a programmare i turni più favorevoli (quelli che creano il minor disagio biologico e sociale), dettano misure igieniche per i turnisti e li assistono e li consigliano se hanno comunque problemi. Con questi accorgimenti, si è ottenuto il risultato di migliorare la qualità della vita e la produttività dei lavoratori, con vantaggi reciproci per i dipendenti e per le aziende.
Gli aspetti fisiologici del sonno umano
Cenni storici
Nel 1905 Edouard Claparède suggerì per primo che il sonno fosse un istinto finalizzato a prevenire il ‘logoramento biologico’ causato dalla veglia. Questa ipotesi fu successivamente sostenuta da grandi fisiologi, come Walter Rudolf Hess e Giuseppe Moruzzi. Per Henri Piéron il sonno era un fenomeno passivo, provocato da ipnotossine che si accumulano durante la veglia: la sua ipotesi, formulata nel 1913, mancava di prove sperimentali convincenti, ma recentemente è stata in parte confermata. Constantin von Economo fra il 1923 e il 1929, dalla constatazione che i pazienti deceduti per encefalite epidemica (nota come ‘spagnola’) erano agripnici (insonni e agitati) se la lesione colpiva l’ipotalamo anteriore e letargici (confusi e sonnolenti) se la lesione colpiva l’ipotalamo posteriore, concluse che l’ipotalamo contiene il centro del sonno e della veglia. Hess fra il 1927 e il 1954 confermò che l’ipotalamo anteriore contiene strutture trofotropiche (deattivanti) e quello posteriore strutture ergotropiche (attivanti); sulla base dei suoi esperimenti, concluse però che il vero centro del sonno è localizzato nel talamo.
Frederic Bremer, che per primo nel 1935 utilizzò le tecniche elettroencefalografiche nello studio della veglia e del sonno, pur interpretando in modo sbagliato i risultati dei suoi esperimenti, ebbe il merito di spostare l’attenzione dei fisiologi dal diencefalo al tronco encefalico. Moruzzi, dapprima con Horace Magoun (1949) e poi con Magnes e altri (1961), documentò che la parte rostrale del sistema reticolare del tronco encefalico ha effetti attivanti, quella caudale (regione del nucleo del tratto solitario) deattivanti. Nel 1953 la scoperta del sonno con movimenti oculari rapidi, o sonno REM (Rapid Eye Movement), da parte di Eugen Aserinski e di Nathaniel Kleitman segnò una svolta nella ricerca fisiologica e clinica sul sonno. Nel 1957 Kleitman e William Dement per la prima volta registrarono con tecniche poligrafiche (fig. 1) il sonno dell’uomo per tutta la sua durata (dall’addormentamento al risveglio del mattino), documentando che esso si svolge secondo uno schema caratterizzato dall’alternanza ciclica di sonno lento e sonno REM. Michel Jouvet e i suoi collaboratori, nel 1959-62, scoprirono che i meccanismi esecutivi del sonno REM sono contenuti nel ponte e documentarono che, durante questo tipo di sonno, i muscoli scheletrici sono funzionalmente paralizzati (atonici).
Etologi (Ray Meddis) e genetisti (Chiara Cirelli e Giulio Tononi) hanno sostenuto, con validi argomenti, che tutti gli animali, dagli insetti ai primati, dormono. Questa idea, condivisibile, non è in contrasto con l’osservazione che sonno lento e sonno REM sono presenti solo negli animali più evoluti (uccelli e mammiferi).
Fenomenologia
Il sonno umano può essere suddiviso in: addormentamento (pre-dormitum); sonno vero e proprio; risveglio (o post-dormitum). Il passaggio dalla veglia al sonno è un processo graduale, che inizia con la diffusione e la successiva scomparsa del ritmo occipitale (alfa), che viene poi sostituito da attività più lente (theta), di piccola ampiezza. Su queste attività si inscrivono onde aguzze che si proiettano al vertice del capo (punte al vertice). Durante l’addormentamento, i globi oculari sono animati da movimenti pendolari (lenti), assenti nella veglia e durante il sonno. L’addormentamento si distingue dal sonno vero e proprio anche per un altro aspetto: chi viene risvegliato da questa fase afferma di essere sveglio (o di non essersi ancora addormentato) e di stare vivendo un’esperienza psicologica simile, ma non identica, al sogno. Dement e Kleitman, che per primi fecero questa osservazione, definirono hypnagogic réveries, «fantasie o fantasticherie ipnagogiche», le attività mentali che caratterizzano questa particolare condizione neuropsicologica, che denominarono fase 1 del sonno. ‘Dormiveglia’, un vocabolo non traducibile in altre lingue, è il termine che meglio definisce tale situazione. Il sonno vero e proprio inizia con la comparsa dei cosiddetti fusi del sonno (sleep spindles), sequenze di onde a 11-15 Hz, della durata di 0,5-1,5 secondi, di forma fusale e di voltaggio relativamente elevato (fase 2), e si approfondisce con l’incremento progressivo di onde lente (delta), ampie e ritmiche (0,5-2 Hz, fasi 3 e 4; fig. 2). Con l’approfondimento del sonno, le attività mentali si attenuano; proposizioni semplici, mal ricordate e rievocate in modo impreciso, caratterizzano il sonno profondo. Il sonno REM compare dopo circa 90 minuti dall’inizio del sonno lento ed è contrassegnato dall’appiattimento (desincronizzazione) dell’elettroencefalogramma, dall’insorgenza di sequenze di movimenti oculari rapidi, da atonia muscolare e da irregolarità del ritmo cardiaco e respiratorio (fig. 2). Il sogno, nei suoi multiformi aspetti, caratterizza questo tipo di sonno. Il risveglio, come l’addormentamento, è un fenomeno graduale: dal sonno profondo o dal sonno REM si passa a un sonno leggero e da questo al dormiveglia. La veglia che segue il sonno è però diversa da quella che lo precede. Dopo il risveglio, per alcune decine di minuti, si è meno concentrati, meno attenti, meno capaci di concepire o svolgere azioni che richiedono un particolare impegno mentale: questa condizione, di relativa inefficienza mentale, è stata chiamata Sleep Inertia (SI). Il fenomeno della SI, che riguarda tutti, sia pure in misura diversa, può essere compreso se si tiene conto che, nella veglia post-ipnica, il flusso ematico della corteccia cerebrale (che misura attività delle sinapsi e metabolismo) è di circa il 20% inferiore rispetto a quello della veglia pre-ipnica (A.R. Braun et al. 1997). La lunga durata (60-90 minuti) della SI si potrebbe spiegare con il fatto che la riduzione del metabolismo corticale durante il sonno è legata alla deattivazione (down regulation) di geni, la cui riattivazione richiede tempi lunghi (parecchie decine di minuti). Riguardo ai tempi, l’addormentamento è seguito da un episodio di sonno lento, della durata di 80-90 minuti, cui segue un primo, breve, episodio di sonno REM. Sonno lento e sonno REM si susseguono poi, ogni 90 minuti, per quattro-cinque volte, fino al risveglio del mattino (fig. 1). Nei primi cicli di sonno prevale il sonno profondo; negli ultimi il sonno leggero e il sonno REM. Il sonno leggero (comprese le fasi di addormentamento e di risveglio) rappresenta circa il 50% del tempo totale del sonno; il sonno profondo e il sonno REM circa il 25% ciascuno. La durata media del sonno è di 7-8 ore per notte, ma vi sono ‘brevi dormitori’ (short sleepers), che dormono 3-4 ore, e ‘lunghi dormitori’ (long sleepers), che non si sentono riposati se non dormono almeno 11-12 ore. Ci si corica in genere tra le 22 e le 24 e ci si alza tra le 6 e le 8. Vi sono persone che si coricano molto presto (allodole, o larks) e altre che si coricano molto tardi (gufi, o owls).
Meccanismi fisiologici
Nel sistema nervoso centrale, dal bulbo alla corteccia, esiste una complessa ed estesa rete di neuroni, situati nel tronco cerebrale e nella profondità degli emisferi cerebrali, che formano nel loro insieme il sistema reticolare in senso lato. Nell’ambito di questo sistema, esistono gruppi di neuroni la cui stimolazione produce effetti risveglianti (attivanti) e gruppi di neuroni la cui stimolazione produce effetti ipnoinducenti (deattivanti). Questi sistemi neuronali si controllano reciprocamente attraverso interconnessioni di tipo inibitorio (fig. 3).
Gruppi di neuroni attivanti sono contenuti nella formazione reticolare ponto-mesencefalica, nell’ipotalamo posteriore e in formazioni grigie della regione fronto-orbitaria. Nella formazione reticolare ponto-mesencefalica hanno azione attivante il locus coeruleus (noradrenergico), i nuclei del rafe (serotoninergici), la sostanza grigia periacqueduttale (dopaminergica) e un contingente di neuroni colinergici del tegmento pontino (un altro contingente di neuroni colinergici del tegmento pontino, REM on cells, si attiva durante il sonno REM). Nell’ipotalamo posteriore ha azione attivante il nucleo tubero-mammillare (istaminergico). Nell’ipotalamo postero-laterale è contenuto un gruppo di neuroni secernenti orexina (o ipocretina), che esercitano la loro azione stimolando i sistemi aminergici dell’ipotalamo e del tronco encefalico. Il principale sistema deattivante è situato nella regione preottica ventro-laterale dell’ipotalamo. Altri sistemi deattivanti sono localizzati nella formazione reticolare bulbare (regione del nucleo del tratto solitario) e nella regione orbito-frontale. Il neurotrasmettitore principale di questi sistemi è l’acido gamma-amino-butirrico (GABA).
Meccanismi omeostatici e circadiani regolano l’equilibrio tra le forze che promuovono la veglia e quelle che promuovono il sonno. Il meccanismo omeostatico consiste nel fatto che, durante la veglia, nel cervello e nel liquido cefalorachidiano si accumulano alcune sostanze chimiche, tra cui l’adenosina, che, potenziando l’attività dei sistemi deattivanti, favoriscono la comparsa di sonnolenza e l’addormentamento. Durante il sonno, l’adenosina e le altre sostanze vengono eliminate: ciò favorisce il risveglio. La regolazione circadiana del ritmo sonno-veglia si fonda sulle oscillazioni funzionali di un ristretto gruppo di neuroni dell’ipotalamo, posti al di sopra del chiasma ottico (nucleo soprachiasmatico). Tali oscillazioni sono regolate da un complesso meccanismo genetico-molecolare e hanno un periodo di circa 24 ore (da ciò il termine circadiano). Questa specie di ‘orologio biologico’ viene messa a punto, ogni giorno, sulle 24 ore esatte da stimolazioni retiniche e da secrezioni di melatonina, modulate dall’alternanza della luce e del buio. Attraverso meccanismi complessi e ancora non perfettamente chiariti, il nucleo soprachiasmatico regola anche le oscillazioni circadiane della temperatura corporea, delle secrezioni ormonali e delle attività vegetative (frequenza cardiaca, pressione arteriosa, respirazione). I tempi dell’addormentamento e del risveglio e la durata complessiva del sonno sono regolati dall’azione sinergica dei sistemi omeostatici e circadiani, i quali hanno il loro fulcro nell’ipotalamo. Il sonno viene generato da meccanismi che risiedono nel talamo (sonno lento) e nel ponte (sonno REM). Il sonno lento ha inizio con la comparsa dei fusi sigma, che hanno origine nel nucleo reticolare del talamo (un ammasso di neuroni inibitori, GABAergici, che circondano il talamo come una conchiglia), e si approfondisce con il progressivo incremento delle onde delta, le quali hanno origine nello stesso talamo o nei circuiti talamo-corticali (Steriade et al., 2003). Il sonno REM insorge dal sonno lento, nel momento in cui il ‘silenzio’ dei neuroni aminergici consente a un contingente di neuroni colinergici (REM on cells) di attivarsi, dando l’avvio alla sequenza degli eventi fisiologici che caratterizzano il sonno REM. Secondo Clifford B. Saper et al. (2006), il meccanismo pontino del sonno REM sarebbe un po’ diverso: nel tegmento pontino vi sarebbero due gruppi di neuroni GABAergici, l’uno favorente (REM on), l’altro inibente (REM off) il sonno REM. I due gruppi di neuroni si controllano vicendevolmente. Durante il sonno lento, i neuroni GABAergici dell’ipotalamo inibiscono le cellule REM off e consentono a quelle REM on di prevalere, con la conseguente attivazione di due sistemi neuronali glutaminergici, l’uno ascendente e l’altro discendente. Il sistema glutaminergico ascendente sarebbe responsabile della desincronizzazione dell’elettroencefalogramma e dell’attività onirica, quello discendente dell’atonia muscolare.
L’ipotesi che il sonno sia un comportamento istintivo, formulata per la prima volta da Claparède nel 1905, è stata condivisa da etologi e fisiologi illustri. Pier Luigi Parmeggiani, nel 1968, ha documentato per primo che la stimolazione di alcune formazioni limbiche (rinencefaliche) produce tipici comportamenti di sonno. Ha perciò suggerito che il sonno sia un istinto basico, organizzato da strutture limbiche. Moruzzi ha testualmente affermato (1969) che «il sonno potrebbe essere una sequenza di atti consumatori», preceduti da una ‘fase appetitiva’, il cui correlato soggettivo è la sonnolenza. Il dormiveglia, secondo questa concezione, sarebbe la condicio sine qua non perché il sonno (come sequenza di atti consumatori) si manifesti. Per dirlo con le parole di Moruzzi, la sonnolenza è «a low but critical level of reticular activation: a level too low to permit consciousness», da cui, come fenomeno o comportamento attivo, ha origine il sonno. Alcune osservazioni anatomo-cliniche (Lugaresi e Provini 2001; Montagna et al. 2003) si accordano con le idee esposte da Moruzzi e Parmeggiani. Tre affezioni eziologicamente ed evolutivamente diverse – l’insonnia fatale, una malattia da prioni in cui l’atrofia selettiva del talamo viscerale disconnette la corteccia limbica dall’ipotalamo, la corea fibrillare di Morvan, un’encefalopatia limbica disimmune in cui autoanticorpi di natura non ancora identificata si depositano nei neuroni del talamo, dello striato e della corteccia limbica, e il delirium tremens, in cui la sospensione improvvisa dell’alcol crea uno squilibrio funzionale transitorio all’interno dei circuiti limbici – causano una sindrome clinica caratterizzata da incapacità di generare il sonno e iperattivazione motoria, vegetativa ed endocrina. L’encefalo, dal bulbo alla corteccia cerebrale, partecipa alla regolazione del sonno e della veglia, organizzandone, secondo uno schema caudo-rostrale, i comportamenti che caratterizzano i diversi stati (Lugaresi et al. 2004). Un ‘preparato bulbare’ (Siegel et al. 1986), che isola il bulbo dalle porzioni più rostrali del tronco encefalico, alterna periodi di attività e riposo, ma non è in grado di organizzare comportamenti di veglia e di sonno. Il tronco encefalico isolato dal cervello (Villablanca et al. 2004) alterna tre comportamenti: veglia, sonno REM e dormiveglia.
L’ipotalamo, pur non contenendo le strutture che generano il sonno, ha un ruolo strategico nella fisiologia del sonno e della veglia, perché in esso hanno sede strutture e meccanismi fondamentali per la regolazione del ritmo sonno-veglia. Il talamo (nucleo reticolare e circuiti talamo-corticali) genera il sonno lento. La corteccia limbica controlla e regola l’attività dell’intera rete che organizza i comportamenti della veglia e del sonno (fig. 2).
Il significato biologico del sonno
Ci sono domande che chi si occupa di sonno spesso si pone: a cosa serve il sonno? Perché si dorme? Il sonno risponde a esigenze biologiche essenziali o è soltanto un’opzione? Nel 1989 Allan Rechtschaffen e i suoi collaboratori, per dare una risposta a questi quesiti, sottoposero dei ratti a privazione di sonno. Tutti gli animali sottoposti all’esperimento morirono nel giro di poche settimane: andarono incontro a un deperimento organico, nonostante si alimentassero abbondantemente. Il loro cervello non presentava danni strutturali evidenti.
Tononi e i suoi collaboratori hanno successivamente documentato che anche il moscerino della frutta a cui viene impedito di dormire non sopravvive. È perciò ragionevole pensare che tutti gli animali, dagli insetti ai mammiferi, se privati di sonno, muoiano; le ragioni della morte sono però ancora ignote. Cirelli e Tononi, che da oltre un decennio si occupano degli aspetti genetico-molecolari del sonno, hanno ottenuto risultati che possono far luce su questo difficile argomento. Circa il 5% dei geni di neuroni di alcune aree della corteccia cerebrale modifica il suo livello di attivazione (gene expression) in rapporto alla veglia e al sonno. I geni attivati (up-regulated) durante la veglia potenziano le sinapsi e aumentano il potenziale energetico e la capacità di risposta agli stress della cellula. Durante il sonno, i geni attivati in veglia si deattivano, favorendo la depressione funzionale (downregulation) delle sinapsi e riducendo la capacità delle cellule di spendere energie e di reagire allo stress. Nel sonno non accade però solo questo: altri geni, diversi da quelli che si erano attivati in veglia, incrementando la loro attività, favoriscono nuove sintesi proteiche e, attraverso meccanismi ancora non ben chiariti, provvedono alla manutenzione (e alla riparazione) delle membrane cellulari. Se si paragona la cellula a un complesso industriale, si potrebbe dire che, di giorno, le maestranze utilizzano gli impianti al massimo della loro operatività, rispondendo alle esigenze del mercato; di notte, altre maestranze ricostituiscono le scorte di materia prima e controllano il funzionamento degli impianti.
Ancora più interessanti sono gli effetti della privazione di sonno. Se la veglia si prolunga oltre i limiti fisiologici, il livello di attivazione cellulare decresce rispetto a quello ottimale, le risposte allo stress si indeboliscono e la cellula commette sempre più errori. L’equilibrio interno dei neuroni e dell’ambiente che li circonda risulta compromesso. Le stesse risposte immunitarie possono alterarsi. Anche sotto il profilo genetico-molecolare, perciò, il sonno è una condizione indispensabile al mantenimento dell’equilibrio interno del sistema nervoso (cerebrostasi) e dell’organismo. Il sonno, come aveva suggerito Moruzzi, potrebbe essere necessario per consentire ad alcune popolazioni neuronali di mantenere la loro integrità strutturale. Più specificamente, come recentemente ipotizzato da Tononi, potrebbe essere il prezzo da pagare per mantenere la stabilità sinaptica in risposta alle modificazioni ‘plastiche’ indotte dalla veglia.
Il sonno dell’uomo è composto da almeno tre stati elettrofisiologici e comportamentali: il dormiveglia, il sonno lento e il sonno REM. Il dormiveglia è, sotto il profilo fenomenologico, una condizione pre-ipnica (intermedia tra il sonno e la veglia) che, come suggeriva Moruzzi, potrebbe rappresentare la fase preparatoria, o appetitiva, del sonno vero e proprio. Il sonno lento nasce nelle formazioni encefaliche filogeneticamente più recenti (talamo e circuiti talamo-corticali) e potrebbe rappresentare la forma più evoluta di riposo. Il sonno REM (o paradossale, come Jouvet lo aveva giustamente definito) è un enigma: nasce in una delle strutture più arcaiche dell’encefalo (il ponte) ma, probabilmente, per esigenze di porzioni rostrali (più recenti) dell’encefalo. Con questa ipotesi si accorda il fatto che, se il tronco encefalico viene isolato dal cervello, il sonno REM continua a manifestarsi, ma se viene transitoriamente soppresso non viene recuperato. In altre parole, nel tronco encefalico disconnesso dalla parte anteriore dell’encefalo, il sonno REM, da funzione di natura omeostatica, si trasforma in un fenomeno puramente automatico. La funzione del sonno REM potrebbe essere quella di interrompere fasicamente i complessi circuiti della termoregolazione, per evitare che la loro incessante attività ne comprometta l’efficienza. Il fatto che, negli animali ibernati, quando la temperatura corporea si allinea a quella esterna, il sonno REM scompaia, potrebbe accordarsi con questa ipotesi. Jerome M. Siegel et al. (2005) hanno suggerito che lo scopo del sonno REM sia il ‘silenzio’ dei neuroni aminergici che bombardano la corteccia cerebrale tanto in veglia quanto, sia pure in modo meno intenso, durante il sonno lento. Le sinapsi (recettori) dei neuroni corticali eviterebbero così un’eccessiva depressione funzionale (downregulation) che, al momento del risveglio, potrebbe ostacolare l’immediato ripristino della coscienza. Secondo Tononi, il sonno lento favorirebbe il recupero funzionale dei circuiti dell’apprendimento e della memoria che, come provato dagli effetti della privazione di sonno, sono compromessi da una veglia continua. Per concludere: - l’alternanza di periodi di attività e di riposo è, o potrebbe essere, una necessità per tutti gli esseri viventi, da quelli monocellulari, alle piante, agli animali; - in insetti e mammiferi, è stato provato che la mancanza di riposo (di sonno) non consente la sopravvivenza; - negli animali più evoluti, il sonno assume i caratteri di un comportamento istintivo: una fase preparatoria (appetitiva), o pre-dormitum (sonnolenza e dormiveglia), precede il sonno vero e proprio (fase consumatoria); - nell’uomo (e nei mammiferi), la rete neuronale che controlla l’alternanza della veglia e del sonno si estende dal bulbo alla corteccia cerebrale. Questa rete è organizzata in senso caudo-rostrale ed è inclusa nel sistema che regola la vita affettiva e istintiva dell’uomo e dei mammiferi. Essa fa parte del sistema limbico: le cerveau brutal, un termine e un concetto proposti da Paul Broca più di un secolo fa, o the visceral brain, secondo una più recente elaborazione concettuale di Paul McLean.
riferimenti bibliografici
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