soprannomi
Nell’accezione moderna, con soprannome s’intende un elemento onomastico aggiunto al nome personale (➔ antroponimi; ➔ cognomi). Può essere riferito a un individuo o a una famiglia intera; in determinati ambienti può sostituire il vero nome e cognome. Non sono rari i casi di persone che possiedono più di un soprannome, per es. quello ereditato per via paterna e quello per via materna nonché un soprannome individuale.
Il termine soprannome, attestato in italiano fin dal 1304-1308 (sopranome in ➔ Dante; prima del 1400 soprannome, in Sacchetti), è composto da sopra e nome, ma richiama supranomen del latino medievale (documentato a Siena nel 994) e il latino supernomen che designava un’aggiunta ai tre elementi che formavano il sistema onomastico latino (praenomen, nomen o gentilizio, cognomen). Nell’italiano antico è attestato anche con varianti come sovranome, sopra a nome, e inteso come elemento aggiunto a un nome di persona per designarla più precisamente (quindi con una funzione simile a quella che sarà assunta dal cognome) e anche come epiteto di sovrani e persone illustri, o designante le caratteristiche di chi lo porta.
Attraverso il soprannome un individuo è noto nella comunità e con esso viene distinto da omonimi; esso può avere anche la funzione di segnalare l’appartenenza a un dato ramo della famiglia. A Prato di Pòntori (in Liguria, Val Graveglia), descritto da Angelini (1997), dove la maggior parte delle persone si chiama Garibaldi, gli abitanti si presentano con nome e cognome a chi è estraneo alla comunità, ma tra loro usano il nome di battesimo, nella forma dialettale, il soprannome della famiglia e quello personale: così Vittorio Garibaldi è Vitòrio d’i Buscètti detto più semplicemente Lungu. Il sistema anagrafico ‘vernacolare’, orale e quasi mai documentato nell’uso scritto, è «l’uso combinato del prenome dialettale e del soprannome di famiglia» che «permette di individuare con precisione ogni persona all’interno della comunità e non lascia spazio all’omonimia»; questo sistema, complesso nei suoi segmenti, è funzionale all’identificazione dei rapporti parentali e alla condivisione di interessi (Angelini 1997: 374, 393).
Analoghe situazioni sono descritte per altre località. A Cortina d’Ampezzo ancor oggi non è ufficiale, ma è sempre importante, il soprannome della famiglia (el soragnòn de ciasa). Ancora, nella comunità, la maggior parte dei locali si caratterizza con il soprannome più che col cognome (anche nell’Ampezzano ci sono soprannomi solo individuali che possono esaurirsi in una generazione). Interessante è il fatto che in molte famiglie il soprannome ha seguito la linea materna; esiste, infatti, una forma flessa al femminile, per es. Chenopa al femminile da Chenopo. Majoni (2004) ha schedato oltre 400 soprannomi per 67 famiglie ampezzane a partire da un elenco della fine del XIX secolo; per una famiglia Menardi sono censiti 35 soprannomi.
Il soprannome può dunque integrare il sistema antroponimico ufficiale o sostituirlo, formando così una sorta di anagrafe parallela a quella ufficiale; in tali casi Migliorini (1935: 379) parla di «subcognome». D’altra parte, come vedremo, il cognome è spesso un originario soprannome, e lo dimostrano bene quelle forme che in taluni luoghi sono ancora soprannomi mentre in altri sono diventate cognomi, come nei seguenti esempi siciliani: Tàccia è cognome a Catania e Siracusa, soprannome a Nicosia; Saccaro è cognome a Catania, Saccaru soprannome a Enna (Rohlfs 1984): in questo esempio si può osservare anche la veste italianizzata del cognome rispetto a quella dialettale del soprannome.
In alcune situazioni si arriva alla registrazione anagrafica del soprannome: molti doppi cognomi sono il risultato di questo processo, mentre a Chioggia (Venezia), data l’alta frequenza dei cognomi Boscolo e Tiozzo e i numerosi casi di omonimia, dalla fine del XIX secolo fu introdotta la registrazione del soprannome (Moscheni & Tiozzo 1993).
Il soprannome può essere usato anche come pseudonimo quando è utilizzato come nome di battaglia o nome d’arte: per es., il cantante Drupi, al secolo Giampiero Anelli, scelse come pseudonimo il suo soprannome.
Una parte dei cognomi italiani proviene da originari soprannomi, motivati dalla necessità di distinguere tra persone con lo stesso nome, o dall’intenzione di sottolineare con intenti scherzosi, satirici, polemici, spregiativi o offensivi talune caratteristiche della persona o del gruppo familiare.
I soprannomi possono riprendere caratteristiche fisiche (Bello, Bellomo, Brutto, Zoppo, Sordo, Grasso, Grosso, Magro, Piccolo, ecc.). Possono alludere alla provenienza, a tratti del carattere e del comportamento: Astuto, Allegro, Bonomo, Rustico, Cattabriga (dall’emil. catabriga «attaccabrighe, persona litigiosa», da catàr o catèr «trovare»), Bevilacqua, Malerba (da malerba «erba infestante che danneggia le coltivazioni» e in senso figurato «persona cattiva, pericolosa»; un «Maffeus Malerba de placentia» è documentato a Pavia nel 1247: Caffarelli & Marcato 2008); Fumagalli (tipicamente lombardo), è composto di fumare e galli e ha il significato letterale di «ruba galli» cioè «ladro di polli» (fumare per «rubare» è parola di ambito gergale e dialettale: Lurati 2000).
Un altro gruppo di soprannomi trae origine da circostanze e fatti occasionali, per cui è difficile ricostruirne la motivazione onomasiologica: per es. Squarcialupo, Pappacoda, Pesamosca, Taglialatela (forse riferito anche al mestiere del sarto).
Il complesso dei soprannomi viene chiamato antroponimia popolare; sono considerati sinonimi di soprannome voci come epiteto e specialmente nomignolo, per lo più inteso come un soprannome di uso limitato, in famiglia, nell’ambiente di lavoro o riferito a forme vezzeggiative del nome (per es. Ciccio per Francesco, Gigi per Luigi, Bepi per Giuseppe).
Sono molto interessanti alcune denominazioni dialettali per soprannome: tra queste ngiuria, nciùria (di area meridionale e specialmente siciliana e salentina, lett. «ingiuria»); menda nel veneto; pecca, peccu in siciliano; stranòm in piemontese. Tali designazioni colgono spesso una tipicità del soprannome nella tradizione popolare, vale a dire il suo riferirsi frequentemente a caratteristiche considerate negative dell’individuo.
In zone della Lombardia soprannome si dice scutùm, che per alcuni deriva da scotume per costume, per altri da scottare «marchiare, bollare (a fuoco)»; stessa origine per il lombardo scolmàgna, scutmàia (e varianti), in Trentino scudmài (Mastrelli 2005). A Chioggia si distingue tra i termini deto e nomenansa (o romenansa). Il primo è un soprannome familiare, stabile, ereditario, che si riferisce a una o più famiglie che dovrebbero risalire a uno stesso ceppo; il secondo è piuttosto un ulteriore soprannome che vi si aggiunge e che individua uno specifico gruppo familiare al suo interno (Moscheni & Tiozzo 1993: 108-109).
L’uso del soprannome, certo molto diffuso in passato, non è affatto scomparso oggigiorno, come mostrano recenti documentazioni. A Tor Bella Monaca (borgata romana) risultano usati oggi soprannomi vecchi ma anche nuovi, come Telefunken e Televisore riferiti a persona dalla fronte spaziosa, o come er Moviola, er Pantera Rosa, motivati dalla lentezza o velocità di parola o movimento (Adriani, Nerone & Pagliuso 2009).
In numerose aree popolari del Lazio si usano soprannomi antifrastici: Secco per una persona grassa, Bellicapelli per uno calvo o quasi, ecc.
Rispetto al nome e al cognome, il soprannome si caratterizza per alcune peculiarità, tra le quali la maggiore trasparenza semantica rispetto al cognome, che è ovviamente ‘opaco’: per la comunità di parlanti il soprannome risulta avere un significato mentre il cognome e il nome solitamente, nel tempo, l’hanno perduto. La trasparenza del soprannome si deve al fatto che si tratta di formazione più o meno recente; ma nel giro di qualche generazione anche il soprannome può diventare opaco, tanto più facilmente se viene storpiato. Oltre al significato letterale, però, si deve considerare anche la motivazione, che si può anch’essa perdere ancora più rapidamente; per nominazioni più recenti è più facile ricostruire la motivazione.
Se, per es., un individuo è soprannominato Ogliubboni (a Licata, in Sicilia) il significato è chiaro («olio buono»), ma la motivazione dipende forse dal fatto che il soggetto «andava a vendere olio e gridava quella frase» (Marrale 1990). In questo caso si tratta di un soprannome cosiddetto delocutivo, che riprende cioè caratteristiche della parlata (tecnicamente, dell’idioletto) della persona (anche attraverso elementi fonosimbolici, onomatopee, espressioni metalinguistiche; ➔ onomatopee e fonosimbolismo). Riprende un modo di dire anche una forma come Teridi (a Segusino, nel Veneto), letteralmente «tu ridi», soprannome di un individuo che a scuola di catechismo (intorno al 1845) «disturbava e ridacchiava continuamente venendo spesso richiamato dal prete che così gli si rivolgeva: eh, ma “te ridi” sempre! “te ridi” sempre» (Lio 1998). Un tale è detto Fanfane a Castel del Monte (L’Aquila), perché era un «capo cantiere di rimboschimento. I “cantieri” venivano finanziati con la Legge Fanfani» (Graziosi 1995). I motivi all’origine di un soprannome si possono presto dimenticare, nella trasmissione orale, da una generazione all’altra. Ma non è detto che quello che si ricorda sia sempre vero e non una reinterpretazione successiva; non di rado le interpretazioni individuali o collettive che vengono riferite hanno il sapore del racconto folkloristico.
Come osserva Putzu (2000: 27-28), il soprannome si caratterizza anche per la proprietà di identificare attraverso il significato, mentre il nome proprio indica e individua direttamente, senza il tramite di questo significato. Inoltre un soprannome si può ritenere «un indice ovvero l’espressione linguisticamente codificata del rapporto (relazione) tra individuo e gruppo», caratteristica funzionalmente rilevante e addirittura centrale in molti tipi di soprannome. E ancora, la nascita e adozione di un soprannome è una competenza specifica del gruppo e perde la sua virtuale funzionalità fuori dal contesto; il soprannome non è applicato a tutti gli individui, e ha carattere frequentemente effimero. Quindi il soprannome è
contemporaneamente più cose. In quanto nome, è strumento dell’atto di riferimento identificante; ma in quanto sopra-nome, è strumento di veicolazione di un plusvalore informativo, allo stesso tempo idiosincratico e tipizzante, singolarizzante, socializzante
e per l’aspetto comunicativo è
uno strumento di raccordo tra vita sociale concepita nella concretezza delle interazioni personali e sistemi che classificano le persone e i comportamenti personali, saldando schemi percettivi e tassonomie culturali della collettività (Putzu 2000: 302).
Ci sono diverse possibilità di classificare i soprannomi. Sulla base di un corpus di soprannomi siciliani, Rohlfs (1984) operò una classificazione di notevole dettaglio, distinguendo tipi e motivi tematici: nomi personali, chiesa e religione, etnici, nomi geografici, personaggi illustri (Caribaldi, Menelicchi, Napuliuni), professioni o mestieri, aspetto morale e umano, aspetto fisico, parti del corpo umano, animali domestici, animali selvatici, vermi e insetti, rettili, uccelli, pesci, molluschi e crostacei, alberi e arbusti, piante ed erbe selvatiche, verdure e ortaggi, frutti, vivande commestibili, attrezzi domestici e agricoli, vestiario, fenomeni atmosferici, tipi numerali (Setti corna soprannome di donna, per l’infedeltà del marito; Triccìciri «tre ceci»), giorni e mesi, origine onomatopeica, tipi di raddoppiamento (Cialla-cialla, Cicchi-cicchi, Dalì-dalì, Pezza-pezza), modi di dire (locuzioni tipiche, per es. Curri-ca-chiovi «corri perché piove»), verbo composto con sostantivo, nomi licenziosi e osceni.
Ruffino (1988) distingue tra due tipi, uno basato sui processi creativi e un altro sulla motivazione, con una suddivisione tra elementi con funzione denotativa e con funzione ludica. Vi saranno, dunque, soprannomi scherzosi, irridenti, ingiuriosi, laudativi, affettivi, idiomatici, fonosimbolici e triviali, e altri derivati da mestieri, etnici, patronimici, matronimici, toponimi, decognominali e altro. L’assegnazione di una forma a un tipo piuttosto che a un altro non è sempre agevole, poiché esistono gradi intermedi. Alcuni soprannomi sfuggono a una classificazione rigida. In ogni caso si dovrebbe tener conto dell’effettivo uso di un soprannome entro la comunità, situazione che difficilmente si conosce, e dell’insorgenza del soprannome in rapporto alle dinamiche sociali.
I soprannomi sono poi classificabili sotto l’aspetto lessicale (nomi di animali, vegetali, ecc.) e grammaticale (forme semplici o composte, per es. le frequenti forme verbo + nome). In una prospettiva sociale si potrà valutare il soprannome individuale rispetto a quello di famiglia, l’ufficialità o meno del soprannome, la linea di trasmissione. Un altro aspetto da considerare riguarda l’analisi in diacronia, il reperimento e lo studio di soprannomi storici attraverso le fonti antiche e il rapporto con i cognomi.
I soprannomi possono trarre origine da altri nomi propri, da ➔ appellativi, ➔ aggettivi, ecc., e possono essere forme semplici o composte (Bevilacqua, Malpelo, Gambacorta, ecc.). Nelle forme soprannominali sono frequenti tratti che, riflettendo le condizioni dialettali dell’ambiente in cui si sono formate, conservano tratti di dialettalità, anche spiccata, vista la trasmissione quasi esclusivamente orale. Mantengono elementi del dialetto e oscillazioni grafiche anche quei soprannomi che si sono stabilizzati: a Chioggia, per es., si registrano varianti del tipo Boca e Bocca, Galasso e Galazzo, Femenela e Femenella, Stornelon e Stornellon (Moscheni & Tiozzo 1993), forme che riflettono l’uso dialettale rispetto a quello italianizzante. Il legame con l’ambiente dialettale è confermato anche dal fatto che vari elenchi di soprannomi sono inseriti nei vocabolari dialettali.
Tra le tante formazioni soprannominali divenute cognomi alcune hanno un’impronta dialettale: ad es. Pisu di area sarda, da pisu, che in campidanese ha il significato di «seme», «nocciolo di olive, pesche, susine, ecc.» o anche quello figurato di «gozzo, pomo d’Adamo», mentre in logudorese significa «cicerchia, veccia» o «fagiolo». In tal caso è difficile dire quale sia la motivazione del soprannome, che può essere allusivo o scherzoso e riferito a persona bassa o con escrescenze sul viso, o altro ancora (De Felice 1978). Anche il cognome ligure Pittaluga è un antico soprannome, composto dal ligure pità «beccare» e üga «uva» e ha il significato di «che becca, pilucca, mangia l’uva» o anche «che ruba l’uva nei vigneti».
Un altro tratto interessante è la possibilità del soprannome di assumere, se è maschile, una forma femminile, e una forma plurale se serve a designare il gruppo familiare: per es., a Grado (Gorizia) si ha Patovelo e al femminile Patovela, Gaspareto e il gruppo familiare Gaspariti; a Chioggia el Gheto indica la persona, i Gheti il gruppo familiare nel suo complesso. Talvolta il maschile è tratto dal femminile: nel Senigalliese el Maman «il mammano», mutuato da un’attività prettamente femminile come quella dell’ostetrica (localmente la mamana) (Mancini 1993: 65).
Si possono avere forme suffissate con la funzione di designare i figli o i nipoti, come Anzolin, Anzolina, Anzolini e Anzoleti a Chioggia. Anche altrove i soprannomi assumono marcatura di genere: a Noto u Catanisi per il maschile, a Catanisa per il femminile, e, con forme invariabili, Jadduzzu e a Jadduzzu, Spogghiamaronni e a Spogghiamaronni; qui solo qualche volta per i figli (ma anche per la moglie) si fa ricorso a suffissazione: Fischitazzu (accrescitivo di «fischietto») e Fischittulu (diminutivo), in riferimento al nipote di Fischitazzu (Franza 2000).
L’uso dell’articolo può oscillare. A Noto in qualche caso c’è: Turu u Palazzulisi «il palazzolese», Currau Panaffellatu «pane affettato», Peppi Patuvai «patisco guai», Marietta a Nega, Vastiana a Cagnattinisa da Canicattini Bagni. A Grado, invece, l’articolo non si usa: Leto Pasta, Mena Canona, Menego Picolo, ecc.
Il soprannome trasmesso attraverso le generazioni può documentare tratti linguistici non più presenti nel dialetto moderno. Lorenzetti (1998), confrontando con la situazione dialettale odierna alcune forme soprannominali di una raccolta del 1896 (sia pure in parte italianizzata) relativa all’area dei Castelli romani, trae elementi utili per l’evoluzione della forma linguistica e per la fonetica dialettale: Ciambelletta rispetto a Ciammelletta della tradizione orale, il Rosso per ’o Roscio. Tra le particolarità fonetiche, a Genzano compaiono numerosi casi di metafonesi (➔ metafonia), assenti dal dialetto odierno, in particolare in suffissi come -itto: Canittu, Capuralittu, ecc.; per il lessico si rileva la presenza di una voce cupella «botticella di circa 10 litri di capacità». Un soprannome come u zeghènne (Frascati), Zaghemme (Albano), accostato al giudeo-romanesco zachènne «debole», ricorda la presenza, storicamente nota, di nuclei ebraici nei paesi dei Castelli romani.
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