SORDELLO DA GOITO
– Nacque a Goito, vicino Mantova, tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, probabilmente da una famiglia della piccola nobiltà. La provenienza dal castello di «Got» (Goito) è dichiarata dalla redazione breve dell’antica biografia occitana (Biographies..., a cura di J. Boutière - A.-H. Schultz, ed. rifatta da J. Boutière con la coll. di I.-M. Cluzel, 1964, p. 567; vida A) ed è confermata dalla rubrica del manoscritto Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3207 (c. 43ra: «Sordell d(e) Goi») e dai documenti nei quali il trovatore è definito «Sordellus de Godio» o «Gadio». Secondo la redazione lunga della vida (B), Sordello sarebbe stato originario di «Sirier de Mantoana» (Biographies..., cit., p. 56), località non identificata del mantovano (Cereda o Cereta, Sereno oppure Serere; cfr. M. Boni, in Sordello, le poesie, 1954, p. XV e nota 18). L’appartenenza, al pari di altri trovatori, alla piccola nobiltà si desume dalla vida A: «fills d’un paubre cavallier que avia nom sier El Cort» (Biographies..., cit., p. 562), dove «El Cort» va forse ricondotto al nome e patronimico «Curtus» (cfr. C. De Lollis, Vita e poesie..., 1896, p. 8; non si può escludere si tratti di un soprannome: v. M. Boni, in Sordello, le poesie, 1954, p. XVI).
Come era frequente in Italia settentrionale fra XII e XIII secolo, imparò a comporre e a eseguire testi poetici secondo il modello trobadorico ed è plausibile che in tal modo iniziasse a frequentare alcune corti nobiliari. Il resoconto della vida A è verosimile: «Si dilettò a imparare a comporre canzoni e nell’arte del trobar; e frequentò gentiluomini di corte e apprese tutto ciò che poté; e fece coblas e sirventesi» (Biographies..., cit., p. 562). Frequentò certamente la corte di Riccardo di San Bonifacio (cfr. vida A) e forse, in precedenza, quella di Azzo VII d’Este, che potrebbe essere il marchese citato nella tenzone con Joan d’Albusson, Digatz, mi s’es vers (A. Pillet, Bibliographie der Troubadour, a cura di H. Carstens, 1933 [d’ora in poi BdT], 256.1a = 437.10a; M. Boni, in Sordello, le poesie, 1954, p. XXVI); l’identificazione del «Joan» della rubrica dell’unico testimone non è sicura; ma Joan d’Albusson indirizza a Sordello il sirventese satirico Vostra domna, BdT 265.3).
In questi anni compose sicuramente coblas di argomento satirico e tono giocoso e forse alcune canzoni d’amore. Era attivo e già noto quando, attorno al 1220, Aimeric de Peguilhan, il più illustre fra i trovatori presenti all’inizio del Duecento in Italia settentrionale, compose il sirventese Li fol e·il put e·il filol (BdT 10.32), contro i giullari della nuova generazione (v. Guida - Larghi, 2014, p. 365, e la scheda della Bibliografia elettronica dei Trovatori; la datazione è problematica). Aimeric sembra separare Sordello dai giullari «folli, bastardi e ruffiani», ma allude – probabilmente – a un’inclinazione per il gioco dei dadi.
Con Aimeric Sordello intreccia uno scambio di coblas secondo modalità tipiche della tradizione comico-satirica, Anc al temps d’Artus (BdT 10.7a). Tra il 1227 e il 1229, Aimeric indirizza inoltre a Sordello, che doveva trovarsi nella Marca Trevigiana, il fablel Anc que·m fezes (BdT 10.44), una difesa dall’accusa di essere troppo vecchio per amare (cfr. C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 17, e M. Boni, in Sordello, le poesie, a cura di M. Boni, 1954, p. XLI).
La vida B ritrae Sordello come un «grande amatore», falso e ingannatore nei confronti delle donne e dei signori presso i quali dimorava (Biographies..., 1964, p. 566). Questa fama – che giunge fino a Benvenuto da Imola, che lo ritiene «quasi parum sordidus libidine» (Comentum..., 1887, III, p. 194) – dipende dall’evento più significativo della vita del trovatore: Sordello sarebbe stato infatti l’esecutore del rapimento di Cunizza da Romano, figlia di Ezzelino II, sorella di Alberico e di Ezzelino III e moglie dal 1222 di Riccardo da San Bonifacio (cfr. Simonetti, 2017). Le testimonianze non sono concordi sulle responsabilità e sulle dinamiche del rapimento. Secondo Rolandino, al momento del ratto Sordello faceva parte della familia dei da Romano: «Cunizza dapprima infatti fu data in moglie al conte Riccardo da San Bonifacio, ma coll’andare del tempo, su ordine di Ezzelino suo padre, Sordello, che era al seguito di quest’ultimo (de ipsius familia), la sottrasse di nascosto al marito» (Rolandino, 2004, I, 3, p. 46; ma de ipsius familia si potrebbe riferire al conte). Benvenuto si limita a precisare che Sordello fu ‘uomo di corte’ al tempo di Ezzelino: «nobilis et prudens miles, et ut aliqui volunt, curialis, tempore Eccirini de Romano»; Comentum..., 1887, III p. 177) e così lo definiscono altri commenti (Iacomo della Lana, Ottimo). Rolandino, dopo aver riferito le voci secondo le quali Sordello a seguito del ratto avrebbe giaciuto con Cunizza, spiega che fu scacciato anche da Ezzelino. Secondo la vida (A) Sordello s’innamorò – per divertimento – di Cunizza e lei di lui. In seguito, a causa del peggioramento dei rapporti tra il conte e i fratelli di Cunizza, Riccardo si sarebbe allontanato dalla moglie e a quel punto Ezzelino e Alberico avrebbero deciso di commissionare il rapimento a Sordello. La vida B, per la quale Sordello «corteggiò madonna Cunizza», al pari di Rolandino attribuisce la decisione al solo Ezzelino (Biographies..., cit., p. 566). Gli studiosi concordano comunque nel ritenere che il rapimento non fu iniziativa personale di Sordello, ma fu determinato dalla «volontà dei da Romano, e di Ezzelino III in particolare, di oltraggiare il rivale politico Rizzardo di San Bonifacio» (Simonetti, 2017, p. 250; Bortolami, 2000, pp. 37 s., non rigetta la versione di Rolandino poiché Ezzelino II ancora nel 1228 consigliava i figli sulle scelte politiche). Il rapimento avrà dunque avuto luogo in una fase in cui i rapporti tra i da Romano e i San Bonifacio erano ridivenuti tesi dopo la pacificazione sancita dal matrimonio di Cunizza con Riccardo e da quello, contestuale, di Ezzelino III con Zilia di San Bonifacio, sorella del conte. La data comunemente accettata è il 1226, all’epoca del primo intervento diretto di Ezzelino a Verona, dopo il quale ottenne il titolo di podestà (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 10-12; M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. XXXI s.; Coletti, 1984). Non si può tuttavia escludere che il rapimento fosse una causa e non una conseguenza del precipitare delle relazioni (per le ipotesi di datazione, v. M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. XXXII s.).
L’unico componimento del trovatore nel quale compare il nome di Cunizza è un partimen con Guilhem de la Tor (BdT 236.12 = 437.38), databile attorno al 1213, che potrebbe esserle stato inviato affinché risolvesse il dibattito; ma il riferimento è incerto poiché la lezione dei manoscritti non è univoca (cfr. C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 275, e Sordello, le poesie, cit., pp. 92 s.). In ogni caso, l’evento ebbe vasta risonanza e se ne serba memoria in vari testi trobadorici.
Secondo la vida A, dopo il rapimento Sordello riparò e rimase a lungo con i da Romano. La redazione B, invece, narra di un soggiorno nel Cenedese presso i signori di Strasso, Guglielmo e Valpertino, dove avrebbe preso furtivamente in moglie una delle loro sorelle. Non ci sono tuttavia riscontri sul matrimonio con Otta, sorella di Valperto, identificabile con un miles trevigiano che verso il 1239 avrebbe combattuto con Alberico contro Ezzelino (secondo Biscaro, 1927, p. 118, gli Strasso erano amici e sostenitori dei da Romano). Solo a questo punto, secondo la vida, minacciato dagli Strasso e dai familiari del conte di San Bonifacio, si sarebbe rifugiato da Ezzelino. Il passaggio a Treviso potrebbe essere situato verso la metà del 1227 (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 17) e trovare conferma in una generica allusione del trovatore Peire Bremon Ricas Novas nell’ultimo sirventese di un dibattito poetico con Sordello, En la mar major (BdT 330.6, v. 15).
Le vidas sono concordi sulla fase successiva: la partenza per la Provenza, da situare tra il 1228 e il 1229. La notizia del viaggio parrebbe confermata ancora da Peire Bremon, secondo il quale Sordello sarebbe stato costretto a lasciare l’Italia a causa di un atto ‘ardito’, forse il rapimento di Cunizza (En la mar major, vv. 13-14: «E poiché è tanto pericoloso, Dio voglia che non mi acchiappi, perché egli fece una tale bravata che fra i Lombardi non c’è più spazio per lui»).
Nel corpus trobadorico vi sono altre tracce del viaggio in Provenza: a) in Una danseta (BdT 457.41) Uc de Saint Circ «si prende gioco [...] di un dongiovanni e giramondo indicato col senhal “Ma Vida”, che non può essere altri che Sordello» (Folena, 1990, p. 75) e ne descrive i pellegrinaggi da Mantova a Verona, da Treviso al Cenedese e poi a Vicenza (ma non ci sono altri riscontri del passaggio in questa città) fino all’Occitania (Alvernia, Forez, Velay, Annonay); b) in Qi na Cuniça guerreja Peire Guillem de Luzerna (BdT 344.5) difende Cunizza dalle accuse che le erano state rivolte dopo la fuga – successiva al ratto – con il cavaliere Bonio da Treviso e allude a un personaggio che le fa la guerra, per il quale è inutile andare «in Provenza a fare il galante», nel quale si è voluto riconoscere Sordello (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 23; Folena, 1990, p. 71); l’identificazione è negata da studi recenti (Sanguineti, in corso di pubblicazione).
Secondo la vida A, in Provenza «ricevette grandi onori da ogni gentiluomo e da parte del conte e della contessa, che gli donarono un buon castello e una nobile sposa» (Biographies..., cit., p. 562), dove il conte sarà Raimondo Berengario V. La redazione B aggiunge la notizia dell’innamoramento per una donna che Sordello avrebbe chiamato Doussa-Enemia (dolce nemica), senhal che compare due volte nelle poesie (in BdT 437.4a e in 437.7, nn. IV e VI dell’ed. Boni) e che cela forse Beatrice di Savoia, contessa di Provenza dal 1220.
È possibile che, prima di stabilirsi in Provenza, Sordello abbia raggiunto la penisola iberica. In En la mar major, Peire Bremon afferma che ritornò ricco dalla Spagna (v. 23); e aggiunge nel congedo che: «Il signor Sordello disse tutto il male che poté del signore di Léon, tanto gli dà fastidio che non gli si risponda di sì quando chiede» (vv. 41-42). Poiché pare che il «seignor de Léon» debba essere identificato con Ferdinando III di Castiglia, re di Léon dal 1230, si è ipotizzato un soggiorno presso la sua corte (M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. XLVIII s.). È altrettanto dubbia – e non altrimenti documentata – la permanenza presso Savaric de Mauléon, siniscalco del Poitou, che si fonda ancora sulla testimonianza di Peire Bremon, per il quale, oltre alla beneficenza dei signori di Spagna, avrebbe goduto di quella di Savaric (En la mar major, v. 24). Questo soggiorno, dato per certo da Saverio Guida e Gerardo Larghi (2014, p. 496), si sarebbe svolto attorno al 1230-31 secondo Marco Boni (in Sordello, le poesie, cit., p. LII; ma v. Beltran, 2000). Anche l’ipotesi di un passaggio alla corte di Giacomo I d’Aragona si basa solo sulla tornada di Qui be·s membra (BdT 437.29), un sirventese morale sulla decadenza dei valori cortesi e cavallereschi inviato in data non precisabile «al re d’Aragona» (v. 40). Non ci sono prove di un viaggio in Portogallo né del pellegrinaggio a Santiago di Compostella (v. M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. L-LII; ma v. di contro Guida - Larghi, 2014, p. 496).
Benché non vi siano riscontri documentari, agli inizi degli anni Trenta Sordello fu con buona probabilità già vicino alla corte di Raimondo, se il sirventese No puesc mudar (BdT 437.21), nel quale incita il conte di Provenza alla difesa dei suoi possedimenti contro Raimondo VII di Tolosa, è effettivamente collocabile nel 1230 (o al più tardi nell’estate del 1232; v. Asperti, 1995b; a Sordello rispose il trovatore Blacasset con il sirventese De guerra sui deziros, BdT 96.3a, cui seguì una controreplica – Un sirventes farai, BdT 76.22 – che secondo Stefano Asperti va attribuita con maggior probabilità a Sordello). In No puesc mudar il trovatore non si schiera risolutamente a favore del conte, ma compone un elogio dei valori cavallereschi lodando peraltro l’aggressività e la bellicosità dell’avversario. È qui evidente la prossimità con Blacatz, signore di Aups, protettore di numerosi trovatori (elenco in Guida - Larghi, 2014, p. 129). Se dagli atti provenzali risulta chiaro che il trovatore aveva raggiunto una posizione ragguardevole, l’unica prova della concessione di un feudo è in En la mar major, secondo cui: «se fosse partito dalla Lombardia più tardi, non sarebbe mai venuto a signoreggiare su Cananillas» (vv. 28-29). Per Cesare De Lollis (Vita e poesie..., cit., p. 25), e Charles Rostaing (1950), la località è identificabile con Chénerilles, vicino Digne; ma è difficile concludere che gli fosse stato conferito il relativo castello (v. però Guida, 2000, p. 120).
Tra il 1233 e il 1244 fu vicino alla corte di Raimondo Berengario V, forse al seguito di Blacatz, sempre citato negli atti in posizione ragguardevole e assieme a personaggi importanti. Il 28 giugno 1233 è tra i baroni che sottoscrivono la sentenza che definì le controversie tra il conte e la città di Tarascon (Boni, 1960, p. 6; M. Boni, Sordello..., 1970, pp. XXXVI s.). Il 5 ottobre 1235 è tra i testimoni di un accordo tra Raimondo e il vescovo di Frejus (Boni, 1960, p. 6; M. Boni, Sordello..., cit., p. XXXVII). In questo periodo va collocato Planher vuel en Blacatz (BdT 437.24), il compianto funebre (planh) per Blacatz, la cui morte avvenne probabilmente attorno al 1236 o al più tardi nel 1237 (v. Sordello, le poesie, cit, pp. LXIX-LXXI; si conoscono altri due planhs per Blacatz, entrambi in relazione con Sordello: Mout m’es greu d’en Sordel di Bertran d’Alamanon, BdT 76.12, e Pus partit an lo cor di Peire Bremon Ricas Novas, BdT 330.14). Alla fine del 1237 o nel 1238, Sordello compose anche Puois no·m tenc (BdT 437.25), il sirventese contro i «tre diseredati» (Giacomo I d’Aragona, Raimondo Berengario V di Provenza, Raimondo VII di Tolosa). Nel 1238 compare in altri quattro atti, sempre come teste (Boni, 1960, p. 7; cfr. anche M. Boni, Sordello..., cit., pp. XXXVII s.). Tra il 1240 e il 1241 va situato probabilmente lo scambio di sirventesi con Peire Bremon Ricas Novas (cfr. C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 45-50; Sordello, le poesie, cit., pp. CXXXI-CXXXV, 141 s.; P. Di Luca, Il trovatore Peire Bremon Ricas Novas, 2008, pp. 30-32). Nel 1241 è ancora al seguito del conte: il 5 giugno fu testimone dell’accordo stipulato a Montpellier tra Giacomo I, Raimondo Berengario e Raimondo di Tolosa per decidere il divorzio tra quest’ultimo e Sancia, figlia di Raimondo Berengario, erede di Provenza (l’estratto in C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 316, n. I; cfr. anche Sordello, le poesie, cit., pp. LXXVI s.). Solo dopo la pacificazione tra i due conti è ragionevole situare la tenzone con Guilhem de Montanhagol, un seguace di Raimondo VII che qui rivolge parole di elogio al conte di Provenza (Senhen Sordelh, mandamen, BdT 265.1a = 437.10a). Nell’agosto del 1244 è tra i baroni al seguito di Raimondo Berengario in un atto rogato ad Arles; in due atti del 1245 compare come testimone (cfr. Boni, 1960, p. 8, e M. Boni, Sordello..., cit., pp. XXXIX s.).
Dopo la morte di Raimondo Berengario (1245) la contea passò a Carlo d’Angiò e Sordello, come altri notabili provenzali, si mise al servizio del nuovo signore. Una testimonianza sembra trovarsi in un componimento frammentario, Ar hai proat (BdT 437.4), incitamento a compiere grandi imprese rivolto a un giovane barone, forse composto a ridosso dell’insediamento di Carlo (Sordello, le poesie, cit., p. 168; Aurell, 1989, p. 158). Nel 1248, quando il conte partì per la crociata al seguito del fratello, il re di Francia Luigi IX, Sordello si rifiutò forse di seguirlo, come sembra affermare nel sirventese Lai al comte (BdT 437.18; ma v. Pulega, 1988-1989). Al ritorno dalla crociata, Carlo affrontò la rivolta dei baroni; dopo lunga resistenza, il 19 novembre 1251 gli prestò omaggio Barral de Baux, podestà di Avignone dal 1246 e di Arles dal 1249. Sordello (con il titolo di miles) è tra i testimoni dell’atto con il quale Barral s’impegnò ad appoggiare Carlo contro Marsiglia (estratto in Sordello, le poesie, cit., p. LXXXI). Il 26 luglio il miles Sordello fu testimone della resa di Marsiglia (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 316 s., n. II) e il 27 luglio fu presente alla ratifica del trattato (cfr. M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., p. LXXXII). Si intuisce in questi anni – specialmente durante l’assenza di Carlo dalla Provenza, durata dall’inverno del 1252 alla primavera del 1257 – una vicinanza a Barral, passato dalla parte degli Angiò, che nel dicembre del 1255 gli donò 50 lire coronate (cfr. C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 317, n. III); Sordello fu infatti testimone negli atti della controversia tra Barral e la città di Marsiglia (estratto in Sordello, le poesie, cit., p. LXXXIV nota 313). Nel 1257, al ritorno di Carlo, Sordello appare nuovamente vicino alla corte comitale, in un ruolo di rilievo: il 2 giugno il trovatore – definito ora dominus – fu testimone della pace con Marsiglia (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 317 s., n. IV; la data è precisata da M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. LXXXV s.); a luglio assistette all’omaggio prestato a Carlo da Guigues VII, delfino di Viennes; il 30 agosto fu alla stipula della cessione della città superiore di Marsiglia al conte (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 318-320, nn. V-VII). Il 19 luglio 1259 fu testimone (con Barral e altri) degli accordi di Carlo con la città di Hyères (p. 320, n. VIII) e poi, il 24 luglio, dell’atto con il quale Cuneo si pose sotto la protezione del conte (pp. 320 s., n. IX). Il 21 luglio 1262 presenziò alle trattative tra Carlo e il Comune di Genova; in particolare, è citato come «Sourdello de Godio» nella cessione a Genova dei diritti sul castello di Dolceacqua (p. 321, n. X; ma cfr. anche M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., p. LXXXIX nota 329). Il 23 gennaio 1265 fu ad Aix-en-Provence per la firma dell’alleanza di Carlo con i Torriani di Milano e i comuni di Lodi, Bergamo, Como e Novara (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 322, n. XII; M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., p. XC nota 330).
La presenza alla corte di Raimondo Berengario è confermata dalle testimonianze poetiche; nel sirventese di Peire di Castelnou, Hoimais no·m cal (BdT 336.1), composto poco dopo la vittoria di Carlo d’Angiò a Benevento nel 1266, il conte è ad esempio lodato proprio per aver accolto presso di sé il trovatore (per le altre testimonianze, v. Asperti, 2000, p. 142).
Nel maggio del 1265 Carlo diede avvio alla spedizione in Italia contro gli Svevi. È verosimile che Sordello lo seguisse da vicino, se ritroviamo il suo nome il 22 settembre 1266, dopo la battaglia di Benevento, in un breve di Clemente IV indirizzato a Carlo nel quale il papa rimprovera l’angioino per l’ingiusta carcerazione del trovatore a Novara: «languet Novarie miles tuus Sordellus, qui emendus esset immeritus nedum pro meritis redimentus» (Sordello, le poesie, cit., p. XCIII; cfr. anche C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 323, n. XIII; il breve è in Del Giudice, 1863, pp. 179-186, n. LIII). Non si conoscono le ragioni della prigionia di Sordello, la cui fama era però a quest’epoca certamente vasta se Clemente poteva citarlo come esempio dell’ingratitudine di Carlo. Era libero e nelle grazie di Carlo, ormai re di Sicilia, quando il 5 (o forse il 12) marzo 1269 – nell’ambito di una distribuzione di feudi ai baroni – questi gli concesse i castelli abruzzesi di Monte Odorisio, Monte San Silvestro, Paglieta e Pila e il casale di Castiglione (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 323 s., n. XIV; M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. XCVII s.; nel documento è designato miles e «dilectus familiaris et fidelis noster»); quando il 21 maggio gli donò il castello di Civitaquana in Abruzzo (Tallone, 1910, p. 196; C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 324 s., n. XV; M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., p. XCVIII) e quando il 28 maggio 1269 gli fu concesso il castello di Morra (M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., p. XCVI nota 345). Il 30 giugno dello stesso anno, infine, nel rassegnare alla curia regia i castelli di Monte San Silvestro, Pila e Paglieta, ricevette in cambio il castello di Palena in Abruzzo (C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., pp. 325 s., n. XVI; M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. XCVIII s.).
Nello scambio di coblas Toz hom me van disen (BdT 437.37 = 114a.1) si lamenta di essere «messo male» per «il signore, l’amore e l’amica» e il corrispondente si difende spiegando di avergli donato «gualchiere, mulini e altri possedimenti e una donna come lui voleva» (vv. 9-10) e accusandolo di ingratitudine. Dopo la discussione di Boni (in Sordello, le poesie, cit., pp. XCIX-CI), questo personaggio è identificato con Carlo d’Angiò e le donazioni messe in relazione con le concessioni del 1269 (v. Petrossi, 2009, e la scheda di C. Mascitelli, in L’Italia dei trovatori..., a cura di P. Di Luca, 2014); non si può tuttavia escludere che il corrispondente sia Raimondo Berengario o il medesimo della tenzone con Joan d’Albusso – che rimprovera Sordello di aver accettato «le stoffe dal marchese» (BdT 256.1a = 437.10a, v. 10) – e che si tratti quindi di un testo giovanile.
Si attribuiscono a Sordello circa quaranta componimenti: tredici canzoni d’amore; due tenzoni; quattro partimen; tre scambi di coblas; quattro sirventesi politici e morali; tre sirventesi personali contro Peire Bremon; un planh in morte di Blacatz; una serie di coblas di argomento amoroso, giocoso e morale; un salutz; alcuni testi frammentari e il poema didattico noto come Ensenhamens d’onor. Ai testi pubblicati da Boni, in Sordello, le poesie, cit., si dovrà forse aggiungere Un sirventes farai, BdT 76.22 (v. Asperti, 1995b). La tradizione manoscritta gli assegna il motet in francese antico Non sai qe je die, conservato nel codice Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo XLI.42 (c. 65) con la rubrica «Aquest fe messer Sordel pro Karl» (cioè presumibilmente Carlo d’Angiò; ma l’attribuzione è generalmente rifiutata; v. C. De Lollis, Vita e poesie..., cit., p. 98 nota 1; M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., pp. CVI-CVIII; Asperti, 1995a, pp. 175 s.; il testo è anche in due manoscritti francesi). Non ci sono prove decisive per l’attribuzione a Sordello del cosiddetto Sirventese lombardesco, trasmesso dal canzoniere Modena, Biblioteca Estense, Càmpori γ.N.8.4, 11, 12, 13.
Nei testi amorosi (alcuni dei quali indirizzati a Guida di Rodez, per la quale utilizza i senhals N’Agradiva e Restaur) Sordello riprende i motivi tipici della poesia trobadorica (il desiderio di servire l’amata; l’amore che conduce a morte; l’accusa contro la donna-narcisa; il dolore per l’allontanamento dalla dama; la gratitudine per le sofferenze amorose; la morte per amore vissuta come un piacere), cui si aggiungono temi più caratteristici, benché non esclusivi, come l’idea che la giusta ricompensa per l’amante risieda solo nel canto (in Tant m’abellis, BdT 437.35) e nell’onore della donna (in Tos temps serai, BdT 437.36). Nei partimen Sordello dibatte classiche questioni di casistica amorosa; nelle tenzoni e nei sirventesi personali contro Peire Bremon e nelle coblas giovanili di argomento giocoso riutilizza invece schemi e motivi caratteristici della tradizione comico-satirica trobadorica. Quest’ultima parte della sua produzione, assieme alle vicende del rapimento di Cunizza, contribuì a diffondere un’immagine negativa che si riscontra in numerosi testi occitanici e nei commenti danteschi.
Nei sirventesi morali ricorrono invece l’elogio dei valori cortesi e cavallereschi (in particolare la liberalità e la misura) e le invettive contro la ricchezza disgiunta dall’onore e dalla cortesia; e risultano particolarmente significativi i testi che non sembrano avere in prima istanza un fine pratico. Secondo Asperti (1995b) Sordello focalizza infatti «il proprio discorso su una costellazione di valori e di modelli di comportamento di carattere atemporale» (p. 153), assumendo perlopiù un punto di vista esterno alle parti e il ruolo di difensore di valori universali. Non si può escludere che sia questa l’immagine recepita da Dante, che colloca Sordello in Purgatorio dipingendolo come un’anima «altera e disdegnosa» (VI, 62), simbolo dell’amore per la patria, che accompagna il protagonista e Virgilio, mostra loro la valletta dei principi (VII, 88-135) e descrive i regnanti secondo uno schema che è parso simile a quello del planh per Blacatz (v. Perugi, 1983). Nel De vulgari I, 15, 2, è elogiato in quanto uomo di alta eloquenza – «tantus eloquentie vir existens» – che ha abbandonato il volgare della sua patria in poesia e in ogni altra forma di espressione. Contribuì probabilmente a confermare la fama di Sordello come poeta morale anche l’Ensenhamen, forse noto a Dante, il «trattato di cortesia e di etica cavalleresco-cortese in cui S[ordello] si fa austero maestro di vita morale, rivolgendo anche fieri rimproveri ai potenti e ai ricchi, dimentichi delle virtù cortesi» (Boni, 1984, p. 332).
Morì con buona probabilità prima del 30 agosto 1269, quando i suoi feudi furono assegnati al cavaliere Bonifacio di Galibert (Liber donationum Caroli primi, c. 90 B; cfr. M. Boni, in Sordello, le poesie, cit., p. CII). Non è detto però che i feudi fossero stati trasferiti a causa della morte. Potrebbe essersi trattato di un semplice cambio; come precisa De Lollis (Vita e poesie..., cit., p. 65), i registri angioini, che solitamente chiariscono la causa del trasferimento, in questo caso non forniscono alcuna informazione. Secondo Candido Greco (2000, pp. 53 s.), il trasferimento potrebbe essere stato deciso da Carlo a seguito del rifiuto da parte di Sordello di accettare i castelli in segno di protesta per non aver ottenuto la contea di Chieti; il trovatore non ne avrebbe quindi mai preso possesso e il 30 agosto sarebbero stati riassegnati. Le ricerche di De Lollis hanno in ogni caso stabilito che dopo il 30 giugno 1269 il nome del trovatore non compare più nei registri angioini. I commenti alla Commedia forniscono informazioni non verificabili sulle cause della morte (Benvenuto da Imola e l’Anonimo fiorentino riferiscono la voce secondo la quale sarebbe stato ucciso per ordine di Ezzelino da Romano).
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