SORDELLO
. È il più celebre fra i trovatori d'Italia, e deve questa sua celebrità più a Dante (il quale lo ha immortalato nel c. VI del Purgatorio), che ai suoi versi provenzali: una quarantina di componimenti di valore disuguale, fra cui spicca il plainh per la morte di Blacas (1237), che fu probabilmente il componimento ispiratore del famoso episodio dantesco.
Nato a Goito intorno al 1200, ebbe vita avventurosa. Cominciò come giullare (lo stesso nome Sordel svela basse origini giullaresche, in quanto si riattacca alla radice di "sordido"); fu alla corte degli Estensi (presso Azzo VII); poi alla corte di Ricciardo di S. Bonifacio, sposo di quella Cunizza da Romano che Dante pose nel cielo di Venere a rifulgervi di luce d'amore. Si vuole che Dante abbia conosciuta a Firenze, già carica d'anni, questa peccatrice che S., a istigazione di Ezzelino, rapì nascostamente al conte Ricciardo (1225) e ricondusse alla casa paterna dei da Romano. Questo primo periodo della vita del trovatore è assai oscuro; ma sul ratto di Cunizza non può cadere dubbio, confermato com'è non solo da esplicite testimonianze di natura cronachistica, ma da allusioni non meno esplicite di verseggiatori contemporanei. Perseguitato dai San Bonifacio, S. riparò in Provenza alla corte di Raimondo Berengario IV, dove crebbe in fama e suscitò gelosie e rancori. Dopo un viaggio in Spagna e in Portogallo, ritornò alla corte di Berengario; quindi fu del seguito di Carlo d'Angiò quando questi scese nella penisola (1265); ma forse per ostilità incontrate nella discesa, fu presto fatto prigioniero (1266). Liberato, ottenne da Carlo protezione e onori. Ebbe nel 1269 la signoria di castelli nell'Abruzzo. Di giullare era divenuto miles, cioê cavaliere.
In Provenza S. aveva trovato condizioni politiche e sociali ormai poco adatte a quella poesia cortese, esaltatrice dell'amore cavalleresco extraconiugale, poesia aulica, elegante, fra garbata e convenzionale, che in gioventù aveva imitato. La Chiesa aveva rafforzato al dilà delle Alpi il suo dominio spirituale, vi aveva imposta (1229-1233) una rigorosa ortodossia, vi aveva intensificata la sorveglianza dell'Inquisizione. Si era venuto formando uno stato d'animo, che non mancava di riflettersi nella poesia. All'esaltazione dell'amore cavalleresco, nella poesia, si era venuto sostituendo la celebrazione dell'amore casto. Guilhelm de Montanhagol, che tenzonò con S., cantava che "amore muove da castità". E S. scriveva: Qu'amar non pot nuls cavaliers - Sa domna ses cor trichador (senza cuore falso) - S'engal lei non ama s'onor. Anche questo atteggiamento dovette piacere a Dante. Questi fece di S. un campione dell'amore patrio nella Commedia e lo ricordò anche nel De Vulgari Eloquentia quale autore di componimenti in volgare italiano purtroppo perduti. L'episodio di Dante creò la leggenda di S., raccontata in un povero poema da Bonamente Aliprandi nel sec. XV.
S. è, accanto a Lanfranco Cigala, il maggiore trovatore italiano. Non ha la dolcezza del Cigala, il quale ha soavi movenze stilnovistiche, ma è verseggiatore più vario, più vivace e più robusto. Pronto alla polemica, incline alla poesia d'amore, ha più corde alla sua lira. Anzi, un suo poemetto provenzale, intitolato Documentum honoris, è un vero trattato di morale e sta a testimoniare la versatilità di questo trovatore, di cui molte poesie debbono esserci state sottratte dal tempo.
Bibl.: C. De Lollis, Vita e poesie di S. di Goito, Halle 1896; G. Bertoni, I trovatori d'Italia, Modena 1915, p. 74 (quivi ampie indicazioni bibl.); A. Jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, Parigi-Tolosa 1934, II, p. 167.