sormontare
Verbo comune nell'italiano medievale, compare in D. sei volte, di cui cinque in poesia (sempre in rima) e una nel Convivio. L'uso è assoluto (tre casi) o intransitivo; le testimonianze di s. transitivo appartengono infatti ad autori più tardi.
Va notata la frequente confusione, nei codici e nelle chiose più antiche, fra s. e su montare, dovuta al fatto che il verbo ‛ montare ' è spesso accompagnato dalla preposizione ‛ su ', senza una vera variazione di significato (cfr. Petrocchi, ad locos).
Il senso proprio di " ascendere ", " andare verso l'alto " (forse intensivo di ‛ montare ') è presente solo nel participio passato, in Pg XIX 54 poco amendue da l'angel sormontati: " essendo ambedue [io e Virgilio] saliti un po' più in su del luogo dove stava l'angelo " (Scartazzini-Vandelli). L'espressione parentetica ha, per Benvenuto, valore narrativo-causale (" cum modicum ascendissemus "), mentre il Serravalle, più giustamente, la considera temporale, e usa il cum con l'indicativo: " cum modicum ascenderamus ".
Negli altri casi l'uso è traslato; in Cv IV VII 3 l'erba multiplica nel campo non cullato, e sormonta, s. vale " prevalere ", addirittura " dominare ", come si vede dal confronto con Virgilio Buc. V 37 e Georg. I 154 " infelix lolium et steriles dominantur avenae ". L'assenza di un complemento che indichi ‛ su che ' l'erba " domina e prevale ", rende con maggiore efficacia l'assolutezza e la completezza del suo dominio.
In senso morale, con soggetto una persona, s. vale " diventare potente, ricco, famoso ": l'invidioso podere, grazia, onore e fama / teme di perder perch'altri sormonti (Pg XVII 119); anche in questo caso si noti l'efficacia dell'uso assoluto del verbo: " se 'l prossimo suo monta in alto " (Buti, che legge su monti).
In Rime CVI 98 poca difesa / mostra segnore a cui servo sormonta, il verbo indica la vergognosa contraddizione della ragione (il segnore) che, per non ‛ servire ' la virtù, diventa servo non di signor, ma di vil servo (v. 43), cioè si fa " sopraffare " dall'istinto che invece dovrebbe dominare (cfr. Guittone Onne vogliosa 183-185).
Più precisamente, nell'ambito di un discorso politico-militare, s. vale " prendere il potere " (frequenti esempi nel Compagni e nel Villani): If VI 68 appresso convien che questa [la Parte bianca] caggia / ... e che l'altra [la nera] sormonti. Alla chiosa di Benvenuto (" idest superexaltetur ") che attribuisce al verbo e all'intera frase un tono troppo forte e assoluto, è da preferire quella del Vellutello (" che la parte nera prevaglia, e torni in stato ") in quanto il ‛ cadere ' dei Bianchi e il prevalere dei Neri è visto non come qualcosa di definitivo, ma come una triste, continua, provvisoria altalena del destino.
Resta infine l'occorrenza di Pd XXX 57 io compresi / me sormontar di sopr'a mia virtute, che presenta un traslato tipicamente dantesco: la preposizione ‛ su ', che già indica l'idea di un ‛ superamento ' della condizione umana (per merito della grazia divina), è unita all'espressione di sopr'a mia virtute, sicché l'intera frase, con la doppia insistenza sormontar-sopra e me-mia, assume un valore fortemente icastico, rappresentando una sorta di ‛ trasumanazione '. Si noti che il Lana e l'Ottimo leggono sopramontare; Benvenuto spiega il verbo con " supercrescere "; il Buti aggiunge: " più che non poteva la mia virtù umana, perché m'era sopravenuta la grazia divina "; " la frase di Dante è... astratta e... veemente, e lascia intendere il significato spirituale di questo potenziamento del suo essere " (Momigliano).