sospendere (suspendere)
Il verbo ricorre in D. quasi sempre nella forma participiale con valore predicativo; il suo uso è limitato alla Commedia (oltre che in Cv III XV 16). Accanto ai pochi casi in cui ha il valore proprio di " sollevare da terra ", più frequentemente assume quello metaforico di " essere in uno stato di dubbio, di attesa " (cfr. Papias vocabulista: " suspensus: sollicitus, stupefactus, a terra elevatus, incertus, dubius ").
Valore proprio si ha in due dei tre casi in cui il verbo è usato nella forma attiva. In If XXVIII 61 Poi che l'un piè per girsene sospese, / Mäometto mi disse esta parola; / indi a partirsi in terra lo distese, la minuziosa descrizione del movimento di Maometto ha dato origine a diverse interpretazioni.
Benvenuto che traduce sospese con " levavit " e distese con " reposuit pedem in terram ", e il Buti che chiosa " sì che tanto stette in uno pié, ch'elli diede l'ambasciata ", sembrano porre l'accento sulla rapidità e brevità delle parole che Maometto rivolge a D. prima di allontanarsi, a conclusione del suo discorso, rallentando ma non interrompendo il suo cammino; e tale interpretazione è ripresa dalla maggioranza dei commentatori successivi. Il Torraca vede invece nella sospensione del movimento di Maometto un riflesso della sua concentrazione; il Porena si chiede se D. " non abbia voluto far comprendere che i movimenti di Maometto erano assai lenti e impacciati, così sfasciato com'era e con le budella che gli pendevano fra le gambe ". F. D'Ovidio discute le diverse interpretazioni (in " Giorn. d. " VII [1923] 21-26), sostenendo che Maometto non ‛ sollevò ' il piede, ma rimase poggiato soltanto sul calcagno, finché non ebbe terminato di parlare. E tale interpretazione sembra l'unica convincente al Sapegno che afferma: " a intendere, come fanno i più, che Maometto parlasse rimanendo col piede sollevato da terra per un tempo abbastanza lungo, si introdurrebbe nel quadro un elemento grottesco, per nulla intonato alla situazione ".
In Cv III XV 16 disse Salomone in quello de' Proverbi in persona de la Sapienza: " Quando Iddio... suso fermava [l'etera] e suspendeva le fonti de l'acque... ", è ripresa l'espressione " librabat fontes aquarum " di Prov. 8, 28.
Significato proprio si ha ancora nel participio passato di If IX 121 Tutti li lor coperchi eran sospesi, " sollevati ", " alzati e puntellati " (Sapegno; e cfr. X 8 levati): sono i coperchi delle tombe arroventate dalle fiamme in cui gli eretici scontano la loro pena; e in Pg IX 19 in sogno mi parea veder sospesa / un'aguglia nel ciel con penne d'oro, che il Buti chiosa: " levata in cielo, stante con l'ale aperte, intesa per calarsi ".
La condizione di dubbio, d'incertezza in cui si trovano talora D. o Virgilio o le stesse anime è messa in risalto dall'uso metaforico del verbo, riscontrabile peraltro solo nel Purgatorio e nel Paradiso.
Così in Pg XIII 136 Troppa è più la paura ond'è sospesa / l'anima mia dal tormento di sotto, D. afferma che la sua anima " si trova in una condizione di apprensione, di timore ", al pensiero della pena che dovrà affrontare nella cornice inferiore, quella dei superbi. In XX 139 No' istavamo immobili e sospesi / come i pastor che prima udir quel canto, sono il terremoto e il canto, delle cui cause D. e Virgilio non riescono a rendersi conto, a determinare nel loro animo timore e incertezza (Benvenuto: " poeta noster describit mirabile accidens quod emersit ibi, scilicet tremorem et clamorem qui incussit sibi timorem magnum "; e cfr. Luc. 2,14 " et claritas Dei circumfulsit illos, et timuerunt timore magno "), sottolineati dall'immobilità fisica.
Stupore, ammirazione sono i sentimenti dominanti nelle occorrenze di Pg XXIX 32 io m'andava tra tante primizie / de l'etterno piacer tutto sospeso; Pd XX 87 lo benedetto segno [l'aquila] mi rispuose / per non tenermi in ammirar sospeso (Buti: " per non tenermi più in dubbio per lo quale io mi maravigliava "; e cfr..Ep XI 18 Nonnulli sunt in admiratione suspensi). D. stesso dà una definizione dello stupore, in Cv IV XXV 5 lo stupore è uno stordimento d'animo per grandi e maravigliose cose vedere o udire o per alcuno modo sentire. A Pd XXIII 13 veggendola io sospesa e vaga, vedendo Beatrice attendere con desiderio e ansia l'apparizione di Dio con tutti i beati, il Grabher nota: " due aggettivi che commentano e sviluppano eretta e attenta " dei versi precedenti: anche qui, come in Pg XX 139, la tensione spirituale è sottolineata da una connotazione fisica. Il dubbio, l'incertezza prevalgono in Pd XXVIII 41 in cura / forte sospeso, e XXXI 57 volgeami... / per domandar la mia donna di cose / di che la mente mia era sospesa.
Sospeso assume il significato di " assorto ", " concentrato ", in Pg XII 78, dove Virgilio invita D. a guardare l'angelo che si avvicina, a non procedere nel suo cammino col viso chino, perché non è più tempo di gir sì sospeso, così assorto nella meditazione delle cose viste; in XXVI 30, dove l'attenzione di D. è attirata da una nuova schiera di anime, la cui vista lo rende attento e concentrato, a rimirar sospeso; e in Pd XXXIII 97 la mente mia, tutta sospesa, / mirava fissa, immobile e attenta, / e sempre di mirar faceasi accesa.
In Pd XXXII 92 quantunque io avea visto davante, / di tanta ammirazion non mi sospese, / né mi mostrò di Dio tanto sembiante, si ha l'unico esempio di uso attivo del verbo con significato metaforico, in un contesto che sottolinea l'intensità dell'ammirazione, la concentrazione del poeta, assorto nella visione della Vergine.
Uso metaforico del verbo anche nelle due occorrenze di If II 52 Io era tra color che son sospesi, e IV 45 gente di molto valore / conobbi che 'n quel limbo eran sospesi, sulle quali si è appuntata l'attenzione d'interpreti e critici. Da notare che entrambe le volte sospesi è in rima con 'ntesi, e in IV 25 è riferito al femminile singolare gente.
Per i commentatori antichi e per la maggior parte dei moderni sospesi indica la particolare situazione delle anime del Limbo (v.; e cfr. anche SALVEZZA: Salvezza dei pagani), considerate in uno stato intermedio tra beatitudine e dannazione. Il Lombardi propose un'interpretazione diversa: ‛ sospesi ' perché " in attesa " del giudizio universale, " dopo del quale venir debbano ad abitare la rinnovata terra ". Il Porena, rilevando i numerosi casi in cui il vocabolo significa " assorto ", " concentrato " (cfr. Pg XII 78 e XXVI 130), ritiene che D. definisca " sospesi gli spiriti del Limbo perché tutti concentrati nel loro desiderio senza speranza ".
Si pose subito il problema se la loro condizione comportasse per le anime del Limbo una pena e se questa fosse eterna o limitata nel tempo. A If II 52 Benvenuto chiosa " sine poena et sine speme ", e il Buti " rimoti dalle pene; e non si dee intendere a tempo, ma sempre... se non che sono senza contentamento, imperò che non veggono Iddio; e benché questo volgare ‛ sospeso ' s'intende a tempo qui si dee intendere sempre "; e ancora il Buti a IV 45: " remoti da grazia e da tormento di martiri ". Ma già Graziolo e Boccaccio vedevano nella privazione dell'eterna salvezza una forma di pena, sia pure limitata e diversa rispetto alle altre infernali, e su questa linea è la maggior parte dei moderni commentatori.
La derivazione dei due passi danteschi da Aen. VI 741, dove si parla di " animae suspensae ad ventos ", messa in risalto da quasi tutti i commentatori, è respinta da F. Mazzoni (Saggio di un nuovo commento, Firenze 1967, 239-247, in partic. p. 246; v. anche Il c. IV dell'Inferno, in " Studi d. " XLII [1965] 89-93) che afferma: " qui si tratta... di un evidente termine tecnico, che mira a qualificare una condizione, diciamo così, teologicamente inquadrata nell'ambito d'un ben preciso schema di pensiero "; e mette invece in risalto, sulla base del Bottagisio, il rapporto con s. Bonaventura Sent. II XXXIII 3 2, in cui la condizione dei pargoli morti senza battesimo, nel Limbo, è presentata come intermedia tra beatitudine e dannazione: " Parvuli igitur, sic divino iudicio iusto inter Beatos et simpliciter miseros quasi in medio costituti hoc noverunt, et cum ex una parte consideratio generet desolationem, ex altera consolationem, ita aequa lance divino iudicio eorum cognitio et affectio libratur et in tali statu perpetuatur, ut nec tristitia deiciat, nec laetitia reficiat ". La condizione dei pargoli, macchiati solo del peccato originale, e senza colpa attuale, si troverebbe così estesa agl'infedeli giusti, sospesi alla bilancia della divina giustizia, che non fa pendere il loro stato né verso la dannazione, né verso la beatitudine (" divinum iudicium ", aggiunge Bonaventura, " perfectissime teneat medium inter superfluum et diminutum "). Con s. quindi D. indicherebbe a un tempo la condizione interiore ed esteriore dei limbicoli, proprio in quanto il loro stato, medio tra il premio e la pena, tra la letizia e la tristezza (cfr. If IV 84), è misurato dall'aequa lanx del giudizio divino che li tiene ‛ librati ' in un perfetto equilibrio (e cfr. s. per " librare " in Cv III XV 16), privi dell' ‛ ascesa ' verso la beatitudine e salvi dalla ‛ caduta ' verso la dannazione.
Ancora più probabile sembra a G. Paparelli (Questioni dantesche, Napoli 1967, 107) che il senso in cui D. usa l'espressione derivi da s. Tommaso Sum. theol. I II 11 ad 3, in cui è detto che solo nel conseguimento del bene desiderato l'anima trova riposo, giacché fin quando si aspetta qualcosa " motus voluntatis remanet in suspenso ".