sostare
Entrambe le occorrenze del verbo sono imperativi, in forte posizione, all'inizio di un verso; entrambe presentano costrutti ormai tramontati.
Come intransitivo pronominale, in If XVI 8 Sòstati tu ch'a l'abito ne sembri / essere alcun di nostra terra prava, in senso proprio: " soffermati ", " interrompi il cammino ". I commentatori moderni insistono sull'efficacia delle allitterazioni: " la voce poggia più a lungo e più piena sul so di sostati, e si ripercuote come eco nelle sillabe sta, ti, tu, che seguono " (Pietrobono); " il grido arriva vivo ma allungato nei singoli suoni, come si fa quando si alza la voce per parlarsi a distanza " (Mattalia). Per l'aspetto fonetico si deve tuttavia notare che " non si può... esser certi che -o- fosse già aperto " (Petrocchi).
Traslato, in Pg XIX 93 (sosta un poco per me tua maggior cura) s. è transitivo attivo, come nel Tesoretto di Brunetto Latini (XIX 182 " pregai per cortesia / che sostasser la via ") e in altri autori medievali. L'oggetto è tua maggior cura, " la preoccupazione principale dell'anima ", che è il canto di espiazione. Il verbo equivale ad " allentare ", " interrompere " qualcosa che si sta facendo, " significato dedotto dal primo, ‛ sostare ', in relazione all'idea del viaggio di ritorno a Dio " (Mattalia); " cessa modicum a fletu gratia mei " (Benvenuto), " affrena per un poco, ferma e da' pausa per amor mio alla tua prima e maggior cura " (Venturi).