Sostegno scolastico e riparto di giurisdizione
Le controversie aventi ad oggetto la declaratoria della consistenza dell’insegnamento di sostegno ed afferenti alla fase che precede la formalizzazione del PEI, restano affidate alla cognizione del giudice amministrativo. Prima della definizione del piano che stabilisce il numero di ore di sostegno necessario a garantire una corretta formazione all’alunno disabile, l’amministrazione scolastica resta pienamente investita delle potestà relative alla formazione del PEI e, soprattutto, nella fase che precede la definizione dello stesso, risulta inconfigurabile qualsivoglia profilo discriminatorio, che appare ravvisabile solo nell’omessa, parziale o incompleta attuazione del piano e che concreta l’identificazione della giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 1.9.2011, n. 150.
Con la importante sentenza 12.4.2016, n. 7, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta in materia di assegnazione di ore di sostegno scolastico nei confronti di persone disabili, precisando il contenuto della recente pronuncia della Corte di cassazione, S.U., 25.11.2014, n. 25011, in tema di riparto di giurisdizione e delineando nuovi criteri utili ai fini della individuazione del giudice fornito di giurisdizione.
La vicenda sottesa alla pronuncia della Adunanza Plenaria ha avuto origine dal ricorso – presentato dinanzi al TAR Campania da parte del genitore di un alunno disabile – volto a contestare il provvedimento dell’Istituto scolastico di assegnazione al minore di un numero di ore di sostegno non adeguate allo stato di disabilità della stesso.
Il Tribunale amministrativo campano, rilevato che in sede istruttoria l’amministrazione resistente aveva provveduto a depositare il PEI (Piano Educativo Individualizzato) relativo all’alunno – nel quale viene espressamente indicato che questi necessita per l’intero orario scolastico della «copertura piena delle ore di sostegno» – ha declinato la giurisdizione in adesione a quanto statuito dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 25011/20141.
Con tale pronuncia, infatti, la Corte di cassazione – superando il proprio precedente indirizzo interpretativo volto ad affermare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in considerazione della materia attinente al pubblico servizio scolastico2 – ha delineato un nuovo assetto di interessi sotteso alla materia del sostegno scolastico e fondato su una diversa configurazione della situazione soggettiva protetta dei destinatari del servizio: dall’interesse legittimo (originariamente affermato) al corretto bilanciamento degli interessi pubblici e privati per l’assegnazione di un determinato numero di ore di sostegno, al riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo dello studente portatore di handicap ad un supporto didattico adeguato, in rapporto alle effettive condizioni del medesimo.
In particolare, la giurisprudenza civile aveva espresso – sino al revirement della Suprema Corte – un indirizzo costante nel senso della spettanza al giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto il servizio di sostegno scolastico con insegnanti specializzati in favore dei minori portatori di handicap, e ciò sia sotto il vigore dell’art. 33 d.lgs. 31.3.1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro delle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, l. 15.3.1997, n. 59, nel testo modificato dall’art. 7 l. 21.7.2000, n. 205, Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), sia nella vigenza dell’art. 133 c.p.a., approvato con il d.lgs. 2.7.2010, n. 104.
A tale riguardo, infatti, si era rilevato che il servizio di sostegno scolastico ai minori portatori di handicap non costituisse oggetto di un contratto di utenza di diritto privato tra l’istituto scolastico, obbligato alla prestazione, e i genitori del minore, ma conseguisse direttamente al provvedimento di ammissione alla scuola.
Si era, così, affermato che la determinazione delle ore a disposizione del singolo diversamente abile fosse frutto di una prerogativa pubblicistica dell’amministrazione, che nel fissarle si poneva in una posizione di supremazia rispetto agli utenti del servizio, con la conseguenza che, qualora costoro contestassero la congruità del supporto accordato, essi dessero vita ad una vertenza che, postulando necessariamente un giudizio sulla correttezza del potere esercitato in ordine alla organizzazione ed alle modalità di erogazione del sostegno, rientrava nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto attinente al momento strutturale del servizio.
Ai fini del riparto di giurisdizione, secondo la pronuncia delle Sezioni Unite n. 25011/2014, occorre partire dal dato fondamentale del riconoscimento della natura di diritto fondamentale del diritto all’istruzione del disabile sia a livello internazionale, sia a livello europeo, sia rispetto al diritto interno.
Sotto il profilo internazionale, infatti, viene in rilievo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, firmata a New York il 13.12.2006 e resa esecutiva con legge di autorizzazione alla ratifica 3.3.2009, n. 18.
L’art. 24 della Convenzione pone a carico degli Stati il compito di dar vita ad un sistema educativo che preveda la loro integrazione scolastica a tutti i livelli e offra, nel corso dell’intera vita, possibilità di istruzione finalizzate: al pieno sviluppo del potenziale umano, del senso di dignità e dell’autostima ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della diversità umana; allo sviluppo, da parte delle persone con disabilità, della propria personalità, dei talenti e della creatività, come pure delle proprie abilità fisiche e mentali, fino al loro massimo potenziale; a mettere in grado le persone con disabilità di partecipare effettivamente a una società libera. La stessa disposizione (al par. 2, lett. c) prevede che l’intervento dello Stato e delle strutture pubbliche deve mirare alla modificazione del contesto mediante l’abbattimento delle barriere in esso presenti che impediscono l’integrazione del disabile e la predisposizione di accomodamenti ragionevoli, vale a dire di misure pensate per andare incontro alle esigenze individuali del disabile.
A livello europeo, nel quadro dei valori di rispetto della dignità umana e dell’uguaglianza proclamati nell’art. 2 TUE, gli artt. 9 e 10 TFUE definiscono due criteri-obiettivo nella determinazione delle politiche ed azioni dell’Unione: la promozione di un elevato livello di istruzione e la lotta contro ogni tipo di discriminazione, compresa quella fondata sulla disabilità.
Il contrasto alle discriminazioni fondate, tra l’altro, sulla disabilità costituisce oggetto della previsione contenuta nel successivo art. 19 TFUE. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevede che «Ogni persona ha diritto all’istruzione» (art. 14), che «Tutte le persone sono uguali davanti alla legge» (art. 20), che «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, ... sulla disabilità» (art. 21), e che «L’Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità» (art. 26).
A livello interno, il disegno personalista presente nella nostra Costituzione, nel guardare all’individuo nella specificità delle sue condizioni umane e non secondo il paradigma astratto della soggettività, promuove in favore dei soggetti deboli, tra cui le persone con disabilità, un processo di riduzione delle diseguaglianze e dell’integrazione sociale per garantire loro l’effettivo godimento dei diritti fondamentali. In attuazione degli artt. 34 e 38 della Cost. – che costituiscono attuazione dei principi fondamentali, di cui agli artt. 2 e 3 Cost., di pari dignità sociale e di eguaglianza sostanziale, con la solidarietà che funge da motore affinché le differenze di cui ciascuno è portatore non si trasformino in fattori di inferiorità e di esclusione – l’art. 12 l. 5.2.1992, n. 104, attribuisce al disabile il diritto soggettivo all’educazione e all’istruzione nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.
La l. 1.3.2006, n. 67 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), nel promuovere la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali, traccia all’art. 2 una rilevante distinzione tra due possibili forme di violazione di tale parità (la discriminazione diretta, che ricorre quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga; e la discriminazione indiretta, che si ha quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone), e, all’art. 3, affida al giudice ordinario la competenza giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti discriminatori, richiamando – la disciplina dettata dal testo unico delle disposizioni concernenti l’immigrazione e la condizione dello straniero, di cui al d.lgs. 25.7.1998, n. 286 e oggi – le nuove norme sulla tutela antidiscriminatoria previste dall’art. 28 d.lgs. 1.9.2011, n. 150.
La natura fondamentale del diritto all’istruzione del disabile non è, tuttavia, di per sé sufficiente a ritenere devolute le controversie che ad esso si riferiscono alla giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti soggettivi coperti da garanzia costituzionale.
Per un verso, infatti, occorre considerare la presenza nell’ordinamento di una norma – l’art. 133 c.p.a., co. 1, lett. c), – che, in continuità con l’abrogato d.lgs. n. 80/1998, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo.
Per l’altro verso, e più in generale, la categoria dei diritti fondamentali non delimita un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi: questi sono sempre più spesso chiamati, non solo all’assolvimento dei compiti rivolti ad attuare i diritti costituzionalmente garantiti, ma anche ad offrire ad essi una tutela sistemica, nel bilanciamento con le esigenze di funzionalità del servizio pubblico e tenendo conto, ai fini del soddisfacimento dell’interesse generale, del limite delle risorse disponibili secondo le scelte allocative compiute dagli organi competenti.
Sotto questo profilo, la sussistenza di poteri conferiti dalla legge alla pubblica amministrazione anche quando il bene della vita coinvolto è proiezione di un diritto fondamentale, trova conferma sia nel riconoscimento, ad opera della Corte costituzionale, della idoneità del giudice amministrativo «ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa» (sentenza n. 140 del 2007); sia nelle previsioni legislative contenute nel codice del processo amministrativo che escludono che la concessione o il diniego della misura cautelare possa essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale (art. 55), o che, ad esempio, affidano alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati (art. 133, co. 1, lett. p).
Del resto le Sezioni Unite (ordinanza 10.7.2006, n. 15614), proprio in materia di servizio scolastico, in una vicenda relativa ad un diritto inviolabile quale la libertà religiosa, hanno statuito che la controversia avente ad oggetto la contestazione della legittimità dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, avvenuta – pur in mancanza di una espressa previsione di legge impositiva dell’obbligo – sulla base di provvedimenti dell’autorità scolastica conseguenti a scelte dell’amministrazione, contenute in regolamenti e circolari ministeriali, riguardanti le modalità di erogazione del pubblico servizio, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del d.lgs. n. 80/1998, art. 33 venendo in discussione provvedimenti dell’autorità scolastica che, essendo attuativi di disposizioni di carattere generale adottate nell’esercizio del potere amministrativo, sono riconducibili alla pubblica amministrazione-autorità.
Ai fini del riparto di giurisdizione, occorre piuttosto muovere dalla verifica se, a seguito della redazione conclusiva, da parte dei soggetti pubblici competenti, del piano educativo individualizzato, contenente l’indicazione delle ore di sostegno necessarie ai fini dell’educazione e dell’istruzione, ci si trovi di fronte, in presenza di una situazione di handicap particolarmente grave, ad un diritto, ad essere seguiti da un docente specializzato, già pienamente conformato, nella sua articolazione concreta, rispetto alle specifiche necessità dell’alunno disabile, o se vi sia ancora per la pubblica amministrazione-autorità spazio discrezionale per diversamente modulare da un punto di vista quantitativo (e quindi per ridurre) gli interventi in favore della salvaguardia del diritto all’istruzione dello studente disabile3.
Una volta che il Piano educativo abbia “prospettato” il numero di ore di sostegno, infatti, sussiste, secondo la tesi della Corte di cassazione, un diritto costituzionalmente protetto dell’alunno disabile alla istruzione, alla integrazione sociale ed alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini; conseguentemente, la giurisdizione deve ritenersi spettare al giudice ordinario in considerazione della conclusione della fase procedimentale amministrativa e della insussistenza di una discrezionalità amministrativa valutabile.
In tale ipotesi, dunque, l’amministrazione scolastica resta priva del potere discrezionale – espressione di autonomia organizzativa e didattica – capace di rimodulare o sacrificare, in via autoritativa, la misura del supporto integrativo così come individuato dal piano, avendo, al contrario, il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato4.
A seguito del dictum della Suprema Corte, dunque, la questione relativa al riparto di giurisdizione appariva cristallizzata nel seguente modo:
• giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo allorquando l’amministrazione non abbia predisposto il PEI ovvero lo stesso risulti carente rispetto alla indicazione del numero di ore;
• giurisdizione del giudice ordinario nelle ipotesi in cui l’amministrazione abbia predisposto un PEI completo.
Il discrimine tra giurisdizione del giudice amministrativo e giurisdizione del giudice ordinario, dunque, si riteneva interamente fondato sulla presenza o meno del PEI5.
D’altra parte, solo l’emanazione di un PEI completo e con indicazione del numero di ore risulterebbe in grado di radicare la giurisdizione del giudice ordinario mentre laddove il PEI manchi ovvero non contenga indicazioni in ordine al numero di ore, dovrà ritenersi sussistente la giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo.
Le conclusioni delineate dalla Suprema Corte sono state poste in discussione dalla ordinanza 21.9.2015 n. 4374 con cui la sesta sezione del Consiglio di Stato, dopo aver disatteso l’eccezione relativa all’applicabilità dell’art. 5 c.p.c. in tema di perpetuatio iurisdictionis, ha rimesso all’Adunanza Plenaria le questioni, giudicate rilevanti e decisive ai fini della disamina della fondatezza dell’appello proposto contro la decisione declinatoria della giurisdizione, relative alla definizione dei criteri identificativi dell’ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa sulle controversie relative all’erogazione di servizi pubblici e all’estensione o meno della giurisdizione esclusiva amministrativa anche alla fase di esecuzione del PEI6.
A seguito di tale rimessione il Consiglio di Stato ha avuto occasione di precisare il contenuto della pronuncia della Corte di cassazione, delineando l’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo nella materia relativa alla assegnazione delle ore di sostegno scolastico a persone disabili ed il connesso riparto di giurisdizione.
Secondo la pronuncia della Adunanza Plenaria del 12.4.2016 n. 7, infatti, al fine di dare risposta alla questione relativa al riparto di giurisdizione, occorre individuare correttamente l’oggetto della domanda: laddove, infatti, il petitum sia ravvisabile nella contestazione della adeguatezza del numero di ore rispetto alla gravità della patologia che affligge l’alunno interessato, la controversia, lungi dall’attenere alla fase di attuazione del PEI, deve intendersi riferita a fasi antecedenti l’adozione del piano e, pur coinvolgendo situazioni di diritto soggettivo, deve ritenersi rientrare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133 c.p.a.
Secondo l’Adunanza Plenaria, infatti, fermo restando che la pacifica natura di diritto soggettivo della posizione soggettiva azionata, quand’anche qualificato come “fondamentale”, non esclude la sussistenza della giurisdizione amministrativa, i confini della giurisdizione esclusiva devono intendersi estesi ad ogni apprezzamento della gravità della patologia e delle coerenti esigenze dell’insegnamento di sostegno, secondo parametri scientifici e, perciò, cogenti; secondo l’Adunanza Plenaria, «anche, infatti, secondo l’esegesi più riduttiva e restrittiva del perimetro della giurisdizione esclusiva amministrativa in subiecta materia, operata con la più volte menzionata sentenza delle Sezioni Unite (n. 25011 del 2014), le controversie aventi ad oggetto la declaratoria della consistenza dell’insegnamento di sostegno ed afferenti alla fase che precede la formalizzazione del PEI, restano affidate alla cognizione del giudice amministrativo. Mentre, infatti, la Cassazione ha escluso la giurisdizione amministrativa per le controversie afferenti alla fase di attuazione del PEI sulla base del duplice rilievo che, dopo la definizione del piano, l’amministrazione scolastica resta priva di qualsivoglia potestà che la autorizzi a ridimensionare il numero di ore di sostegno ivi stabilito e che l’eventuale omessa, puntuale attuazione del piano integra gli estremi di una discriminazione indiretta, azionabile ai sensi della legge n. 67 del 2006 e del d.lgs. n.150 del 2011 solo dinanzi al giudice ordinario (per espressa previsione legislativa), le medesime argomentazioni non risultano in alcun modo spendibili per escludere le controversie afferenti alla fase prodromica al PEI dal perimetro della giurisdizione esclusiva amministrativa. Prima della definizione del piano che stabilisce il numero di ore di sostegno necessario a garantire una corretta formazione all’alunno disabile, infatti, l’amministrazione scolastica resta pienamente investita delle potestà relative alla formazione del PEI e, soprattutto, nella fase che precede la definizione dello stesso, risulta inconfigurabile qualsivoglia profilo discriminatorio, che, secondo la stessa Cassazione, appare ravvisabile solo nell’omessa, parziale o incompleta attuazione del piano e che concreta, a ben vedere, l’identificazione della giurisdizione ordinaria, come provvista di capacità cognitoria, ai sensi dell’art. 28 d.lgs. n.150 del 2011 (essendo stata proposta, nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, un’azione antidiscriminatoria secondo il rito definito dalla predetta disposizione)».
Ne consegue che, laddove il diritto azionato postuli, per la sua completa realizzazione, l’espletamento di una potestà pubblica che si risolve nella verifica, sulla base di canoni medici o scientifici, dei presupposti per la sua attuazione, la potestà cognitoria del giudice amministrativo deve intendersi estesa anche allo scrutinio della correttezza del predetto apprezzamento, in quanto implicato dalla disamina della fondatezza della pretesa azionata in giudizio, seppur nei limiti del sindacato relativo alla discrezionalità tecnica (Cons. St., 12.4.2013, n.1989).
In tale caso – e, cioè nelle ipotesi in cui la domanda della parte ricorrente riguardi l’impugnazione di provvedimenti del dirigente scolastico di riconoscimento all’alunno di un determinato numero di ore di sostegno ovvero l’accertamento del suo diritto ad ottenere, anche per gli anni scolastici futuri, un insegnante di sostegno per un numero di ore adeguate alla sua patologia – la successiva emanazione del PEI ad opera della amministrazione, lungi dal determinare una (successiva) carenza di giurisdizione, potrà essere valutata dallo stesso giudice amministrativo nell’ambito del ricorso avente ad oggetto la spettanza di un numero di ore di sostegno adeguato alle esigenze dell’alunno7.
La pronuncia della Adunanza Plenaria appare sicuramente di grande rilievo non solo perché contribuisce a fare chiarezza sulla problematica questione della modifica della giurisdizione in corso di causa scaturente dalla emanazione del PEI ad opera della amministrazione, ma anche e soprattutto poiché riporta – correttamente – l’ambito della giurisdizione nell’alveo dei confini dettati dal criterio del petitum e della causa petendi.
A ben vedere, peraltro, la sentenza del Consiglio di Stato si spinge oltre tali indicazioni, affermando, seppure incidentalmente:
a) la possibilità di impugnazione del PEI con motivi aggiunti e, conseguentemente, la eventualità che il giudice amministrativo ne possa conoscere nell’ambito della propria giurisdizione;
b) la delimitazione della cognizione del giudice ordinario alle ipotesi di carente attuazione del PEI denunciata in giudizio come discriminatoria ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011.
In tale prospettiva, dunque, l’Adunanza Plenaria delinea un ampio quadro di cognizione del giudice amministrativo, esteso all’intera materia del pubblico servizio scolastico, restringendo la cognizione del giudice ordinario alle controversie in materia di discriminazione ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011; secondo la pronuncia in commento, infatti, «al di fuori della peculiare situazione esaminata dalle Sezioni Unite (carente attuazione del PEI denunciata, in giudizio, come discriminatoria con il rito previsto dall’art. 28 d.lgs. cit.), l’ampiezza della latitudine della giurisdizione esclusiva amministrativa in materia di servizi pubblici, segnalata dal carattere generale delle espressioni lessicali utilizzate all’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. (“relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione…in un procedimento amministrativo”), preclude qualsiasi esegesi riduttiva del perimetro della cognizione piena affidata al giudice amministrativa in materia di pubblici servizi (infatti non rinvenibile anche nella giurisprudenza più restrittiva delle Sezioni Unite), in difetto di qualsivoglia positiva ed esplicita eccezione che la autorizzi».
Note
1 Nel caso concreto, il TAR campano ha declinato la propria giurisdizione in ragione dell’esistenza di un PEI redatto e depositato durante il giudizio evidenziando, in tal modo, che il profilo che viene in rilievo – ai fini del riparto di giurisdizione – concerne proprio la intervenuta predisposizione del PEI; in particolare, si legge nella sentenza TAR Campania, 21.1.2015, n. 370 che «Rilevato che, in esecuzione dell’innanzi menzionata ordinanza istruttoria n. 1763/2014, l’amministrazione resistente ha depositato, in data 14 novembre 2014, il P.E.I. (Piano Educativo Individualizzato) relativo all’anno scolastico 2014/2015 riguardante l’alunno in questione nel quale viene expressis verbis indicato che questi necessita per l’intero orario scolastico della “copertura piena delle ore di sostegno; – Considerato che il Giudice regolatore della giurisdizione, con la suddetta sentenza n. 25011 del 25 novembre 2014 delle S.U., riconsiderando ed innovando la sua giurisprudenza in tema di devoluzione al G.A. della giurisdizione in materia di assegnazione di ore di sostegno scolastico, con richiamo agli artt. 2 e 3 della legge 1/3/2006 n. 67 e 28 del D.Lgs. 1/9/2011 n. 150 in tema di comportamento discriminatorio in pregiudizio delle persone disabili e della relativa attribuzione della giurisdizione al G.O., ha affermato che a seguito dell’emissione del P.E.I. indicante le ore di sostegno scolastico necessarie all’alunno disabile (come è avvenuto nella fattispecie in esame) non residua spazio di apprezzamento discrezionale con conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione del G.O.; – Ritenuto, pertanto, che, alla stregua della menzionata sentenza del Giudice regolatore della giurisdizione, va dichiarato il difetto di giurisdizione del G.A. adito indicandosi come Giudice munito di giurisdizione il G.O. innanzi al quale la controversia può essere riassunta nel termine previsto dall’art. 11 del c.p.a. e con gli effetti da siffatta norma previsti; e che, in ragione dell’assoluta novità della questione, le spese di giudizio vanno compensate tra le parti».
2 Cfr. Cassazione, S.U., 25.11.2014, n. 25011 «La giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha sinora espresso un indirizzo costante nel senso della spettanza al giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto il servizio di sostegno scolastico con insegnanti specializzati in favore dei minori portatori di handicap, e ciò sia sotto il vigore del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33 (…), sia nella vigenza dell’art. 133 c.p.a., approvato con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n.
104. A tale riguardo, le ordinanze 19 gennaio 2007, n. 1144, e 29 aprile 2009, n. 9954, hanno evidenziato che il servizio di sostegno scolastico ai minori portatori di handicap non costituisce oggetto di un contratto di utenza di diritto privato tra l’istituto scolastico, obbligato alla prestazione, e i genitori del minore, ma è previsto dalla legge e consegue direttamente al provvedimento di ammissione alla scuola. A sua volta (…) l’ordinanza 25 marzo 2009, n. 7103, ha rilevato che, in tema di insegnamento di sostegno, «la normativa di settore riconosce all’amministrazione il poteredovere di dare concretezza alle aspettative degli alunni mediante un’equa e ragionevole utilizzazione delle risorse, da ripartire fra gli aventi titolo sulla base di provvedimenti emanati anche alla luce di superiori scelte discrezionali». In questa prospettiva, «la determinazione delle ore a disposizione del singolo diversamente abile costituisce ... il frutto di una prerogativa pubblicistica dell’amministrazione, che nel fissarle si pone in posizione di supremazia rispetto agli utenti del servizio»; sicchè, qualora costoro contestino la congruità del supporto accordato, essi danno vita ad una vertenza che, «postulando necessariamente un giudizio sulla correttezza del potere esercitato in ordine alla organizzazione ed alle modalità di erogazione del sostegno», rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «in quanto attinente al momento strutturale del servizio»».
3 Cfr. Cass., S.U., 25.11.2014, n. 25011 «Ai fini del riparto di giurisdizione, occorre piuttosto muovere dalla verifica se, a seguito della redazione conclusiva, da parte dei soggetti pubblici competenti, del piano educativo individualizzato, contenente l’indicazione delle ore di sostegno necessarie ai fini dell’educazione e dell’istruzione, ci si trovi di fronte, in presenza di una situazione di handicap particolarmente grave, ad un diritto, ad essere seguiti da un docente specializzato, già pienamente conformato, nella sua articolazione concreta, rispetto alle specifiche necessità dell’alunno disabile, o se vi sia ancora per la pubblica amministrazione-autorità spazio discrezionale per diversamente modulare da un punto di vista quantitativo (e quindi per ridurre) gli interventi in favore della salvaguardia del diritto all’istruzione dello studente disabile. Ad avviso del Collegio, la soluzione è nel senso del 1 corno dell’alternativa. Dal formante legislativo si traggono, infatti, l’assoluta centralità del piano educativo individualizzato, inteso come strumento rivolto a consentire l’elaborazione di una scelta condivisa, frutto anche del confronto tra genitori dell’alunno disabile e amministrazione; e, inoltre, l’immediato e doveroso collegamento, in presenza di specifiche tipologie di handicap, tra le necessità prospettate dal piano e il momento dell’assegnazione o della provvista dell’insegnante di sostegno».
4 Cfr. Cass., S.U., 25.11.2014, n. 25011 «dal quadro legislativo di riferimento si evince che una volta che il piano educativo individualizzato, elaborato con il concorso determinante di insegnanti della scuola di accoglienza e di operatori della sanità pubblica, abbia prospettato il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell’alunno che versa in situazione di handicap particolarmente grave, l’amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale, espressione di autonomia organizzativa e didattica, capace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura di quel supporto integrativo così come individuato dal piano, ma ha il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato, anche ricorrendo – se del caso, là dove la specifica situazione di disabilità del bambino richieda interventi di sostegno continuativi e più intensi – all‘attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni, per rendere possibile la fruizione effettiva del diritto, costituzionalmente protetto, dell’alunno disabile all’istruzione, all’integrazione sociale e alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini. L’omissione o le insufficienze nell’apprestamento, da parte dell’amministrazione scolastica, di quella attività doverosa si risolvono in una sostanziale contrazione del diritto fondamentale del disabile all’attivazione, in suo favore, di un intervento corrispondente alle specifiche esigenze rilevate, condizione imprescindibile per realizzare il diritto ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico: l’una e le altre sono pertanto suscettibili di concretizzare, ove non accompagnate da una corrispondente contrazione dell’offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati, una discriminazione indiretta, vietata dalla L.
n. 67 del 2006, art. 2 per tale intendendosi anche il comportamento omissivo dell’amministrazione pubblica preposta all’organizzazione del servizio scolastico che abbia l’effetto di mettere la bambina o il bambino con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri alunni. E poiché la L.
n. 67 del 2006, art. 3 oltre ad attribuire, a fronte di un comportamento discriminatorio, un’azione a favore del disabile, prevede altresì la procedura per far valere la tutela giurisdizionale, facendo rinvio al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28 che chiaramente individua nel giudice ordinario quello competente ad occuparsi della repressione di comportamenti discriminatori, correttamente la Corte d’appello ha confermato la statuizione del primo giudice circa l’appartenenza al giudice ordinario della competenza giurisdizionale a conoscere della controversia».
5 Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, 8.9.2010, n. 2547; TAR Campania, Napoli, 24.9.2010, n. 17532; più di recente, tra le altre, cfr. TAR Toscana, Firenze, 23.1.2014, n. 151. La giurisprudenza successiva alla pronuncia della Cassazione ha avuto qualche oscillazione; si veda, ad esempio, TAR Sicilia, Palermo, 3.12.2014, n. 3111 e TAR Toscana, 16.3.2015, n 404 che hanno affermato la propria giurisdizione; TAR Campania, Napoli, 21.1.2015, n. 370, invece, l’ha declinata.
6 Cfr. Cons. St., ord. 21.9.2015, n. 4374 «Nella situazione descritta, si può senz’altro riconoscere che il disabile interessato sia portatore – in base al Piano educativo che lo riguarda (una volta perfezionato) – di un diritto soggettivo perfetto; ciò non esclude tuttavia il carattere autoritativo del provvedimento, che determina la concreta erogazione del servizio, in misura che potrebbe risultare insufficiente, rispetto agli interessi ed alle esigenze dell’alunno. È noto d’altra parte che si possono configurare interessi legittimi anche in rapporto ad atti vincolati: la stessa Corte di Cassazione, nella richiamata sentenza n. 25011 del 2014, sottolinea che “la categoria dei diritti fondamentali non delimita un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi”, con piena “idoneità del giudice amministrativo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa”, come del resto riconosciuto anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 140 del 2007). Per il settore in esame, inoltre, il discostamento dell’Amministrazione dalle indicazioni del P.E.I., nelle vicende concrete sottoposte a giudizio, appare recessivo rispetto all’ampia gamma di contestazioni, che usualmente investono la formazione del Piano, o il suo mancato aggiornamento, o la non corretta programmazione delle risorse a livello locale. Ne derivano seri dubbi sulla possibilità che i vizi denunciati – a carattere prioritario per il perseguimento del bene della vita, oggetto di interesse pretensivo – possano venire adeguatamente tutelati davanti al giudice ordinario, in via di mero accertamento incidentale della legittimità dei provvedimenti, ricognitivi ed attuativi del diritto in questione; non può non tenersi conto, inoltre, della specializzazione del giudice amministrativo in tema di giudizio sugli atti discrezionali, nonché della nota evoluzione della giurisprudenza amministrativa, in tema di sindacato sull’esercizio della discrezionalità tecnica (a partire dalle pronunce del Consiglio di Stato, VI, 4 dicembre 2009, n. 694 e, 13 ottobre 2003, n. 6201, con successiva giurisprudenza ormai consolidata). Deve altresì essere considerato il grado di tutela, che il giudice amministrativo è in grado di assicurare, in via non meramente formale, ma pienamente satisfattiva in rapporto al bene della vita perseguito, attraverso la radicale rimozione del provvedimento illegittimo e non con mera, momentanea disapplicazione del medesimo. Solo il giudice amministrativo ha peraltro piena cognizione, circa la legittimità dell’intero procedimento, con possibilità non solo di rimuovere dal mondo giuridico atti, che si assumano incongrui rispetto alla concreta situazione dei soggetti destinatari, ma anche di determinare con forza di giudicato parametri non elusivi, per assicurare l’effettività della tutela (assicurando non la mera declaratoria di un diritto, ma la concreta individuazione degli eventuali vizi, non reiterabili, nei correlativi atti dell’Amministrazione, dalla fase discrezionale a quellavincolata). È ormai superata, del resto, la concezione degli interessi legittimi come “diritti affievoliti”, che sussistono solo in presenza di poteri concessori o ablatori dell’Amministrazione e non in rapporto a diritti soggettivi, direttamente attribuiti dalla legge e non “degradabili” (poiché ascrivibili alla categoria dei diritti fondamentali, come nel caso di specie), o comunque per il carattere vincolato ex lege degli atti dell’Amministrazione (cfr. al riguardo fra le tante, in diverse fattispecie, non sempre con univocità di indirizzo: Cass. SS.UU., sentenze nn. 11131 del 28 maggio 2015, 13568 del 2 luglio 2015, 1132 del 21 gennaio 2014, 11 luglio 2014, n. 15941, 20 luglio 2011, n. 15867, 19 maggio 2008, n. 12641, 20 maggio 2005, n. 10603; ordinanze 25 gennaio 2013, n. 1776 e 16 dicembre 2010, n. 25398). La giurisdizione ordinaria può ritenersi bene affermata, pertanto, solo quando l’intervento autoritativo sia escluso, o effettivamente esaurito, senza che l’Amministrazione sia ulteriormente chiamata ad effettuare vigilanza o controlli nell’interesse pubblico, esercitando comunque un potere, anche se vincolato ex lege».
7 Cfr. Cons. St., A.P., 12.4.2016, n. 7 «Né, ovviamente, la pacifica natura di diritto soggettivo della posizione soggettiva azionata, quand’anche qualificato come «fondamentale», esclude la sussistenza della giurisdizione amministrativa. Per un verso, infatti, la profondità della capacità cognitiva del giudice amministrativa nelle materia dei servizi pubblici comprende senz’altro anche la tutela dei diritti soggettivi, in ragione della natura esclusiva della giurisdizione codificata all’art. 133 c.p.a., e, per un altro, il carattere fondamentale del diritto nella specie azionato non può certo essere decifrato come un’eccezione innominata al perimetro della giurisdizione esclusiva. La cognizione e la tutela dei diritti fondamentali, infatti, intendendosi per tali quelli costituzionalmente garantiti, non appare affatto estranea all’ambito della potestà giurisdizionale amministrativa, nella misura in cui il loro concreto esercizio implica l’espletamento di poteri pubblicistici, preordinati non solo alla garanzia della loro integrità, ma anche alla conformazione della loro latitudine, in ragione delle contestuali ed equilibrate esigenze di tutela di equivalenti interessi costituzionali. Non solo, ma l’affermazione dell’estensione della giurisdizione esclusiva amministrativa anche alla cognizione dei diritti fondamentali (peraltro ammessa, al punto 2.6, anche dalla Sezioni Unite nella sentenza più volte richiamata) non vale in alcun modo a sminuire l’ampiezza della tutela giudiziaria agli stessi assicurata, nella misura in cui al giudice amministrativo è stata chiaramente riconosciuta la capacità di assicurare anche ai diritti costituzionalmente protetti una tutela piena e conforme ai precetti costituzionali di riferimento (Corte Cost., sentenza 27 aprile 2007, n. 140), che nessuna regola o principio generale riserva in via esclusiva alla cognizione del giudice ordinario. Né, per altro verso, i confini della giurisdizione esclusiva possono intendersi ristretti o ridimensionati, in ragione della natura vincolata o tecnica dell’esercizio della potestà oggetto del giudizio (potendosi, nella fattispecie esaminata, sostenere che la stima delle ore di sostegno necessarie all’alunno disabile deve indefettibilmente fondarsi su un apprezzamento della gravità della sua patologia e delle coerenti esigenze dell’insegnamento di sostegno, secondo parametri scientifici e,perciò, cogenti). È sufficiente, al riguardo, osservare che l’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in determinate materia implica, evidentemente, una cognizione piena, e non limitata ai soli profili di esercizio discrezionale del potere, della controversie ad essa riferibili. Ne consegue che, là dove il diritto azionato postuli, per la sua completa realizzazione, l’espletamento di una potestà pubblica che si risolve nella verifica, sulla base di canoni medici o scientifici, dei presupposti per la sua attuazione, la potestà cognitoria del giudice amministrativo deve intendersi estesa anche allo scrutinio della correttezza del predetto apprezzamento, in quanto implicato dalla disamina della fondatezza della pretesa azionata in giudizio, seppur nei limiti del sindacato relativo alla discrezionalità tecnica (Cons. St., sez. III, 12 aprile 2013, n. 1989)».