sostenere [ind. pres. III plur. sostegnon; pass. rem. III singol. anche sostenette; cong. pres. III singol. anche sostegna; condiz. pres. III singol. anche sosterria]
Il verbo conserva il senso proprio di " reggere ", " tenere sopra di sé ", in Cv IV XXIV 10 la buona natura... dà a la vite... li vignuoli con li quali difende e lega la sua imbecillitade, sì che sostiene lo peso del suo frutto. Analogo il caso di If XVII 96 tosto ch'i' montai / [Virgilio] con le braccia m'avvinse e mi sostenne, mentre in Pg XXX 121 (Alcun tempo il sostenni col mio volto) il termine assume la sfumatura di " sorreggere ", o, come chiosa il Sapegno, " indirizzare e mantenere ", secondo un valore metaforico che diviene esplicito in Cv IV XVII 5 la quarta [virtù] si è Magnificenza, la quale è moderatrice de le grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine, dove significa " guidare ", " indirizzare ".
Quando tale guida è particolarmente sollecita e affettuosa, il verbo assume l'accezione di " aiutare ", " proteggere ", " difendere ": al passivo in Cv IV XXVI 10 conviensi amare li suoi minori, acciò che, amando quelli, dea loro de li suoi benefici, per li quali poi ne la minore prosperitade esso sia da loro sostenuto e onorato; attivo in Rime dubbie X 4 una donna vene / al grande assedio della vita mia / irata sì, che accende e caccia via / tutto ciò che l'aiuta e la sostene. Cfr. anche Fiore CXIX 10 e' sì fu per lei sì discacciato, / e sol per verità che sostenea, / ched e' fu del reame isbandeggiato.
Il verbo acquista il senso figurato di " soffrire " quando regge un termine che denota una condizione dolorosa, come in Vn III 7 io sostenea sì grande angoscia; in Rime LXVII 60 Lo giorno che costei nel mondo venne /... la mia persona pargola sostenne / una passion nova, il sostantivo retto dal verbo induce ad attribuire a s. il valore di " subire ", secondo un'accezione ricorrente ogni qual volta si allude a una qualche sofferenza inflitta da altri, come in If XI 87 quelli / che sù di fuor sostegnon penitenza, e in Pg XI 137 per trar l'amico suo di pena, / ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo, / si condusse a tremar per ogne vena.
In Cv IV IV 10 più dolce natura [in] segnoreggiando, e più forte in sostenendo, e più sottile in acquistando né fu né fia che quella de la gente latina, la voce sembra piuttosto significare " patire ", specie se, come sostiene il Busnelli, il passo allude all'apoftegma di Livio II XII 9 " Et facere et pati fortia romanum est ". Stesso valore ha in Pd XXVI 59 la morte ch'el [Dio] sostenne perch'io viva, dove il verbo, chiosato da Benvenuto " passus est pro redemptione mea ", rinvia al contesto biblico di Hebr. 12, 2 " [Iesus] proposito sibi gaudio, sustinuit crucem ".
Immessa in una situazione meno drammatica, come quella di Rime L 33 tutti incarchi sostenere a dosso / de' l'uomo, o di XCI 10 quella vertù che natura mi diede / nol sosterria, però ch'ella è finita, la voce assume il valore meno intenso di " sopportare ", ricorrente anche nei passi di pacata didattica di Cv I X 4 Non si maravigli dunque alcuno se lunga è la digressione de la mia scusa, ma, sì come necessaria, la sua lunghezza sostenga; e così in II II 4, III IV 3. Il verbo appartiene ancora a questo campo semantico nel passo di IV II 10 Ecco lo agricola aspetta lo prezioso frutto de la terra, pazientemente sostenendo infino che riceva lo temporaneo e lo serotino, che esplicitamente traduce il biblico " Patientes igitur estote, fratres, usque ad adventum Domini. Ecce agricola exspectat pretiosum fructum terrae, patienter ferens donec accipiat temporaneum et serotinum " (Iac. Epist. 5, 7). Così anche in Vn III 7 sì grande angoscia... lo mio deboletto sonno non poteo sostenere, anzi si ruppe e fui disvegliato. Pure in If II 4 m'apparecchiava a sostener la guerra / sì del cammino e sì de la pietade, quantunque il Vellutello chiosi " a tolerar la difficultà ", s. significa piuttosto " affrontare ", riecheggiando il diffuso sintagma latino " sustinere proelium " (cfr. Caes. Bell. gall. VI XXXVIII 2). Designa ancora la difficile sopportazione di uno stato di cose sempre più insostenibile il passo di Pd XVI 55 Oh quanto fora meglio esser vicine / quelle genti ch'io dico... / che averle dentro e sostener lo puzzo (" sofferire ", Chiose Vernon) e di XXI 135, riferito a Dio: oh pazïenza che tanto sostieni! (" indugiando la... punizione " [Buti] dei prelati amanti del lusso; " soffrire ", Lombardi), per il quale il Tommaseo rimanda a Rom. 9, 22 " Deus... sustinuit in multa patientia vasa irae apta in interitum ".
Quando D. viene a contatto più immediato con il divino e il soprannaturale, il verbo, ancora nell'accezione di " sopportare ", è riferito alla capacità o meno della vista di sostenere il bagliore metafisico. Tale situazione, anticipata in Pg II 39 (D. è abbagliato dall'angelo nocchiero), ricorre soprattutto nella seconda parte del Paradiso: in XXII 143 L'aspetto del tuo nato, Iperïone, / quivi sostenni, significa " patittono li miei occhi di guardare sulla rota del sole " (Buti); in XXIII 33 per la viva luce trasparea / la lucente sustanza tanto chiara / nel viso mio, che non la sostanea (cfr. Esth. 7, 6 " vultum regis ac reginae ferre non sustinens ") vale " non la potea soffrire " (Vellutello), " quia intellectus humanus non sufficit ad comprehendendum et cognoscendum naturam Christi " (Benvenuto), e secondo un significato ricorrente, ma in senso affermativo, anche al v. 48 e in XXXIII 80 io fui... ardito / ... a sostener, tanto ch'i' giunsi / l'aspetto mio col valore infinito, dove s. è adoperato assolutamente.
In altri contesti, allorché la sopportazione è meno pesante, il verbo assume la sfumatura semantica di " tollerare ": Vn XVIII 3 A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza?; Cv IV IV 2 molti difetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. Il senso di una paziente ‛ tolleranza ' è ancora più evidente nel passo di Cv IV XXIV 16 scrive Salomone ne li Proverbi, che quelli che umilmente e obedientemente sostiene dal correttore le sue corrett[iv]e riprensioni, " sarà glorioso ", per il quale il Nardi (in " Giorn. stor. " XCV [1930] 112) rinvia, diversamente dal Giuliani e dal Moore, che propongono Prov. 15, 31, a Prov. 13, 18 " qui autem adcquiescit arguenti glorificabitur ". Anche quando la sfolgorante potenza degli attributi divini è vinta dalle accresciute facoltà di D., il verbo, più che " sopportare ", vale " tollerare ", come in Pg XXX 27 per temperanza di vapori / l'occhio la [faccia del sole] sostenea lunga fïata (cfr. Lucano Phars. IX 904-905 " potuere pati radios et lumine recto / sostinuere diem "), e in Pd XVI 21 la mente mia... di sé fa letizia / perché può sostener che non si spezza (" resistere ", Vellutello; " tanta letizia contenere ", Lombardi; " portarla ", Cesari).
Un caso a parte, di più difficile interpretazione, è invece il passo di If XXX 42 l'altro che là sen va, sostenne / ... falsificare in sé Buoso Donati, giacché, se Benvenuto chiosa " passus est ", il Serravalle " assensit " e al Cesari il verbo " pare usato qui assai propriamente, come dicesse: patì di falsificare ecc.; il che noi diciamo di chi si lascia da passione strascinare e far cosa disonorata ", per Scartazzini-Vandelli significa piuttosto " tolse l'assunto, osò, non si vergognò ", secondo un significato che è palese in Cv IV XXVI 9 Quanto spronare fu quello, quando esso Enea sostenette solo con Sibilla a intrare ne lo Inferno...!, dove s. equivale a " osare ", " ardire ".
Col valore di " mantenere ", " conservare ", in Cv IV XXI 13 se questo [appetito de l'animo] non è bene culto e sostenuto diritto per buona consuetudine, poco vale la sementa.
In Vn VIII 2 Allora, ricordandomi che già l'avea veduta fare compagnia a quella gentilissima, non poteo sostenere alquante lagrime, s. vale " trattenere ", " frenare ", come in Cv IV II 8 le parole, che sono quasi seme d'operazione, si deono molto discretamente sostenere e lasciare (cfr. Cic. Acad. II XXXII 104 " se a respondendo ut aut adprobet quid aut improbet sustinere "), così interpretato dal Busnelli: " bisogna sapere con molto discernimento non solo considerarle e ponderarle dentro di noi... ma ancora saperle lasciare o tacere a tempo ".
In cinque occorrenze il verbo compare in forma pronominale: Cv III VIII 19 è più laudabile l'uomo che dirizza sé e regge sé mal naturato... che colui che ben naturato si sostiene in buono reggimento o disviato si rinvia, nel senso di " conservarsi ", " mantenersi ", come in Rime dubbie XXX 8 la cornacchia... addobbossi, e nel consiglio venne: / ma poco si sostenne, / perché parea sopra gli altri bella. In Cv IV XXIII 3 questo seme divino... dibrancasi per le vertuti di quelle tutte, dirizzando quelle tutte a le loro perfezioni, e in quelle sostenendosi sempre infino al punto che... al cielo ritorna (cfr. Matt. 10, 22 e 24, 13 " qui autem perseveraverit usque in finem, hic salvus erit " [Busnelli]), come appunto suggerisce la fonte biblica, il verbo vale " perseverare ". Ancora usato pronominalmente, in Cv IV I 8 un poco dal frequentare lo suo aspetto mi sostenni, " mi astenni "; quest'accezione finisce per equivalere a " tacere ", in If XXVI 72 fa che la tua lingua si sostegna, dove Benvenuto chiosa " habe patientiam; tace et ausculta ", e l'Andreoli " s'astenga di parlare ".