sostrato
Nella fenomenologia dell’➔interferenza linguistica un posto particolare è occupato dalle condizioni di sostrato, adstrato e superstrato. In senso ampio, tali nozioni fanno riferimento al prestigio linguistico, riflesso diretto di un’egemonia politico-culturale: nel caso di prestigio comparabile si parla di adstrato, se esso è ineguale si tratterà per la lingua dominante di superstrato e di sostrato per quella dominata, spesso destinata all’assorbimento (Hock & Joseph 1996: §§ 14, 16.1-3; cfr. Silvestri 1977-1982).
Le trafile storiche sono assai complesse, come mostra il rapporto tra greco e latino. Il primo, ridotto nell’orbita italica e romana, vi assume un ruolo di sostrato ma a causa del suo prestigio si comporta anche come un vigoroso adstrato. Nelle lingue di spessore storico questi contatti si riproducono continuamente: in epoca postclassica i ruoli prevalenti sono giocati da germanico, arabo, francese e occitanico, in quella moderna soprattutto da francese e inglese. Va sottolineato il caso principe del latino e della sua ripetuta interazione con l’italiano, oltre che con tutte le principali lingue di cultura (De Mauro 2000; ➔ latino e italiano; ➔ lingue romanze e italiano).
Le premesse delle origini dell’italiano e della loro componente latina si vedono nel cosiddetto sostrato (indo)mediterraneo, con le connesse nozioni di preindoeuropeo o preromano (Silvestri 1974). Studiosi come G. Alessio, C. Battisti, V. Bertoldi, J. Hubschmid e altri hanno raccolto una ragguardevole quantità di materiali mal congruenti con un quadro latino o indoeuropeo, per es. serie lessicali formate da bisillabi a prevalente vocalismo /a/: ganda «sfasciume di sassi», pala «pendio erboso alla base di cime montuose», ecc. L’idea sostratistica attirò anche l’attenzione di ➔ Graziadio Isaia Ascoli e fu poi Clemente Merlo (➔ dialettologia italiana) a teorizzare che una lingua soccombente non può scomparire senza aver esercitato su quella che le succede un qualche influsso, applicando questo principio al latino e alle sue molteplici tracce allogene, che danno un quadro sostanzialmente etnico dell’Italia dialettale attraverso la nota formula Roma sannita e Etruria latina (da completarsi con Cisalpina gallica).
La complessità di questi strati è delineata in Tagliavini (19726) e in Pellegrini (1980), pur ormai datati. L’interazione tra latino e dialetti italici coinvolge osco, umbro e dialetti minori, caratterizzati dal trattamento labiale delle labiovelari indoeuropee (lat. quis «chi», osco pis), dalla presenza di fricative interne contro quella di occlusive sonore latine (lat. albus «bianco», umbro alfu) e da fatti di ➔ assimilazione quali /mb/, /nd/ > /mː/, /nː/: lat. operandam, gerundivo di opero(r), osco úpsannam; lat. unguen «unguento», umbro umen (< *umben).
È questo lo sfondo degli elementi cosiddetti dialettali del latino: bos «bue», lupus, bufalus (per bubalus), *bufulcus «bifolco» (per bubulcus), *cafo -ōnis > cafonë, cafuni «cafone, contadino; zotico», ecc. L’etrusco, che alle origini di Roma esercitò una vera egemonia, fu peraltro assorbito, lasciando pochi e discussi relitti: elementi onomastici, personali (Porsenna) e locali (Tiberis, etrusco Thepre), forse il nome stesso di Roma (Ruma), oltre a una serie di parole semitecniche quali favissa «cella sotterranea», mantis(s)a «giunta», persona, qualche tratto di morfologia derivazionale in -en(n)a e -issa, senza dimenticare le tipiche mediazioni di sporta < gr. spurída (accusativo) e grōma (grūma) «strumento agrimensorio» < gr. gnōma (gnōmōn -onos), tramite cruma.
Destinata a un definitivo abbandono, soprattutto dopo le obiezioni strutturali opposte da G. Rohlfs, è l’ipotesi di un’incidenza etrusca nella ➔ gorgia toscana, un fenomeno d’indebolimento (posteriore a ➔ Dante?) legato a condizioni di variazione consonantica estranee alla nota resa etrusca di occlusive greche con occlusive aspirate (come in Clutmsta ~ Cluthumustha «Clitennestra», Hercle ~ Herkhle «Ercole»).
L’Italia meridionale non conserva vere tracce di Japigi e Messapi in Puglia o di Bruttii in Abruzzo, ma mostra un consistente sostrato greco, oggetto della nota quaestio tra chi vi vede una continuità con la Magna Grecia (Rohlfs) e chi invece un’eredità neogreca bizantina (Alessio, Battisti, Parlangèli; ➔ greca, comunità). Alla grecità più antica, dorica, si attribuiscono voci come machĭna, che continua mākhaná e non lo ionico-attico mēkhanḗ. Lo stesso tratto riaffiora, per es., nel calabrese e siciliano nasida, -ita «striscia di terra coltivata lungo un fiume» < nāsida (accusativo) e non nēsida «isoletta» (gr. nḗsos «isola»). Ha contribuito alla grecità romana anche un antichissimo strato miceneo (Peruzzi 1980): cfr. littĕra < diphthéra «pelle conciata, cuoio» ed elementum (pl. elementa «lettere, alfabeto») < eléphanton (eléphas, -antos «elefante, avorio»), e vari altri casi quali fŭrca «palo biforcuto» < phórks, cuspis «punta di freccia o di lancia» < ksiphís «spuntone», miceneo *kwsiphídes pl. > lat. arcaico *kusiphídes > *kús(ĭ)pĭdes > cuspĭdes (Zamboni 1998).
Anche per la Sicilia, la fase antica vede già verso l’VIII secolo una forte presenza greca, accompagnata da insediamenti punici e da altri sporadici, come quello dei Mamertini Italici a Messina (Zánklē «falce», dalla forma dell’insenatura portuale), mentre le stirpi autoctone o primarie si dividono tra i Sicani occidentali (lat. Sicăni, gr. Sikanói), non indoeuropei, e i Siculi (Sicŭli, Sikelói) a oriente, indoeuropei, che hanno lasciato varie tracce epigrafiche, come gli Elimi nell’area occidentale. Poco si può dire (oltre a qualche dato toponomastico: Èrice ~ Lèrici, Segesta ~ Sestri) di una pretesa presenza ligure nell’isola. Poco credito riscuote anche una spiegazione di sostrato di foni cerebrali o cacuminali (retroflessi; ➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di; ➔ dentali) nei diffusi esiti (non esclusivi della Sicilia, ma anche in Salento) [ɖː] < lat. [ll], cfr. [ˈbɛɖːʋ] «bello», attribuiti a un sostrato definito mediterraneo o libico; né appare facile verificare l’ipotesi di G. Piccitto, secondo cui la distinzione tra dialetti siciliani orientali e occidentali rifletterebbe l’antica differenziazione etnica. Notevole fortuna ha goduto anche la tesi, dibattuta tra Rohlfs e Alessio e soprattutto Bonfante, d’un completo sradicamento del (neo)latino in seguito alla conquista araba (827).
La Sardegna e la Corsica presentano aspetti ancora più complessi. A parte le coste, divise tra insediamenti greci e cartaginesi (responsabili di vari lasciti lessicali e onomastici: [ʦ]ikkiría «aneto», [ʦ]íppiri «rosmarino»), l’interno della Sardegna ospita autoctonie archeologicamente identificate (specie quella nuragica) ma linguisticamente mal definibili. Al paleosardo viene assegnato un certo numero di elementi lessicali che richiamano relitti iberici propri del basco – cfr. (b)i[ð]íle «acquitrino», basco itil «pozza»; óspile «recinto della tanca riservato ai vitelli», «solitudine, bosco», basco ospel «luogo ombreggiato» –, oltre a tratti fonetici come le cacuminali stesse, la scarsezza di /f/, l’occlusiva glottidale [ʔ]) per -k-, -l-, -n-. Autonoma è indubbiamente l’onomastica, sia personale che locale, poco compatibile col quadro romanzo, tanto da far supporre semmai uno strato paralatino molto antico.
Il ligure corrisponde ai Ligures e al sinus Ligusticus degli antichi: l’entità correlata maggiore ne è il leponzio (noto da vari documenti epigrafici), lingua di valligiani eponimi del bacino ticinese, la vallis Lepontina, la moderna Leventina. Ne esistono eco idronomastiche, come Bòrmida (< indoeuropeo gwhormo- «caldo», lat. formus), Polcévera < Porcĭfera (*porko-bhera «che porta salmoni»); o lessicali, come *balma «caverna», molto diffuso e ritenuto piuttosto preindoeuropeo. Viene anche attribuita a questo sostrato la tipica debolezza attuale di /r/ nei dialetti liguri (cfr. aa «ala»). Il retico individua un complesso di etnie diverse (Raeti), stanziate nell’area alpina centro-orientale (Breuni, Camuni, Isarci, Trumplini, Venostes), oggetto delle ultime campagne belliche di Augusto, Druso e Tiberio. La lingua è problematica e solo le più recenti acquisizioni ne hanno migliorato la conoscenza, mostrandone i caratteri di tipo etrusco, non indoeuropeo. Paleoveneto o venetico rappresentano l’ethnos di Veneti riconoscibile in un patrimonio epigrafico consolidato, molto affine al latino e naturalmente amalgamatosi con esso, tanto da apparire responsabile dell’assenza di tratti galloromanzi nelle continuazioni moderne: ceva «piccola vacca» sarebbe riflesso nel ven. civeto (ts-) «vitello», civeta «giovenca». Tutt’altro spessore e importanza ha il sostrato celtico costituito da Boi, Cenomani, Insubri, Senones, che definisce una Gallia Cisalpina da cui provengono benna, betulla, bracae, carrus, paraveredus «cavallo da viaggio», rumpus, rumpotinus «acero, sostegno della vite» e relitti toponomastici (composti con dunum «oppidum, fortezza», e Rhēnus > Rèno).
L’apporto celtico fu sottolineato da Ascoli, soprattutto per l’anteriorizzazione galloromanza di /ū/ > /y, i/, integrata poi con quella di /a/ > /æ/ in posizione tonica libera e dall’esito [it] di lat. -kt- (➔ dialetti). L’anteriorizzazione di /ū/ non è però realmente diffusa nelle lingue celtiche e quella di /a/ ha una facile spiegazione strutturale. Più direttamente riportabili a sostrato celtico sono relitti come Cadore (cadorino Čadór, friul. Ciadòvri) < *catu-brīga «colle della battaglia», dall’etnico Catubrini «Cadorini» attestato in epigrafi latine; e il raro esito locale di rin «ruscello, torrente» < *rīno, che a differenza dell’antecedente Rèno < *rēno- documenta l’innalzamento di /ē/ > /ī/ in -rix (Vercingeto-rix), lat. rex, rēgis «re».
De Mauro, Tullio (2000), Stratificazioni sociolinguistiche dell’eredità latina e dei suoi tramiti in italiano, in Linguistica storica e sociolinguistica. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia (Roma, 22-24 ottobre 1998), a cura di P. Cipriano, R. d’Avino & P. Di Giovine, Roma, Il Calamo, pp. 163-188.
Hock, Hans H. & Joseph, Brian D. (1996), Language history, language change, and language relationship. An introduction to historical and comparative linguistics, Berlin - New York - Amsterdam, Mouton de Gruyter.
Pellegrini, Giovanni Battista (1980), Substrata, in Trends in Romance linguistics and philology, edited by R. Posner & J.N. Green, Berlin - New York, Mouton de Gruyter, vol. 1º (Romance comparative and historical linguistics), pp. 43-73.
Peruzzi, Emilio (1980), Mycenaeans in early Latium, with an archaeological appendix by L. Vagnetti, Roma, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri.
Silvestri, Domenico (1974), La nozione di indomediterraneo in linguistica storica, Napoli, Macchiaroli.
Silvestri, Domenico (1977-1982), La teoria del sostrato. Metodi e miraggi, Napoli, Macchiaroli, 3 voll.
Tagliavini, Carlo (19726), Le origini delle lingue neolatine. Introduzione alla filologia romanza, Bologna, Pàtron (1a ed. Le origini delle lingue neolatine. Corso introduttivo di filologia romanza, 1949).
Zamboni, Alberto (1998), Rutilus, in Do-ra-qe pe-re. Studi in memoria di Adriana Quattordio Moreschini, a cura di L. Agostiniani et al., Pisa - Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, pp. 389-394.