SOTTOSCRIZIONE (lat. subscriptio; fr. signature; sp. subscripción; ted. Unterschrift; ingl. signature)
Diritto. - Nei primi tempi dell'Impero Romano la scrittura privata, che aveva prima una semplice funzione di memoratorio dell'atto compiuto, senza forza giuridica, diviene un documento probatorio opponibile in giudizio. Ciò avviene quando il disponente (o testatore, o debitore, o alienante) e i testimoni appongono all'atto il loro sigillo. Lo scritto ha, in seguito a ciò, una duplice redazione: una esterna, che dà il semplice contenuto dell'atto; una interna, chiusa dai sigilli. Nelle tavolette di Pompei i sigilli sono talvolta posti in fondo all'atto, come le posteriori firme. La sostituzione della firma (subscriptio) al sigillo avviene col diffondersi della scrittura e con l'uso del papiro e ancor più della pergamena, come materiale sul quale è steso l'atto, in sostituzione delle tavolette cerate; essa dovette divenire obbligatoria nei testamenti, dapprima, per i testimonî, poi, anche per il testatone, per effetto delle costituzioni di Arcadio e di Onorio del 436 e del 439. Ciò si estese poi ad altri atti. Nel diritto giustinianeo l'atto scritto vincola le parti, purché esso sia redatto per esteso e sulla parte liscia della pergamena, e l'alienante abbia posto, ove l'atto sia redatto da un terzo, la sua sottoscrizione. L'uso della scrittura diviene in questo tempo necessario per la maggior parte dei negozî giuridici.
Nei documenti italiani dell'ultima età imperiale e in quella bizantina l'apposizione delle firme va sempre unita a una dichiarazione di approvazione dell'atto; essa appartiene alle formalità conclusive dell'atto, che sono appunto in Occidente la signatio, la traditio e la completio del notaio. Quest'ultima avviene, come ci dicono i papiri ravennati, post testium subscriptiones et traditionem factam. Nell'alto Medioevo certe categorie di documenti sono sottoscritte e altre no; le prime portano il nome di chartae, mentre le seconde quelle di notitiae o brevia. Non è pacifico quali differenze precise dividessero queste due categorie di atti scritti; ma in ogni modo è certo che soltanto le chartae avevano pieno valore probatorio e in esse s'individuava il passaggio del diritto, mediante le formalità che accompagnavano la documentazione, ed erano diverse secondo i varî popoli. La consegna della pergamena dall'una parte all'altra, o al notaio, e l'apposizione del segno delle parti, quale si aveva comunemente nella documentazione italiana, acquistava così valore formale. Si comprende come, data la scarsissima conoscenza della scrittura, più sovente il segno fosse una croce, la quale sostituiva la firma autografa, ma conteneva anche una promessa religiosa di rispettare il negozio. Certe leggi, come la visigotica e l'editto di Teodorico, consentivano anche, in certi casi, di valersi di un'altra persona per apporre la firma.
Un mutamento profondo avviene più tardi nel valore attribuito alla firmȧ nei secoli XI-XII, quando il notariato aumenta grandemente la sua importanza. I notai, quando le parti si recavano dinnanzi a essi a dichiarare le loro volontà, avevano la consuetudine, derivata certamente dal mondo romano, di scrivere una breve memoria delle stipulazioni verbali compiute alla loro presenza: è questo il dictum, chiamato anche "notizia dorsale" da qualche scrittore, perché scritto sul dorso della pergamena, dal lato nel quale la pelle era rozza, non preparata per la scrittura. Più tardi questi dicta furono scritti in quaderni separati e costituirono le cssiddette imbreviature notarili, delle quali si conservano infinite migliaia di fascicoli, detti comunemente vacchette, negli archivî notarili. Soltanto se c'era bisogno di produrre il documento in giudizio, si traeva dall'imbreviatura il solenne instrumentum, nel quale il notaio stendeva l'atto con tutte le formule giuridiche di rito. In questo instrumentum troviamo le sottoscrizioni delle parti e dei testimonî, ma, nella grandissima maggioranza dei casi, scritte dal notaio stesso, perché la forza dell'atto riposava più sulla fede pubblica del notaio che sul fatto materiale della sottoscrizione e il negozio si riteneva già perfetto con lo scambio dei consensi avvenuto, a suo tempo, alla presenza del notaio medesimo e dei testimonî. Gl'inconvenienti derivati da questo eccessivo potere dato ai notai, portarono, in varie terre italiane, all'istituzione di uffici speciali, come quelli detti dei "memoriali" di Vicenza, Bologna e altre città e "vicedominati" in Friuli, Trieste e Istria. In tali uffici, i notai eran costretti a trascrivere in particolari registri pubblici alcune categorie più importanti di negozî, appena compiuti, evitando così la possibilità di alterazioni e di liti. Lo stesso stabilì nella monarchia piemontese Carlo Emanuele I.
L'importanza della sottoscrizione autografa crebbe di nuovo, quando le leggi, particolarmente nel campo commerciale, cominciarono a riconoscere vigore a documenti scritti anche se non fossero opera di notai. Ciò avviene dapprima per i documenti scritti interamente di pugno del debitore, nei chirografi o apodixae. Questo è stabilito in molti statuti; però in altri pure importanti, come quelli di Roma, Ravenna, Ferrara, Forlì, dei secoli XIV-XVI, si ammette che basti la firma autografa del debitore e di tre o più testimonî. Tali scritture private facevano fede anche se i testimonî fossero morti, purché si potesse provare con altri testi che le loro sottoscrizioni erano autografe. Tale scrittura privata godeva in taluni luoghi dell'esecuzione parata, come se la dichiarazione del debitore fosse stata fatta in giudizio o con pubblico strumento. Tutte queste disposizioni stanno in relazione con la norma stabilita da molte legislazioni italiane che esigeva, per moltissimi atti, l'istrumento pubblico e per altri - per es., il contratto di mutuo, di società, di compra-vendita di mobili, d'affitto - la scrittura privata; questa veniva richiesta non solo per la prova, ma per la stessa validità dell'atto.
La forza della scrittura privata deriva dalla sottoscrizione delle parti interessate.
Il codice italiano ha respinto il sistema del codice sardo e del codice estense che ammettevano validità di prova scritta anche a scritture private nelle quali fosse stata apposta soltanto la croce d'illetterati, ritenendo che "tale segno non valga a caratterizzare la persona alla quale veniva attribuito" (relazione Pisanelli). La sottoscrizione è fatta col nome e cognome risultanti all'ufficio dello stato civile (art. 119 r. decr. 15 novembre 1865 sullo stato civile); però nel testamento olografo (art. 775 cod. civ.) può anche essere sufficiente il nome usato dal testatore o quello con cui il testatore stesso era comunemente conosciuto; non bastano le sole iniziali; è discusso se basti la sottoscrizione del solo nome di battesimo o il cognome con l'iniziale del nome, col solo grado di parentela (cfr. A. Carcaterra, La sottoscrizione nei testamenti olografi, in Nuovo diritto, 1931, p. 1 segg.; M. Allara, Il testamento, 2ª ed., Padova 1936). Maggior rigore formale è richiesto per la sottoscrizione delle cambiali (articoli 251-258, cod. comm.: cfr. però ora l'art. 8 r. decr. 5 dicembre 1933, n. 1668: "Ogni sottoscrizione cambiaria deve contenere il nome e cognome o la ditta di colui che si obbliga. È valida tuttavia la sottoscrizione nella quale il nome sia abbreviato o indicato con la sola iniziale"). Norme rigorose sono dettate per la sottoscrizione dell'atto notarile (art. 51, n. 10, legge 16 febbraio 1913, n. 89): la sottoscrizione va fatta col nome e cognome scritti per intero e senza avvalersi di pseudonimi delle parti, di fideiussori, dell'interprete e infine del notaio: se alcuna delle parti o alcuno dei fidefacienti non sapesse o non potesse sottoscrivere, deve indicare la causa che glielo impedisce e il notaio deve far menzione di questa dichiarazione che tien luogo della sottoscrizione. Speciali disposizioni regolano le variazioni o aggiunte all'atto, prima o dopo la sottoscrizione delle parti (non dopo la sottoscrizione del notaio poiché in tal caso l'atto è definitivamente chiuso), nonché le sottoscrizioni marginali quando l'atto è contenuto in più fogli allo scopo di evitare possibili sostituzioni di essi (art. 51, n. 12 legge cit.). Altra formalità indispensabile per i testamenti per atto di notatio, ma da osservarsi anche negli altri atti notarili a richiesta delle parti, è l'indicazione dell'ora della sottoscrizione (art. 51, n. 11 legge cit.).
Quanto ai documenti regi la sottoscrizione varia secondo i diversi popoli e le dinastie. Nel documento regio longobardo non c'è firma del re, ma il notaio regio dichiara di avere steso il documento per comando di questi. Nel regno franco i re merovingi sottoscrivono di regola i loro diplomi; i Carolingi, invece, vi fanno apporre una croce o, più tardi, e ciò diviene poi regola, un monogramma. Nei diplomi pontifici, vi è un primo periodo nel quale il documento si chiude con la formula Bene valete, che nel sec. XI si riduce a monogramma, posto a destra, mentre a sinistra si pone un cerchio tagliato da una croce rettangolare. Nei quattro scomparti si pongono, da Leone IX sino a Gregorio VII, varie iscrizioni; da Urbano II in poi, invece, vi figurano i nomi dei Ss. Pietro e Paolo, quello del papa e il suo numero ordinale. Da Pasquale II, in mezzo a questi due segni, si pone la sottoscrizione del papa.
Bibl.: C. Paoli, Programma scolastico di paleografia latina e di diplomatica, Firenze 1900, III, p. 123 segg.; A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., Torino 1906, VI, i, p. 418 segg.; O. Redlich, Die Privaturkunde des Mittelalters, Berlino 1911; F. Schupfer, Il diritto delle obbligazioni in Italia nell'età del Risorgimento, Torino 1921, I, p. 124; H. Steinacker, Die antiken Grundlagen der frühmittelalterlichen Privaturkunde, Lipsia 1927.