soverchiare (soperchiare)
Come transitivo significa " superare ", " vincere ", e ricorre spesso in contesti comparativi legati all'immagine della luce, materiale o spirituale (fa però eccezione il passo di Rime dubbie XI 6 la biltà vostra... soverchia mia natura).
In Pd XIII 6, le quindici stelle che... / lo cielo avvivan di tanto sereno / che soperchia de l'aere ogne compage (" di tanta luce che supera... ogni densità d'aria ", Lombardi) danno appena un'idea de la vera / costellazione e de la doppia danza (vv. 19-20) che D. vede nel cielo del Sole; in XXXI 120 il paragone è fra la parte orïental de l'orizzonte, che al mattino soverchia [per l'intensità della luce] quella dove 'l sol declina, e una parte della candida rosa, che appare più luminosa delle altre; analogamente in XIV 53 come carbon che fiamma rende, / e per vivo candor quella soverchia... / così...
In altri luoghi si tratta anche di luce intellettuale. Così in Cv III Amor che ne la mente 59 Elle [le verità della filosofia] soverchian lo nostro intelletto, / come raggio di sole un frale viso, ripreso e commentato in XV 6 (dove si parla della soperchianza di queste cose, le quali nostro intelletto abbagliano) e in VIII 14 (queste cose... soverchiano lo 'ntelletto nostro, cioè umano; e dico come questo soverchiare è fatto [si noti l'infinito sostantivato], che è fatto per lo modo che soverchia lo sole lo fragile viso, cioè che " supera " la capacità visiva dell'occhio umano). Trasferita alle Intelligenze motrici, questa luce si configura piuttosto come eccellenza la quale, appunto, soverchia gli occhi de la mente umana, sì come dice lo Filosofo nel secondo de la Metafisica (II IV 16; per i richiami ad Aristotele o a s. Tommaso, in questo e negli altri passi del Convivio, cfr. Busnelli-Vandelli).
Questo concetto di eccellenza determina più esattamente il valore del verbo in altri luoghi. Cfr. ad es. Cv II IV 14 lo 'ntelletto umano... quello [cioè il divino] non soperchia, ma da esso è improporzionalmente soperchiato (è " vinto " in quanto di potenza minore, di capacità infinitamente più limitate), e III XIV 7; IV V 1 la divina provedenza... l'angelico e lo umano accorgimento soperchia, e XIX 6. Nell'ambito dell'umano va considerato il passo di Pg XXVI 119, a proposito di Arnaldo Daniello che versi d'amore e prose di romanzi / soverchiò tutti, cioè " in fare prose di romanzi in lingua francesca, o vuo' dire in rima, avanzò gli altri " (Anonimo).
Il verbo può alludere anche a una superiorità di ordine quantitativo: la larghezza di Dio è senza limiti, per cui non ha riguardo lo suo amore al debito di colui che riceve, ma soperchia quello in dono e in beneficio di vertù e di grazia (Cv III VI 10). Su questa linea si collocano alcune altre occorrenze di s. con uso assoluto: vedi oltre.
Ancora nell'ambito umano, nel senso di " superare " un ostacolo: credete / che non sanza virtù che da ciel vegna / [D.] cerchi di soverchiar questa parete, " idest, transcendere istum montem altum et rectum in modum muri " (Benvenuto, a Pg III 99); nella cornice degli avari e dei prodighi, che ne occupano per buona parte il pavimento, noi... brigavam di soverchiar la strada / tanto quanto al goder n'era permesso (XX 125), cioè di " superare... la strada, con riguardo alle difficoltà del cammino ", come spiega il Chimenz.
Come assoluto, s. esprime un'idea di sovrabbondanza (cfr. il passo di Cv III VI 10, citato), e vale quindi " avanzare ", " eccedere " (anche nel tempo): il commento alle canzoni del Convivio sarà quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soperchieranno le sporte piene (Cv I XIII 12; cfr. Ioann. 6, 13 " Collegerunt... et impleverunt duodecim cophinos fragmentorum ex quinque panibus hordeaceis, quae superfuerunt his qui manducaverant ". Va qui notata un'implicita sovrapposizione d'immagini: il pane che ‛ soverchierà ' non può essere il commento, bensì il sapere che ne è presupposto e sostanza [v. SPORTA]. Cfr. però Busnelli-Vandelli, ad locum: il " pane, ‛ col quale si deono mangiare le infrascritte canzoni ' ... è il commento "; e ancora: " il pane orzato... è il comune linguaggio nostro volgare "): o anche: la notte... / uscia di Gange fuor con le Bilance, / che le caggion di man quando soverchia (Pg II 6), cioè quando, passato l'equinozio d'autunno, la sua durata " eccede ", " supera " quella del dì.
Lo stesso significato - e per estensione, contestualmente, quello di " sporgere " - Si ha in If XIX 22, detto dei piedi e di parte delle gambe dei simoniaci che soperchiava (il verbo è al singolare, accordato con l'ultimo soggetto) oltre l'imboccatura del pozzetto in cui i peccatori erano immersi a capofitto, mentre l'altro dentro stava. Invece, con riferimento al ponticello di Malebolge crollato alla morte di Cristo, l'idea di eccedenza è data dall'accumulo di massi che offre una nuova possibilità di transito: montar potrete su per la ruina, / che giace in costa e nel fondo soperchia (XXIII 138): " su per il pendio dell'argine le pietre della ruina giacciono, ma rispetto al fondo della bolgia si elevano (soperchiano), formando quasi una scala per cui si può salire sull'argine " (Scartazzini-Vandelli).