Abstract
Muovendo dalla radice della parola sovranità (che deriva chiaramente da super) e dunque dalla generica idea che qualcosa sta sopra qualcos’altro, viene indagato brevemente il diverso significato che la parola ha assunto nei secoli nel linguaggio politico e giuridico per arrivare a decostruire il significato attuale del sintagma “sovranità popolare”, vista come una ideologia (o visione del mondo) che, come ogni ideologia collettivamente condivisa e vissuta, da un lato produce conseguenze sia politiche che giuridiche (le principali delle quali, a partire dal suffragio universale, vengono ricordate e brevemente descritte), dall’altro diventa falsa coscienza che nasconde gli aspetti della realtà sociale che contraddicono ciò che la espressione pretende di veicolare (mostrando in tal modo che la pretesa e in effetti povera sovranità popolare diventa concorrenza politica e costituzionale tra gruppi minoritari più forti e che lo stesso popolo diventa copertura ideologica di politiche reazionarie e oppressive, soprattutto verso altri popoli).
Sovrano e sovranità sono due parole che chiaramente derivano dal latino super: dall’avverbio “super” verosimilmente si è formato l’aggettivo (se la parola viene usata come aggettivo) o il sostantivo (se invece viene usata come sostantivo) superanus e cioè “chi sta sopra” da cui poi soprano (il registro vocale più alto) e sovrano (qualifica che spettava ai re e agli imperatori). Sovranità è il sostantivo astratto che seguendo la logica interna alla costruzione di simili astrazioni designa una qualità di qualcosa o uno stato di fatto o un obiettivo o altro ancora secondo il discorso al cui interno la parola viene usata. Ma da “super” o da “supra” deriva anche “supremo” in cui è presente qualcosa in più del semplice stare al di sopra, e cioè l’idea dello stare al culmine oltre il quale non c’è altro.
Restringendo il discorso alle forme e modalità del potere politico e tenendo presente l’uso che storicamente è stato fatto della parola in questo contesto, “sovrano” può essere definito come quell’x (persona, o assemblea, o organizzazione) che comanda e non è comandato, e cioè sta al culmine della gerarchia politica. La cosa designata, e cioè il fatto che una persona o una assemblea o una organizzazione (o un altro x se un altro x viene individuato) comanda e non è comandato, ha senso nelle cose umane e possibilità di esistenza se e solo se questo x dispone di una forza armata incontestabilmente superiore ad ogni altra entro un determinato territorio. Ne deriva che, dato il raggio d’azione di tale forza armata, non è possibile che nel medesimo raggio d’azione (e cioè in pratica entro il medesimo territorio) vi sia un altro sovrano: se sovranità esiste, nel senso ora definito, entro uno specifico territorio può esserci un solo sovrano. Ne deriva ancora, posto che il mondo non conosce e non ha mai conosciuto un solo sovrano su tutta la superficie terrestre, che la sovranità si manifesta con due facce, una verso l’interno ed una verso l’esterno: con la prima, quella rivolta verso l’interno, la sovranità dice che in quello specifico territorio solo il sovrano comanda su tutti e non è comandato da nessuno, con la seconda faccia (quella rivolta verso l’esterno) la sovranità dice che, se esistono altri sovrani che sono tali nel loro specifico territorio, questi sovrani, proprio perché sovrani ciascuno entro il loro territorio, debbono considerarsi pari tra di loro, e dunque essere indipendenti l’uno nei confronti dell'altro per quanto riguarda il comando entro il proprio territorio. Sottolineo due aspetti che potrebbero essere dimenticati e dar luogo a fraintendimenti: a) anzitutto la sovranità, nel senso qui definito, è un fatto constatabile (o c’è o non c’è) e non si può escludere che in un determinato territorio, più o meno esattamente delimitato, per un certo periodo più o meno esattamente circoscritto, non vi sia o non vi sia stata alcuna sovranità (si pensi ad esempio ad una prolungata guerra civile; andando indietro nel tempo, si pensi alle società nomadi sparse su territori che erano immensi relativamente alle loro dimensioni); b) la parità tra i sovrani come indipendenza l’uno nei confronti degli altri riguarda soltanto l’uso della forza armata entro il proprio territorio, con la conseguenza anzitutto che è sempre possibile che un sovrano muova guerra contro un altro sovrano (e cioè tenti di distruggere la sovranità di quello aggredito), e in secondo luogo che un sovrano sia più potente di un altro sotto altri aspetti (numero della popolazione, estensione del territorio, ricchezza economica, potenza militare, e così via) e possa in tal modo condizionare il secondo con minacce e ricatti: però, finché non c’è guerra, resta fermo che all’interno del suo territorio solo il sovrano di quel territorio comanda militarmente e non è comandato da altri.
Se esiste, bisogna dunque individuare il sovrano. Il caso più semplice ed evidente si verifica quando la sovranità si incarna in un solo individuo. L’esempio canonico, che è sufficiente per l’analisi qui condotta, è offerto dalla monarchia assoluta, in particolare da quella francese del 1600 e più in particolare ancora dal Re Sole (Luigi XIV). Al fine di impedire in radice la nascita di affermazioni mitologiche o magiche o metafisiche conviene ricordare che nessun individuo da solo può essere sovrano: anzi è frequente nella storia che ai sovrani sia stata tagliata la testa e che oggi chi si ritiene sovrano venga ucciso o comunque scacciato dal potere. Per usare una frase abusata ma efficace il re è re perché gli altri lo credono re e gli altri lo credono re perché lui è il re. Uscendo dal gioco di parole, un sovrano può essere tale se almeno l’insieme degli uomini armati al suo servizio lo credono tale e gli obbediscono, e grazie a tale obbedienza il sovrano riesce effettivamente a comandare senza essere comandato; al di sopra di questo minimo la sovranità è tanto più effettiva e duratura quanto maggiore è il consenso dei sottoposti (non solo dunque gli armati al servizio del sovrano, ma tutte le persone sottoposte al sovrano). Il re assoluto dunque non comanda da solo ed anzi di necessità molti sono coloro che anche nella monarchia assoluta comandano: tutti però riconoscono che il comando supremo è quello del re, e il re possiede nei fatti il comando supremo. Come in pratica, magari seguendo regole condivise, i molti poteri subordinati si coordinano tra di loro e con quello supremo del re (o si scontrano, si paralizzano, si indeboliscono) è questione che esigerebbe caso per caso, periodo per periodo, una accurata analisi che qui non ha rilevanza. Qui ci ha interessato chiarire in principio che cosa vuol dire nella monarchia assoluta sovrano e sovranità.
Come è noto Hobbes, che sosteneva essere la sovranità indivisibile, ammetteva però che sovrano potesse essere una sola persona o anche una assemblea: egli preferiva però che la sovranità risiedesse in una sola persona per la ovvia e semplice ragione che una sola persona non deve accordarsi con altre persone, mentre una assemblea, per il solo fatto di dover decidere collegialmente, mette a repentaglio la funzione sovrana e quindi rischia di portare al fallimento il compito del Leviatano, che è quello di preservare la pace sociale e di impedire la guerra civile. Però di assemblee sovrane nel senso di Hobbes, e cioè in buona sostanza di assemblee sovrane che stanno al posto del re delle monarchie assolute, non so dare esempi sicuri. Anche il Parlamento inglese, che continua a definirsi sovrano e continua ad essere chiamato sovrano nei manuali di diritto costituzionale inglese e nella opinione comune, anzitutto aveva ed ha una camera elettiva (e questo solo fatto segna una differenza radicale e irriducibile rispetto alle teorizzazioni hobbesiane), in secondo luogo era (ed è ancora formalmente) composto da due camere, ed in terzo luogo comprendeva e continua a comprendere formalmente anche la regina (o il re), e quindi sostanzialmente i ministri della regina. In realtà, come è banale dire oggi, col Parlamento inglese dopo la “gloriosa rivoluzione” del 1688-1689 siamo entrati nel periodo della divisione dei poteri, e cioè di una forma di Stato che comunque, proprio in forza della divisione dei poteri, porta ad una diversa prassi e conseguente concezione della sovranità (e del sovrano, che comunque non può più essere una sola persona o un solo organo). Al posto del sovrano assoluto c’è ora una organizzazione complessa che vede al vertice almeno tre poteri distinti, l’uno indipendente dall’altro in modo sufficiente a preservare la possibilità che alcune decisioni vengano prese solo con l’accordo o sotto il controllo di più soggetti (cosicché esiste il potere di veto ed esistono pesi e contrappesi) e l’insieme delle decisioni massime entro la macchina civile e militare siano distribuite tra diversi centri di potere, con al massimo la possibilità di un controllo di qualcuno su qualcun altro. In quanti modi si è realizzata la divisione dei poteri è questione che eccede le possibilità di questo scritto e che a ben vedere non rileva in questa sede. Al più, per rendere maggiormente chiaro il seguito del discorso in tema di sovranità, conviene qui ricordare lo schema fondamentale e razionale che sta alla base di ogni divisione dei poteri storicamente praticata, ieri come oggi. Lo schema basilare e irriducibile prevede tre funzioni distribuite tra soggetti diversi (nota bene: non ho detto “tre soggetti diversi”): la prima funzione, chiamata correttamente legislativa, prevede che la macchina civile e militare produca leggi e cioè in principio regole generali e astratte che vincolano tutti, sia i privati che le pubbliche autorità (e naturalmente diventa necessario individuare i soggetti incaricati di questo compito); la seconda funzione, chiamata correttamente esecutiva, organizza e dirige l’apparato servente, che, se necessario, usa la forza armata, per condurre alla attuazione concreta le leggi; la terza funzione, chiamata giurisdizionale, organizza uno specifico apparato, indipendente dagli altri due, incaricato di verificare se i concreti comportamenti sono o non sono stati conformi alle leggi.
È evidente che in questo modello non c’è propriamente un sovrano (uno specifico soggetto sovrano, individuale o collettivo): sovrano, e cioè superiore ad ogni altro, è proprio l’insieme, la intera macchina civile e militare così strutturata. Se questa macchina civile e militare viene chiamata Stato, sovrano diventa lo Stato, come infatti si diceva senza obiezioni, almeno in Italia ed in Germania, nell’ottocento e per buona parte del novecento. Oggi è difficile trovare posizioni teoriche e politiche che pongono al vertice la sovranità dello Stato: una delle ragioni sta proprio nel fatto che oggi le costituzioni, e con le costituzioni le opinioni dominanti tra i politici e i teorici, sostengono che la sovranità appartiene al popolo (qualche volta si trova e si trovava la diversa formula “emana dal popolo”, “risiede nel popolo”, ed altre varianti lessicali, che testimoniano però di incertezze e variazioni nella concezione della cosa, qualunque sia poi la espressione usata; una diversa variante non usa la parola “popolo” ma la parola “nazione”, con il che diventa necessario verificare se ed in che senso esiste differenza tra popolo e nazione). Qui mi limito al sintagma “sovranità del popolo” (e dirò l’essenziale sul rapporto tra sovranità dello Stato e sovranità del popolo nel paragrafo finale).
Il sintagma è composto dalla giunzione di due parole, e cioè “sovranità” e “popolo”, ciascuna delle quali designa due cose diverse che vengono unite. Mentre però in qualche modo è possibile indicare qualcosa di vivente che rappresenta il referente oggettivo della parola popolo (salvo approfondire il discorso; in ogni caso tutti hanno una qualche idea in senso materiale oggettivo del popolo italiano o di quello francese, e così via), la parola sovranità non è applicabile a qualche cosa, vivente o inanimata, separata da qualsiasi altra cosa: la sovranità (ammesso che sia definibile e cioè esista) è una qualità predicata di qualcosa, in questo caso del popolo. Questa prima analisi apparentemente banale ci dice però che è possibile e necessario prima stabilire che cosa si intende con popolo, indipendentemente dal fatto che sia o non sia sovrano, e poi diventa possibile e necessario stabilire che cosa significa la “sovranità del popolo”, come qualità unitaria predicata del popolo (il che vuol dire che il sintagma, linguisticamente composto dalla giunzione di due sostantivi, va considerato invece come indivisibile, denotante qualcosa di unitario: il popolo in quanto sovrano).
Il popolo oggi, al quale attribuire la sovranità, è l’insieme dei cittadini di uno Stato. Sicuramente non corrisponde alla popolazione: la popolazione comprende anche gli stranieri dimoranti nel territorio dello Stato e gli apolidi; in altre epoche vi erano persone, dimoranti nel medesimo territorio e col diritto di risiedervi (ed anzi spesso con l’obbligo di restare, comunque non stranieri: si pensi agli iloti a Sparta), che però non erano cittadini e dunque non costituivano il popolo. Però qui non è questione di delimitazione in assoluto dell’uso della parola “popolo”: è ben possibile che uno stesso popolo (un insieme di persone che si ritiene parte del medesimo popolo) sia diviso tra più Stati, e dunque sia costretto a frantumarsi in più cittadinanze separate, ciascuna delle quali magari è affogata all’interno di un altro popolo. Quali conseguenze determini questa situazione è cosa da esaminare in concreto.
Se però il popolo ha da essere sovrano, nella intenzione di coloro che lo vogliono e perseguono questo obbiettivo, è necessario che venga considerato e trattato come un soggetto unitario, capace da un lato di distinguersi da qualunque altro popolo, e dall’altro di decidere unitariamente. Ne vengono una serie di conseguenze sul piano logico, che sul piano storico sono una serie di premesse affinché si possa parlare di sovranità di un popolo: 1) anzitutto deve esserci un legame con uno specifico territorio; sovrano può essere solo il popolo di quel territorio, separato dal territorio di altri Stati (il fatto che i cittadini possano andare all’estero non toglie l’essenziale, e cioè che essi hanno il diritto di stare in quel territorio e di rientrarvi in ogni momento); 2) il popolo di quello specifico territorio deve potersi distinguere dal popolo di altri territori, e lo strumento moderno che realizza il risultato è la cittadinanza come appartenenza (che spesso, in lingue diverse dall’italiano, viene chiamata “nazionalità” e non “cittadinanza”; la cosa merita una riflessione che qui non è possibile svolgere): i cittadini di quello specifico Stato sono il popolo, nessun cittadino sta al di fuori del popolo, chi non è cittadino secondo le leggi dello Stato di quello specifico popolo non fa parte del popolo (il fatto che una stessa persona fisica possa essere cittadino di più Stati nello stesso tempo dipende dalla indipendenza degli Stati, che possono decidere sul punto l’uno in modo del tutto indipendente da tutti gli altri); 3) per poter decidere qualcosa, e quindi essere sovrano almeno rispetto a qualche decisione, il popolo (e cioè l’insieme di tutti i cittadini) deve essere costituito in soggetto che decide, e cioè deve esserci il suffragio universale: in nessun senso è possibile parlare di sovranità del popolo se non è presente il suffragio universale (è anche per questa ragione che soprattutto in passato si parlava di sovranità della nazione, e non di sovranità del popolo: era il mezzo ideologico e pratico per parlare di qualcosa che assomigliava al popolo o poteva essere considerato l’equivalente del popolo, ma non comportava il temuto e odiato suffragio universale); 4) però è pacifico che il popolo non decide e non può decidere alla unanimità: deciderà a maggioranza, cioè il popolo si presenterà sempre diviso; nel momento stesso in cui lo si vuole come soggetto unitario che decide (il popolo appunto), lo si deve dividere; 5) a rigore ad avere il diritto di decidere non è mai tutto il popolo, ma il corpo elettorale, e cioè l’insieme dei cittadini meno i minorenni (e qualche volta pochi cittadini esclusi dal diritto di voto per indegnità): questa distinzione peraltro per ovvie ragioni non ha mai prodotto seri problemi, e mai intaccato la convinzione che nonostante questa esclusione viga il suffragio universale, e che il corpo elettorale sia il popolo nel momento in cui decide qualcosa; 6) come si costruisce la maggioranza del corpo elettorale (e quindi del popolo) viene in generale trascurato quando si parla di sovranità del popolo: importante è che vi sia una qualche forma di maggioranza legalmente costruita alla cui determinazione ha diritto di partecipare tutto il corpo elettorale, e tanto basta per dire che ha deciso il popolo e quindi si è manifestata la sovranità del popolo; 7) però una cosa è una forma di governo nella quale sono previste elezioni generali periodiche, concorrenza tra uomini, partiti e liste, in principio senza limiti di numero (l’elettorato passivo è anch’esso universale), effettiva libertà di voto, e quindi in conclusione possibilità di alternanza continua tra maggioranze diverse nel tempo, e altra cosa una forma di governo nella quale manchino uno o più di questi elementi e comunque non sia possibile questa alternanza di maggioranze; anche i regimi che praticano la seconda forma di governo spesso e volentieri proclamano la sovranità del popolo: è ovvio che essa è comunque altra cosa della sovranità del popolo quando essa viene proclamata e vissuta con la prima forma di governo; solo di questa ci occuperemo in seguito.
I punti 4 e 6 verranno ripresi, insieme ad altri, per concludere che la sovranità del popolo è una ideologia, nel senso qui seguito della parola, e cioè una cosa che è contemporaneamente vera e falsa: è vera perché in quanto cosa creduta a livello collettivo produce specifiche e reali conseguenze (che vanno descritte); è falsa perché le conseguenze a cui porta stanno in realtà in contraddizione con le idee che compongono la ideologia (la ideologia diventa una falsa coscienza). Ma di tutto questo dopo.
Stabilito che cosa è il popolo di cui si può predicare la sovranità, vediamo ora in concreto se, quando e come il popolo è sovrano. Che non sia il sovrano assoluto è ovvio: anche il popolo sta dentro la divisione dei poteri. Nello stesso tempo è sorprendente quanto poco sovrano sia in pratica il popolo. Anzitutto il popolo non dispone della forza armata. In Italia ad es. chi ne dispone è in principio l’organo Governo, e tutt’al più con il Governo il Parlamento che secondo Costituzione delibera lo stato di guerra, e in ogni caso, se non è d’accordo con il Governo, può dargli la sfiducia e cambiarlo. In altri Stati la conclusione può essere in tutto o in parte diversa, ma in ogni caso non si conosce oggi uno Stato nel quale a disporre della forza armata sia direttamente il popolo. La sovranità del popolo compare nel momento in cui ci chiediamo chi elegge il Parlamento e quindi chi, eleggendo il Parlamento, concorre a determinare la composizione dell’organo Governo (ovviamente mi riferisco alla Repubblica italiana e più in generale alla forma di governo parlamentare). Col suffragio universale e con le elezioni politiche generali la composizione del Parlamento viene determinata dal corpo elettorale. Chi decide la composizione del Governo è la maggioranza del Parlamento, e dunque il corpo elettorale solo indirettamente concorre a questa selezione, eleggendo i membri del Parlamento. Talvolta, in forza di disposizioni giuridiche o di convenzioni, il corpo elettorale sceglie anche il capo del Governo. Diverso il caso dei governi cd. presidenziali, nei quali il corpo elettorale sceglie sia i parlamentari sia il capo dell’esecutivo. Nella elezione diretta del Parlamento e talvolta anche del capo dell’esecutivo si manifesta la sovranità del popolo (e qui diventa decisivo il modo attraverso cui si determina la maggioranza nelle elezioni).
Altri poteri riconducibili alla sovranità del popolo non ce ne sono o sono così dimidiati e così rari da essere del tutto secondari (fanno eccezione quegli Stati nei quali i referendum popolari sono frequenti e vertono su questioni fondamentali, come accade nella Confederazione svizzera). Il referendum abrogativo in Italia è una di queste manifestazioni di sovranità: è una sovranità dimidiata perché in principio può soltanto togliere una legge mediante una scelta tra un si e un no secchi, e solo il Parlamento può immettere una legge al posto di ciò che è stato tolto (cioè sovrano in questo secondo caso ridiventa il Parlamento). In generale, se proviamo ad elencare poteri che possiamo definire sovrani (e cioè decisioni politiche supreme che si impongono e non conoscono decisione più alta sul medesimo oggetto), in tutti gli Stati è facile constatare che a decidere nell’esercizio di poteri sovrani quasi mai è il popolo, ma qualcun altro (in nome del popolo certo, ma una cosa è decidere, altra cosa è che qualcuno decida al tuo posto, concedendoti la soddisfazione di sapere che ha agito in tuo nome; si ricordi sempre che la rappresentanza politica è una rappresentanza necessaria: il popolo non può, come accade invece con la rappresentanza giuridica volontaria, riassumere direttamente il potere: al più può revocare i suoi rappresentanti eleggendo però altri rappresentanti al loro posto). Se ad es. ci chiediamo chi può decidere l’uso della bomba atomica, vediamo subito dove si colloca una delle massime manifestazioni della sovranità: negli Usa chi decide sul piano giuridico, e quindi in realtà alla fin fine anche nei fatti, quali che siano i consigli e i condizionamenti di altri soggetti, è il Presidente degli Usa; in Francia è il Presidente della Repubblica (e questo solo fatto basta per concludere che siamo fuori della forma di governo parlamentare). Chi decide sulla guerra e sulla pace non è mai il popolo ma in generale un organo eletto dal popolo: il popolo dunque in termini politici condiziona sicuramente la decisione finale, ma non decide.
La conclusione sia dal punto di vista politico che da quello giuridico è che a tutto ammettere il popolo esercita qualcuno dei poteri sovrani, ma in generale non è neppure il maggiore tra i poteri sovrani. La sovranità, una volta divisa in più poteri coordinati come avviene di necessità negli ordinamenti che praticano la divisione dei poteri, spetta anche ad altri soggetti entro lo Stato, ed anzi in generale il numero e la profondità di tali poteri è superiore a quel poco di sovranità che il popolo può esercitare direttamente. Si giustifica in tal modo la tesi sostenuta da alcuni secondo cui tra sovranità del popolo e sovranità dello Stato non esiste contraddizione: la sovranità del popolo sta ad indicare che il popolo è uno dei soggetti sovrani, e magari il principale e più importante, entro lo Stato, che considerato unitariamente e impersonalmente è l’effettivo sovrano che concentra in sé tutti i poteri sovrani.
Ci sarebbe però oggi un potere sovrano che sul piano politico e giuridico sovrasta tutti gli altri, ed è quello di decidere la costituzione come fondamento e limite insuperabile di ogni potere. La sovranità del popolo, praticata fino in fondo, dovrebbe comportare che almeno la costituzione ed ogni modificazione della costituzione dovrebbe essere approvata direttamente e solo dal popolo. Spesso non è così, e il popolo o non è intervenuto e non è previsto che intervenga col suo voto oppure interviene ma come momento di un procedimento più complesso: questo fatto dimostra che anche questo potere sovrano può essere attribuito ad organi diversi dal popolo, in tutto o in parte, nonostante che il popolo sia proclamato sovrano.
Si parla, per aggirare il problema, di sovranità della costituzione: il vero sovrano sarebbe oggi la costituzione. Ma in tal modo si dimentica che la costituzione non è un soggetto, ma l’atto di un soggetto, e che la sovranità su questa terra deve risiedere in qualcuno che la possa esercitare. E’ vero però che le costituzioni rigide e garantite dai giudici vincolano anche il sovrano (sono considerate il fondamento e contemporaneamente il limite del potere politico). Si apre una strana ed in fondo tragica dialettica: una decisione cristallizzata nella costituzione (qualunque sia il contenuto e l’estensione di essa, purché creduta e praticata collettivamente) chiede di essere obbedita anche dal sovrano, e cioè, negli Stati organizzati sulla base del principio della divisione dei poteri, da tutti quei soggetti che sono dotati di poteri sovrani; nello stesso tempo, proprio perché vi sono soggetti dotati di potere sovrano, e cioè del potere più alto rispetto a qualcosa, il sovrano reale (quella persona o quel gruppo o quella organizzazione che di fatto è sovrano e cioè ha un effettivo potere di comando superiore ad ogni altro) può in ogni momento distruggere la costituzione. La storia è piena di colpi di Stato e di rivoluzioni, mediante i quali alla fine è emerso magari un nuovo sovrano. La sovranità del popolo assiste impotente a questa storia tragica. Al più, in periodi di pace sociale, riesce a manifestarsi così come la costituzione vigente prevede.
Le osservazioni prima descritte sono corrette, ma stanno enormemente al di sotto della valenza che contiene in sé la ideologia (o visione del mondo o Weltanschauung) della sovranità popolare, una volta che essa è divenuta convinzione collettiva dominante.
Anzitutto non può essere giudicato un fatto sostanzialmente pari ad altri fatti politici il principio e la pratica del suffragio universale. Questa sottovalutazione non renderebbe conto del fatto che ci sono voluti secoli per giungere a questo traguardo, e che questo obbiettivo di lotte durissime ha comportato la possibilità, e spesso la realtà, della partecipazione di masse enormi alla lotta politica, secondo regole codificate ed accettate. La sovranità popolare, quando non è mera proclamazione di un potere in malafede che mente spudoratamente, comporta non solo il suffragio universale, ma un suffragio garantito da quelle regole e pratiche prima elencate che lo rendono libero ed effettivo. Il suffragio universale non è sufficiente, come è stato spesso detto e sarà ripetuto qui tra breve, ma è comunque condizione necessaria affinché il popolo controlli e diriga fin dove è possibile l’esercizio del potere politico. Sovranità del popolo vuol dire anche suffragio universale nel senso e nella direzione qui schematicamente enunciata.
In secondo luogo la sovranità popolare spiega perché (ed ha senso solo quando) i massimi organi dotati di potere politico o sono eletti direttamente dal popolo (è il caso delle assemblee legislative, e dei capi dell’esecutivo nei governi presidenziali) o sono selezionati indirettamente dal popolo (è il caso dell’organo governo nella forma di governo chiamata appunto parlamentare). Un’altra costante riconducibile alla ideologia della sovranità popolare è la presenza in tutti gli ordinamenti che la proclamano di una assemblea rappresentativa del popolo (e quindi eletta direttamente dal corpo elettorale con suffragio universale), e della attribuzione a questa assemblea della funzione legislativa, tendenzialmente in modo esclusivo o comunque prevalente su altri poteri normativi.
In terzo luogo la sovranità popolare spiega e fonda il principio secondo cui ogni potere giuridicamente vincolante è ammissibile se e solo se fondato sulla legge della assemblea legislativa (salva la costituzione, che in generale limita le leggi ma non si sostituisce alle leggi). Questo principio, se concepito e praticato nel modo rigoroso qui descritto, va distinto dal principio dello Stato di diritto, col quale purtroppo viene spesso identificato: nello Stato di diritto vale il principio che ogni potere giuridicamente vincolante deve essere fondato sul diritto, ma questo principio non dice affatto chi poi è legittimato ad introdurre diritto (potrebbe essere, come è storicamente avvenuto ed avviene, un organo non rappresentativo del popolo): si spiega così perché correttamente nell’Unione europea sia molto frequente la formula Stato di diritto, ed è assente il rinvio al principio di legalità: nell’Unione europea il diritto viene creato in modi molto complessi, nei quali comunque i popoli giocano un ruolo del tutto secondario, anche quando alla legislazione partecipa il Parlamento europeo. D’altra parte è pacifico che non esiste un popolo europeo e che non avrebbe senso parlare di sovranità del popolo europeo.
Queste medesime conseguenze della sovranità popolare spiegano perché vi sono in atto, ora più ora meno, controtendenze nella società e nell’ordinamento giuridico che tendono a svuotare quei principi, e quindi a svuotare di significato pratico la sovranità popolare.
Anzitutto mediante i sistemi elettorali, accompagnati da altri meccanismi che ne assecondano la tendenza (ad es. i mezzi di comunicazione di massa monopolizzati dal potere economico), si ottiene in tutti gli ordinamenti che il suffragio universale, formalmente rispettato, si traduca in pratica nel suffragio di minoranze, e che la lotta politica diventi il teatro nel quale prevale temporaneamente la minoranza più forte.
In secondo luogo questa stessa tendenza porta alla prevalenza del potere esecutivo sul potere legislativo, o meglio alla spontanea subordinazione del potere legislativo nei confronti di quello esecutivo. Basta esaminare quegli ordinamenti nei quali prevale nettamente la normazione derivante da decisioni del potere esecutivo (con conseguente svuotamento o aggiramento del principio di legalità) per vedere all’opera una di queste controtendenze che di fatto tolgono significato sostanziale alla sovranità del popolo.
Infine e soprattutto il potere politico, che viene conquistato dai poteri forti presenti nella società, ha dato totale libertà al potere economico, cosicché di fatto chi comanda effettivamente è il potere economico, al quale si subordina quello politico.
Qui si vede l’altra faccia della ideologia: da un lato, come già detto, la ideologia della sovranità popolare si traduce in corposi e precisi istituti giuridici, ma dall’altro questa stessa sovranità del popolo, pure proclamata e talvolta osannata, viene di fatto svuotata ed elusa, e cioè la ideologia diventa falsa coscienza.
Il massimo della falsa coscienza si verifica quando la sovranità del popolo viene invocata per giustificare l’aggressione di un popolo verso un altro popolo, e quando, ancora peggio, questa invocazione trova effettiva adesione nell’opinione pubblica. Qui si rivela il lato reazionario, o comunque oppressivo, della concezione e della realtà del popolo, e quindi anche della sovranità del popolo. Popolo è anche l’insieme di coloro che in guerra hanno diritto alla spartizione del bottino (gli sconfitti naturalmente sono i saccheggiati; i popoli che hanno combattuto insieme ed hanno vinto partecipano pro quota al bottino; tutti gli altri stanno fuori di questo rapporto di saccheggio). Le forme poi con le quali questo avviene sono innumerevoli (vi sono molti modi per combattere una lotta contro altri popoli): quello che resta costante è che ciascuno Stato si preoccupa del suo popolo, e su questa base ottiene il consenso, anche quando questo significa sfruttamento e oppressione di altri popoli. L’osservatore vede sgomento (o consenziente, se ritiene questo aspetto giusto o comunque inevitabile) questa realtà e, se è onesto, ammette che la lotta dei popoli può essere anche lotta tra i popoli, senza sapere oggi che cosa si può fare per mettere termine per sempre a questa terribile possibilità (che diviene continuamente realtà).
La sovranità del popolo, per concludere questo punto, è fondamentalmente una ideologia, nel senso qui seguito, e cioè una convinzione collettiva che da un lato, proprio perché condivisa da parti significative e maggioritarie della società, produce conseguenze istituzionali che caratterizzano il modo di essere e vivere della società che crede nella sovranità del popolo, dall’altro diventa falsa coscienza se e quando tollera (come avviene sempre esaminando l’esperienza storica) un pratico svuotamento della proclamata sovranità del popolo, la quale in tal modo maschera realtà storico-sociali in contraddizione con gli ideali e le mete alle quali dovrebbe giungere, secondo l’ideologia, una effettiva e piena sovranità del popolo.
Contrariamente alle apparenze, questo discorso non vuol dire necessariamente che colui il quale non vuole cadere o restare nella falsa coscienza deve scegliere tra la vera ed effettiva sovranità del popolo, e forme di organizzazione e di vita (e quindi ideologie) che negano consapevolmente e apertamente la sovranità del popolo, fondando regimi reazionari (o dittatoriali o autoritari, o oligarchici). Può anche voler dire che i due aspetti, quello positivo e quello negativo, stanno necessariamente dentro la sovranità del popolo, in modo inscindibile, e dunque diventa necessario mettere in discussione sia la nozione e l’ideale del popolo, riconoscendo il lato reazionario di esso, sia la nozione e l’ideale della sovranità, come qualcosa di negativo che va abolito. Questa qui adombrata sarebbe una diversa e più radicale visione del mondo, o ideologia, che l’autore in questa sede deve soltanto per correttezza ricordare, senza entrare nel merito.
Per concludere riprendo la distinzione tra sovranità dello Stato e sovranità del popolo. Come detto, non sussiste tra i due vera contraddizione. Se esiste divisione dei poteri, il popolo sovrano a tutto ammettere è uno dei soggetti che esercita poteri sovrani, ma non l’unico sovrano. Sovrano in senso unitario è lo Stato, come insieme personificato del potere politico, che si articola in molti poteri al suo interno, ma deve poi riuscire a tenerli insieme e coordinarli, pena la guerra civile o comunque una totale e mortale anomia. Sostenere che lo Stato è il vero sovrano dei tempi moderni serve anzitutto a garantire che all’interno nessuno può comandare su tutti gli altri senza limiti e controlli, ed a permettere poi la indipendenza di un popolo nei confronti di altri popoli. Che questa sovranità dello Stato possa diventare la base della possibilità della guerra e della oppressione di uno Stato (e quindi di un popolo di tale Stato) nei confronti di altri Stati, è l’altra faccia di una realtà internamente contraddittoria, come si è cercato di dimostrare.
Che poi gli Stati sovrani siano oggi condizionati e spesso dominati dal potere economico, che ha oggi strumenti e possibilità che scavalcano gli Stati, non toglie anzitutto che questo potere economico globale sia stato voluto dagli Stati e venga assecondato da leggi concordate tra gli Stati; che in secondo luogo il potere di comando assecondato dalla forza armata spetti ancora oggi allo Stato e il potere economico al massimo può cercare di impadronirsi dello Stato, ma non può esercitare direttamente il comando; che in terzo luogo, se gli Stati volessero, avrebbero ancora sufficiente forza per sottoporre a controllo e subordinare al potere politico il potere economico.
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