SOVRANITÀ
. Il concetto di sovranità indica al suo apparire nell'alto Medioevo (lat. superanus; it. soverano; fr. sovrain) un attributo di superiorità non assoluto, ma relativo, per cui può essere applicato non al solo re, ma ai baroni. Cascuns barons est sovrains en sa baronnerie. Bene E. Besta può affermare (Il diritto pubblico italiano, III, 1930, p. 50) che se per sovranità si dovesse intendere l'indipendenza assoluta dello stato da ogni potere esistente al di fuori di esso, si dovrebbe dire che nessuno stato cristiano, compreso l'impero, fu, nel Medioevo, sovrano. La sovranità, come indicazione della superiorità di un elemento dello stato, viene attribuita al principe e, per contrasto, al popolo: in questa opposizione fondamentale sta l'intera storia del concetto sino alle grandi rivoluzioni americana e francese. Nell'evoluzione della monarchia francese il principio va perdendo il carattere di relatività per assumere il carattere di assolutezza che lo contraddistingue nella dottrina successiva. La prima formulazione del principio di sovranità, intesa come il potere più alto, cui nulla si contrappone, è opera di J. Bodin, che riassume la sua dottrina nella formula: Maiestas (souveraineté, nella redazione francese) est summa in cives legibusque soluta potestas (De re publica, I, 8). Ma la sovranità fino al sec. XIX nelle sue varie e diverse accezioni è attribuita sempre a un elemento dello stato, al principe o all'assemblea o al popolo, cui si sostituisce, nel periodo rivoluzionario francese, la nazione.
Fu la scuola storica germanica a sceverare il concetto giuridico di sovranità e a dimostrare la natura di qualità giuridica dell'imperium statale, definendo dapprima con l'Albrecht (1837) il rapporto che sussiste fra il principe, organo dello stato, e lo stato sovrano e chiarendo poi col Gerber il valore esclusivamente politico delle formule: sovranità del principe, sovranità del popolo, sovranità nazionale. La sovranità fu quindi universalmente considerata come una qualità giuridica pertinente esclusivamente all'imperium dello stato, e indicante l'originarietà della potestà statale e la sua assoluta indipendenza da ogni altro potere. Essa presenta un aspetto positivo in quanto afferma l'esclusiva potestà dello stato, la sua supremazia; un aspetto negativo - in quanto esclude ogni altra potestà - cioè l'indipendenza dello stato.
Questo concetto di sovranità statale può tuttavia applicarsi esclusivamente agli stati moderni, che hanno assunto la forma di persona giuridica; mentre la sovranità, come potestà suprema, dovrà riferirsi a soggetti diversi in altre forme di stato: al principe, nello stato assoluto; alla Santa Sede o al sommo pontefice, nello stato della Città del Vaticano; al popolo, in una democrazia integrale. La sovranità considerata come qualità giuridica non si può analizzare in diritti individuati, o comunque in diritti subiettivi dello stato. Può essere vero che determinate potestà competono esclusivamente allo stato, che è anche sovrano; ma ciò, per l'assenza di limiti giuridici che tale qualità dimostra, e non come contenuto proprio della sovranità.
La sovranità si può considerare in via assoluta come qualità propria di ogni ordinamento giuridico, sia interno sia internazionale: sovrano è lo stato il cui ordinamento giuridico è originario e indipendente; non sovrano, lo stato che comunque abbia limitata da altro ordinamento la sua propria potestà interna. Ma si può ancora considerare tale concetto in via relativa in rapporto ai varî ordinamenti giuridici ai quali lo stato partecipa; e allora lo stato si potrà dire sovrano per il suo proprio ordinamento interno, in quanto possiede per essere tale un ordinamento originario, mentre può non essere riconosciuto sovrano per altro ordinamento superiore cui partecipa, ad es., per l'ordinamento dello stato federale; o per l'ordinamento internazionale, nel caso, ad es., di uno stato protetto.
La sovranità come qualità assoluta, sia che si riferisca a ogni ordinamento giuridico, sia che si consideri in rapporto a un singolo ordinamento, indica sempre una qualità suprema che perciò non può considerarsi né limitata né comunque divisibile: inesatta è, pertanto, la designazione di stati semisovrani già largamente impiegata nel campo del diritto internazionale.
Se la sovranità è una qualità assoluta che indica l'assenza di limiti di ordine giuridico, non voluti espressamente dallo stato, non significa perciò che l'imperium dello stato sia senza limiti. La sovranità è, cioè, un concetto esclusivamente formale; con che si indica l'assenza di limiti formali senza che ciò significhi assenza di limiti materiali, apprezzabili non solamente nell'ordine etico o politico, ma pure anche in quello giuridico, come, ad es., i limiti inerenti alla stessa essenza del diritto e alla forma dello stato in quanto categoria generalissima di stato moderno.
Il concetto di sovranità è attualmente assai controverso in particolar modo nel campo del diritto internazionale in cui si nota ancora la tendenza a sostituirvi il concetto di competenza.
Bibl.: L. Raggi, La teoria delle sovranità, Genova 1908; per la storia del concetto, H. Rehm, Geschichte der Staatsrechtswissenschaft, Friburgo in B. 1896; id., Allgemeine Staatslehre, in Handbuch des öffent. R., ivi 1899; G. Jellinek, Allgemeine Staatslehre, 3ª ed., Berlino 1929; sotto l'aspetto giuridico: H. Kelsen, Das Problem der Souveränität und d. Theorie d. Völkerrechts, Tubinga 1920; 2ª ed., Tubinga 1928; E. Crosa, Il principio della sovranità dello stato nel diritto italiano, in Archivio giuridico, 1933.
Sovranità popolare.
Il principio, che fa del popolo la fonte e la giustificazione della potestà politica, appare già nell'antichità classica. La lex romana è ciò che populus iubet (Gaio, I, 3); la potestà legislativa imperiale è così spiegata da Ulpiano (Dig., I, 4 de const. princ., 1, pr.) "utpote cum lege regia quae de imperio eius lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem conferat". Il potere risulta derivato e giustificato da un pactum subiectionis (da non confondersi col pactum societatis, giustificazione dello stato): idea, questa, accolta pure nella filosofia greca.
Nei grandi dibattiti che accompagnarono la lotta per le investiture, nell'ultimo quarto del sec. XI, l'origine del potere imperiale é giustificato dal pactum subiectionis. Il dibattito si svolse sui termini del patto: se fosse una cessio ossia una alienatio, oppure una concessio; e quali diritti spettassero al popolo quando il principe avesse violato il patto e si fosse trasformato in tiranno. All'affermarsi della dottrina della sovranità popolare concorse potentemente la rinascenza degli studî giuridici della scuola bolognese. Sulla tradizione romana che, pur derivando il potere dal popolo, risolveva il rapporto in un vincolo di sudditanza, s'innestarono principî complessi, che avevano applicazione nel diritto feudale. Il rapporto si analizzò in un complesso di diritti e di doveri regolati dal patto intervenuto fra principe e popolo, dall'obbligazione reciproca di attuare la giustizia e di osservare la legge. Da queste premesse si dedusse il diritto di deporre e anche di uccidere il principe che si trasformi in tiranno.
L'Umanesimo e la Riforma determinarono il movimento che, procedendo attraverso la dottrina dei cosiddetti monarcomachi, riuscì a una specificazione delle clausole del patto, cui si applicano le norme del diritto romano privato. Le nuove teoriche, ancora tenacemente medievali, segnarono il massimo limite dei poteri consentiti all'universitas del popolo. Subito apparve un processo di disintegrazione nel concetto del popolo e una ricostruzione, con intenti moderni, dell'idea della sovranità popolare. Gli elementi forniti dai monarcomachi e dal ceppo originario di queste dottrine, dal Calvino, si elaborarono nelle profonde crisi storiche dell'Inghilterra. Durante la prima rivoluzione inglese il principio della sovranità popolare si diffuse per opera della setta cosiddetta degli "indipendenti" e di quella più estrema dei "livellatori". Ma, sotto l'influenza delle dottrine del diritto naturale, allora rinnovato per merito del Grozio, e l'alta valutazione dell'uomo, come soggetto primo della società, fornita dal cristianesimo e rinnovata dalla Riforma, nasceva l'idea atomistica del popolo che si svolse nella stretta della prima rivoluzione. I diritti, da riconoscersi ai singoli, s'intesero come diritti nativi preesistenti all'ordinamento statale: fra essi dominava il principio della libertà di coscienza, di origine italiana. Nel First Agreement of the People del 1647 si chiarì il concetto, applicato poi integralmente in America nel secolo successivo, di una costituzione che afferma ed è guarentigia dei diritti individuali. Gli elementi contrastanti all'evoluzione costituzionale inglese si depurarono, nella successiva elaborazione della dottrina della sovranità popolare, per opera di J. Milton, A. Sidney, J. Harrington, J. Locke. Questo complesso d'idee (diritti naturali, origine contrattuale dello stato), che confluivano nella formula della sovranità popolare, ebbero grandiosa diffusione e applicazione nelle colonie della Nuova Inghilterra per opera in particolar modo di R. Williams, Th. Hooker, W. Penn, J. Wise. La dottrina della sovranità popolare divenne la base delle istituzioni americane, mentre le dottrine del diritto naturale e le opere del Grozio, del Pufendorf, del Locke, del Vattel, ecc., erano attentamente studiate. Durante il periodo della rivoluzione si asserì largamente che allo stato di natura ogni uomo è sovrano, soggetto e guidato unicamente dalle leggi di natura rivelate da Dio attraverso la ragione e la coscienza. Gli scritti di Giacomo Otis, Giovanni e Samuele Adams, Alessandro Hamilton ebbero la più grande efficacia sulle dichiarazioni dei diritti che, a cominciare da quella del 1776 della Virginia, dopo la dichiarazione d'indipendenza, i singoli stati posero a base della ricostruzione statale e nelle quali il principio della sovranità popolare è affermato apoditticamente. Gli avvenimenti americani ebbero una grandiosa ripercussione in Francia, ove la filosofia politica del sec. XVIII aveva in particolar modo col Rousseau rivissuti questi principî, che appunto a mezzo del Rousseau e della tradizione ginevrina si apparentavano col movimento inglese. Seguendo, com'ebbe a dire con frase esatta il Mirabeau, il metodo americano, anche la Francia pose a base della costituzione la dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. La ripercussione mondiale di questo atto fu pure profondamente sentita in Italia ove pervase l'intero movimento costituzionale dell'età napoleonica. Ma nella dichiarazione francese il principio diviene sovranità nazionale (art. 3): è la nazione, cioè la collettività indivisibile dei cittadini, che è sola sovrana: questa concezione apre la via alla concezione giuridica moderna di sovranità, attributo riconosciuto esclusivamente allo stato. Il principio della sovranità popolare aveva assolto così il suo compito. Intorno a esso non mancò tuttavia ancora nel secolo XIX un largo movimento dottrinale. Nelle costituzioni democratiche del dopoguerra il principio della sovranità popolare venne affermato apoditticamente per giustificare e legittimare il novus ordo (per esempio la costituzione di Weimar dell'11 agosto 1919). Il principio è ancora richiamato per giustificare il regime di autorità hitleriano. Il riconoscimento, cioè, del popolo come fonte dell'autorità non implica una costituzione democratica: il principio, come accadde in tutta la sua evoluzione storica, può essere posto a base di organizzazioni statali a base democratica come di organizzazioni a base autoritaria, legittimate dal consenso del popolo a mezzo di plebisciti.
La dottrina fascista (v. fascismo) ripudia il concetto della sovranità popolare nel senso democratico-liberale.
Bibl.: O. Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, Berlino 1868-81, voll. 3; id., Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien, 3ª ed., Breslavia 1913; F. Bezold, Die Lehre von der Volkssouveranität im Mittelalter, in Hist. Zeitschrift, XXXVI (1876), p. 324 segg.; G. Scherger, The evolution of modern Liberty, New York 1904; J. Mackinnon, A History of modern Liberty, Londra 1908; E. Crosa, Il principio della sovranità popolare dal Medioevo alla rivoluzione francese, Torino 1915.