sozzo
‛ Vocabulum hirsutum ', compare soltanto nella Commedia, e soprattutto nell'Inferno, dove ha il significato di " lordato ", " sporco ", " immondo ", ma anche di " annérito ", " oscuro ", " deforme ", " orribile ", " malvagio ", in occorrenze per le quali sembra difficile poter nettamente distinguere un significato dall'altro.
In If VI 100 Sì trapassammo per sozza mistura / de l'ombre e de la pioggia, la sozza mistura è composta dalle anime " bruttate " dal peccato e dalla pioggia tinta (v. 10), cioè " nera ", " scura ", come commentano il Sapegno (cfr. anche III 29, XVI 30 e 104; Pg XXXIII 74) e il Contini (Filologia ed esegesi dantesca, Roma 1965, 29, ora in Varianti e altra linguistica, Torino 1970, 421-422).
Anche in Pg XVI 13 m'andava io per l'aere amaro e sozzo, s. ha significato di " annerito dal fumo " (Scartazzini, Sapegno): così commentava anche il Lombardi: " sozzo perché annerito dal fumo e amaro perché molesto agli occhi ". Non manca tuttavia una chiosa che rileva il significato metaforico di " deforme ": Benvenuto infatti nota: " Talis recte est ira quae amaricat animum et deformat corpus ".
In If VII 53 la sconoscente vita che i fé sozzi, / ad ogne conoscenza or li fa bruni (riferito agli avari e prodighi), s. significa " macchiato dal vizio ", come avvertono taluni commentatori antichi: il Boccaccio: " furo, vivendo, immondi, cioè: brutti e maculati di cotesti mali, cioè di avarizia e prodigalità "; Benvenuto: " furo immondi... idest... maculati istis viciis "; il Landino: " gli fe' sozzi, cioè: infami, e ora li fa bruni, cioè oscuri e senza fama. E allegoricamente dimostra la stoltitia dell'avaro ". Sembra insomma che s. non tralasci, nel senso proprio o figurato, l'accezione di " tinto ", e del resto, per il passo di VII 53, esiste l'auto-commento di bruni che compare nel verso successivo.
In XVII 7 quella sozza imagine di froda, l'aggettivo è riferito a Gerione, la fiera che tutto 'l mondo appuzza. Proprio appuzza rafforza qui il significato di s.: Gerione figura la frode e s. sta qui per " inonesto ", " malvagio ", oltre che per " immondo ". L'accezione di " nero ", " oscuro ", più sopra notata, sembra venir meno, talché il Castelvetro non mancava di segnalare l'improprietà, in questo caso, dell'aggettivo: " non veggio io come sia tanto sozza: prima la faccia era d'uom giusto, poi le rotelle di più colori sono vaghe ".
S. occorre due volte nel canto XXVIII: e qual forato suo membro e qual mozzo / mostrasse, d'aequar sarebbe nulla / il modo de la nona bolgia sozzo (v. 21); E un ch'avea l'una e l'altra man mozza, / levando i moncherin per l'aura fosca, / sì che 'l sangue facea la faccia sozza... (v. 105). Che in queste occorrenze l'aggettivo non significhi soltanto " lordo ", come nota lo Scartazzini, è rilevabile dai commentatori più antichi. Il Serravalle afferma: " idest qualitati nonae bolgiae turpis, idest tormentatis in nona bolgia "; il Vellutello chiosa " orrendo spettacolo "; il Castelveltro: " il concetto è bene orribilmente magnifico "; l'Andreoli " deforme spettacolo presentato dalla nona bolgia ". Occorre poi notare che s. compare unitamente all'immagine del sangue che rimanda al contesto della morte violenta (cfr. If XIII 34, XXIV 129) e al raccapriccio per il sangue versato con tutte le ascendenze bibliche che nota, col Tommaseo, il Marzot (Il linguaggio biblico della D.C., Firenze 1956, 43), a cominciare dall'esordio epico-virgiliano del canto (cfr. M. Fubini, Il canto XXVIII dell'Inferno, in Lect. Scaligera I 1003): Chi poria mai pur con parole sciolte / dicer del sangue e de le piaghe a pieno...? L'archetipo virgiliano inoltre conforta l'accezione anche traslata di s. in queste occorrenze: " Atque hic Priamiden laniatum corpore toto / Deiphobum vidit, lacerum crudeliter ora, / ora manusque ambas, populataque tempora raptis / auribus et truncas inhonesto volnere nares " (Aen. VI 494-497).
In XVIII 130, l'aggettivo sottolinea, nella connotazione di ‛ sporcizia ', l'‛ adsentatio ' di Taide, quella sozza e scapigliata fante / che là si graffia con l'unghie merdose. Lo Scartazzini commenta s. con " vile ". Ma è probabile che l'aggettivo riecheggi biblicamente in un canto dove la meretrice è più volte menzionata: " immondo " è attribuzione frequente della fornicazione: " Cecidit, cecidit Babylon magna et facta est habitatio daemoniorum et custodia omnis spiritus immundi et custodia omnis volucris immundae et odibilis " (Apoc. 18, 2-3); " in omnibus, in quos insanivit, in immunditiis eorum polluta est " (Ezech. 23, 7). Inoltre è da aggiungere che qui s. è contiguo a unghie merdose e al modo della pena, é che in Ecli. 9, 10 si legge: " Omnis mulier, quae est fornicaria, / quasi stercus in via conculcabitur ". Sembrerebbe poi presente anche il significato di " deforme ", deducibile forse da scapigliata, si graffia e s'accoscia, come nota il Caretti (Il canto XVIII dell'Inferno, in Lect. Scaligera I 605), il quale però non rimanda s. all'ascendenza biblica, bensì a quella realistico-farsesca della fonte ciceroniano-terenziana.
In Pd XIX 136 parranno a ciascun l'opere sozze / del barba e del fratel, cioè dello zio e del fratello di Federico II di Aragona, il Buti commenta " vituperose e vitiose ", e così anche i commentatori moderni.