SPANZOTTI, Giovanni Martino detto Giovanni Martino de Campanigo
– Nacque nel sesto decennio del XV secolo verosimilmente a Varese, dove il padre, Pietro, è documentato come pittore nel 1457 (Dallaj, 1998a; Id., 1998b; Romano, 2001). Il nome della madre era Orsolina. Egli apparteneva alla famiglia de Campanigo, a un cui ramo rimasto stanziale a Varese appartennero diversi pittori, il più noto dei quali è Galdino da Varese (Cairati, 2006; salvo diverso riferimento i documenti che seguono sono tratti da Baudi di Vesme, 1982). Pietro è attestato a Casale Monferrato, appena diventata capitale del marchesato paleologo, a partire dall’agosto 1470, allorché prese in enfiteusi perpetua un’abitazione dal capitolo del duomo per sé e per i figli. Il primo documento noto riguardante Giovanni Martino, risalente al 29 aprile 1480, fu redatto a Casale; il pittore vi è detto milanese. Un secondo documento del 30 agosto lo vede testimone a un atto insieme al fratello Gabriele, futuro canonico del duomo.
La prima opera pittorica tendenzialmente databile di Spanzotti è un trittico o polittico di cui facevano parte due tavole, provenienti dalla Val Vigezzo, già in collezione Contini Bonacossi e oggi alla Galleria Sabauda di Torino (Romano, 1975): la S. Caterina raffigurata in una di esse si trova citata in un affresco datato 10 ottobre 1480 realizzato da Giovanni Antonio Merli nella chiesa di S. Nazario a Sannazzaro Sesia. Esse sembrano appartenere a un momento lievemente successivo ad altre opere quali la Madonna col Bambino di Philadelphia e la cosiddetta Madonna Tucher del Museo civico di Torino, in passato riferita a Francesco del Cossa: una citazione da quest’ultimo è costituita da uno degli angeli, che riprende l’analogo elemento della vetrata cossesca in S. Giovanni in Monte a Bologna, realizzata dai fratelli vetrai Cabrini. La forte impronta prospettica del linguaggio spanzottiano maturò sullo studio diretto degli esempi bolognesi, ma anche sulla circolazione di modelli nelle botteghe di intarsiatori e di vetrai; non si possono escludere contatti con Pavia e Milano. La predella dell’ancona da cui provengono le tavole già Contini Bonacossi era forse costituta da un Apostolato parzialmente conservato tra il Museo cristiano di Esztergom, la Privat Kredit Bank di Ginevra e una collezione privata (Laclotte, 1975; Elsig, 2016). Appena successivo a questo momento è l’affresco raffigurante l’Adorazione del Bambino in S. Francesco a Rivarolo, di cui si sono proposte letture in chiave precocemente immacolista. Emerge la fisionomia di uno Spanzotti pittore già prestigioso e di ampio spettro territoriale, che si allarga ulteriormente in quanto il 5 novembre 1481 egli compare per la prima volta a Vercelli. Giovanni Martino presenziò al testamento del ‘lignamario’ Quintino de Zenea de Picardia, che era sul punto di entrare come religioso nella canonica lateranense di S. Andrea e lasciava i materiali lignei già preparati per un’ancona. All’atto era presente anche il pittore vercellese Boniforte Oldoni, che in un altro atto dello stesso giorno, cui anche presenziò Spanzotti, rinunciò all’incarico di dipingere una predella per S. Andrea; non si può escludere che sia stato proprio Giovanni Martino a subentrare nel lavoro (Villata, 2005).
Ancora abbastanza vicina alle tavole oggi in Sabauda è una Madonna col Bambino e santi di ubicazione ignota, caratterizzata da una curiosa citazione dantesca (Romano, 2007); è probabile che si tratti di una delle prime opere realizzate a Vercelli, dato che la Madonna viene citata in un affresco recentemente scoperto nella chiesa di S. Marco (L. Mana, in Imago pietatis, 2010, p. 63). Conosciamo tutto sommato poco dell’attività di Spanzotti negli anni Ottanta: è documentato a Vercelli il 2 marzo 1482, mentre un atto del 18 agosto 1489 specifica che Giovanni Martino risiedeva a Casale, di cui è detto cittadino (il precedente 4 agosto a Casale era morta la madre). A questo decennio risalgono verosimilmente il trittico della Galleria Sabauda raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Ubaldo e Sebastiano, unica opera recante la firma del pittore, e l’Assunta in S. Maurizio a Tronzano Monferrato, eseguita forse con la collaborazione di un aiuto (ipoteticamente identificato nel cognato Aimo Volpi) e che, grazie alla conoscenza aggiornata della pittura milanese e in particolare del primo Zenale, sembrerebbe da collocare verso la fine del decennio. La firma nel trittico oggi a Torino suona «Hopus [sic] Johannis Martini Casalen.», e la precisazione della città di provenienza suggerisce che la collocazione primitiva non fosse nella capitale paleologa; tuttavia che la Madonna centrale sia stata acquisita per il museo torinese da Alessandro Baudi di Vesme nel 1899 a Serralunga di Crea (i due laterali furono acquistati in tempi diversi da collezionisti di Milano e Torino: Gabrielli, 1971) fa sospettare una possibile provenienza dal santuario di Crea, assurto a un ruolo centrale nelle committenze del marchese Guglielmo VIII Paleologo, che fece affrescare la cappella di S. Margherita, con i ritratti della famiglia marchionale, a un pittore che oggi si tende a identificare in Francesco Spanzotti, fratello di Martino. Va aggiunto che alla bottega dello stesso Giovanni Martino vengono riferite due vetrate raffiguranti l’Annunciazione, oggi al Museo di Palazzo Madama a Torino, che le acquistò nel 1951 proprio dal santuario di Crea (Romano, 1989, p. 40).
Verosimilmente nella seconda metà degli anni Ottanta Spanzotti affrescò il tramezzo della chiesa francescana osservante di S. Bernardino a Ivrea, con Storie di Cristo, da annoverare tra i capolavori della pittura italiana del secondo Quattrocento. Se la fascia più alta pare ancora esprimere lo stile del trittico oggi in Sabauda, il rimanente delle scene esibisce un’accentuazione plastica e prospettica (lo notava già Testori, 1958) che conferma la frequentazione dell’ambiente milanese tra Butinone e Zenale e il primo Bramantino; ma anche una straordinaria sensibilità ai trapassi di luce, di matrice latamente mediterranea. Lungo l’esecuzione del tramezzo eporediese sembrano potersi scalare anche alcune versioni di Cristo in pietà: gli esemplari al Museo di belle arti di Budapest e nella chiesa del Cuore Immacolato di Maria a Valle dei Rossi presso Sommariva Perno, già nel locale santuario del Tavoleto, si legano ai riquadri centrali, mentre quella al Museo nazionale di Palazzo Venezia a Roma, pur di difficile lettura per le cattive condizioni, parrebbe più in consonanza con la conclusione di quell’impresa (Romano, 2003b; Imago pietatis, 2010).
A conferma di un’attività che nel nono decennio sembra privilegiare il versante occidentale (oltre ai tradizionali contatti con Casale) piuttosto che quello vercellese, abbiamo la realizzazione, nel 1488, di un perduto polittico commissionato dagli eredi di Domenico Tana per l’altar maggiore della chiesa di S. Agostino a Chieri (Romano, 2010). Spanzotti ricompare con una certa frequenza nei documenti vercellesi solo a partire dal 1490. Il 28 novembre prese a bottega il decenne Giovanni Antonio Bazzi, che fu poi detto il Sodoma: il contratto prevedeva un apprendistato della durata di dieci anni. L’esilità di elementi spanzottiani nella pittura del Sodoma ha fatto dubitare che il contratto sia stato realmente osservato, ma la recente comparsa di un’opera molto giovanile del Bazzi, dove l’influsso di Spanzotti è invece ben leggibile, ha permesso di confermare che il discepolato ebbe effettivamente luogo (Villata, 2017). Il 3 gennaio 1491 Spanzotti venne incaricato da Nicolò Aiazza di dipingere un polittico per la cappella di S. Tommaso d’Aquino nella chiesa domenicana di S. Paolo, che doveva raffigurare la Madonna e i santi Tommaso d’Aquino, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Gerolamo, Caterina e Lucia, oltre al committente e alla moglie Linoria; la consegna era fissata per il Natale successivo. In realtà l’11 gennaio 1492 l’ancona risultava non ancora terminata (il pittore aveva già ricevuto complessivamente 30 ducati). Dal contratto di allogazione sappiamo che le tavole dovevano essere dipinte a Vercelli così come la cornice, intagliata però a Casale. Si è ipotizzato che di quest’ancona facessero parte la Madonna col Bambino della Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Torino (Guerrini, 2005), e forse anche una Pietà di collezione privata: un soggetto non indicato nel contratto ma usuale nei polittici piemontesi in funzione di cimasa, e comunque stilisticamente prossimo alla conclusione del ciclo di Ivrea (Villata, 2006).
L’11 agosto del 1491 Spanzotti prese in affitto una casa con bottega nei pressi della chiesa di S. Maria Maggiore; mentre, a conferma del suo ormai pieno inserimento nella realtà artistica cittadina, va segnalato che il 15 maggio del medesimo anno Giovanni Trissino da Lodi ottenne l’incarico dallo stesso Aiazza di affrescare due cappelle in S. Paolo: la stima del lavoro sarebbe spettata a Giovanni Guidetto di Sostegno e a Spanzotti. Agli anni Novanta dovrebbero risalire due Pietà, rispettivamente in una collezione privata torinese e già nella raccolta Bardini di Firenze, probabili cimase di polittico (Romano, 2004).
Il 6 marzo 1494 Giovanni Martino venne pagato 15 fiorini e 4 soldi per ordine di Bianca di Monferrato, duchessa di Savoia, per gli addobbi realizzati in S. Maria Maggiore in occasione delle esequie del marchese di Casale Bonifacio Paleologo; il successivo 2 aprile gli furono saldati quattro scudi destinati alla tomba di Luisa di Vexey, dama di compagnia della stessa Bianca. Il pittore risulta ancora residente in Vercelli in documenti del 7 maggio (in cui compare anche la moglie) e del 28, allorché Giovanni della Chiesa sottoscrisse a suo nome un accordo per prendere a bottega per sei anni il lodigiano Giovanni Antonio della Bona.
Le opere databili intorno al 1495-96, come le tavole della parrocchiale di Conzano e soprattutto il polittico Dal Ponte eseguito per la chiesa di S. Francesco a Casale (oggi disperso tra la Pinacoteca di Brera, la Pinacoteca dell’Accademia Albertina, la National Gallery di Londra e una collezione privata: Romano, 1970; Giovanni Martino Spanzotti, 2003; “Di fino colorito”, 2004). A questo momento, che vede il linguaggio spanzottiano evolversi verso trasparenze e acutezze di disegno di matrice nordica, quali iniziano a vedersi nella Natività già del polittico Da Ponte, dovrebbero appartenere anche due tavolette di Annunciazione, sicuramente parti di un polittico, già in collezione Gerli a Milano, e un S. Antonio Abate di collezione privata (Boskovits 2009, come Giovanni Pietro Malacrida, ma va accolto lo spostamento sul conto di Spanzotti proposto da L. Mana, in Imago pietatis, 2010, p. 65).
Il ruolo giocato da Spanzotti a Vercelli fu sicuramente più importante di quanto le scarse sopravvivenze lascino intravedere. Si riesce a leggere la fortuna del suo stile in opere diverse tra loro, come il frammentario Giudizio universale già nella chiesa vercellese del Carmine e oggi nel locale Museo Borgogna, eccitato riflesso della maniera di Giovanni Martino in apertura degli anni Ottanta, o, verso la fine del decennio successivo, gli affreschi nella cappella degli Apostoli nella parrocchiale di Quinto Vercellese e quelli nella cappella di S. Nicola da Tolentino, di patronato Pettenati, in S. Marco, già attribuiti al Sodoma. Sia gli affreschi di Quinto sia quelli della cappella Pettenati, pur dovuti a pittori diversi, si segnalano anche per il forte interesse antiquario, che potrebbe anch’esso risalire in qualche modo a Spanzotti; viene il sospetto che la firma graffita su una volta della Domus Aurea di Roma, «ZEN. MARI [o MART?] PP […] ESPANCE […] DE MEDIOLANO» (Dacos, 1969, p. 146) vada sciolta come «Zen Martinus Petri Pictor de Spanceotis de Mediolano», aprendo la possibilità di una presenza a Roma di Spanzotti a studiare le grottesche neroniane, come tanti altri suoi colleghi lombardi e piemontesi (Villata, 2014). Vanno anche ricordate le tavolette di soffitto di casa Aiazza a Vercelli, di gusto squisitamente spanzottiano (Natale, 2005b), e le miniature degli Statuti manoscritti della stessa città, così vicine al maestro da essergli state anche direttamente attribuite (Quazza, 2005).
Un documento del gennaio 1498 indica Spanzotti come residente nella capitale monferrina, ma il 21 dicembre dello stesso anno egli elesse quattro procuratori, probabilmente in vista di un’assenza prolungata; indizio che i suoi interessi si stavano concentrando verso la corte sabauda. Il 29 luglio 1500 un documento lo dà comunque residente a Casale, dove il 20 settembre 1501 ricevette insieme al notaio Comono Pellizzoni 40 piedi di terra dal capitolo del duomo, per edificare l’oratorio della Compagnia degli Angeli, di cui era rappresentante. L’11 maggio 1502 fu impegnato dal testamento del padre (che già ne aveva redatto uno nel 1499) a saldare un debito contratto da quest’ultimo a Varese; il 5 di agosto però Spanzotti era a Chivasso, dove ricevette dal Comune l’incarico di dipingere immagini votive della Madonna accompagnate dagli stemmi civici sulle porte della città; l’opera scomparve già nel 1538, sostituita dagli stemmi degli occupanti francesi realizzati dal figlio di Giovanni Martino, Pietro Evasio Spanzotti.
In un periodo compreso tra il 1498 e il 1504 Spanzotti e Defendente Ferrari realizzarono per il duomo di Torino il polittico dei Ss. Crispino e Crispiniano, tuttora in loco, e la pala raffigurante il Battesimo di Cristo (Torino, Museo diocesano), commissionata alla fine del 1508 e non ancora terminata nel gennaio 1510 (Romano, 1990). Che il chivassese Ferrari sia stato precocemente attratto nell’orbita spanzottiana è indubbio, e la Natività oggi all’Albertina di Torino ma già in S. Domenico a Biella, con la sua cronologia precoce (1499-1503 circa: Manchinu, 1998), lo dimostra inequivocabilmente; essa si colloca forse su un binario di presenza spanzottiana nel biellese testimoniata anche dalla notevole Presentazione al tempio in S. Martino a Roasio, opera databile ante 1499 di un fedele seguace dello Spanzotti di Ivrea, e dalla Crocifissione datata 1516 affrescata in S. Sebastiano a Biella (Romano, 1990; Natale, 2005a). Ma anche gli esordi vercellesi di Gerolamo Giovenone sono quelli di un alter ego e collaboratore di Defendente, anche se meno innamorato di asprezze germanizzanti (Baiocco, 2004). Forse il pittore chivassese assunse il ruolo di testa di ponte occidentale del linguaggio spanzottiano, ormai con evidenti ambizioni egemoniche nell’intera area subalpina, e Gerolamo, nella tipica strategia di diversificazione delle esperienze portata avanti dalle botteghe vercellesi, seguì per un certo periodo questo coté prima di stabilirsi definitivamente sulle rive del Sesia; la problematica Assunta del Museo di belle arti di Budapest, datata 1500, di volta in volta attribuita a Defendente o a Giovenone, potrebbe essere in realtà un’opera uscita dalla bottega dello stesso Spanzotti (Villata, 2018). Il tipo di Madonna allattante dell’altare dei calzolai era destinato a grande fortuna e divenne un tema di successo di Defendente e dei suoi seguaci. Di certo, come lucidamente evidenziato da Romano (da ultimo 2004), il linguaggio di Spanzotti conobbe una virata per certi versi sconcertante dopo la conclusione della parete di Ivrea. «L’avvicinamento alla cultura figurativa milanese intorno al 1490 degli affreschi eporediesi cede il passo a un complesso recupero della tradizione pittorica nordicizzante del Piemonte occidentale, in modi difficili da spiegare nel loro sorprendente mimetismo» (ibid., p. 40).
Il 25 ottobre 1507 Spanzotti, da Chivasso, rimandava a Carlo II di Savoia una sua copia di una Madonna «florentina», accompagnandola con una lettera in cui definisce la propria versione «equale et in qualche parte di meglio de l’altra» (Baudi di Vesme, 1982, p. 1606). Si trattava della Madonna di Orléans di Raffaello, come dimostra il fatto che, pur perduta la copia di Spanzotti, esistono tuttora numerose derivazioni di area spanzottiana (almeno tre, due oggi a palazzo Madama a Torino e una in collezione privata spettano a Gerolamo Giovenone).
L’attività di Spanzotti si estese anche a Carmagnola, ove scrisse a Feliciano Cavassa, prevosto della collegiata dei Ss. Pietro e Paolo il 2 settembre 1509; la missiva, recapitata dal ‘lignamario’ chivassese Francesco della Porta, specifica che le misure prese, in sua assenza, per una ancona in lavorazione in quel momento, risultavano errate; l’ancona venne comunque saldata nel novembre 1513 (Rodolfo, 1954). Non si sa quali fossero i lavori commissionati dal duca di Savoia per i quali Spanzotti ricevette un anticipo di 25 scudi il 13 febbraio 1511. Lo stesso anno vide il pittore di ritorno a Casale: il 23 settembre gli venne commissionata un’ancona per S. Maria di Piazza che doveva raffigurare al centro l’Annunciazione; mentre una settimana dopo fece da procuratore per il fratello Gabriele (Romano, 2009). In ogni caso era nuovamente a Chivasso il 4 febbraio 1512 e il 13 aprile 1513, quando ricevette la cittadinanza a Torino; il trasferimento in quest’ultima città dovette avvenire nel 1514: il 19 dicembre Giovanni Martino, con atto stipulato in Torino, vendette la sua abitazione chivassese. A Torino il pittore risulta presente il 3 aprile e nuovamente il 20 settembre 1520: in quest’occasione ricevette un pagamento dal duca Carlo II. L’unica traccia pittorica ancora conservata in loco è il S. Antonino affrescato, a una data prossima al 1523, nella chiesa di S. Domenico. Il 13 giugno 1524 ottenne la non indifferente somma di 65 scudi d’oro del sole da Dorotea vedova di Sigismondo Asinari di Camerano, come compenso per un S. Francesco stigmatizzato, già commissionato dallo stesso Sigismondo nel 1497, opera dipinta – si precisa – con colori preziosi per la chiesa di S. Francesco a Casale. Probabilmente Spanzotti tornò definitivamente a Chivasso, dove furono redatti gli ultimi documenti che lo riguardano: una multa decretata dal Comune nel 1525 e un’iscrizione negli elenchi esattoriali l’anno successivo. Questa è l’ultima testimonianza in vita di Spanzotti, che risulta morto in un ulteriore documento, ancora chivassese, del 2 novembre 1528.
La fase sabauda della pittura di Spanzotti accentua gli aspetti nordicizzanti, forse anche per venire incontro alle esigenze di un gusto già saldamente controllato da Defendente Ferrari; sicuramente, però, in quest’evoluzione ebbe una parte importante anche l’approfondito contatto con la pittura di area alpina e provenzale, espressa al suo meglio da Antoine de Lonhy (la cui influenza condizionò anche gli esordi dell’astigiano Gandolfino da Roreto). Il raggio di azione e di irradiazione di Spanzotti fu molto vasto, creando differenti tradizioni: a Casale portata avanti in particolar modo dai fratelli Volpi, Aimo – che aveva sposato Dorotea, sorella di Giovanni Martino, nel 1491 – e Balzarino, che seppero fronteggiare con sufficiente successo la diversa opzione figurativa di Macrino d’Alba, prima di cedere il passo a pittori forestieri più giovani come il veronese Giovan Francesco Caroto e il fiammingo Pietro Grammorseo; a Vercelli, grazie soprattutto a Gerolamo Giovenone prima della sua conversione all’astro di Gaudenzio Ferrari; nel Canavese, sulla scia del capolavoro a Ivrea (Crepaldi, 2009). La precoce fortuna nel novarese non resse l’impatto delle novità lombarde e gaudenziane; più ampia e capillare fu invece la penetrazione del suo linguaggio tardo in Valle d’Aosta: al nobile spanzottismo del Maestro di Pietro Gazino nel duomo di Aosta (Rossetti Brezzi, 1989) o a quello del Maestro di Ecours si può affiancare il Cristo deriso con angeli della parrocchiale di Saint-Vincent. Già si è detto dei Campanigo a Varese.
Come il padre Pietro Spanzotti, documentato sempre a Casale dal 1470 fino alla morte avvenuta dopo il 1503, fu pittore anche il fratello Francesco, lui pure documentato sempre a Casale dal 1483 al 1522, e già morto nel 1531. Gli studi hanno ormai trovato accordo nell’identificare in Francesco il cosiddetto Maestro di Crea, autore degli affreschi della cappella di S. Margherita nel santuario di Crea, eseguiti su commissione del marchese Guglielmo VIII Paleologo entro il 1479, il polittico voluto da Marco Scarognino prima del 1486 per S. Maria delle Grazie a Varallo Sesia (oggi nella locale Pinacoteca), una Natività negli Staatliche Museen di Berlino e una pala in collezione privata (Natale, 1998).
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