Vedi SPARTA dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
SPARTA
Situata ai piedi del Taigeto, presso la riva O dell'Eurota, l'antica S., capitale della Laconia e geloso baluardo dei Dori, occupava una vasta area irregolarmente elissoidale, a N della cittadina moderna che ne porta ancor il nome. Della celebre metropoli, fondata intorno al XII-X sec. da un gruppo di Achei (che poi furono detti Dori), nella zona di precedenti insediamenti micenei, e chiamata indistintamente con i due nomi di S. e di Lacedemone (in età più antica il primo con preferenza nel linguaggio poetico), si ignorava la topografia e non erano visibili che miseri avanzi prima che la Scuola Britannica vi iniziasse, nel 1906, l'esplorazione, tuttora in corso.
Solo molto tardi l'abitato fu cinto di mura; quelle di cui resta ora qualche traccia, e che dovevano rinchiudere un'area di circa 9 km, sono formate da uno zoccolo di pietra con sovrastruttura in mattoni cotti al sole e, al disopra, per protezione contro la pioggia, delle tegole: nei loro tratti più antichi, esse appartengono all'inizio del III sec. a. C. (costruite probabilmente dopo l'attacco di Demetrio Poliorcete).
Presso le mura, nella zona S-E della città, ai piedi di uno stretto sperone roccioso sull'Eurota, sono stati messi in luce i resti del santuario di Artemide Orthìa o Limnàion. La sua complessa storia occupa oltre dodici secoli ed è testimoniata da notevoli avanzi architettonici e da preziose offerte votive. La fondazione è probabilmente contemporanea all'arrivo dei Dori sulla riva settentrionale dell'Eurota e alla fondazione dei quattro villaggi dorici e di S., e risale pertanto al 900 a. C.
I vari periodi sono stati così distinti: 1) strato più antico di circa 30 mq con cenere, terra nera, frammenti di vasi protogeometrici, frammenti di bronzo ormai informi, qualche osso, un piccolo tratto di muro di destinazione incerta; nessuna traccia di altare. 2) Impianto di un santuario di circa 1500 mq chiuso da un muro di peribolo e pavimentato con ciottoli di fiume; con i resti di due altari, di cui uno precedente l'altro, il secondo dei quali è contemporaneo ad una parziale demolizione del muro del tèmenos; l'assenza di edifici attesta un culto ancora svolgentesi all'aperto (IX-VIII sec. a. C.). 3) Verso l'8oo circa rimozione del vecchio peribolo, ampliamento del tèmenos, costruzione di un nuovo altare e di un primo piccolo tempio con ortostati in pietra ed alzato in fango e legno. L'orientamento del tempio secondo l'altare precedente dimostra che quest'ultimo era ancora il principale edificio del santuario. Nell'interno il tempio era diviso in due navate da una fila centrale di colonne o pilastri lignei; nell'angolo S-O sono i resti di una base (per la statua di culto?). Il tetto era coperto con tegole di fango, ma nel VII sec. subì un rinnovamento cui appartengono probabilmente delle tegole fittili rotonde con lunulae dipinte. Lo xòanon di Artemide Orthìa, riprodotto da numerose figurine in terracotta e in osso, rappresentava la dea vestita di peplo e col capo adorno di una corona di foglie. L'ampliamento del santuario in questa terza fase della sua vita corrisponde probabilmente all'allargamento territoriale di S. verso Amyklai e all'istituzione del doppio regno, creato, forse, in collegamento con il duplice possesso di S. e di Amyklai. I ritrovamenti di ceramica sono ancora geometrici e subgeometrici (ceramica protolaconica). 4) Verso il 6oo a. C. il vecchio tempio fu distrutto ed al suo posto sorse un grande edificio probabilmente in antis; il frontone era forse ornato con due leoni affrontati in pietra vivacemente colorati, di cui sono stati rinvenuti dei frammenti. Il tèmenos fu ampliato e circondato da un nuovo muro. 5) Nel II sec. a. C., probabilmente in occasione del rinnovamento della costituzione di Licurgo, il tempio fu restaurato e doveva apparire quale fu rappresentato in una stele dell'epoca (stele di Xenokles al museo). 6) In età tardo-romana (III sec. d. C.) di fronte al tempio fu costruita un'orchestra o arena circolare, ove si svolgevano le cerimonie sacre alla dea. Molta luce sull'arte e sui costumi spartani ha gettato l'enorme quantità di materiale proveniente dallo scavo del santuario: acroterî a disco in terracotta dipinta (VII sec. a. C.), una serie ininterrotta (dal IX al IV sec. a. C.) di figurine fittili votive, per lo più a stampo, con immagini di Artemide Orthìa stante, o come pòtnia theròn, maschere di vecchie donne, giovani, ritratti, satiri, caricature (VII-III sec. a. C.) usate probabilmente nelle danze in onore di Artemide; bronzi, avorî intagliati (placche in rilievo con animali araldici, scene mitologiche, figurine di Orthìa, suppellettili) di fattura locale ma con ascendenti nell'Oriente fenicio, donde giungeva il materiale grezzo (la produzione cessa infatti intorno al 6oo a. C. con la caduta di Tiro); figurine in piombo, dapprima molto sottili e poi più plastiche e variate (VIII-IV sec. a. C.), ricchissimo materiale ceramico di età geometrica, subgeometrica e laconica nelle sue varie fasi.
L'acropoli di S. sorgeva a N-O del santuario di Artemide, sul colle di Paleocastro, ove ancora oggi sussistono i resti di una cinta tardo-romana (III-IV sec. d. C.) e bizantina (VIII sec.). Qui, sullo sperone occidentale dell'altura, si estendeva l'altro celebre santuario, dedicato ad Atena Chalkìoikos; la tradizione lo voleva fondato da Tindaro e dai suoi figli e completato dall'artista locale Gitiadas, che l'avrebbe adornato dell'immagine della dea e di splendide porte bronzee (metà del VI sec. a. C.?). Dell'architettura non restano che pochi avanzi murarî di epoca geometrica, arcaica (sacello o tesoro del VII, portico del VI sec.), classica e cristiana, mentre numerosi anche qui sono stati i ritrovamenti di oggetti di culto (due statuette bronzee di Atena della fine del V sec., un gorgonèion, figurine in terracotta, frammenti di vasi, ecc.).
Poco più in basso del santuario sono i resti di un teatro, costruito in età ellenistica, rifatto nel I sec. d. C., successivamente rimaneggiato e distrutto infine dai Goti nel 396 d. C. Dalla pàrodos E, sul cui muro di costruzione sono incise le liste dei magistrati spartani del 100-150 d. C., una massiccia gradinata conduce al diàzoma, mentre ad O, al posto simmetrico, c'era una skenothèke che, nel 300 d. C., fu sostituita da un ninfeo.
L'agorà era ad E del teatro. Fra gli altri monumenti spartani vanno menzionati il santuario di Elena e Menelao (Menelàion) su un colle presso l'Eurota (Therapne), ove è attestato un culto fin dall'inizio del I millennio e che attualmente si presenta con i resti di un piccolo tempio del V sec. a. C., costruito su una terrazza lastricata a cui si accede mediante una rampa. Ne provengono frammenti di vasi, terrecotte con una donna a cavallo (Elena), guerrieri, figurine in piombo, ecc. Il cosiddetto Leonidaion era nella zona S-O della città antica, e tracce di un heròon e di un altare (supposto di Licurgo) sono presso un ponte, forse augusteo, sull'Eurota. All'abitato romano presso l'acropoli appartengono ancora un portico, decorato internamente di esedre, delle terme e delle case, alcune delle quali con bellissimi mosaici di età imperiale (II-III sec. d. C.).
L'arte spartana, quale si è venuta delineando attraverso i copiosissimi ritrovamenti dell'Artemision e gli altri nella città e anche al di fuori del suo territorio, appare acquistare una sua individuale fisionomia solo nel VII sec. a. C. In epoca geometrica e protoarcaica (pressocché inesistenti sono i ritrovamenti micenei) non vi è nessuno stile peculiare degli Spartani, cioè dei Dori, ma questi si uniformarono allo stile dei propî predecessori, gli Achei; infatti i ritrovamenti della dorica S. e quelli della achea Amyklai sembrano appartenere ad una medesima facies stilistica. Il mutamento politico avvenuto nel VII sec., col quale S. subordinò ogni attività politica e privata al consolidamento dello stato, alla educazione e alla disciplina militare dei cittadini, determinò anche nelle arti figurative la formazione di un nuovo stile, quello spartano, che in poesia veniva contemporaneamente espresso dai canti di Tirteo. Lo testimoniano una serie di volti femminili decoranti i manici di brocche in bronzo, secondo alcuni (Langlotz, Homann-Wedeking) la testa di Hera da Olimpia, che i confronti con la microplastica farebbero attribuire ad un artista spartano (secondo il Poulsen si tratta invece di un'opera strettamente legata all'arte spartana, ma non spartana), una serie di statuette nude di fanciulle, statuette maschili, ecc.: tutte caratterizzate da una certa durezza dei tratti, dai corpi e dai volti stretti e allungati, dall'asimmetria del volto e dal particolare rilievo delle sopracciglia. Databile all'inizio del VI sec. è una base di stele, da Magoula, in forma di piramide con rilievi: Zeus e Hera (?) Menelao e Elena (?) (museo di Sparta); seguono rilievi sepolcrali che proseguono fino in età ellenistica, il più noto dei quali è il rilievo da Chrysapha ora a Berlino, che rivela qualche influsso ionico (550-530 a. C.) (C. Blümel, Griech. Skulpt., Berlino 1940, i, pp. 11-13, tavv. 22-24). I ritrovamenti nel santuario di Artemide Orthìa hanno confermato l'attribuzione alla Laconia di quella ceramica detta Cirenaica o Laconica, che succede alla ceramica protogeometrica (VII sec.), ha il suo massimo fiore nel VI sec. e inizia la propria decadenza con la seconda metà del VI sec. a. C. (v. laconici, vasi).
All'arte spartana, ma più che a quella della madrepatria a quella delle sue floride colonie occidentali, è stato attribuito il grande cratere di Vix (v.; museo di Chatillon-sur-Seine). Pausania ha tramandato il nome di scultori famosi di origine spartana, che dovettero operare nel VI sec. e crearono statue e sculture in Olimpia: Dorykleidas, Medon, Hegylos e il figlio Theokles, Dontas (Paus., v, 17, 1-2; vi, 19, 8; vi, 19, 14) e quel Gitiadas, architetto e maestro della fusione che lavorò nel tempio di Atena Chalkìoikos e ad Amyklai (Paus., iii, 12, 2; 18, 7; iv, 14, 2).
Nella prima metà del V sec. l'arte spartana si accosta a quella eginetica e anche a quella attica severa; appartengono a quest' epoca una serie di bronzetti, di rilievi (stele del pèntathlos Ainetos dall'Amyklaion) e il cosiddetto Leonida, (v.), una statua di guerriero (480-70), trovata nella zona del santuario di Artemide Chalkìoikos.
Con il V sec. si estingue la tradizione di una scuola spartana; lavorano a S. Mirone, Policleto, Klearchos, ecc., e la produzione artistica indigena viene assorbita nella koinè peloponnesiaca.
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