LAVAGNINI, Spartaco
Figlio di Vittorio e di Angiola Tramonti, nacque a Cortona il 6 sett. 1889 e compì i suoi studi ad Arezzo e a Siena, conseguendo il diploma di ragioniere. Trasferitosi a Firenze, vi trovò lavoro dal 1907 come impiegato nell'amministrazione delle Ferrovie dello Stato. Iscrittosi al Partito socialista italiano (PSI), militò nella corrente rivoluzionaria, e quando questa conobbe le sue prime affermazioni, in occasione dei congressi del 1912 e del 1914, cominciò ad assumere ruoli dirigenti. Così nel marzo 1914, alla vigilia del congresso nazionale di Ancona, gli fu affidata l'amministrazione del giornale La Difesa, organo del partito socialista fiorentino. Del giornale e del partito condivise la linea di ferma opposizione alla guerra, e nel settembre 1914 fu tra gli autori del manifesto del comitato provinciale del PSI in cui essa veniva definita "la più tipica manifestazione della prepotenza e del privilegio borghese" e si invitavano gli iscritti a opporsi a un intervento dell'Italia "a fianco dell'una o dell'altra parte belligerante".
Il L. sostenne con vigore tali posizioni anche quando il fronte neutralista cominciò a incrinarsi e si profilò il rischio che, con le divisioni interne, crescesse anche l'isolamento politico dei socialisti nel Paese. L'impopolarità della linea antinterventista ebbe un chiaro riscontro nel gennaio 1915 quando, alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Firenze, la lista presentata dai socialisti - che comprendeva sia riformisti sia rivoluzionari, e includeva anche il suo nome - riportò una grave sconfitta. La lista ottenne infatti soltanto 12 seggi contro i 48 del blocco moderato, a fronte dei 29 seggi contro 31 che aveva conseguito l'anno precedente.
Nel marzo 1915 il L. fu eletto membro del comitato federale della federazione fiorentina del PSI, che però ebbe vita breve. Subì infatti i contraccolpi della crisi che si abbatté sul partito alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia, quando anche La Difesa dovette sospendere le pubblicazioni per qualche mese e alcuni esponenti di spicco passarono nel campo degli interventisti. Uno di questi fu il direttore del giornale M. Terzaghi, che godeva di grande popolarità e prestigio in ambito locale, e proprio il L. fu tra i più fermi nel chiederne l'espulsione dal partito. Insieme con altri membri del comitato esecutivo della federazione provinciale, come A. Caroti, E. Gennari, A. Aspettati, già dalla fine del 1915 egli avviò un'intensa opera di riorganizzazione del partito che portò il nucleo rivoluzionario a conquistare una posizione di assoluta egemonia e a fare di Firenze durante la guerra la "capitale dell'intransigentismo".
A partire dal 1915, firmandosi con lo pseudonimo di Vezio, il L. cominciò a scrivere regolarmente sulla Difesa, commentando sia le vicende politiche interne sia quelle internazionali. Ammiratore delle posizioni classiste di W. Liebknecht, durante la guerra si avvicinò alle tesi di Lenin e avversò il centrismo pacifista, impersonato in Italia dal "né aderire né sabotare" di C. Lazzari. Nel 1918, da poco divenuto direttore della Difesa, ebbe espressioni molto severe nei confronti del gruppo parlamentare socialista per il "morboso indifferentismo" con cui aveva reagito ai provvedimenti repressivi che il governo aveva adottato contro il PSI. Non giunse però a negare la tattica elettorale o a predicare l'astensionismo, e semmai si adoperò per favorire un'alleanza fra la sinistra socialista e i gruppi sindacalisti rivoluzionari e anarchici. Socialisti rivoluzionari e anarchici costituivano del resto la maggioranza del Sindacato ferrovieri italiani (SFI), del quale il L. fu un attivo dirigente. Ciò non gli impedì tuttavia, nel marzo 1919, di far approvare alla sezione fiorentina una mozione con la quale si chiedeva l'adesione dello SFI alla Confederazione generale del lavoro e, al successivo congresso nazionale di questo sindacato che si aprì il 2 apr. 1919 a Torino, di proporre che su tale questione si pronunciassero direttamente gli associati mediante un referendum.
I moti del caro-viveri del giugno-luglio 1919, che proprio a Firenze videro una grande partecipazione popolare con forme di protesta particolarmente violente, apparvero al L. come i prodromi di una vera e propria azione rivoluzionaria. Essa avrebbe dovuto realizzarsi compiutamente in occasione dello sciopero generale internazionale del 20 e 21 luglio 1919, che invece si rivelò soltanto come un'ennesima manifestazione di protesta, cui, fra l'altro, non aderirono i ferrovieri. Questa defezione mise il L. in posizione di imbarazzo e lo indusse a rassegnare le dimissioni dalla direzione del giornale socialista e dalle cariche che ricopriva nel partito e nell'organizzazione sindacale. Non fu candidato perciò alle elezioni politiche del 1919, ma riprese ben presto la sua attività sia nel sindacato (per la quale fu anche arrestato e tenuto in carcere per alcuni giorni) sia nel partito, dove divenne il più autorevole dirigente della corrente comunista elezionista.
Nel novembre 1920 fu eletto nel Consiglio provinciale di Firenze in rappresentanza del mandamento di Pontassieve, mentre il risultato negativo ottenuto dai socialisti gli impedì di entrare nel Consiglio comunale del capoluogo toscano. Sempre nel novembre 1920 la frazione comunista, guidata dal L., da A. Caroti e da G. Caparrotta, assunse il controllo della federazione provinciale socialista di Firenze, sopravanzando la corrente massimalista unitaria e quella riformista. Conseguentemente, al congresso nazionale socialista di Livorno del gennaio 1921 la maggioranza della federazione si schierò con i comunisti e il L. fu così tra i fondatori della sezione fiorentina del Partito comunista d'Italia, inaugurata ufficialmente il 7 febbr. 1921. Anzi, della sezione egli fu il primo segretario nonché il direttore del suo nuovo periodico, L'Azione comunista.
Fu questa l'ultima importante iniziativa politica del L., la cui vita fu stroncata dal brutale assassinio perpetrato il 27 febbr. 1921 da un gruppo di squadristi fascisti, che penetrarono nella sede della sezione fiorentina dello SFI e lo uccisero a revolverate.
La notizia dell'omicidio provocò una forte protesta popolare e dette luogo a disordini e violenze che si protrassero per tre giorni, finché intervenne la dura repressione della guardia regia e dei carabinieri. Durante la guerra di liberazione il nome del L. fu poi assunto da una brigata Garibaldi, che operò nelle province di Siena e di Grosseto.
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