Spazio e tempo dell’espansione cristiana
La geografia ecclesiastica fra III e IV secolo
A partire dall’editto di Milano il cristianesimo conosce indubbiamente un decisivo e per certi versi irreversibile sviluppo sul piano della propria visibilità1. Assai ridotta nel II secolo, dato che ancora i cristiani cercano piuttosto la discrezione e il nascondimento, essa comincia ad accrescersi nel secolo successivo, come attestano le edificazioni presenti nei luoghi di culto e nelle aree cimiteriali. Di norma essi non prediligono la visibilità offerta dagli spazi pubblici idonei alla socializzazione (come, ad esempio, il foro e le terme) per la loro azione evangelizzatrice. In seno alla società antica, la loro è una presenza più discreta, ma non per questo settaria e misteriosa: si consideri la scuola di Giustino a Roma, frequentata pure da gentili e giudei; e anche (sebbene siano da tenere nel debito conto le differenze esistenti tra i diversi contesti) le scuole alessandrine di Clemente e Origene. Specie i cristiani dell’alta società, se non vogliono venire meno alla loro fede, in particolare nella pratica della vita quotidiana, sono tenuti ad assumere comportamenti che spesso divergono da quelli comuni nel resto della società, determinando evidentemente una loro distinta visibilità pubblica, che a poco a poco cresce, parallelamente al loro aumento numerico. Ma il cristianesimo ben presto trova accoglienza presso individui di ogni condizione sociale ed economica, così che appare corretto sostenere che agli inizi del IV secolo la presenza dei cristiani nella società romana sia un dato noto e rilevante, sebbene non in tutte le aree e le città dell’Impero in modo eguale.
Anche prima della concessione della libertà religiosa, i rapporti fra cristiani e pagani non sono esclusivamente conflittuali (non c’è dunque solo il cristiano come hostis publicus su cui tanto insiste l’apologetica), se ci si attiene a quanto scrive Atanasio d’Alessandria, che riferisce d’avere sentito i suoi genitori raccontare come dei pagani avessero protetto, anche a caro prezzo, taluni cristiani perseguitati2. Certo è, tuttavia, che i cristiani, con Costantino al potere, non solo cessano di essere ritenuti ‘nemici della società’, ma divengono sempre più oggetto di speciali favori da parte delle leggi imperiali. La Grande Chiesa, gerarchica e istituzionalizzata, gode ora di privilegi ed esenzioni. Il clero cristiano, quindi, acquisisce considerazione sociale, ma insieme è fatto segno d’invidia, specie per l’esenzione dai munera, ossia da alcuni servizi di carattere pubblico. Le conversioni s’accrescono in modo vistoso, ma non di rado per ragioni d’interesse. Inoltre, l’erezione di importanti edifici di culto avvia un graduale processo di trasformazione del panorama urbano. Il giorno di culto cristiano, riconosciuto da Costantino, dà inizio a una lenta trasformazione del tempo religioso, sociale e politico della vita pubblica. Anche l’organizzazione delle Chiese cristiane si adegua presto alla nuova, vantaggiosa situazione.
Il presente contributo è complementare a quello sull’organizzazione interna ed esterna delle Chiese cristiane. Tra i due vi è una stretta correlazione, in quanto la geografia ecclesiastica dell’età costantiniana è conseguenza diretta e insieme riflesso dello sviluppo organizzativo conosciuto dalle diverse Chiese locali di quel tempo, considerate congiuntamente e in entrambe le prospettive, quella della propria vita interna e quella della relazione con le Chiese sorelle3.
La koinonia tra le Chiese nell’ambito della Chiesa cattolica è la principale ragione che spiega quel continuo andirivieni di missioni evangelizzatrici, reso possibile, evidentemente, dai progressi tecnico-scientifici dell’epoca. Essa, come è noto, è caratterizzata da interminabili e avventurosi viaggi terrestri e marittimi, innumerevoli lingue parlate e scritte, migrazioni di popoli: un insieme di elementi in cui trovano facilmente spazio la circolazione d’individui e d’idee, e la diffusione di esperienze e di fedi religiose. Così avviene anche per il cristianesimo, che si organizza nello spazio e nel tempo a seconda della sua presenza nel territorio e della crescita numerica delle singole Chiese.
La geografia ecclesiastica è dunque strettamente correlata con la diffusione del cristianesimo, il numero dei cristiani e le diverse componenti dei gruppi che si rifanno a Cristo. È comunque importante tenere presente la fondamentale distinzione fra le testimonianze cristiane locali (specie archeologiche ed epigrafiche) e le organizzazioni ecclesiastiche che si strutturano attorno al modello della diocesi, della parrocchia o anche della chiesa rurale. Sono fenomeni diversi tra loro e non paralleli. In molti luoghi le testimonianze di cui si dispone attestano presenze cristiane, ma non è invece noto il tipo di organizzazione ecclesiastica diffuso nel territorio. Si sa, per fare solo qualche esempio emblematico, dell’esistenza di una comunità cristiana organizzata a Dura Europos, sulla riva destra del fiume Eufrate, con un edificio di culto ben costruito, posta presumibilmente sotto la guida di un vescovo locale, di cui non si conosce il nome. Dura Europos, presso l’attuale villaggio di Salhiyah in Siria, era situata al confine dell’Impero romano e vi affluivano popoli diversi per cultura, lingua e religione. Fu distrutta nel 256 e in seguito sommersa dalla sabbia, fino agli scavi di qualche decennio fa. La abitavano sia giudei, di cui è stata trovata una sinagoga affrescata, sia cristiani, che si servivano di un edificio ben strutturato (una domus ecclesiae) di due piani, come risultato di una trasformazione di un edificio precedente costruito (secondo l’uso romano) con peristilio centrale. Sono state individuate nell’edificio stanze di servizio proprie dell’abitazione, ma anche una sala comune e un battistero affrescato. Era quindi presente una comunità, di cui non è noto il nome di alcun vescovo. Invece, anche se le testimonianze sono del quarto secolo, a Hinton St Mary, nel Dorset (nel sud della Britannia) è stato rinvenuto nel 1963 un grande mosaico con motivi cristiani, e in particolare un busto di Cristo. Poiché nel grande mosaico sono presenti anche motivi pagani, tutto il complesso doveva essere una lussuosa villa privata. Per il territorio del Dorset non si hanno indizi di comunità organizzate con una sede episcopale.
Non è noto il numero dei cristiani alla fine del primo secolo. Secondo alcune statistiche, essi erano solo alcune migliaia. Ma non si dispone di un numero credibile neanche per gli inizi del quarto secolo, ossia per il tempo della battaglia di ponte Milvio. Tutte le statistiche demografiche per l’antichità presentano enormi margini di approssimazione4. Roma è la città antica su cui si hanno maggiori informazioni e migliori strumenti per il calcolo dei suoi abitanti: congiaria, frumentationes, caro porcina, insulae, e altro ancora). Eppure gli studiosi offrono delle cifre molto divergenti. Secondo le recenti ricerche di Elio Lo Cascio, al tempo di Augusto la popolazione libera di condizione cittadina non poteva ammontare a molto più di seicentomila persone5. La popolazione romana sostanzialmente è restata stabile nei secoli successivi, subendo una diminuzione al tempo delle grandi epidemie della fine del II secolo. La stessa cifra si prospetta per il V secolo, mentre un forte decremento demografico è determinato dall’invasione di Alarico (408-410). Ora, se è difficile calcolare il numero degli abitanti di Roma o di altre grandi città, ancor di più lo è per aree di cui si conserva scarsissima documentazione. Fa eccezione l’Egitto che, per l’abbondanza dei testi papiracei, è oggetto d’intensa ricerca.
Per uno sguardo sui cristiani per così dire ‘dall’esterno’, resta sempre interessante la testimonianza dell’intellettuale pagano Celso, che scrive verso il 180 d.C. Egli, nel trattare delle varie sette cristiane, viene a dire: «All’inizio erano pochi e tutti concordi; cresciuti di numero, e disseminati qua e là, continuano a dividersi e a separarsi, e ciascuno vuole avere la propria fazione [...]. E nuovamente separati fra loro a causa del loro numero elevato, continuano a criticarsi l’un l’altro»6. Il testo è in linea con quanto gli autori cristiani sostengono da Tertulliano in poi. Anche Origene presenta un testo significativo: una omelia sui salmi, recentemente scoperta, nella quale mostra la progressiva recessione delle scuole eretiche a vantaggio del progresso dell’unità cristiana nella dottrina. Nel commentare Sal 77,9-10: «I figli di Efraim, che tendono e scoccano l’arco, si volsero indietro nel giorno della guerra e non custodirono l’alleanza di Dio», afferma:
Questo lo sappiamo per esperienza: nella nostra giovinezza fiorivano intensamente le eresie e sembravano essere molti coloro che si radunavano attorno a esse. Tutti quelli che erano ghiotti degli insegnamenti di Cristo, non abbondando allora di maestri capaci nella Chiesa, a causa della loro fame imitarono quelli che nelle carestie si danno a mangiare carni umane. Si separarono così dalla sana dottrina, aderendo a qualsivoglia discorso, mentre vennero a formarsi le ‘scuole degli eretici’. Quando, però, la grazia di Dio irradiò un insegnamento più abbondante, le eresie si disfecero giorno dopo giorno e quelli che essi presentavano come insegnamenti segreti furono smascherati e si dimostrarono essere delle bestemmie e dei discorsi empi e atei7.
Coloro che vogliono offrire dei numeri, hanno elaborato dei modelli di calcolo, specialmente in ambito americano e in particolare Rodney Stark. Poiché la sensibilità moderna ama i numeri, molti avanzano calcoli, anche nella consapevolezza del loro carattere approssimativo. Stark ultimamente ha offerto un tabella progressiva, basandosi sul sistema delle proiezioni: per esempio per l’anno 150 calcola l’esistenza di circa 39.000 cristiani; per l’anno 250 ne conta circa 1.120.000; nell’anno 312, i cristiani sarebbero circa 9 milioni, pari al 15% della popolazione8. L’imperatore Massimino Daia, costretto nell’inverno degli anni 212-213 a sospendere la persecuzione, gioisce nell’accontentare le richieste delle città contro i cristiani, dato che costoro continuano a espandersi; erano stati perseguitati quasi tutti, perché in massa erano passati a questo errore9. Non so quanto siano attendibili i dati forniti da Stark, anche perché il calcolo degli abitanti dell’Impero romano è a tutt’oggi molto approssimativo.
È noto invece che nell’ambito dell’Impero romano, agli inizi del IV secolo, c’erano aree in cui la presenza cristiana era molto forte, e altre in cui, viceversa, la popolazione era esclusivamente pagana. Qualche esempio: secondo la testimonianza di Eusebio, una città della Frigia fu bruciata da Diocleziano, perché tutta la sua popolazione si dichiarava cristiana: «Gli abitanti di questa città, infatti, indistintamente, lo stesso curatore e i magistrati con tutti i curiali e l’intera popolazione, si erano dichiarati cristiani»10. Anche Lattanzio ricorda l’episodio dell’incendio di una cittadina della Frigia, senza ricordarne il nome11. Questa città, secondo l’ipotesi di William Mitchell Ramsay12, potrebbe essere Eumenia (oggi Işıklı, sul lago omonimo), nella Phrygia Pacatiana, perché gli scavi archeologici hanno mostrato che in quel periodo essa subì un incendio. In Palaestina Eusebio nomina solo tre villaggi cristiani: Cariatha – un villaggio dell’Idumaea (Arabia) situato vicino a Madaba e abitato da cristiani13 –, Aniata e Ietheira.
Nella Phrygia Salutaris, la città di Orcisto (Ortaköy, prima Alikel Yayla), a trenta miglia da Pessinunte (Galatia), tra il 324 e il 32614 chiede a Costantino che le sia restituito lo statuto di città indipendente da Nacoleia (oggi Seyitgazi). L’imperatore accetta la richiesta, in quanto la sua popolazione è cristiana («quibus omnibus quasi quidam cumulus accedit quod omnes [i]bidem sectatores sanctissimae religionis habitare dicantur»). Successivamente, in risposta a una lamentela della popolazione di Orcisto, in un altro documento del 331, Costantino scrive: «Noi vi concediamo, secondo la vostra richiesta e domanda, di non versare più d’ora in poi la somma solita che versavate in passato per i culti [pagani]» della città di Nacoleia («idque oratis vestris petitionique deferimus ut pecuniam quam pro cultis ante solebatis inferre minime deinceps dependatis»)15. Nonostante Orcisto ora non dipenda più da Nacoleia, essa è costretta a continuare a pagare i contributi per le spese cultuali ufficiali («pecuniam […] pro cultis»): i sacra publica tradizionali, che sono costosi per il mantenimento dei templi, dei sacrifici e del personale. Sembra pertanto che la popolazione di Nacoleia, città più grande, fosse pagana – ma probabilmente c’erano anche dei cristiani –, e praticasse i culti pagani, mentre quella di Orcisto fosse cristiana, ma sicuramente in essa vi erano ancora dei pagani: due località vicine ma religiosamente diverse. Nel testo non è spiegata la ragione dell’opposizione, che può essere ricondotta a motivi di prestigio o finanziari o anche religiosi. Questo argomento è rilevante, perché l’appartenenza religiosa, dichiarata dagli abitanti di Orcisto, depone fortemente a favore della richiesta, in quanto è ripetuta dalla cancelleria imperiale come una delle ragioni per concedere lo statuto di città. Se la richiesta proveniva dagli abitanti locali, essa dovette scaturire dal loro accordo e dal loro convincimento che l’imperatore sarebbe stato più favorevole nell’accoglierla se avessero avanzato un motivo di natura religiosa. Essi sapevano della nuova fede accolta dall’imperatore e della sua tendenza a favorire i cristiani. Tutta la documentazione fu scritta sulla pietra e in latino, in una località in cui solo qualcuno era in grado di leggerla. La popolazione della Frigia, già nel III secolo, era ampiamente cristiana, di fede vuoi cattolica vuoi montanista. Qualche decennio più tardi Giuliano imperatore attesta che gli abitanti di Nisibi (Nusaybin, in Mesopotamia, che Ammiano ricorda quale «orientis firmissimum castrum»16) sono tutti cristiani17, eppure essa è ceduta dal suo successore, Gioviano, all’impero sasanide nel 363.
Un altro modello interpretativo per conoscere la diffusione delle presenze geografiche cristiane nei primi secoli è stato impiegato principalmente per l’Egitto. Si fonda sul principio della diffusione dell’uso del codex per i testi cristiani, sia biblici sia patristici. Nella storia del libro, il passaggio dal rotolo (volumen) al codice (codex) è considerato un cambiamento culturale di forte incidenza sociale e religiosa. Esso si presenta a Roma, già a partire dal primo secolo, e si diffonde nelle province, successivamente; non è di origine cristiana, ma pagana18. Neppure si può supporre che il fenomeno abbia avuto l’appoggio delle autorità cristiane centrali, perché è, invece, frutto di ragioni economiche e culturali19. In un primo momento il codice si affianca al rotolo, ma tra il III e il IV secolo lo sostituisce completamente. Varie ragioni influiscono sulla diffusione del codice20. Si ha un cambiamento culturale in relazione al linguaggio, parlato o scritto. Il codice è più facilmente sfogliabile e adoperabile. Occorre notare che i cristiani, distanziandosi dagli ebrei, che conservano il volumen, preferiscono l’uso del codice per le loro scritture sacre:
Forma che risulta sempre adottata pur nella diversificazione delle tipologie dovute alle diverse funzioni cui il libro era chiamato: copie vergate talora in scritture documentarie e informali destinate a letture private, copie magari più accurate per le ufficiature liturgiche, copie di lusso per determinate cerimonie o per ostentazione di opulenza21.
La catechesi cristiana, che nei primi decenni è prevalentemente orale, ha bisogno sempre più spesso del testo scritto, in quanto è fondata sempre più sui testi biblici, che sono commentati e da cui prendono le mosse sia la predicazione sia l’istruzione degli aspiranti al battesimo.
Ora, la diffusione dell’uso del codex fatto con il papiro egiziano può essere d’aiuto nella conoscenza della presenza dei cristiani? Basandosi sull’esistenza di papiri del II secolo, sussiste la convinzione che, prima dell’episcopato (189-233) di Demetrio d’Alessandria, il cristianesimo sia abbastanza diffuso tanto in quella metropoli quanto nelle sue aree rurali, rendendone possibile l’organizzazione. Roger Bagnall contesta questa convinzione, basandosi principalmente su due argomenti: esistono difficoltà serie nella datazione dei testi papiracei ed è incerto che i papiri contenenti brani biblici dell’Antico Testamento siano da considerarsi tutti cristiani e non anche giudaici. Per l’Egitto, non è nota con precisione la consistenza della presenza cristiana prima dell’episcopato di Demetrio. Lo studioso sopra citato suppone che all’inizio dell’episcopato di Demetrio i cristiani fossero meno di ventimila, mentre gli abitanti di tutto l’Impero si aggiravano attorno ai 55 milioni (un dato, quest’ultimo, oggi accettato dalla maggioranza degli studiosi). Sempre Bagnall, rifacendosi al modello di Stark, insiste sulla diffusione dei testi cristiani, biblici e non biblici, in Egitto, ribadendo che, sebbene nessun numero sia pienamente corretto, il livello di approssimazione cui oggi si è pervenuti è sostanzialmente valido, a prescindere dai presupposti assunti per l’indagine demografica22. Bagnall pensa inoltre che verso l’anno 200 i cristiani fossero 22.000, dei quali circa 5.000 ad Alessandria, e che alla fine dell’episcopato di Eracla (250) si siano raggiunte le 117.000 unità23. L’esattezza delle cifre non deve trarre in inganno, perché essa è solo approssimativa e ipotetica. Per di più non si conoscono la distribuzione della popolazione nei diversi distretti e quindi la precisa percentuale della presenza cristiana in ciascuno di essi. La distanza dalla città principale del distretto (la metropoli o la stessa Alessandria) richiedeva la moltiplicazione delle sedi episcopali in rapporto alla consistenza di una Chiesa cristiana.
In relazione alla composizione delle comunità cristiane, e indirettamente in relazione al numero dei componenti, si possono prendere in considerazione le presenze femminile e maschile. Ebbene, le donne, nella società egiziana, hanno lasciato meno visibilità e minori tracce. Gli uomini liberi, che erano coinvolti nella vita sociale, politica e religiosa molto di più delle donne, avevano di conseguenza maggiori difficoltà delle donne ad abbracciare il cristianesimo, che esigeva comportamenti incompatibili con le richieste e le convenienze politiche e sociali, mentre in qualche modo le donne, godendo di maggiore libertà, avevano meno ostacoli, rispetto agli uomini, ad aderire alla religione cristiana. Alcune fonti sono spie importanti di ciò, in quanto portano a pensare, anche se è impossibile quantificare il fenomeno, che la componente femminile fosse superiore a quella maschile.
Tertulliano affronta il problema femminile cristiano, volgendo la propria attenzione specie sulle donne di ceto alto, nobili e ricche, che, per non sposare cristiani di inferiore condizione sociale, scelgono di unirsi a pagani, «mariti schiavi del diavolo» (uxor. II 8,2). Egli osserva che il fenomeno si verifica tra «le donne più ragguardevoli», perché «è difficile trovare un uomo ricco nella casa di Dio; se poi se ne trova uno, è difficile che sia da sposare». Tale affermazione rispecchia la situazione della Chiesa di Cartagine, dove le donne di classe superiore sembrano essere in netta maggioranza rispetto agli uomini. La stessa situazione si deve essere verificata altrove. A Roma, Callisto, stando alle accuse di Ippolito, permette alle donne cristiane di ceto elevato di unirsi con uomini di condizione inferiore al di fuori delle norme giuridiche romane. Esse devono infatti appartenere all’ordine senatorio24. Se donne cristiane di alta condizione sociale hanno un marito pagano, e il caso non è infrequente, non sono noti, viceversa, mariti cristiani che abbiano mogli pagane. I mariti pagani, pur di sposare ricche cristiane, si mostrano facilmente disponibili a mettere da parte la loro religione. D’altra parte, non si denunzia a cuor leggero e impunemente la moglie di un potente personaggio. Uno dei mezzi adoperati dai cristiani per evitare la persecuzione è quello di imparentarsi con persone dell’alta società. Ippolito, agli inizi del III secolo, riferisce il caso di un governatore della Siria, che lascia libera una banda di cristiani con a capo il loro vescovo, per compiacere sua moglie cristiana25. Non li persegue né come cristiani né come briganti, quali sono diventati. Mentre, secondo Tertulliano, il governatore della Cappadocia, Claudio Lucio Erminiano, profondamente ferito dall’adesione al cristianesimo della moglie, si sfoga con la persecuzione26: due personaggi dell’alta società che reagiscono in modo diverso di fronte al cristianesimo delle rispettive consorti. Ma la reazione più frequente doveva essere quella del legato di Siria. Al cristianesimo pertanto giovava molto la conversione dei membri dell’alta società, che stabiliva e applicava leggi e punizioni.
Una delle accuse che i pagani rivolgono ai cristiani è che nelle loro assemblee comandano le donne. Porfirio, alla fine del III secolo, presenta le comunità cristiane come poste sotto il dominio delle donne27. Riferisce anche della preoccupazione di un tale che si rivolge ad Apollo per sapere: «Quale dio debba propiziarsi per richiamare sua moglie dal cristianesimo». Apollo risponde:
Forse ti sarebbe più facile scrivere incidendo le lettere sull’acqua o volare come un uccello spiegando ali leggere ai soffi dell’aria, che non richiamare alla ragione una moglie appestata dall’empietà. Continui a suo piacimento, insistendo in quei vuoti inganni, in quei piagnistei vuoti di compianto d’un dio morto, condannato da giudici corretti e ucciso dalla morte connessa al ferro, il peggiore degli spettacoli28.
Per questa ragione, più tardi Girolamo ammonisce: «Vigiliamo a che le matrone e le femmine non siano, come vorrebbe Porfirio, il nostro Senato e non dominino nelle Chiese; stiamo attenti a che non sia il favore delle femmine a giudicare del rango sacerdotale»29. Il cosiddetto concilio di Elvira30, constatando l’abbondanza di ragazze cristiane («copia puellarum»), che, in mancanza di propri coetanei correligionari, sposano pagani, mettendo così in pericolo la propria fede, prescrive dunque: «Per l’abbondanza di fanciulle, non si diano vergini cristiane in spose ai pagani, perché la loro giovane età non le conduca all’adulterio dell’anima»31. Qualche anno più tardi (314) il concilio di Arles rispecchia lo stesso problema e lo stesso pericolo in una situazione geografica molto più ampia. Stabilisce infatti: «A riguardo delle ragazze cristiane che si sposano con pagani, si è deciso che, per qualche tempo, siano tenute fuori della comunione»32. Perché una tale decisione? Occorre supporre che esistesse ancora una copia di puellae cristiane e una paucitas di pueri cristiani. Si commina una pena, l’astensione dalla comunione. Non è da escludere che le donne fossero battezzate prima rispetto agli uomini, che rimandavano più facilmente il battesimo a età avanzata.
Non si è a tutt’oggi in grado di offrire una precisa comparazione statistica tra donne cristiane e uomini cristiani, se non avventurandosi nella pura congettura. Tuttavia, può comunque essere utile tenere presente il verbale redatto a Cirta (Numidia) nel 303, per le indicazioni che offre: sono sequestrati indumenti in netta maggioranza di donne: «Ottantadue tuniche da donna, trentotto veli, sedici tuniche da uomo, tredici paia di calzature da uomo, quarantasette da donna»33.
Questi brevi cenni consentono comunque di comprendere che è possibile seguire due diversi modelli interpretativi delle fonti per giungere ad avere una qualche idea del numero dei cristiani nei primi decenni del quarto secolo: un primo semplicemente ‘quantitativo’, che studia il fenomeno in relazione alla totalità della popolazione, e un secondo, forse meglio documentabile, che si propone di stimare la differenza numerica dei cristiani considerati localmente. Nell’ambito di questo secondo modello, vengono a essere una spia le sedi episcopali, considerate alla luce del loro numero e della loro diffusione capillare, insieme con i corepiscopati. Questi erano sedi episcopali di piccoli centri o delle campagne, ed erano diffusi in alcune province orientali. Un punto di partenza significativo è la partecipazione dei vescovi e dei corepiscopi ai concili, anzitutto al niceno del 325, tenutosi solo qualche mese dopo la vittoria di Costantino su Licinio nel settembre del 324. In breve tempo, appena dopo la riunificazione dell’Impero, si organizza questa grande assemblea, che vede la partecipazione di vescovi che hanno impiegato mesi per raggiungere il luogo d’incontro. È la prima volta che si tiene una riunione così importante, e si deve quindi supporre un ingente ed efficiente impegno organizzativo imperiale: spedizione di centinaia di lettere di convocazione, concessione dell’uso del trasporto pubblico (cursus publicus), alloggio per i vescovi e il loro seguito, etc. Il Concilio si apre il 20 maggio alla presenza dell’imperatore. Molti tra i partecipanti hanno sperimentato la persecuzione e taluni ne portano ancora i segni, come Pafnuzio, privo di un occhio.
Non è dunque facile documentare la consistenza dei cristiani agli inizi del IV secolo. Ogni numero è alquanto aleatorio. Mi sembra invece più storicamente fondato il discorso sulla diffusione geografica del cristianesimo in questo periodo, prendendo le mosse sempre dai due concili convocati da Costantino e sopra ricordati: il primo, quello tenutosi ad Arles nel 314 per l’Occidente, e il secondo, quello tenutosi a Nicea nel 325 per l’Oriente. All’assemblea conciliare di Arles, riunitasi in piena estate (inizi d’agosto del 314), erano presenti solo vescovi di sedi occidentali poste sotto il controllo di Costantino. Soltanto quarantaquattro Chiese sono rappresentate e risultano firmatarie delle decisioni: tredici dall’Italia (incluse le isole), sei dalla Spagna, tre dalla Britannia, nove dall’Africa e sedici dalla Gallia. Sono presenti anche quattro vescovi donatisti, che sono però condannati e quindi non firmano alcuna decisione. Partecipano soltanto trentadue vescovi, in quanto dodici Chiese inviano solo delegati (presbiteri, diaconi o chierici inferiori). Per ‘qualità’, la rappresentanza è significativa: sono presenti Chiese quali Milano, Aquileia, Siracusa, Mérida, Colonia, Cartagine, Roma. I tre vescovi provenienti dalla Britannia (Londra, Lincoln e York) sono probabilmente noti di persona a Costantino. La Gallia meridionale, seppure abbastanza cristianizzata, registra tuttavia la presenza di un esiguo numero di vescovi. Ma in generale, perché così pochi da tutto l’Occidente latino? La risposta sta verosimilmente nell’intenzione stessa dell’imperatore, che non si propone di convocare un grande concilio, ma solo di allargare la partecipazione rispetto all’assemblea episcopale tenutasi a Roma nel 313. I dodici vescovi gallici fisicamente presenti – di altre quattro sedi vi sono unicamente i delegati, e sono esclusi i vescovi delle vicinanze di Arles – guidano Chiese di città capitali di provincia: sono vescovi che in Oriente sarebbero già indicati col titolo di metropolita. Sono inoltre ad Arles tre vescovi che hanno preso parte all’assemblea romana dell’autunno del 313. Non si trova una ragionevole spiegazione per l’assenza dei vescovi della vicina provincia narbonense, che in quel periodo conta almeno due importanti sedi episcopali (Narbona e Tolosa). Il vescovo di Die (Dea Augusta Vocontiorum), nel mezzogiorno orientale della Gallia, presente al concilio di Nicea, unico vescovo proveniente dalle regioni nordoccidentali d’Europa (Gallia e Britannia), non è viceversa ad Arles. La partecipazione al concilio di Arles è a carico dello Stato. Se esso fornisce gratuitamente i mezzi di trasporto ai vescovi e al loro seguito, il viaggio è certamente sicuro e protetto. Possono partecipare tuttavia solo i vescovi invitati espressamente dall’imperatore, che cerca una rappresentanza regionale.
Secondo Atanasio, al tempo del concilio di Serdica (oggi Sofia, Bulgaria), ossia attorno al 343, ben trentaquattro vescovi gallici gli erano favorevoli34. Alla metà del IV secolo la Gallia conta oltre quaranta sedi episcopali (Langres, Sens, Auxerre, Troyes, Orléans, Paris, Metz, Verdun, Basilea, Magonza, Agen, etc.), e il loro numero aumenta progressivamente (Embrun, Digne, Fréjus, Aux, Gap, Grenoble, Genève, Valence, Nimes, Angers, etc.). L’area con la maggiore presenza di sedi è il Centro-Sud della Gallia, in particolare i distretti della Viennensis, della Narbonensis e della Lugdunensis. Non senza ragione i concili in genere si tennero in queste regioni: Arles (314 e 353), Béziers (356), Valence (374) e, in connessione con i problemi dell’episcopato gallico, a Torino (398). Nella Gallia nord-orientale, Tongeren (nell’attuale Belgio) aveva un vescovo (Servatius, poi alla guida della Chiesa di Maastricht), non diversamente da Bagacum (oggi Bavais, Fiandre). Per molte città la tradizione menziona solo martiri. L’accrescimento delle sedi episcopali è solo un segno dell’evangelizzazione, in quanto, se risulta sempre difficile valutare la profondità dell’azione missionaria nelle menti e nei cuori, il discorso vale ancor più per le campagne galliche. Ad Arles, la presenza di tutte le province africane è molto ridotta in relazione al numero delle sedi episcopali, già diffuse capillarmente.
La Chiesa africana presenta un numero elevato di sedi episcopali. A un sinodo celebrato a Cartagine agli inizi del III secolo35, al tempo del vescovo Agrippino, partecipano una settantina di vescovi locali, e sicuramente molti altri sono assenti; mentre a un altro sinodo, tenutosi verso il 24036, i vescovi presenti sono una novantina37. Le sententiae dell’assemblea del 256 sono firmate da 87 vescovi. L’Africa romana, tuttavia, è un caso eccezionale per la densità di sedi episcopali rispetto alla altre province romane. La Chiesa romana, per la condanna di Novaziano nel 251, riunisce soltanto sessanta vescovi, alcuni dei quali probabilmente non sono del territorio italiano, ma in verità questo numero sembra eccessivo per l’Italia. In Africa, nel 336, a un sinodo convocato dal vescovo scismatico Donato partecipano 270 vescovi donatisti. Ora, in molte sedi sono presenti due vescovi, uno cattolico e uno donatista, mentre in altre o solo un vescovo cattolico o solo un vescovo donatista. Una considerazione complessiva porta a dire che le sedi episcopali dovettero essere molte di più rispetto a quelle che si conoscono attraverso i documenti, in quanto occorre tenere conto del fatto che numerosi vescovi non presero parte ai sinodi, sia per l’età avanzata, sia per le precarie condizioni di salute, sia infine per la fatica che richiedeva coprire distanze talora immense. Non si è pertanto troppo lontani dal vero nel ritenere che in Africa romana, nel 325, anno del concilio di Nicea, ci potessero essere pressappoco trecento sedi episcopali.
Il primo concilio importante tenutosi in Oriente è quello di Antiochia del 268 contro il vescovo locale Paolo di Samosata. Prendono parte a esso vescovi di diverse province. Le fonti divergono sul numero dei partecipanti38. La sinodale, di cui Eusebio riporta taluni estratti39, è firmata da una quindicina di vescovi, tutti alla testa di importanti sedi episcopali: fra di loro, Eleno di Tarso, Imeneo di Gerusalemme, Teotecno di Cesarea di Palestina, Massimo di Bostra, Nicomas d’Iconio. Firmiliano di Cesarea, che era già stato ad Antiochia, muore mentre è in viaggio per Tarso. Dionigi di Alessandria si scusa di non poter partecipare, ma invia una lettera. Il principio su cui si basa la partecipazione non è il numero dei vescovi, ma l’importanza della sede episcopale. I metropoliti diventano i portavoce degli altri vescovi, e nello stesso tempo informano gli altri mediante contatti personali e la sinodica conciliare. I vescovi che prendono parte al concilio, in questo caso, devono viaggiare a proprie spese.
Le esperienze di Antiochia e di Arles permettono di osservare il modo in cui le Chiese locali si rapportano fra loro. Ancora più importante, per l’Oriente e la Chiesa tutta, è il concilio di Nicea (oggi İznik, Turchia occidentale) del 325. Non si conosce il numero esatto dei partecipanti a tale concilio, ma le fonti più sicure parlano di oltre trecento (altre liste, comunque, accreditano numeri inferiori). Sono presenti anche alcuni vescovi provenienti da regioni poste al di là del confine dell’Impero romano: uno dalla Persia, uno dalla Gothia, un altro da Cadmo nel Bosforo Cimmerio. Solo una piccola rappresentanza occidentale: Roma, Cartagine40 (con Ceciliano), Dea Augusta (oggi Die, Francia meridionale). Nessuna dalla penisola balcanica, viceversa molto ben rappresentata nel concilio di Serdica. Tanto la partecipazione episcopale al concilio di Nicea quanto le sue decisioni rispecchiano l’evoluzione dell’organizzazione interna ed esterna della Chiesa, e solo assai parzialmente la sua diffusione geografica. Le fonti antiche differiscono sul numero dei vescovi partecipanti. Testimoni oculari offrono dati differenti: Eusebio di Cesarea riferisce di oltre 250 vescovi presenti41; Eustazio di Antiochia ne calcola 270, dei quali 14 corepiscopi42; Costantino, Atanasio (in più occasioni), Giulio di Roma e Lucifero di Cagliari concordemente parlano di trecento vescovi presenti43. Il numero cresce fino a raggiungere quello di trecentodiciotto, considerato canonico44. Secondo Ernest Honigmann45, il numero di circa trecento è il meglio attestato e il più sicuro: esso fu sostituito con quello di trecentodiciotto per analogia con i trecentodiciotto servitori di Abramo, di cui parla Gen 14,14. L’assenza dei vescovi latini è giustificata in molte liste posteriori con l’affermazione che essi, totalmente ortodossi, sono sì presenti al concilio, ma per la ragione sopra esposta non firmano.
Quanto si è fin qui detto offre di certo un criterio diverso da quelli usuali nella prospettiva dell’esame della presenza cristiana in relazione alla propria organizzazione territoriale, ma non in relazione al numero dei cristiani di ciascuna Chiesa o alla totalità della consistenza numerica cristiana al tempo di Costantino. L’approccio al numero delle sedi episcopali costituisce un modello d’analisi più affidabile, poiché offre maggiori informazioni sulla diffusione nel territorio. Il fatto che ci sia un solo vescovo per ciascuna Chiesa cittadina, cioè per ciascuno di quegli agglomerati urbani considerati e riconosciuti come città, è esso pure un criterio che presenta lati deboli. Infatti vi sono aree geografiche in cui le città sono numerose e talvolta molto piccole, come ad esempio nelle due province proconsolari, quella d’Africa e quella d’Asia, ma ve ne sono anche altre in cui fenomeni di urbanizzazione sono molto rari, come ad esempio nella Gallia occidentale e settentrionale o nella Cappadocia. Sul piano della presenza episcopale, l’organizzazione urbana crea un forte squilibrio, che deriva non solo dal differente modello di urbanizzazione, ma anche dalla concreta cristianizzazione che una città conosce.
Il caso della Gallia può essere un esempio della crescita del cristianesimo a partire da Costantino, alla luce dei partecipanti ai concili e di quanto scrive Ilario di Poitiers (morto nel 367), che osserva: «Ogni giorno la confessione della fede si moltiplica e aumenta per la ricezione della benedizione da parte del popolo credente, poiché sono abbandonate le superstizioni pagane e le empie favole sugli dei, gli altari dei dèmoni, la vanità degli idoli, e il cammino e progresso di tutti si dirige verso la salvezza»46. Resta singolare che alcune importanti città diventino sedi episcopali alquanto tardi: il primo vescovo conosciuto di una città importante quale Tolosa è Saturnino, martire durante la persecuzione di Decio. Bourges, capitale dell’Aquitania prima, diviene sede episcopale solo nel V secolo. Il territorio di Tours deve la sua evangelizzazione a Martino nella seconda metà del IV secolo. Il primo vescovo di Salona (oggi Split), importante città e capitale della Dalmatia, è attestato agli inizi del IV secolo: si tratta di Domnio, martire nel 30447. La città venera anche altri martiri. Di Serdica, sede imperiale agli inizi del IV secolo, nella Dacia Mediterranea, il primo vescovo conosciuto è Protegene, presente al concilio di Nicea, dove è presente anche il primo vescovo conosciuto di Scupi (oggi Skopje, capitale della Macedonia), in Dardania. Per quest’epoca non si conosce nessun vescovo per Naisso (oggi Niš, Serbia): patria di Costantino: il primo è Ciriaco, presente a Serdica.
In Palaestina, terra d’origine del cristianesimo, quest’ultimo conosce solo una diffusione lenta. La presenza dei ‘luoghi santi’ del Nuovo Testamento non favorisce una sua pronta e capillare diffusione. Gerusalemme, «città madre dei cittadini della Nuova Alleanza»48, per le guerre giudaiche diviene, nel II secolo, una città abitata da gentili, ricevendo pure il nuovo nome di Aelia Capitolina. La lingua greca è la lingua dei cristiani di Palaestina, che comunque è anche luogo di residenza di soldati romani: dunque le iscrizioni sono in latino. La capitale della provincia è Cesarea. Abercio ignora Gerusalemme, non gli interessa, non la nomina neppure49, sebbene passi nel Nord della provincia per recarsi nella pianura della Siria. La comunità di Gerusalemme ha già perso la sua importanza nella coscienza cristiana. Il vescovo metropolita della Palaestina risiede a Cesarea. Abercio invece riserva grandi lodi alla Chiesa romana, e solo ad essa. Si ha un vero e proprio scambio d’importanza tra la Chiesa di Cesarea e quella di Gerusalemme. Cesarea conserva la biblioteca e la tradizione di Origene prima sotto l’episcopato di Teotecno, poi sotto Panfilo. Essa è veramente un centro di cultura cristiana, perché Eusebio ha a sua disposizione una quantità impressionante di testi cristiani, greci e latini, dai quali attinge. I vescovi palestinesi al concilio di Nicea portano nomi quasi esclusivamente greco-romani. La lingua usata nella predicazione e nella liturgia è il greco. Ci sono comunità bilingui, per esempio a Scythopolis, dove al tempo di Diocleziano il lettore Procopio, originario di Gerusalemme, legge la Bibbia in greco e la spiega anche in aramaico (il cosiddetto aramaico palestinese cristiano, un dialetto aramaico adoperato anche come linguaggio scritto in alcune aree della Palestina e della Transgiordania ma solo a partire dal V secolo, di cui pertanto non si è conservato che poco). Il vescovo di Flavia Neapolis (l’attuale Nablus, patria di Giustino) partecipa al concilio di Ancira del 314, ancora al tempo di Licinio, affrontando un lunghissimo viaggio con mezzi propri. Al concilio di Nicea del 325 sono presenti diciassette vescovi (o forse diciotto: il testo parla infatti sia di un Marino di Sebaste sia di un Gaiano di Sebaste) della Palestina: molti altri mancano per varie ragioni. Le province palestinesi sono tre: la Palaestina Prima (Giudea, Samaria e pianura filistea), la Palaestina Secunda (Galilea) e la Palaestina Tertia (parte meridionale), un territorio assai vasto. Nel III secolo personaggi importanti sotto il profilo intellettuale si recano in Palestina, non però come pellegrini in visita ai luoghi santi. Cristiani di tendenza giudeo-cristiana vivono in diverse aree della regione, in particolare gli ebioniti (termine impiegato per indicare genericamente gruppi giudeo-cristiani). In Galilea, detta una volta la terra dei gentili e terra delle prime manifestazioni di Gesù, a partire dal III secolo si edificano molte sinagoghe. I cristiani sono numerosi solo nei centri in cui i giudei sono di meno.
Al tempo di Diocleziano, secondo Eusebio di Cesarea – un testimone autorevole – numerosi cristiani testimoniano la loro fede con il martirio, ma in Palestina solo raramente si costruiscono edifici per il loro culto. Qualche decennio più tardi, dopo il 325, si ha un importante e via via crescente flusso di pellegrini in visita ai ‘luoghi santi’ (è comunque nel VI secolo che nasce l’espressione ‘Terrasanta’50) con conseguente erezione di imponenti basiliche. Si visitano i luoghi dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento e dappertutto si edificano, se non santuari, almeno cappelle. Nella Phoenicia Prima, vale a dire il territorio pianeggiante e costiero della Fenicia, le città ellenizzate conoscono il cristianesimo. La città di Tiro, dove muore Origene nel 254, è un importante centro cristiano. Alla inaugurazione del «tempio più importante della Fenicia» negli anni 315-316, la nuova casa dei cristiani, sono presenti numerosi vescovi invitati dal giovane pastore Paolino. In tale occasione Eusebio di Cesarea pronuncia un lungo discorso, che riporta nella sua ultima edizione della Storia ecclesiastica51. Questa comunità dovette essere grande e ricca per potersi permettere, senza finanziamenti imperiali, una simile costruzione in poco tempo. L’impresa di Paolino dà avvio a una prassi che si diffonde ampiamente nel IV secolo, quella di vescovi che vogliono lasciare memoria di sé e delle proprie imprese dedicandosi ad attività di costruzione. L’entroterra della Fenicia è meno cristianizzato. La sua capitale, Damasco (attuale Siria), ha un lungo passato cristiano. Un vescovo di Emesa (oggi Homs, Siria) è martire durante la persecuzione; il suo successore è presente a Nicea. La provincia romana d’Arabia, fondata da Traiano, al tempo di Diocleziano è smembrata in due parti, l’Arabia, con capitale Bostra (l’imperatore Filippo l’Arabo nasce a nord della città di Bostra, precisamente a Philippopolis, oggi Shahba, Siria), e l’Arabia Petraea, incorporata alla Palaestina, ma dal 358 circa a sé stante col nome di Palaestina Salutaris, con capitale Petra. In queste città dell’Arabia ci si serve del greco; solo i militari usano il latino. Al concilio di Nicea sono presenti cinque vescovi dell’Arabia, in quello di Calcedonia ben diciassette (tra cui un Eustazio vescovo dei saraceni, che nel 458 figura vescovo di Damasco).
La presenza giudaica in Egitto è molto forte, ma non è noto quando il cristianesimo, religione missionaria, giunga ad Alessandria. Il ritrovamento fuori della metropoli, nel corso degli ultimi cento anni, di numerosi papiri cristiani (biblici e non biblici) risalenti ai primi secoli attesta una buona presenza di cristiani già nel III secolo, non documentabile, tuttavia, altrimenti. La perdita di memoria della prima diffusione del cristianesimo non trova una spiegazione concorde da parte degli studiosi (alcuni interrogativi sul tappeto: in quanto giudeocristiani, i seguaci del cristianesimo sono stati perseguitati al tempo della ribellione degli anni 115-117? Oppure, il più antico passato cristiano è stato rimosso, in quanto di matrice gnostica?). Clemente testimonia l’esistenza ad Alessandria, agli inizi del III secolo52, di una comunità cristiana robusta e strutturata, anche socialmente elevata e colta (si pensi in ispecie al Pedagogo). Non altrettanto si può dire per l’esteso retroterra egiziano. La cristianizzazione delle campagne non è molto documentata. I libelli emessi durante la persecuzione di Decio (249-251) documentano una vivace presenza pagana. Taluni pagani potrebbero forse pure essere ex cristiani, che hanno abiurato in ore difficili. Le lettere del vescovo Dionigi mostrano che la Chiesa alessandrina svolge un’azione ad ampio raggio. Gli edifici di culto sono già numerosi nei primi decenni del IV secolo. La grandezza della città e della Chiesa comporta anche un decentramento cultuale. I presbiteri svolgono funzioni nelle chiese decentrate. Ario è presbitero della chiesa di Baukalis, un quartiere della città. Alessandro, vescovo di Alessandria (312-328), e Atanasio rammentano che prima del 325 si è riunito un sinodo di cento vescovi, provenienti da tutto l’Egitto e dalla Libia, per giudicare Ario53. Annik Martin ha individuato per questo periodo solo cinquantasette sedi episcopali per l’Egitto e sedici per la Libia e la Pentapoli. Poiché il vescovo risiede nel capoluogo dell’unità amministrativa (nomos) di propria pertinenza, i presbiteri svolgono le funzioni loro proprie nei villaggi. Nel corso del IV secolo la cristianizzazione dell’Egitto procede rapidamente, come è documentato anche dai papiri, che fanno riferimento alle chiese e al clero. Nonostante la grande autorità del vescovo di Alessandria, agli inizi del IV secolo si verifica lo scisma meliziano. Ma in Egitto non mancano anche altre presenze d’ispirazione cristiana, come gnostici e manichei. La grande metropoli di Alessandria non è comunque soltanto un centro importantissimo dell’ellenismo, ma anche una culla della migliore speculazione teologica cristiana. Lungo le vallate e specialmente per le città del Delta è pure vivacissima la missione, animata dal fenomeno monastico. Così si insediano vescovi anche nelle città più piccole.
La Libia è suddivisa in due province, la Libya Superior (la Pentapoli, con capitale Cyrenae, ossia la Cirenaica in senso stretto) e la Libya Inferior o Sicca (Marmarica). Culturalmente, politicamente ed ecclesialmente è collegata con Alessandria. Già dal III secolo le Chiese libiche sono strettamente correlate con quella di Alessandria, il cui vescovo, Dionigi, invia lettere a due vescovi della Libia: una prima ad Ammonio di Berenice contro Sabellio, e una seconda a Basilide, vescovo delle comunità ecclesiali (paroikon) della Pentapoli. Entrambi subiscono l’esilio, l’uno al tempo di Decio, l’altro sotto Valeriano54. In Libia muoiono come martiri diversi fedeli: Macario, al tempo di Decio55; Teodoro e compagni, sotto Diocleziano56. Anche l’arianesimo acquista in Libia un solido appoggio, sebbene Ario non provenga dalla Libia, ma – questo è certo – sia viceversa alessandrino ed esponente degli ambienti teologici di Alessandria. Tra i fautori di Ario al concilio di Nicea del 325 figurano Secondo di Tolemaide e Teona di Marmarica, esiliati insieme con lui. Altri vescovi libici prendono parte al concilio: Serapione di Antipirgo, Tito di Paretonio, Zopiro di Barca (il porto di Tolemaide) e Dachios di Berenice57. La tradizionale dipendenza delle Chiese libiche dal vescovo di Alessandria è confermata dal canone 6 del concilio di Nicea: «In Egitto, in Libia e nella Pentapoli valga l’antica usanza, per cui il vescovo di Alessandria ha autorità su tutte queste province, poiché una tale consuetudine è invalsa anche per il vescovo di Roma».
Il termine geografico Siria abbraccia una regione assai vasta, grande quasi quanto tutto il Medio Oriente. Sotto il profilo amministrativo, agli inizi del IV secolo si contano numerose province. In base alla riorganizzazione che ne compie Diocleziano, Antiochia diviene sede del governatore della provincia Syria Prima o Coelesyria, e insieme del vicarius della dioecesis Oriens. Le nuove province collegate con Antiochia sono: Syria Salutaris (capitale Apamea), Cilicia Prima o Cilicia Pedias (capitale Tarsus), Cilicia Secunda (capitale Anazarbus), Cyprus (capitale Paphus), Euphratensis (capitale Hierapolis), Phoenicia (capitale Tyrus), Phoenicia Libanensis (capitale Emesa), Isauria (capitale Seleucia), Mesopotamia (capitale Amida), Osrohene (capitale Edessa).
Il cristianesimo vi si diffonde ben presto, già dalle prime missioni cristiane narrate negli Atti degli Apostoli58. Il centro cristiano indiscusso è Antiochia sull’Oronte (oggi Antakya, Turchia), attualmente quasi al confine con la Siria. È una grande città cosmopolita. La comunità antiochena è molto aperta alla missione sia verso l’Oriente (legami con Edessa) sia verso l’Occidente.
Il prestigio della Chiesa antiochena è confermato non solo dal concilio di Nicea del 325, che le riconosce una preminenza insieme con Alessandria e Roma (canone 5), ma anche dal concilio di Costantinopoli del 381 (canone 2). L’autorità di Antiochia non è comunque uguale a quella di Alessandria, anche perché al suo interno, durante il IV secolo, ci sono divisioni. Un’altra comunità di grande livello culturale, nella seconda metà del III secolo, è la Chiesa di Laodicea (oggi Latakia, sulla costa siriana, dove ancora esiste un arco di Settimio Severo), che ha stretti legami con quella di Alessandria.
Nelle due province della Siria, le classi superiori sono completamente ellenizzate e i vescovi parlano, predicano e scrivono in greco. Nelle campagne, invece, il cristianesimo trova difficoltà a espandersi, per la fioritura dei culti tradizionali semitici, reinterpretati secondo la tradizione mitologica greca59. I santuari pagani sono frequentati nel Tardo Antico, anche in città come Apamea e Harran. Specialmente Heliopolis (oggi Ba’albek, Libano) resta a lungo un centro pagano60.
Il massiccio calcareo nelle vicinanze di Antiochia si popola di chiese, mentre qualche tribù resta pagana. Parimenti, in alcune aree sono diffuse forme giudeo-cristiane legate alla tradizione aramaica (ad esempio, Berea e Apamea). A Nicea sono presenti ventitré vescovi, dei quali alcuni provengono da oltre confine; da tutta la diocesis Oriens vengono invece in una ottantina, mentre al concilio di Calcedonia nel 451 sono centoventi. Altre città importanti delle due province della Siria sono: a) sulla costa: Seleucia Pieria, il porto di Antiochia da dove parte Paolo con Barnaba (At 13,4), Gabala (oggi Djebel) e Balanea (oggi Banyâs), i cui vescovi sono presenti a Nicea; b) nell’entroterra: Seleucia Ad Belum, Raphaneae, Arethusa, Epiphaneia, Larissa ad Orontes, Apamea (queste ultime quattro sul fiume Orontes); Chalcis (oggi Qennesirin), Gabbula, Beroea (oggi Aleppo); nell’Euphratensis: Hierapolis (oggi Mabbug), Samosata, Germanicia, Europus, Zeugma, Cyrrhus; nella Phoenicia: Antaradus, Aradus, Arce, Tripolis, Berytus, Biblos (oggi Gebal), Sidon, Ptolemais (oggi Akka), Caesarea Panias o Philippi; nella Phoenicia Libanensis: Heliopolis, Laodicea ad Libanum (oggi Tell Nebi Mand), Emesa (oggi Homs), Palmyra. Il monachesimo, come in altre regioni orientali, si sviluppa diffusamente in Siria. La Siria attuale corrisponde, nelle linee generali, a quella antica; oggi, tuttavia, una parte settentrionale appartiene alla Turchia, mentre una parte meridionale al Libano, con una piccola estensione nella Mesopotamia.
Sebbene nell’antichità, geograficamente e politicamente parlando, il fiume Eufrate costituisca il confine orientale della Siria, non altrettanto si può dire dal punto di vista etnico, culturale e linguistico. Sotto questo profilo, i confini naturali e amministrativi non contano molto. Culturalmente e linguisticamente, la letteratura siriaca abbraccia infatti tutti quegli scrittori che si esprimono in siriaco, anche se provenienti dalla Persia, dall’Adiabene, dalla Palestina o da altre regioni. Per questo motivo, con l’espressione ‘Padri siri’ si usa indicare, in senso ampio, non solo gli autori della Siria propriamente detta, ma tutti quelli che, indipendentemente dall’area geografica, hanno scritto in siriaco, e in modo particolare gli scrittori del territorio compreso tra il Tigri e l’Eufrate, cioè la Mesopotamia. In questi autori è forte una spiritualità monastica colta e insieme popolare. Il patriarcato di Antiochia comprende a quest’epoca diverse province romane, in particolare Siria, Fenicia, Arabia, Osroene, Mesopotamia, Isauria e Cipro. La Cappadocia, dal V secolo, dipende dal patriarcato di Costantinopoli.
Strettamente collegate con la Siria, geograficamente e culturalmente, erano la Cilicia (con l’Isauria) e Cipro, già a partire da Paolo di Tarso. Dionigi di Alessandria61 ricorda il vescovo di Tarso, Eleno. Eusebio di Cesarea rammenta Eleno di Tarso e tutte le Chiese della Cilicia, che godono la pace dopo la persecuzione di Decio62. Dell’Isauria si conosce il vescovo Neone di Laranda63. Cristiani della Cilicia sono deportati nelle miniere della Palestina64, non diversamente da altri fedeli65. I sinassari greci menzionano diversi martiri, tra cui Atanasio, Bonifacio, Callinico, Cerico e Giulitta. Ancora la Cilicia è nominata a proposito della controversia sulla validità del battesimo degli eretici66. A Nicea, quando ormai le due province risultano separate. sono presenti nove vescovi e un corepiscopo della Cilicia, e tredici vescovi e quattro corepiscopi dell’Isauria. La sede episcopale principale della Cilicia Secunda è Anazarbus, la metropoli, che ha per sedi suffraganee Flaviopolis, Castabala, Nicopolis, Mopsuestia (oggi Ceyhna Nahr; da qui viene per l’appunto il grande Teodoro), Aegae (oggi Aigaiai: la città vanta un martire del tempo di Numeriano). La sedi episcopali principali della Cilicia Prima sono invece Tarso, la metropoli, dove volle essere sepolto Giuliano imperatore, poi Adana e Pompeiopolis. L’Isauria ha per metropoli Seleucia (oggi Silifke). Al concilio di Nicea sono presenti dieci vescovi e cinque corepiscopi di questa provincia, segno di una buona organizzazione ecclesiastica. Le sedi episcopali si trovano nelle piccole città portuali. La città di Seleucia, sul Calycadnus (oggi Göksu), a cinque chilometri dal mare, è famosa per il santuario di Tecla, la santa di Iconium. La missione cristiana raggiunge Coropissus (oggi Da Bazar; il vescovo è a Nicea nel 325) e Claudiopolis (oggi Nimica; il vescovo è lui pure a Nicea nel 325), sul passo che congiunge con Laranda. L’interno dell’Isauria è culturalmente arretrato, non urbanizzato, per cui i vescovi designano le loro sedi con un sostantivo plurale che si riferisce agli abitanti e non alle città67, come la tribù degli Homonades (nel territorio nordoccidentale, verso la Pisidia). Al tempo di Diocleziano alcuni cristiani palestinesi sono esiliati a Cipro68. Al concilio di Nicea sono presenti tre vescovi ciprioti69, mentre a quello di Serdica dodici70. Da altri concili del IV secolo si evince che le sedi episcopali sono almeno quindici. E che metropoli è Salamina (rinominata Constantia da Costanzo II), sede resa prestigiosa da Epifanio, originario della Palestina.
Tradizioni antiche fanno risalire la prima diffusione del cristianesimo in Mesopotamia a Taddeo-Addai, Mâri, Tommaso e Bartolomeo. Addai, uno dei settantadue discepoli, sarebbe giunto a Edessa poco dopo l’Ascensione di Gesù, avrebbe convertito il re Abgar ‘il Nero’ e fondato la Chiesa edessena71. Neanche la conversione, attorno all’anno 200, del re vassallo di Roma Abgar IX, alla cui corte vissero Bardesane e Giulio Africano, è storicamente sicura. René Lavenant pensa che la cristianità siriaca recluti i suoi primi adepti nelle comunità giudaiche di Adiabene, numerose all’epoca di questo regno, la cui dinastia sin da tempi antichissimi, dopo la conversione dei propri sovrani al giudaismo, manteneva strette relazioni con la Palestina72. La Cronaca di Edessa attesta l’esistenza di una chiesa a Edessa per l’anno 201. Prima di tale data, l’iscrizione di Abercio di Hierapolis, in Phrygia Salutaris, della fine del II secolo, attesta che l’autore si è recato in Mesopotamia, dove ha incontrato dei fratelli: «Visitai anche la pianura della Siria e tutte le sue città e, oltre l’Eufrate, Nisibi e dovunque trovai confratelli». Questa è una testimonianza preziosa. Nel Libro delle leggi dei paesi, Bardesane attesta la presenza cristiana, alla fine del II secolo, a Edessa, a Hatra e in diverse regioni orientali (Gilan, Galazia, Partia, Media, Persia, fino tra i Qušan). Eusebio di Cesarea scrive che vescovi dell’Osroene erano intervenuti nella disputa sulla Pasqua73. L’ambiente mesopotamico si dimostra favorevole alla nascita di diversi gruppi cristiani o soltanto di tendenza cristiana (si pensi alle Odi di Salomone, dell’inizio del II secolo, al Vangelo di Tommaso, della metà dello stesso secolo, al Libro delle leggi dei paesi e al Discorso ai Greci di Taziano, entrambi della seconda metà del II secolo). In particolare, il Diatessaron di Taziano reca evidenti tracce di encratismo. Dal terzo secolo in Mesopotamia si diffonde anche il manicheismo74. Dopo Bardesane, altra figura di spicco è quella di Afraate, detto pure ‘il saggio persiano’, padre spirituale della comunità dei ‘Figli del Patto’. Anche il monachesimo, sotto diverse forme, trova rapidamente seguito, soprattutto nelle montagne a nord di Nisibi, in Beth Arabaye (monte Izla e Tur ‘Abdin).
Un personaggio importante è Efrem il Siro (o di Nisibi), nato intorno al 306 a Nisibi e morto nel 373. Nel 363, quando i romani cedono la città ai sasanidi, è costretto a rifugiarsi a Edessa. È il vero fondatore della scuola dei persiani, per il gran numero di studenti provenienti da quella regione mediorientale. Al sinodo di Seleucia-Ctesifonte del 410, Nisibi diviene metropoli delle cinque satrapie (Arzun, Qardu, Bet Zabdaï, Bet Rahimaï e Bet Moksaye) cedute da Gioviano nel 36375. Il confine ufficiale tra l’impero sasanide e quello romano è abbastanza permeabile per i cristiani, che si spostano da uno Stato all’altro, accomunati oltretutto da una stessa lingua e da una stessa cultura.
Si è soliti oggigiorno indicare con la sola espressione di Asia Minore un vasto territorio geografico: abitudine che porta a pensare a una certa unità linguistica, culturale ed etnica della regione. In realtà l’Asia Minore, agli inizi del I secolo, è un intricato mosaico di culture, lingue, etnie, religioni ed economie. Nella nuova organizzazione di Diocleziano, il termine Asia ha due accezioni amministrative: la provincia Asia e la diocesis Asiae76. L’Asia Minore, espressione che si trova in Orosio, fu suddivisa in due diocesi (Asiana et Pontica dioecesis)77. La diocesi è sotto la vigilanza di un vicarius, che risiedeva a Efeso per la Asiana e a Nicomedia per la Pontica. La diocesis Asiae comprende le province Asia, Hellespontus, Phrygia Pacatiana, Phrygia Salutaris, Lydia (capitale Sardis), Caria, Insulae, Lycia, Lycaonia, Pamphylia Prima, Pamphylia Secunda, Pisidia. La dioecesis Pontica comprende le province Armenia Prima, Armenia Secunda, Bithynia, Cappadocia Prima, Galatia (capitale Ancyra), Galatia Salutaris, Helenopontus o Hellenopontus, Honorias, Paphlagonia, Pontus Polemoniacus. Le due diocesi pertanto abbracciano un vasto territorio, che va dalla riva del Mar Egeo fino all’altopiano della Cappadocia e alle montagne dell’Armenia. Lentamente il greco diventa la lingua comune e si impone sulle lingue locali. Le popolazioni, specialmente quelle rurali, ancora usano i loro tradizionali idiomi locali (licio, cario, lidio, frigio, licaonico, celtico, isaurio, panfilio, etc.)78. Nella parte occidentale dell’Asia Minore, pertanto, la popolazione è mista: aborigeni, che da secoli dimorano nelle varie regioni; popolazione di lingua greca, in parte immigrata e in parte ormai ellenizzata; colonie romane di immigrati occidentali, originariamente di lingua latina. A livello cittadino, si registra l’accesso progressivo dei nativi alla cittadinanza romana, con la possibilità di inserirsi nella grande politica dell’Impero. La provincia più splendida è l’Asia del I secolo a.C. Le altre regioni restano più marginali: persino le città della Bitinia, che si pensa sia molto grecizzata già dagli inizi del I secolo d.C., appaiono arretrate rispetto a quelle dell’Asia.
L’organizzazione romana del territorio in province rispetta solo in parte la composizione etnica, in quanto è l’amministrazione civile e militare che ispira i confini provinciali e i successivi cambiamenti. L’abbellimento delle città si dispiega pienamente in epoca romana, proprio al tempo dei viaggi di Paolo. Nel II secolo si raggiunge il massimo splendore, che le città non avevano prima conosciuto e non raggiungeranno mai più dopo. La ricchezza e la prosperità di queste regioni sono mostrate dal fatto che le più belle testimonianze di queste antiche città sono i resti monumentali dei primi due secoli. In questo periodo abbonda anche la documentazione che attesta la vita culturale, religiosa e politica. L’ellenizzazione delle coste occidentali, e specie delle città costiere, avanza sempre più verso l’interno con il passare del tempo, favorita dai romani. Con essa procede anche la diffusione del sistema cittadino. L’Asia Minore è attraversata da numerose strade, che arrivano alle frontiere orientali di Armenia, Mesopotamia e Siria. Esse hanno uno scopo militare e amministrativo. Strabone (morto tra il 21 e il 25 d.C.) apprezza molto queste costruzioni, scrivendo: «I romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che dai greci furono trascurate, cioè nell’aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache»79.
Numerose fonti del I, II e III secolo parlano delle comunità cristiane, anche in piccole città. L’Asia Minore presenta una notevole densità di sedi episcopali nella parte occidentale, che diminuisce a mano a mano che ci si sposta verso Oriente. Al concilio di Nicea sono presenti circa 150 vescovi da tutta l’Anatolia, alcuni provenienti da Chiese molto piccole. Ancora grande è la diversità religiosa in tutta l’area. La Frigia è la terra dei montanisti; i novaziani sono diffusi in Bitinia, Paflagonia, Frigia e Lidia. Anche i giudei hanno fiorenti comunità. La maggioranza della popolazione della regione è però ancora pagana, pratica culti diversi, con qualche località a forte presenza cristiana (Nicomedia, Orcisto, Eumeneia, Laodicea, taluni villaggi della Frigia e alcuni territori tra l’Isauria e la Licaonia, etc.)80. Il decreto di Massimino Daia del 312 riassume la sensibilità pagana delle classi dirigenti dei piccoli centri81. In Asia Minore, come altrove in Oriente, i vescovi delle capitali provinciali sono anche i metropoliti della provincia ecclesiastica. Con la moltiplicazione delle province civili si moltiplicano anche le sedi metropolitane ecclesiastiche. Quando l’autorità civile suddivide un territorio, anche il vescovo della nuova capitale rivendica la sua autorità, spesso causando opposizioni, come nel caso della Cappadocia al tempo di Valente nel 372. I vescovi delle sedi delle capitali delle diocesi civili (Efeso e Cesarea di Cappadocia) non hanno alcun privilegio. Alla fine del quarto secolo la Chiesa di Costantinopoli estende la sua giurisdizione su alcune province asiatiche; solo dopo il concilio di Calcedonia l’Asia Minore passa sotto il patriarcato della capitale.
La Grecia romana (Achaia) era parte della Macedonia, poi provincia a sé. Per l’esistenza di diverse province, che al tempo di Diocleziano formano la diocesi di Macedonia, si pensa che sia preferibile usare la divisione amministrativa, che comprende: Macedonia Prima a Oriente, con capitale Tessalonica, sede anche del praefectus praetorio per Illyricum, Macedonia Secunda (o Salutaris) a Occidente; Thessalia, Achaia (capitale Corinto), Epirus Nova (capitale Durazzo) ed Epirus Vetus (capitale Nicopolis). L’inizio della diffusione del cristianesimo è ben conosciuto attraverso le lettere paoline e gli Atti degli Apostoli. Le notizie sono deficienti sulle sorti delle comunità paoline nel periodo posteriore. Mancano testimonianze sui loro vescovi e sui martiri della Chiesa greca. Melitone di Sardi ricorda ad Antonino Pio (138-161) che Adriano, quando governava insieme con lui, aveva scritto alle città di Tessalonica, Atene e Larissa e a tutti i greci, perché non prendessero misure contro i cristiani82. Dionigi di Corinto scrive ai cristiani di Sparta per esortarli alla pace e all’unità83. Eusebio parla di Origene che viene mandato in Acaia per risolvere delle questioni84. La comunità di Patrasso (Patra[e]) potrebbe risalire al terzo secolo; il suo vescovo è a Serdica. La prima testimonianza che qui si custodiscono le reliquie dell’apostolo Andrea è del V secolo, e della stessa epoca è la notizia che a Tebe (Thessalia) si conservano quelle dell’evangelista Luca85. Ad Anfipoli si ricorda solo il presbitero Mucio, martire sotto Licinio86; a Bouthroton, in latino Buthrotum (l’attuale Butrinti o Butrint, in Epiro, oggi Albania), si ricorda il martire Tereno, morto al tempo di Decio alla metà del III secolo. Un vescovo dell’isola di Lemnos partecipa al concilio di Nicea del 325.
Le sottoscrizioni al concilio di Nicea indicano la scarsa partecipazione di vescovi della diocesi civile della Macedonia, presenti con appena sei vescovi: due della Macedonia (Tessalonica e Stobi), due dell’Achaia (Atene ed Eubea), due della Thessalia (Tebe nella Fiotide e Larissa). Non sono rappresentati i vescovi delle fondazioni paoline di Filippi, Berea e Corinto. Invece prendono parte ai lavori conciliari i vescovi di cinque nuove Chiese: Tebe, Eubea, Hephaestias (isola di Lemnos), Stobi e Nicopolis. Maggiore partecipazione di vescovi si registra invece al concilio di Serdica degli anni 342-343. Il vescovo di Corinto non è presente, tuttavia, neanche a Serdica. Fino alla prima metà del IV secolo possiamo contare forse oltre trenta sedi episcopali. Il vescovo di Filippi, Porfirio, è presente al concilio di Serdica; di lui si è rinvenuto un mosaico con una iscrizione pavimentale. Atene nel II secolo si mostra intellettualmente vivace in relazione ai pagani. Dionigi di Corinto menziona il martirio del vescovo Publio al tempo di Marco Aurelio (161-180)87; a Publio succede come vescovo Quadrato (personaggio distinto dall’apologista), che vive al tempo di Adriano (117-138), a cui presenta la sua opera durante la visita del sovrano ad Atene88. Un altro apologista ateniese è Aristide, che dedica la sua Apologia all’imperatore Adriano (117-138) e Antonino Pio (138-161)89. Nella seconda metà del II secolo vive Atenagora, che scrive una Supplica diretta all’imperatore Marco Aurelio (161-180) e a suo figlio Commodo. La inscriptio dell’opera lo presenta come filosofo e cristiano di Atene. Origene si reca ad Atene, dove termina il suo commento a Ezechiele e inizia quello al Cantico dei Cantici90. Origene stesso attesta che «la Chiesa di Dio che è in Atene ama l’ordine e la pace; perciò essa vuole acquistare la grazia di Dio onnipotente; guardate invece l’assemblea dei cittadini ateniesi: quanto strepito, quanto disordine! Essa non regge al confronto con la Chiesa di Dio che è in quella città»91.
La Chiesa di Corinto, per la sua vita agitata e divisa, viene di nuovo in primo piano in occasione della ricezione della lettera di Clemente di Roma, verso l’anno 100. Egesippo, verso la metà del secondo secolo, durante il suo viaggio a Roma, visita Corinto, dove si ferma alcuni giorni, e scrive che tale Chiesa continua nella vera fede fino al vescovo Primo92. A Primo succede Dionigi, vissuto al tempo del vescovo Sotero di Roma, con cui è in contatto, discorso che vale anche per molti altri vescovi. Eusebio di Cesarea conosce otto lettere di Sotero di Roma, morto nel 175 circa, che cita e riassume, e una a lui indirizzata. A Dionigi succede Bacchillo, ricordato in occasione della controversia sulla Pasqua. Origene, che passa per Corinto, ricorda che la Chiesa al suo tempo è in pace93. Un’altra importante città è Nicopolis (oggi rovine a nord di Préveza, in Grecia), presso Actium. Secondo Eusebio94, Origene passa per Nicopolis, forse durante il suo viaggio verso Roma, dove trova la traduzione greca dell’Antico Testamento dell’ebreo Teodozione. Il suo vescovo Eliodoro è al concilio di Serdica. Dell’isola di Corfù (Corcyra, oggi Kerkyra), di fronte alle coste dell’Albania, si conosce il martire Giasone. Il suo vescovo è presente a Nicea. Eusebio segnala la presenza di vescovi dell’Epiro al concilio di Nicea insieme con vescovi traci, macedoni e achei, ma senza riportarne i nomi95.
La Tracia è la regione a nord della Macedonia, tra il Danubio, il fiume Oescus (oggi Iskar) e il Mar Nero (Bulgaria, Grecia e Turchia); è abitata da diverse tribù. Nel Tardo Antico con il termine Thracia si indicano tre entità: a) il tradizionale territorio tracio; b) la provincia Thracia; c) la diocesi Thracia (o Thraciae). Questa comprendeva sei province, tra le quali le due Moesiae e la Scythia (Tomis). Non sono noti evangelizzatori di queste province della diocesi Thracia, ma testimonianze cristiane risalgono già al III secolo, anche se in maggioranza sono del IV e del V secolo. A Beroe (poi Augusta Traiana, oggi Stara Zagora, Bulgaria) taluni cristiani muoiono martiri; Tertulliano96 menziona una persecuzione a Byzantium (poi Costantinopoli); l’eretico Teodoto il Cuoiaio è di questa città97, dove offrono la vita anche diversi martiri (Mocio, Acacio, Lucilliano e compagni, il senatore Eleuterio). A Durostorum (oggi Silistra, nella Moesia Inferior, Bulgaria), nasce il martire Dasio, ma la città ha anche altri martiri; a Hadrianopolis (oggi Edirne, Turchia) il vescovo Filippo di Heraclea Thraciae è ucciso nel 304 con alcuni fratelli nella fede; il vescovo di Marcianopolis (oggi Devnya), nella Moesia Inferior (Bulgaria), Pisto, era presente al concilio di Nicea; la città ebbe i suoi martiri (Melitina e Alessandro; invece Massimo, Teodoto e Asclepiodoto, seppure originari di Marcianopolis, sono uccisi a Hadrianopolis sotto Massimiano). A Philippopolis (oggi Plovdiv), metropoli della Thracia, si riuniscono i vescovi che si oppongono a quelli presenti a Serdica.
Nella Scythia, che sarebbe stata evangelizzata dall’apostolo Andrea98, la persecuzione di Diocleziano, secondo le fonti martirologiche e archeologiche, determina parecchi martiri in diverse città: Tomis (oggi Constanţa; in tutto qui se ne contano una sessantina), Axiopolis (oggi Cernavodă; diversi martiri, tra cui Dasio), Halmyris (oggi Salmorus, alle foci del Danubio), Noviodunum (oggi Isaccea, dove i martiri sono numerosi), Dinogetia. Al tempo della persecuzione di Licinio risalgono altri martiri ad Halmyris (oggi Murighiol), tra cui Epitteto e Astione, provenienti dalla Frigia (i loro resti sono stati scoperti nel 2001 nella cripta con i nomi dipinti sulla parete). Il primo vescovo di Tomis conosciuto è Evangelico; un’iscrizione nomina un vescovo martire non identificato, forse del tempo di Licinio.
Il cristianesimo comincia a diffondersi in Moesia a partire dal Sud, dalla Macedonia e dalla Tracia, già a partire dal III secolo. Grazie a numerose testimonianze di carattere epigrafico e letterario, sono note l’esistenza di vari centri cristiani e la loro organizzazione ecclesiastica (vescovi, sacerdoti, diaconi). Per la consistenza dei cristiani in Moesia è significativo che a Serdica si tenga un concilio. Dopo il concilio di Nicea si diffonde nella penisola balcanica l’eresia ariana, poiché Ario e alcuni suoi seguaci (i vescovi Theonas e Secondo, oltre a sacerdoti e diaconi) sono esiliati nell’Illirico99. Il fatto che due giovani vescovi illirici ariani, Valente di Mursa (oggi Essek, non lontano dalla confluenza della Drava e del Danubio) e Ursacio di Singiduno (oggi Belgrado, alla confluenza della Sava e del Danubio) partecipino al concilio di Tiro del 335 può essere spiegato con la presenza di esiliati ariani nella zona. Atanasio, nel viaggio verso l’esilio a Treviri, tra il 335 e il 336, attraversa l’Illirico e incontra i vescovi niceni Teodulo di Traianopoli (presso Nevrokop, Tracia), Eutropio di Hadrianopoli (oggi Edirne), Protogene di Serdica e Domno di Sirmio. Le sedi episcopali che nella prima metà del IV secolo vanno ricordate sono: 1) nella Moesia Superior o Prima (Serbia): Viminacium (oggi Kostolac); Singidunum (oggi Belgrado), Margum (oggi villaggio di Dubravica); Horreum Margi (oggi Ćuprija); non è noto se fossero sedi episcopali le città di Gratiana (oggi Dobra) e di Tricornium (oggi Ritopek); 2) nella Praevalitana, le città di Doclea, Aissus (oggi Lješ, it. Alessio, Albania), Scodra; 3) nella Dacia Ripensis, le città di Ratiaria (oggi Arčar, Bulgaria: sede metropolitana), Aquae Ripensis (oggi Praovo, Serbia), Bononia (oggi Vidin), Castra Martis (oggi Kula, Bulgaria), Germania (oggi Separeva Banja, Bulgaria), Oescus (oggi Gigen, Bulgaria); 4) nella Dacia Mediterranea, le sedi di Serdica (oggi Sofia, Bulgaria: metropoli; l’ultimo vescovo conosciuto vive al tempo di Gregorio Magno), Naissus (oggi Niš, Serbia), Remesiana (oggi Bela Palanka, Serbia), Pautalia (oggi Kjustendil, Bulgaria); 5) nella Dardania, le sedi di Scupi (oggi Skopje, capitale di Macedonia), Ulpiana (oggi Cračanica, in Kosovo), Neutina.
In Pannonia, nelle iscrizioni più antiche, molti nomi di cristiani comuni sono di origine greca, testimonianza che i missionari provenivano dal Sud, mentre quelli dei vescovi (solo però dalla metà del quarto secolo) sono in prevalenza latini. Il martire Vittorino (morto forse nella persecuzione del 304), vescovo di Poetovio (oggi Ptuj, Slovenia orientale: città annessa al Noricum da Diocleziano100), era di origine orientale, ma scriveva in latino: un dato, questo, che fornisce utili informazioni sul cristianesimo della Pannonia, abbastanza variegato anche per la presenza di diverse tendenze eretiche. Un’altra sede episcopale era quella di Siscia (Pannonia Savia), il cui vescovo Quirino fu ucciso a Savaria (oggi Szombathely, Ungheria), allora capitale della Pannonia Prima101. A Savaria nasce poi Martino (più probabilmente nel 316 che nel 336), futuro vescovo di Tours. Una terza sede è Cibalae, nella Pannonia Secunda (oggi Vinkovci, Croazia), il cui vescovo Eusebio era morto da tempo, forse sotto la persecuzione di Valeriano (anni 257-259), in cui muore di certo il martire Pollione, primicerius lectorum di quella Chiesa102. Si conoscono i nomi di numerosi martiri della Pannonia, la cui quasi totalità proviene da Sirmio, città di antica tradizione cristiana, e parecchi sono del III secolo. Diversi di loro sono uccisi a Singidunum (oggi Belgrado), nella Moesia Superior. Famoso resta Demetrio, le cui reliquie sono portate a Tessalonica. Qui erano anche le tombe dei martiri Sinerote e Fortunato, altrimenti sconosciuti. Non sono invece noti martiri della Pannonia Prima e della Pannonia Valeria. Il vescovo di Sirmio, Domno, era a Nicea nel 325. L’area aveva strette connessioni con la Moesia. Dopo detto concilio, la penisola balcanica inizia ad annoverare non pochi vescovi ariani, in quanto Ario e taluni suoi seguaci sono esiliati proprio nell’Illirico103.
Le lettere paoline accennano all’evangelizzazione dell’Illiria e della Dalmazia104. Non si sa altro. Bisogna attendere il III secolo per conoscere qualcosa di più sul cristianesimo. Il primo vescovo di Salona è Domnio, proveniente da Nisibi, che subisce il martirio nell’anfiteatro il 10 aprile del 304 insieme con quattro soldati e con il presbitero Asterio; un altro martire è Anastasio di Aquileia, seppellito a Marusinać, a un chilometro circa a nord della città di Salona, dove ha sede una seconda necropoli. Una terza necropoli si sviluppa a Kapljuć, vicino all’anfiteatro, intorno alla tomba del martire Asterio e di altri suoi fratelli nella fede. A Domnio succede il nipote Primo, che muore nel 325 ed è seppellito a Manastirine (la prima necropoli, poco fuori città). Si conserva ancora il suo sarcofago. Il vescovo Massimo partecipa al concilio di Serdica.
A nord della Dalmazia e della Pannonia ci sono le province del Norico e della Rezia (oggi territori di Slovenia, Austria, Svizzera e Germania). La religione cristiana nel Norico centrale e settentrionale si diffonde solo nel IV secolo a partire dal Sud, specialmente per opera delle Chiese dell’alto Adriatico (in particolare quella di Aquileia), costituite di commercianti e soldati, e dalla Pannonia. Per il periodo anteriore esiste solo qualche rara testimonianza della presenza cristiana. Tertulliano attribuisce ai militari cristiani, presenti nell’esercito di Marco Aurelio, l’episodio della pioggia ‘miracolosa’ durante la guerra contro i quadi nel 172105. La città di Poetovio, che prima apparteneva alla Pannonia, aveva già un vescovo, Vittorino, agli inizi del IV secolo. Vi risiedeva una comunità vivace, come si deduce dagli scritti del suo pastore. La Passio Floriani, consacrata a un fedele morto a Castrum Lauriacense (oggi Enns-Lorch), presenta il preside Aquilino che scatena una persecuzione con l’arresto di quaranta cristiani, tra i quali Floriano, princeps officii, che risiede a Cetium (oggi St. Pölten, Austria). Il nucleo essenziale della Passio è considerato storicamente attendibile106. In quel periodo, il Norico dipendeva dall’imperatore Galerio. Al concilio di Serdica (oggi Sofia) partecipano vescovi ortodossi del Norico107, ma non se ne conoscono numero e sedi. Ad Augusta Vindelicorum (oggi Augsburg) c’è la tradizione della martire Afra, originaria di Cipro, morta nel 304.
La Raetia Prima (Svizzera orientale) e la Raetia Secunda (Prealpi settentrionali) fanno parte della diocesi dell’Italia Annonaria, e pertanto hanno stretti legami con il Nord dell’Italia. La Raetia Secunda ha anche stretti rapporti con le province galliche. Le sedi episcopali più antiche conosciute si trovano in province galliche: Augusta Raurica (oggi August e il villaggio Kaiseraugust; poi la sede passa a Basilea), Genava (oggi Ginevra), Octodurus (oggi Martigny: successivamente la sede episcopale passa a Sedunum, oggi Sion), il cui primo vescovo sicuro fu Teodoro, morto nel 391, Vindonissa (oggi Windish), Aventicum.
Agli inizi del IV secolo, un’area che sembra molto cristianizzata è, in Occidente, l’Africa Proconsolare, dove in tutti i centri urbani provvisti di statuto cittadino c’è un vescovo. Essa ‘appare’ cristianizzata, perché in realtà la presenza di un vescovo non significa di per sé che la popolazione sia cristiana. Pressappoco un secolo più tardi, ci sono ancora centri con un lungo passato cristiano nei quali, tuttavia, la maggioranza della popolazione è ancora pagana. Dopo lo scisma donatista risiedono nella stessa città anche due vescovi, l’uno cattolico e l’altro donatista. La Proconsularis africana è punteggiata di sedi episcopali, ma non tutte hanno la stessa importanza.
Le Chiese, anche quelle piccole, hanno bisogno di un vescovo locale per svolgere le funzioni liturgiche. Molte funzioni che possono svolgere i presbiteri in realtà sono riservate al vescovo: battesimo, celebrazione eucaristica, predicazione, riconciliazione dei penitenti, amministrazione dei beni. La distanza dalla città principale richiede, nelle varie aree, la moltiplicazione delle sedi episcopali in relazione alla consistenza di una comunità cristiana. Non solo le città grandi, ma anche quelle di dimensioni ridotte hanno bisogno di un vescovo.
Trattare della Chiesa in Italia, comprese le grandi isole, vuol dire affrontare soprattutto le vicende della Chiesa romana, almeno fino al IV secolo. Se nel 56 d.C. Paolo può sostenere di volersi recare nella capitale da parecchi anni108, ciò significa che i cristiani sono presenti nell’Urbe già da qualche decennio, evangelizzati verosimilmente da discepoli di provenienza giudaica109. Roma, nel II-III secolo, è una città di immigrati cristiani e di visitatori, dotti e meno dotti: non solo Giustino e alcuni martiri, ma molti altri conosciuti e sconosciuti, tra i quali Egesippo, Policarpo, Taziano, Rodone, Marcione, Valentino, Cerdone, Teodoto di Bisanzio, Prassea, Ireneo, Abercio, Minucio Felice, Origene. Quest’ultimo, poi, secondo la testimonianza di Eusebio, all’inizio del III secolo parla della «antichissima Chiesa dei romani»110. È in quest’epoca che tale Chiesa diviene un vero e proprio ‘laboratorio di idee’, a motivo dell’afflusso di tanti personaggi cristiani del Mediterraneo orientale, capaci anzitutto di padroneggiare il greco. Diversi dotti cristiani aprono scuole, frequentate sia da cristiani sia da pagani. Il Pastore di Erma mostra una comunità giovane, vivace, in crescita, con ovvi problemi organizzativi, i cui membri faticano a essere fedeli agli impegni battesimali assunti. Giustino, attraverso le sue Apologie, si rivolge alle autorità imperiali per esporre la situazione dei cristiani e la loro rigorosa moralità. Minucio Felice, nel corso di una bella passeggiata a Ostia, raccoglie e contrasta la mentalità e le accuse dei pagani. Nella seconda metà del II secolo circolano liste della successione episcopale romana111. Nel frattempo, il prestigio e l’autorità della Chiesa della capitale vanno crescendo, quali che ne siano i motivi: nessun’altra le si può paragonare. Abercio, che la visita forse verso l’anno 160, ne parla con entusiasmo nella propria epigrafe: «Mi mandò a Roma a contemplare un regno e a vedere una regina dalle vesti d’oro e dai calzari d’oro. Vidi anche un popolo che aveva uno splendido segno».
Al di fuori della Chiesa romana, le notizie sul resto dell’Italia e le isole sono scarse. Paolo, nel corso del suo viaggio, incontrò cristiani a Pozzuoli, e con loro trascorse una settimana112. Per Pozzuoli, il Martirologio Geronimiano elenca diversi martiri. La testimonianza di una presenza di cristiani o dei martiri in qualche località non prova, tuttavia, l’esistenza di comunità organizzate. Per i primi tre secoli tali testimonianze talvolta sono collegate con la Chiesa romana. Le testimonianze archeologiche possono essere utili, ma sono del tutto insufficienti. Il maggior senso critico dell’ultimo secolo di studi nella valutazione delle fonti antiche ha ridotto considerevolmente il numero delle sedi episcopali rispetto alle opere precedenti a quella di Francesco Lanzoni del 1927113. Le fonti locali tardoantiche e altomedievali tendono ad assegnare un passato prestigioso alle rispettive sedi episcopali. A Roma si svolgono anche dei concili. Il primo importante è quello celebrato al tempo di papa Cornelio nel 252, al quale, secondo Eusebio, partecipano sessanta vescovi114. Il numero sembra eccessivo, perché alla fine del III secolo solo sedici sedi episcopali sono sicure. Per ragioni diverse, non tutti erano presenti. A. von Harnack pensa che alla metà del III secolo le sedi episcopali fossero all’incirca un centinaio115. Nel 313 si tenne a Roma un concilio voluto da Costantino per la questione donatista, al quale parteciparono solo pochi vescovi scelti. Gli italiani erano soltanto quindici. Ad Arles, nel 314, solo nove, tre dei quali erano presenti a Roma. Per questi anni si arriva a stabilire l’esistenza sicura di circa venticinque sedi episcopali, anche se non si conosce la data della loro fondazione. Ciò non esclude l’esistenza di altre sedi di fondazione più o meno recente. Nel corso del IV e V secolo si svolsero a Roma diverse assemblee episcopali, cui presero parte ordinariamente vescovi dell’Italia e sporadicamente anche taluni pastori non italiani di passaggio.
La sede romana svolse un ruolo importante per la diffusione del cristianesimo nell’Italia centrale e meridionale. Le vie consolari furono le direttrici di tale diffusione, come mostra l’esistenza di martiri nelle zone attorno a Roma, dove si erano costituite delle comunità. Diverse cittadine del Lazio vantano dei martiri. Capua ebbe numerosi martiri. Meno altre città, tanto meridionali quanto settentrionali. Come per l’amministrazione civile, così anche per quella ecclesiastica il meridione era legato a Roma (Italia suburbicaria), anche per il prestigio della sede, l’unica che poteva vantare tradizioni che risalivano fino alle ‘colonne’ Pietro e Paolo. Le città romane divengono di norma anche sedi episcopali, sebbene i vescovi risiedano in centri davvero piccoli. Le diocesi sono più numerose al Centro e nella Campania, meno nelle altre aree meridionali, e ancora meno nel Nord (Italia annonaria), dove poche sono le sedi episcopali agli inizi del quarto secolo. A partire dalla pace costantiniana si ha un loro notevole e inarrestabile aumento (cinquantacinque di nuova erezione sino alla fine del IV secolo e centocinquantacinque durante il V).
La ripartizione da parte di Diocleziano della diocesis italiciana in provinciae favorì la nascita delle regioni ecclesiastiche secondo l’estensione di quelle civili, con territorio e diocesi sotto il controllo del metropolita116. Parimenti, la suddivisione dell’Italia in annonaria e suburbicaria alle dipendenze di due vicarii si riflette nell’amministrazione ecclesiastica: la prima dipende dal vescovo di Milano, la seconda da quello di Roma.
All’Africa romana e alla Gallia già si è accennato. Ma ora è comunque opportuno fare qualche altra considerazione. L’Africa corrispondeva grosso modo al Maghreb arabo. Sotto la dominazione romana tale vasto territorio (la diocesi civile africana a partire da Diocleziano escludeva la parte più occidentale) si romanizza nella lingua, nelle istituzioni e nella religione. La romanizzazione si riduce a mano a mano che si procede verso occidente e verso l’interno. La lingua comune era il latino, ma nelle zone interne il punico era maggiormente in uso (Numidia), come pure il berbero nelle Mauritanie. L’organizzazione ecclesiastica rispecchiava quella civile, con l’eccezione di Ippona, Thagaste, Calama, Madauros e Theveste (Numidia proconsolare; la «Numidia di Ippona»), le quali, pur facendo parte della Proconsolare, appartenevano alla provincia ecclesiastica della Numidia, dove il primate era il vescovo più anziano per ordinazione e non quello di una città specifica; così pure nelle altre province africane il primate è il vescovo più anziano, con l’eccezione della Proconsolare, dove l’onore spettava al vescovo di Cartagine, che godeva di una certa primazia (non però equiparabile a quella dei vescovi di Alessandria o di Antiochia). La provincia ecclesiastica della Tripolitania era la più piccola della regione; il concilio di Cartagine del 397 dice: «in Tripoli episcopi sunt quinque tantummodo» (Mansi 3, c. 741)117. A partire dagli inizi del IV secolo, nelle province nordafricane abbondano testimonianze archeologiche cristiane di ogni genere: iscrizioni, edifici di culto, mosaici, tutti posteriori al terzo secolo. La diffusione del culto dei martiri e la costruzione di numerose chiese, che ben presto accolgono anche tombe al loro interno, sono testimonianze concrete della diffusione del cristianesimo. L’Africa ecclesiastica, con il primate a Cartagine, abbracciava tutto questo vasto territorio, le cui rispettive province, ognuna con la propria eredità storica e il proprio orgoglio, coincidevano (a eccezione della Numidia, come si è visto) con quelle civili. L’area interessata si estendeva dalla Grande Sirti fino alle frontiere dell’attuale Marocco (la frontiera occidentale della Caesariana); la Tingitana era unita alla Spagna. Tuttavia i limiti delle province erano fluttuanti, mutavano a seconda delle epoche e in rapporto alla storia di ogni regione. A Cartagine si riunivano i concili plenari, ai quali i vescovi delle province lontane mandavano di norma solo legati, e soltanto quando era possibile, per la lontananza e le difficoltà connesse con le vie di comunicazione e la sicurezza del viaggio. Le sedi episcopali erano numerose: nel periodo di massimo splendore della Chiesa africana (inizi del V secolo) esse arrivarono ad essere circa seicento, con forte concentrazione nella parte orientale, vale a dire nella provincia Proconsolare. Si trovavano collocate di regola nei centri urbani, ma eccezionalmente anche presso villaggi (casae), a motivo dell’ampiezza dei territori rurali di pertinenza di taluni centri urbani, o addirittura all’interno di estesi latifondi. Il clero delle grandi diocesi non era molto numeroso, ma nelle sedi più piccole poteva ridursi alla persona del vescovo, coadiuvato da un presbitero, un diacono, da qualche lettore e da alcuni laici. Si incontravano difficoltà a reclutare sufficiente clero (presbiteri, diaconi, suddiaconi) sia per le leggi imperiali, che impedivano a certe categorie di persone di farne parte, sia per le esigenze inerenti il loro stato. Ricorrente era la lamentela per la penuria di personale ecclesiastico118.
Il cristianesimo ha seguito le vie della romanizzazione e si è diffuso grazie alla cultura romana, e non, come in Oriente, mediante la rete delle sinagoghe. La romanizzazione e l’evangelizzazione in qualche modo sono andate di pari passo. La prima testimonianza è costituita dagli Atti dei martiri di Scilli (ignota località della Proconsolare), cristiani che subiscono il martirio il 17 luglio del 180 a Cartagine. Verso il 220 si riuniscono in concilio con Agrippino di Cartagine circa settanta vescovi provenienti dalla Proconsolare e dalla Numidia, dunque non da tutta l’Africa. Nel preambolo del concilio Cartaginese del 256, di cui si conservano gli atti, così si legge: «episcopi plurimi ex provincia Africa, Numidia, Mauritania [le tre province civili] cum presbyteris et diaconibus» (PL 3, c. 1052A). Degli ottantasette presenti, cinquantacinque (più due) vengono dalla Proconsolare (trentuno dell’Africa Vetus e ventiquattro dell’Africa Nova, ossia la Numidia orientale e la Bizacena), cinque dalla Tripolitania, ventidue dalla Numidia e due dalla Mauritania. Si suppone che al tempo di Cipriano fossero già erette circa centocinquanta sedi episcopali (ne sono note centotrenta). Fino a Diocleziano la Chiesa d’Africa conosce la gloria di numerosi martiri, gran parte dei quali negli anni 303-305. La più grave tra le conseguenze che ebbe la persecuzione fu senza dubbio la lacerazione che si consumò all’interno del corpo ecclesiale, dando vita all’organizzazione donatista, una vera e propria forma di Chiesa gerarchica parallela a quella fedele a Roma, per cui spesso nella stessa diocesi si trovano due vescovi rivali, uno cattolico e l’altro donatista.
Nei primi secoli dell’Impero, la diffusione del cristianesimo oltre la frontiera romana non è molto vasta, anche perché si pensa che i territori al di fuori del mondo greco-romano siano abitati solo da barbari119. In questo senso, la concezione del mondo diffusa tra gli antichi, siano essi pagani o cristiani, è la medesima: coincidenza dello spazio geografico dell’orbis terrarum con l’estensione dell’Impero romano (orbis romanus). Già Ireneo, verso l’anno 200, propone di stabilire un parallelo fra l’orbis romanus e la diffusione del cristianesimo, quando scrive che le ecclesiae professano una sola fede «in Germania, in Hiberis, in Celtis [...] in Oriente, in Aegypto [...] in Libya [...] in medio mundi»120. L’accusa, rivolta ai cristiani, di odium humani generis121 identifica l’humanum genus con l’Impero e i cittadini romani. Quest’accusa è indirizzata in verità sia a giudei sia a cristiani, anche se una separazione tra i due gruppi religiosi si afferma molto presto, sia pure in momenti diversi a seconda dei luoghi. Guardiamo ora all’Occidente, dove per secoli il cristianesimo finisce per coincidere con l’imperium Romanum, anche dopo che esso è tramontato da un pezzo. La missione tra i germani e gli angli comincia molto più tardi.
In Africa orientale nel IV secolo il cristianesimo raggiunge l’Etiopia, spingendosi fino allo Yemen e all’India. In Asia nello stesso periodo si è già diffuso in Armenia, territorio cuscinetto tra gli imperi persiano e romano. Nell’imperium Romanum, l’Urbe è il centro sia politico sia ideale, è il caput orbis terrarum122. Nel I e nel II secolo, tutti fanno riferimento alla capitale e molti vi si recano per visite o per viverci. Questo rapporto con il centro dello Stato si rompe nel corso del IV secolo. La geografia mentale, specialmente dei mediterranei, era stata allargata a Oriente, in direzione dell’Asia, da Alessandro Magno. Antiochia di Siria era così divenuta un punto di incontro e di collegamento tra l’Occidente e l’Oriente. I rapporti commerciali avevano aperto orizzonti vastissimi e permesso la circolazione non solo di merci, ma anche di individui, ciascuno portatore di idee filosofiche e credenze religiose sue proprie. Le Res gestae divi Augusti123, che in molte città tutti potevano leggere perché pubblicamente scolpite, offrivano un orizzonte geografico e mentale davvero impressionante per territori e popoli coinvolti. Paolo, ad Antiochia di Pisidia, ha occasione di leggerle. Augusto parla non solo dei popoli occidentali, ma anche di quelli orientali e africani: «Per mio comando e sotto i miei auspici due eserciti furono condotti, all’incirca nel medesimo tempo, in Etiopia e nell’Arabia detta Felice, e grandissime schiere nemiche di entrambe le popolazioni furono uccise in battaglia e furono conquistate parecchie città. In Etiopia l’esercito arrivò fino alla città di Nabata, cui è vicinissima Meroe. In Arabia avanzò fin nel territorio dei sabei, raggiungendo la città di Mariba» (§ 26). «Pur potendo fare dell’Armenia maggiore una provincia dopo l’uccisione del suo re Artasse, preferii, sull’esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane» (§ 27). «Furono inviate spesso a me ambascerie di re dall’India, non viste prima di allora da alcun comandante romano. Chiesero la nostra amicizia per mezzo di ambasciatori i basrani, gli sciti e i re dei sarmati che abitano al di qua e al di là del fiume Tànai [il Don], e i re degli albani, degli iberi e dei medi» (§ 31). «Presso di me si rifugiarono supplici i re dei parti Tiridate e poi Fraate […] e Artavaside re dei medi, Artassare degli adiabeni […] Melone dei sigambri, Segimero dei marcomanni svevi. Presso di me, in Italia, il re dei parti Fraate, figlio di Orode, mandò tutti i suoi figli e nipoti» (§ 32).
Si considerino ora le singole aree externae. Nell’antichità classica il termine Armenia possiede due diversi significati, potendo indicare: 1) l’Armenia Maior (Magna), che si estende a oriente dal fiume Eufrate, fino alla confluenza dei fiumi Araxes e Kura (in turco Kyros, in italiano Ciro; oggi è il Mtkvari), a sud fino al fiume Tigri, a nord sino al Kura; essa fu il regno degli arsacidi armeni fino al 387; 2) l’Armenia Minor, che è situata a occidente dell’Eufrate ed è parte dell’Impero romano fin dal I secolo. Si tratta di un’area rimasta politicamente, demograficamente e culturalmente fuori della storia armena; con Diocleziano diventò provincia romana distinta con capitale Melitene (oggi Malatya, Turchia; per lungo tempo fortezza legionaria). Le fonti antiche solitamente non consentono di comprendere se si stanno riferendo all’Armenia Minor o a quella Maior, rendendo pertanto difficile l’esatta comprensione dei documenti: di quale Armenia, di quale Chiesa armena, di quali armeni si parla?
Tertulliano124 menziona cristiani armeni; secondo Eusebio di Cesarea125, il vescovo Dionigi di Alessandria scrive una lettera ai fratelli di Armenia, il cui vescovo è Meruzanes, aggiungendo che gli armeni sono diventati cristiani. Si pensa che la sua diocesi fosse la satrapia della Sofene, territorio a est della Commagene (città principale e in certi tempi anche capitale: Samosata) e a nord dell’Osroene (capitale: Edessa). La frontiera tra l’Impero romano e l’altopiano armeno era all’epoca molto aperta, per lo spostamento delle popolazioni e delle merci. Pertanto anche i missionari potevano varcare le frontiere con molta facilità, come in effetti fanno ben prima degli inizi del IV secolo. Le fonti che informano sull’evangelizzazione sono della fine del V secolo: Agatangelo e lo Pseudo-Fausto di Bisanzio. Il re Tiridate il Grande (250-330) si converte al cristianesimo, che diventa così religione ufficiale del regno armeno (arsacide); si considera come data canonica il 301. Tuttavia il re incontra opposizione da parte di possidenti attaccati alla tradizione ancestrale. Gregorio l’Illuminatore, apostolo dell’Armenia, che è consacrato vescovo a Cesarea di Cappadocia nel 314 da Leonzio, si trova così a essere il vero capo della Chiesa in Armenia (funzione che si trasmette fino al 438 nell’ambito della sua famiglia). Lo stretto legame con la Siria orientale e la Mesopotamia spiega le somiglianze liturgiche tra le due aree geografiche e numerosi termini del vocabolario cristiano (la liturgia battesimale armena ricalca quella siriaca). Secondo le fonti, Gregorio compie pure un’intensa opera di evangelizzazione, anche con la distruzione dei templi pagani: avrebbe battezzato molti armeni e creato diverse sedi episcopali. In realtà l’evangelizzazione dell’Armenia non è affatto immediata, e richiede viceversa molto tempo, incontrando l’opposizione dei seguaci delle religioni tradizionali. Molte famiglie nobili propendono per i culti originari della Persia e il cristianesimo rimane a lungo una fede estranea alla tradizione religiosa di questo paese. La Chiesa armena si lega a quella di Cappadocia a tal punto che il vescovo Nersete (353-373), ordinato da Eusebio di Cesarea di Cappadocia, organizza la Chiesa armena secondo il modello cappadoce.
La moderna Georgia (Sak’art’velo) corrisponde all’insieme della Colchide (Egrisi: la pianura costiera occidentale: Lazica) e dell’Iberia (parte orientale montuosa). Questa regione fa parte del regno della Grande Armenia fino al IV secolo. Il primo elemento sicuro della presenza cristiana nella regione è Stratofilo, vescovo di Piziunte/Pitionte (dioecesis Pityuntina, con sede nell’odierna Pitsunda, in georgiano Bichvinta), presente al concilio di Nicea. Piziunte/Pitionte però è una città di tradizione greca sulla costa nordorientale del Mar Nero. Non si può precisare quando il cristianesimo giunga in Georgia a motivo della mancanza di fonti sicure. L’archeologia ora sta apportando significativi contributi. Rufino di Aquileia (le altre fonti dipendono da lui) informa sulla diffusione del cristianesimo nell’Iberia, avvenuta mediante Santa Nino (o forse Nouné, che potrebbe essere la traduzione di nonna, vale a dire ‘donna consacrata’), una captiva (vera prigioniera, oppure captiva Dei?) romana della Cappadocia. Altre informazioni si ricavano dalla Vita di Santa Nino. La fonte di Rufino afferma che Santa Nino converte la regina, che a sua volta converte il re suo sposo, Mirian III, vissuto tra il 284 e il 361126. Il re degli iberi, Mirian, verso il 337, impone la nuova religione a tutta la sua nazione, chiedendo all’imperatore Costantino anche un vescovo e dei sacerdoti, che, giunti, edificano subito quella che diviene la prima chiesa cristiana. La richiesta del re ha anche un carattere politico. Il primo vescovo sarebbe stato consacrato da Alessandro di Costantinopoli. Mirian si reca anche a Gerusalemme e vi fa costruire un monastero. Nella tradizione armena, invece, l’evangelizzazione dell’Iberia sarebbe legata al nipote di Gregorio l’Illuminatore.
La città di Mtskheta diventa il centro spirituale dell’Iberia-K‛artli, dove risiede ancor oggi il suo metropolita (secondo una tradizione posteriore, questi era consacrato ad Antiochia). In realtà, il primo vescovo era scelto a Costantinopoli, mentre non è noto che cosa nel caso degli altri.
L’Albània corrisponde agli attuali Azerbaigian settentrionale e Daghestan meridionale. È delimitata a nord dai monti Cerauni, estensione del Caucaso, a est dal Mar Caspio, a sud dal corso inferiore del fiume Araxes (Aras). L’unificazione degli albàni è un processo lento, per la varietà e la molteplicità dei dialetti parlati dalle diverse tribù (Strabone afferma che ve ne sono addirittura ventisei). Secondo la tradizione, l’Albània conosce precocemente la religione cristiana per opera di Eliseo, un discepolo di Taddeo. In realtà, prima del IV secolo non si hanno notizie precise. Il re dell’Albània, Urnayr, si sarebbe recato in Armenia, dove sarebbe stato battezzato da Gregorio l’Illuminatore. Il nipote di quest’ultimo, anch’egli di nome Gregorio (Grigoris), è tra i primi katholikoi; fa erigere una chiesa nella città-fortezza di Tri (o Tsri), fornendola di sacerdoti, che sono poi uccisi dalla popolazione pagana. Il cristianesimo si diffonde dunque lentamente anche in Albània, in particolar modo in ambiente rurale, come dimostra l’azione di Vačagan nel V secolo.
L’Adiabene corrisponde al cuore dell’Impero assiro. È compresa tra il fiume Grande Zab superiore (Lycus) e il Piccolo Zab (Caprus) a est del fiume Tigri, fino al lago Ormīa. Le informazioni di cui si dispone provengono da fonti greche e latine. Mancano notizie precise sull’introduzione del cristianesimo. La maggioranza della popolazione della regione si trova presto ad abbracciare la religione giudaica: una presenza, questa, che deve avere favorito una prima diffusione del cristianesimo. L’evangelizzazione è attribuita a Mari, discepolo di Addai. Lo scrittore cristiano Taziano, assiro, è discepolo di Giustino a Roma verso la metà del secondo secolo, poi fa ritorno al suo paese, dove compone il Diatessaron. Mar Paqida, secondo la tradizione, sarebbe stato il primo vescovo dell’Adiabene. Qui nel III secolo si diffonde anche il manicheismo. Quando il cristianesimo diventa religione ufficiale nell’Impero romano, i cristiani dell’Adiabene non sono ben visti dai sasanidi. In ogni caso, come attesta Sozomeno127, al tempo di Shabur II (sovrano vissuto tra il 309 e il 379, che dà avvio negli anni 340-341 a persecuzioni anticristiane che proseguono, salvo qualche periodo di sospensione, fino al 370) la maggior parte dell’Adiabene è cristiana. Il centro dell’Adiabene è la città di Arbela (oggi Irbil, Erbil), sul primo vescovo della quale non si conosce alcunché, se non che doveva risiedere nelle vicinanze della città, e precisamente ad Hazza, situata dodici chilometri a sud di Arbela. Con il katholikos Papa (310-317), Arbela diviene sede metropolitana del paese e ottiene il quarto posto dopo la sede principale di Seleucia-Ctesifonte, capitale del regno sasanide. L’autorità del metropolita si estende all’epoca sulla quasi totalità del Nord dell’attuale Iraq.
L’Impero persiano, dopo la parentesi ellenistica, è governato prima dai parti della dinastia arsacide (250 a.C.-224 d.C.) e poi dai sasanidi. Sotto il regno persiano si sviluppa una Chiesa aramaica in un’area fertile di sincretismi religiosi. Secondo la tradizione antica, un cristianesimo di impronta giudaica arriva vicino a Ctesifonte tra il 76 e il 116 (con Mari, secondo il Libro della Torre); una corrente posteriore vuol fare derivare la predicazione da Edessa, evangelizzata da Addai, uno dei settantadue discepoli. In ogni caso, il cristianesimo si diffonde a partire sia dall’Adiabene sia dall’Osroene prima dei sasanidi. Il Libro delle Leggi dei paesi, attribuito a Filippo, discepolo di Bardesane, accenna alla vita di cristiani parti, medi e di Hatra. In Persia sono presenti tanto eretici cristiani, quali marcioniti e manichei, quanto cattolici, come i fedeli deportati da Shabur I nel corso delle sue incursioni in Occidente alla metà del III secolo. La persecuzione al tempo di Bahram II (276-296), menzionata nell’iscrizione del chierico zoroastriano (mobad) Kartir a Naqš-i-Rustam, è segno che i cristiani sono considerati pericolosi. Nell’iscrizione si parla di «nazareni e cristiani»: i primi, secondo Sebastian Brock, potrebbero essere cristiani di origine iraniana, mentre i secondi cristiani deportati dalle regioni occidentali. Questi ultimi, alcuni dei quali di lingua greca, sono stanziati principalmente in Susiana (o Xuzistan, Beth Huzayé, a sud-est di Babilonia, capitale Susa), dove Shabur I fa costruire la città di Gundishabur (Bet Lapat in siriaco, nelle fonti cristiane). Anche Shabur II (309-379) fa deportare altri cristiani in Susiana, determinando l’accrescimento delle comunità preesistenti. La ragione della sua politica persecutoria risiede nel convincimento che i cristiani siano amici dei romani, nemici per eccellenza dei persiani. Per i cristiani, a ben vedere, l’accusa di essere ‘schiavi di Cesare’ è un tratto ricorrente. La fedeltà del suddito cristiano allo Stato è infatti un elemento dottrinale rilevante, sia sul piano interno sia su quello esterno, se si pensa che, per la società antica, sfera politica e sfera religiosa sono concepite unitariamente e dunque per i cristiani ha senso un lealismo su entrambi i fronti.
In alcune città persiane sono presenti due comunità, una di lingua greca e l’altra che si esprime nell’idioma locale, con la conseguenza di avere anche due vescovi. Per questo il concilio di Seleucia-Ctesifonte del 410 stabilisce che nella stessa città ci sia un solo vescovo. Tuttavia il fenomeno continua (ad es. a Maišan e Karka de Ledan); anzi le frammentazioni linguistica (si usa specialmente il siriaco) e gerarchica non favoriscono un’unità della Chiesa persiana e l’integrazione nella società sasanide. Mancano testimonianze di una organizzazione ecclesiastica unitaria per il IV secolo: il tentativo compiuto in tal senso da Papa bar Aggai agli inizi del secolo, ossia quello di fare della capitale politica anche la sede di una presidenza ecclesiastica, fallisce per la forte opposizione che incontra, al punto che l’ideatore stesso della soluzione è costretto a dimettersi. Nel 410 a Seleucia-Ctesifonte, dove era stata fondata l’antica sede episcopale di Kōkē, si tiene un importante concilio, convocato dal vescovo Mar Isaac con l’approvazione del re Iezdegerdi II.
L’inizio dell’evangelizzazione dell’India fin dai tempi apostolici, benché non sia avallata da alcuna prova scientifica, è storicamente ammissibile, in ragione dei rapporti commerciali intercorsi, a partire dall’età augustea, tra l’Impero romano e le coste sud-occidentali di quell’immensa regione asiatica. Augusto riceve ambasciatori dall’India128. Sotto i regni di Costanzo II e di Giuliano arrivano delegazioni dall’India e dallo Sri Lanka129. Nei testi antichi non è facile capire a che cosa si riferisca il termine ‘India’.
L’evangelizzazione della Nubia, a sud dell’Egitto, avviene in un periodo posteriore, specialmente a partire dal V secolo. La diffusione del cristianesimo in Etiopia risale al IV secolo. Taluni cristiani, commercianti o missionari, possono già precedentemente essere presenti in Etiopia, ma l’evangelizzazione è legata a un momento preciso, ricordato sia in iscrizioni e monete (segnate dal simbolo della croce) sia in fonti letterarie. Una dettagliata e precisa descrizione è offerta da Rufino130. Verso il 303 sono fatti prigionieri, tra gli altri, Meropio e due ragazzi, Frumenzio ed Edesio, approdati al porto di Adulis (?) per fare rifornimento d’acqua. Tutti i prigionieri sono uccisi, eccettuati i due giovani, in quanto studenti; essi sono condotti di fronte al re (Ella Amida o Usanas), che li accoglie benevolmente a corte. Verso il 320 cominciano a dedicarsi all’educazione del principe ereditario Ezana. All’incirca nel 328 Edesio fa ritorno a Tiro, mentre Frumenzio si reca ad Alessandria, dove si trattiene con Atanasio, che lo ordina vescovo. In un momento che oscilla all’incirca tra il 330 e una datazione successiva al 346, ritorna in Etiopia (qui è noto con i nomi di Feremnatos, che corrisponde a ‘Frumenzio’, e di Salama). Ezana (Aizanas, morto forse dopo il 360), divenuto ormai re, si fa cristiano, sebbene sia ignota la data precisa (350? 360?), e con lui anche suo fratello Sazana. La conversione del negus Ezana è confermata anche da alcune iscrizioni, di cui una in greco, e dal segno della croce sulle monete. Atanasio131 riporta anche una lettera dell’imperatore Costanzo II agli aksumiti (si presume al re), scritta verso il 356, con la quale li invita a rinviare Frumenzio ad Alessandria, per sottomettersi al nuovo patriarca Giorgio di Cappadocia, un ariano. È verosimile che la conversione del re abbia comportato anche quella di molti sudditi.
Volendo tentare di quantificare le sedi episcopali al tempo del concilio di Nicea, credo che approssimativamente si raggiunga la cifra di oltre mille sedi episcopali, facendo rientrare nel conto anche alcune sedi situate fuori del limes romano (Armenia, impero sasanide, Etiopia, Gothia, etc.), con una densità molto variabile a seconda delle aree geografiche. In alcune di queste, come si è visto, tutti gli agglomerati urbani che già posseggono lo statuto di città hanno anche in genere un vescovo residenziale. In altre aree, meno urbanizzate e prive di una struttura cittadina conforme alla normativa romana, la sede episcopale, se esiste, si trova solo in città. L’impressionante numero di sedi episcopali non fornisce un’indicazione approssimativa sul numero dei cristiani, in quanto non esiste una precisa relazione tra presenza del vescovo e consistenza numerica dei fedeli.
1 Sintetica bibliografia d’orientamento generale sulla diffusione del cristianesimo e delle Chiese: A. von Harnack, Die Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten, Leipzig 19234 (citato, però, nella traduzione italiana, fondata sulla seconda edizione tedesca: Missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli, Milano 1906); A.D. Nock, Conversion: The Old and the New in Religion from Alexander the Great to Augustine of Hippo, Oxford 1933; K. Scott Latourette, A History of the Expansion of Christianity, I, First Five Centuries to 500 A.D., New York-London 1937; G. Bardy, La conversion au christianisme durant les premiers siècles, Paris 1947; La conversione religiosa nei primi secoli cristiani, XV Incontro di Studiosi dell’Antichità Cristiana (Roma 8-10 maggio 1986), in Augustinianum 27 (1987), pp. 1-239; R.L. Mullen, The Expansion of Christianity: A Gazetteer of Its First Three Centuries, Leiden 2004; R. Stark, Cities of God: The Real Story of How Christianity Became an Urban Movement and Conquered Rome, San Francisco 2006 (trad. it. Le città di Dio. Come il cristianesimo ha conquistato l’impero romano, Genova 2010); Atlante storico del cristianesimo antico, a cura di A. Di Berardino, Bologna 2010.
2 Ath., h. Ar. 64.
3 Sulla comunione e la sinodalità tra le Chiese, cfr. ora D. Dainese, Συνέρχομαι – συγκρότησις – σύνοδος. Tre diversi usi della denominazione, in Cristianesimo nella storia, 32 (2011), pp. 875-943.
4 Debating Roman Demography, ed. by W. Scheidel, Leiden 2001.
5 Cfr. La popolazione, in Roma imperiale. Una metropoli antica, a cura di E. Lo Cascio, Roma 2000, p. 41; W. Scheidel, Roman Population Size: The Logic of the Debate, in People, Land, and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roman Italy 300 BC-AD 14, ed. by L. de Ligt, S.J. Northwood, Leiden 2008, pp. 17-70.
6 Or., Cels. III 10-12.
7 La traduzione del testo origeniano è tratta dall’Osservatore Romano del 24 giugno 2012, p. 5.
8 Cfr. R. Stark, Le città di Dio, cit., p. 90.
9 Cfr. R.L. Fox, Pagani e cristiani, Roma-Bari 1991, p. 643.
10 Eus., h.e. VIII 11,1.
11 Lact., inst. V 11.
12 W.M. Ramsay, The Cities and Bishoprics of Phrygia, Oxford 1895, pp. 507-508; cfr. A. Chastagnol, L’inscription constantinienne d’Orcistus, in Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité, 93 (1981), pp. 381-416, in partic. 410.
13 Eus., onomast. 112,14.
14 Cfr. D. Feissel, L’«adnotatio» de Constantin sur le droit de cité d’Orcistus en Phrygie, in Antiquité Tardive, 7 (1999), pp. 255-267.
15 Cfr. A. Chastagnol, L’inscription constantinienne d’Orcistus, cit.; Id., Les realia d’une cité d’après l’inscription constantinienne d’Orkistos, in Ktèma, 6 (1981), pp. 373-379; A.C. Johnson, A.R. Coleman-Norton, F.C. Bourne et al., Ancient Roman Statutes: A Translation with Introduction, Commentary, Glossary, Austin 1961, p. 240, doc. 304.
16 Amm., XXV 8,14.
17 Cfr. Iul., Ep. 9, confermato da Soz., h.e. V 3,5.
18 Cfr. S. Ammirati, Per una storia del libro latino antico. Osservazioni paleografiche, bibliologiche e codicologiche sui manoscritti latini di argomento legale dalle origini alla tarda antichità, in Journal of Juristic Papyrology, 11 (2010), pp. 55-110.
19 Cfr. E. Wipszycka, Books, Literacy, and Christian Communities [...]. On Two Recent Books by Roger Bagnall, in Journal of Juristic Papyrology, 11 (2010), pp. 249-262, in partic. 262.
20 Cfr. G. Cavallo, Libri, lettura e biblioteche nella tarda antichità. Un panorama e qualche riflessione, in Antiquité Tardive, 18 (2010), pp. 9-19, in partic. 11.
21 G. Cavallo, Libri, lettura e biblioteche, cit., p. 11.
22 Cfr. R.S. Bagnall, Early Christian Books in Egypt, Princeton 2009, p. 190.
23 Ivi, p. 20.
24 Cfr. S. Mazzarino, Trattato di storia romana, Roma 1976, pp. 299 e 316.
25 Cfr. Hipp., Dan. 4,18.
26 Cfr. Tert., Scap. 3,4.
27 Cfr. Hier., In Is. 3,2.
28 Lo riferisce Aug., civ. XIX 23. L’Africano scrive inoltre che Porfirio aggiunge: «In questi versi Apollo proclamò l’incurabilità della posizione dei cristiani». Cfr., sull’intera materia, Porphyrii De philosophia ex oraculis haurienda librorum reliquiae, ed. G. Wolff, Berolini 1856, pp. 180-185; J.J. O’Meara, Porphyry’s Philosophy from Oracles in Augustine, Paris 1959, pp. 49-61; 145; P. Hadot, Citations de Porphyre chez Augustin (à propos d’un ouvrage récent), in Revue des Études Augustiniennes, 6 (1960), pp. 205-244; per la traduzione latina, cfr. P. Courcelle, Les lettres grecques en occident de Macrobe à Cassiodore, Paris 1948, p. 171 e nota 2.
29 Hier., Comm. in Ies. 3,2.
30 Il concilio rispecchia davvero la situazione degli inizi del IV secolo e non un periodo posteriore.
31 Can. 15: «Propter copiam puellarum gentilibus minime in matrimonium dandae sunt virgines Christianae, ne aetas in flore tumens in adulterio animae resolvatur».
32 Can. 12: «De puellis fidelibus quae gentilibus iunguntur, placuit ut aliquanto tempore a communione separentur».
33 Optat., pp. 186-187.
34 Cfr. Ath., h. Ar. 28 (PG 25, c. 728), che offre un elenco delle sedi episcopali a lui favorevoli.
35 Al riguardo si vedano A. von Harnack, Missione e propagazione, cit., p. 526, che colloca l’avvenimento tra gli anni 218 e 222; e P. Monceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne, depuis les origines jusqu’à l’invasion arabe, tome 1, Tertullien et les origines, Paris 1901, pp. 19-20 e note 7 e 8, che anticipa invece la datazione dell’evento.
36 La sede è discussa, anche se con buona probabilità essa fu nuovamente Cartagine. Al riguardo, cfr. Y. Duval, Les Chrétientés d’Occident et leur évêque au IIIe siècle. Plebs in ecclesia constituta (Cyprien, Ep. 63), Paris 2005, pp. 19 seg.
37 Numero verosimile, ma non sicuro: cfr. Aug., un. bapt. 13,22.
38 Non è ancora chiaro se i vescovi presenti fossero settanta oppure ottanta.
39 Cfr. Eus., h.e. VII 28.
40 Cfr. E. Honigmann, La liste originale des Pères de Nicée, in Byzantion 14 (1939), pp. 17-76, in partic. 41.
41 Cfr. Eus., v.C. III 8: secondo E. Honigmann, La liste originale, cit., p. 68, la lezione giusta è «oltre 300».
42 Cfr. il frammento 32 della sua opera, andata perduta.
43 Per Costantino, cfr. Socr., h.e. I 9; per Atanasio, cfr. Ath., ep. mon. 66 e decr. 43; per Giulio, vescovo di Roma, cfr. Ath., apol. sec. 23 e 25; per Lucifero di Cagliari, cfr. Lucif., reg. apost. 11.
44 Si vedano al riguardo Hier., chron. a. Abr. 2338; Codex Sinaiticus 1117.
45 E. Honigmann, La liste originale, cit., p. 71.
46 Hil., in psalm. 67,20 ed. A. Zingerle: «Cotidie autem per populi credentis accessionem benedictionis multiplicatur augeturque confessio, cum gentiles superstitiones impiaeque de diis fabulae, cum arae daemonum, cum idolorum inania relinquntur et iter omnibus ac profectus dirigitur in salutem».
47 Cfr. J.J. Wilkes, Dalmatia, Cambridge (MA)-London 1969, pp. 429-430.
48 Iren., haer. III 12,5.
49 Cfr. Origins to Constantine, ed. by M.M. Mitchell, F.M. Young (The Cambridge History of Christianity, I), Cambridge 2006, p. 296.
50 Cfr. Cir. S., v. Sab. 57.
51 Cfr. Eus., h.e. X 4.
52 Su Clemente, cfr. ora in generale la recente messa a punto di D. Dainese, Passibilità divina. La dottrina dell’anima in Clemente Alessandrino, Roma 2012.
53 Cfr. Socr., h.e. XVI 4; Ath., apol. sec. I 2,71.
54 Cfr. Eus., h.e. VII 26,1,3; XII 11,5,10,23.
55 Cfr. Eus., h.e. VI 41,17.
56 Cfr. Eus., m.P. 13,11.
57 Al riguardo si veda sempre E. Honigmann, La liste originale, cit., p. 45 note 15-18.
58 Qualche esempio: per Tiro, cfr. At 21,4-7; per Tolemaide, cfr. At 21,7; per Damasco, cfr. At 9,2-22; per Sidone, cfr. At 27,3; per Antiochia, cfr. At 11,19 segg.
59 Su ciò cfr. H.J.W. Drijvers, The Persistence of Pagan Cults and Practice in Christian Syria, in East of Byzantium: Syria and Armenia in the Formative Period, ed. by N.G. Garsoïan, Th.F. Mathews, R.W. Thomson, Washington D.C. 1982, pp. 35-44.
60 Su ciò cfr. J.H.W.G. Liebeschuetz, H. Kennedy, Antioch and the Villages of Northern Syria in the Fifth and Sixth Centuries A.D.: Trends and Problems, in Nottingham Medieval Studies, 23 (1988), pp. 65-90.
61 Presso Eus., h.e. VI 46,3.
62 Cfr. Eus., h.e. VII 5,1.
63 Cfr. Eus., h.e. VI 19,18.
64 Cfr. Eus., m.P. 10,1; 11,6.
65 Cfr. Eus., m.P. 8,13.
66 Cfr. Eus., h.e. VI 46,3; VII 5,1,4.
67 Cfr. Storia del cristianesimo, sotto la direzione di Ch. Pietri, L. Pietri, ed. it. a cura di G. Alberigo, II, Nascita di una cristianità (250-430), Roma 2003, p. 113.
68 Cfr. Eus., m.P.
69 Cfr. H. Gelzer, Patrum Nicaenorum nomina, Leipzig 1898, p.
70 Cfr. Ath., apol. sec. 50.
71 Su ciò si vedano Eus., h.e. I 13 e II 1,6-7; Moses Chor., h.A. II 26-34; Doctr. Addai.
72 Cfr. Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, a cura di A. Di Berardino, I, Genova 2006, c. 1543.
73 Cfr. Eus., h.e. V 23,4.
74 Su ciò si veda S.N.C. Lieu, Manicheism in Mesopotamia and the Roman East, Leiden-New York 19992.
75 Si veda al riguardo J.M. Fiey, Nisibe, métropole syriaque orientale et ses suffragants des origines à nos jours, Bruxelles 1977.
76 Cfr. Cod. Theod. I 15,3; II 26,1.
77 Cfr. Cod. Theod. II 26,1.
78 At 14,11 segnala che a Lystra la gente parla licaonio.
79 Str., V 3,8.
80 Al riguardo, cfr. S. Mitchell, Anatolia. Land, Men, and Gods in Asia Minor, 2 voll., Oxford 1993, II, pp. 57 segg.
81 Cfr. Eus., m.P. 9,2; A.D. Lee, Pagans and Christians in Late Antiquity: A Sourcebook, London 2000, pp. 77 segg.
82 Cfr. Eus., h.e. IV 26,10.
83 Cfr. Eus., h.e. IV 23,2.
84 Cfr. Eus., h.e. VI 23,4.
85 Cfr. Philost., h.e. III 2.
86 Cfr. Acta Sanctorum, maii II 620-622.
87 Cfr. Eus., h.e. IV 23,3.
88 Cfr. Eus., h.e. IV 3,1-2.
89 Cfr. Eus., h.e. IV 3,3.
90 Cfr. Eus., h.e. VI 32,2.
91 Or., Cels. III 30.
92 Cfr. Eus., h.e. IV 20,2.
93 Or., Cels. III 30.
94 Cfr. Eus., h.e. VI 16,2.
95 Cfr. Eus., v.C. III 7.
96 Cfr. Tert., Scap. 3,4.
97 Cfr. Eus., h.e. V 28,7-8.
98 Cfr. Eus., h.e. III 1,1.
99 Cfr. Philost., h.e. I 9.
100 Cfr. Hier., vir. ill. 74.
101 Cfr. Acta Sanctorum, iunii I 373 segg.
102 Cfr. Acta Sanctorum, aprilis III 571-573.
103 Cfr. Philost., h.e. I 9.
104 Rispettivamente Rm 15,19 e 2Tm 4,10.
105 Cfr. Tert., apol. 5,6; Scap. 4,7; Eus., h.e. V 5,4 (a riguardo della testimonianza di Apollinare di Gerapoli).
106 Cfr. Acta Sanctorum, maii I 466-472.
107 Cfr. Ath., apol. sec. 1; 31.
108 Cfr. Rm 15,23.
109 Cfr. Rm 2; 4,1-42.
110 Eus., h.e. VI 14,10.
111 Iren., haer. III 3,3; Tert., praescr. 32,2; Eus., h.e. IV 22,3.
112 Cfr. At 28,13-14.
113 Le origini delle diocesi d’Italia, 2 voll., Faenza 19272.
114 Cfr. Eus., h.e. VI 43,2.
115 Cfr. A. von Harnack, Missione e propagazione, cit., p. 210.
116 Cfr. I. Mazzini, La terminologia della ripartizione territoriale ecclesiastica nei testi conciliari latini dei secoli IV e V, in Studi Urbinati, 43 (1974-1975), pp. 234-266.
117 Reg. eccl. Carth. excerpta, cann. 54-55, in Concilia Africae a. 345–525, rec. C. Munier, Turnhout 1974.
118 Per questo testo, si veda almeno l’edizione critica con ampio commento a cura di F. Ruggiero, Atti dei martiri Scillitani, Roma 1991.
119 L’intestazione dell’autobiografia di Augusto (res gestae divi Augusti) recita: «Rerum gestarum divi Augusti, quibus orbem terrarum imperio populi Romani subiecit». Da questo testo sono tratti i paragrafi che, in traduzione italiana, sono presentati verso la fine del presente contributo.
120 Iren., haer. I 10,2. Secondo A. von Harnack, Missione e propagazione, cit., l’espressione «in medio mundi» si riferisce qui alle Chiese greche e italiche.
121 Cfr. Tac., ann. XV 44.
122 Cfr. Liv. I 16.
123 Si veda supra, alla nota 119.
124 Cfr. Tert., adv. Iud. 7,4.
125 Cfr. Eus., h.e. VI 46,2.
126 Cfr. Rufin., hist. I 10.
127 Cfr. Soz., h.e. II 12,4.
128 Cfr. res gestae divi Augusti XXXI.
129 Cfr. il P. Lond. 2574, edito e studiato in H.I. Bell, A Byzantine Tax-Receipt (P. Lond. Inv. 2574). With One Plate, in Mélanges Gaston Maspero, II, Orient grec, romain et byzantin, Fasc. 1 = Mémoires publiés par les Membres de l’Institut français d’Archéologie orientale, 67 (1935-1937), pp. 105-111, in partic. 105; Amm. XXII 7,10; Zonar. XIII 12.
130 Cfr. Rufin., hist. I 9-10.
131 Cfr. Ath., apol. Const. 31.