Spazio geografico, organizzazione e pianificazione dello
Il concetto di spazio, alla base della epistemologia geografica, è stato oggetto di un ampio dibattito disciplinare e interdisciplinare che, dalla metà del 20° sec., ha progressivamente chiarito le posizioni ideologiche e pragmatiche della geografia rispetto alle problematiche di assetto territoriale. Da contenitore di elementi aventi una posizione precisamente definita (spazio assoluto della cartografia), tale concetto si è evoluto in senso relativo, per l'esigenza di considerare gli aspetti dinamici e relazionali di un sistema sempre più complesso, identificabile con il territorio. Sotto questo profilo, notevole influenza hanno avuto le concezioni economiche dello spazio funzionale assunto come campo di forze, di attrazione da parte di poli (urbani, industriali) e gravitazione da parte di aree a essi riferite; a tali concezioni, ritenute da taluni meccanicistiche, la geografia umana ha affiancato - quando non contrapposto - uno spazio vissuto, di appartenenza culturale, dove ai parametri essenzialmente quantitativi del primo si sostituivano attributi qualitativi, a definire una territorialità delle popolazioni intesa nel senso di reciproco legame rispetto ai luoghi. Il dibattito non può dirsi concluso (v. anche geografia), come dimostrano saggi e articoli sui rapporti fra spazio e tempo, nonché sui significati di termini essenziali (quale, appunto, territorio; Historicité et spatialité 2001, Elissalde 2002), ma ancor più del ruolo che spazi fisici e comunità antropiche vengono ad assumere, con una dimensione tipicamente transcalare, nei nuovi rapporti politici, sociali e produttivi instaurati dal processo di globalizzazione (Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità 2005).
I termini organizzazione e pianificazione delineano, a loro volta, dinamiche e pratiche territoriali coinvolgenti campi disciplinari diversi, rispetto ai quali la geografia stenta a vedere riconosciuta una propria funzione specifica, ancorché, nell'ordinamento universitario italiano, corsi di Organizzazione e pianificazione del territorio, tenuti da geografi, abbiano in molte sedi affiancato o addirittura sostituito i tradizionali insegnamenti geografici, soprattutto nelle facoltà di architettura e di economia, con una finalità marcatamente applicativa e operativa. In linea generale, al primo termine è stato prevalentemente attribuito un significato di evoluzione spontanea per quanto concerne sia la struttura insediativa, con particolare riguardo al rapporto città/campagna, sia quella produttiva (modernizzazioni agricole, localizzazioni industriali e terziarie); di contro, il secondo ha implicato una valutazione in qualche misura dirigista, nel senso di orientamento normativo - talora persino forzoso - dei processi di sviluppo territoriale. Quest'ultima accezione, invero, ha perduto sostanza per due motivi fondamentali: a) la caduta dei regimi autoritari, da ultimi quelli comunisti, che facevano del dirigismo pianificatorio uno strumento di controllo politico e sociale dello Stato; b) i nuovi orientamenti della pianificazione nei Paesi liberali, conseguenti alla acquisita consapevolezza dei vincoli di impatto ambientale e, ancor più, della necessità di verificare il consenso dei soggetti direttamente interessati alle decisioni assunte da organismi centrali o comunque sovraordinati, per cui si potrebbe parlare piuttosto di atti di indirizzo prospettico il cui obiettivo è far convergere le strategie macroregionali con le vocazioni degli ambiti locali.
L'approccio descrittivo, prima, e analitico, poi, con cui la geografia ha affrontato lo studio delle condizioni spaziali è rimasto in ogni caso, specie in Italia, a lungo distaccato dalle politiche e dalle pratiche territoriali: un simile atteggiamento, unito alle obiettive condizioni di divario normativo in termini professionali (mancanza di un ordine o albo abilitato allo svolgimento di tali attività, a differenza delle discipline urbanistiche, tecniche ed economiche), ha fatto sì che l'ampia e pur apprezzata produzione di conoscenza geografica trovasse scarsa applicazione negli ambiti di piano. La suddetta dicotomia "riflette la contrapposizione tra social sciences e design sciences, secondo la quale le prime si interesserebbero dell'attore e del contesto dell'azione, individuale e collettiva, mentre le altre sarebbero soprattutto orientate agli esiti dell'azione" (Governa, Salone 2002, p. 31). Tale dicotomia , anche nell'ambiente anglosassone più aperto alla transdisciplinarità, ha visto i geografi, da un lato, limitarsi all'analisi distributiva e cartografica preliminare al piano o, dall'altro, reclamare piena autonomia rispetto ai soggetti pubblici e privati - produttori delle effettive trasformazioni sul territorio - in virtù di quella capacità di sintesi delle componenti territoriali che, da originaria peculiarità, ha finito per trasformarsi in limite della disciplina geografica. Essa infatti è considerata, dall'esterno, inconciliabile con la specializzazione settoriale sempre più richiesta negli ambiti della pianificazione territoriale e della programmazione economica.
Nella fase strutturalista che ha coperto gran parte del 20° sec., l'analisi geografica ha fornito un supporto funzionale alla gerarchia dei piani, adattandovi le concezioni regionali derivanti dalle teorie della polarizzazione industriale e urbana (località centrali). Mentre, però, la geografia produceva interpretazioni significative degli assetti sociospaziali, stimolate e integrate dal dibattito interno aperto negli anni Settanta dalle correnti radicali neomarxiste, la pianificazione si irrigidiva nel vincolismo normativo, ritagliando il territorio secondo la logica delle zonizzazioni, spesso rispondente più agli interessi dei poteri forti che non ai processi realmente in atto; e mentre la stessa teoria geografica evolveva nella direzione dei modelli di integrazione e recupero dei valori locali, le altre discipline territoriali restavano ancorate agli stati di fatto, ossia al divario fra centro (città) e periferia (non-città).
Dagli anni Novanta i radicali cambiamenti geopolitici ed economici costringevano la pianificazione urbanistica a rivedere profondamente le proprie impostazioni. Innanzi tutto, i quadri conoscitivi territoriali, da semplice premessa, divenivano parte integrante del piano in tutte le sue dimensioni: strategica, strutturale e operativa. Ciò rivaluta sostanzialmente il contributo della geografia, il cui ampio spettro disciplinare si estende dalle invarianti fisiche e ambientali - sempre più marcatamente coinvolte nelle trasformazioni antropiche, e pertanto divenute valori da preservare - alle attività e relazioni economiche sul territorio, improntate a una complessità fortemente crescente.
Il carattere implicitamente progettuale della geografia recupera, in tal modo, quel descrittivismo interpretativo che, grazie soprattutto all'approccio multiscalare, porta a definire i nuovi ordini spaziali generati dai cambiamenti sociali e dalle innovazioni tecnologiche. Non più, dunque, descrizione 'obiettiva' di forme e strutture statiche, bensì lettura delle dinamiche differenziali e interattive che collegano i soggetti alle caratteristiche territoriali e che dipendono strettamente dai legami di territorialità esistenti all'interno dei singoli contesti regionali e locali. Si adotta, in tal modo, un punto di vista interno a tali contesti, evidenziando l'importanza delle relazioni che legano gli 'attori' al territorio e valorizzandone la capacità di orientare il processo di sviluppo: "l'azione collettiva dei soggetti si costruisce in relazione ai, e in funzione dei, rapporti con il territorio in cui i diversi soggetti agiscono. In tale rapporto, l'emersione di nuove forme di organizzazione territoriale si realizza in relazione alle forme e alle modalità dell'azione collettiva e il territorio si configura come un insieme di 'prese' per la costruzione di azioni condivise" (Governa, Salone 2002, p. 36).
La concezione del territorio come prodotto di una appartenenza naturale e di una evoluzione storica si salda con quella costruttivista del territorio come progetto elaborato dall'azione collettiva dei soggetti che vi operano; su entrambe si estende la competenza amministrativa, a sua volta fondamentale se intesa in una funzione complementare, ovvero di supporto pubblico alle decisioni. Quest'ultima trova piena espressione nella tendenza - affermata in particolare nei Paesi europei - al decentramento delle competenze e dei poteri statali, con il superamento delle tradizionali forme di pianificazione 'dall'alto' e il consolidamento di nuove forme di pianificazione concertata, che recepisce le istanze provenienti 'dal basso' non come elementi di deregolamentazione bensì attraverso procedure ispirate ai principi di sussidiarietà, perequazione territoriale e copianificazione, a sostanziare quella che viene definita, con termine anglosassone, governance. Entrato ampiamente nell'uso corrente anche in Italia, tale termine sta a indicare il coordinamento delle dinamiche socioeconomiche cui partecipano, sul territorio, una molteplicità di attori: amministrazioni pubbliche, associazioni del lavoro e dell'impresa, singoli soggetti privati. All'interno di una categoria tanto ampia, non sorprende che il termine stesso venga spesso letto in maniera riduttiva, se non impropria, con significati che vanno dalla legittimazione delle riforme strutturali nel settore pubblico alle modalità di organizzazione e direzione dei soggetti economici. Per quanto attiene all'organizzazione e pianificazione del territorio, si possono individuare due tipologie di politiche connesse all'uso dei modelli di governance: quella globale, che attiene alla dimensione delle relazioni internazionali e, come detto, vede prevalere orientamenti di matrice neoliberista; quella locale, che si esplica nelle azioni dirette alla trasformazione di specifici ambiti regionali e privilegia la cooperazione interistituzionale al fine di stimolare la capacità competitiva dei singoli sistemi territoriali, mantenendone al tempo stesso la coesione socioculturale e valorizzandone la specificità delle risorse.
La teoria geografica, in stretta interrelazione con altre discipline sociali (prima fra tutte, la politica economica), ha messo a punto modelli che - rivisitando e innovando sostanzialmente la classica definizione di regione umanizzata, in sé tendenzialmente statica perché legata alla conservazione dei generi di vita - si propongono di analizzare le relazioni tra interazione sociale, potenzialità territoriale, governance e sviluppo nei sistemi locali, definiti come una rete di soggetti i quali, per gli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con l'ambiente (milieu) in cui operano, si comportano di fatto come un soggetto collettivo. È questa la condizione per definire l'estensione e i limiti dell'insieme spaziale (regionale) corrispondente, tale da rispettare "le condizioni di prossimità geografica necessarie perché le reti locali dei soggetti capaci di azione collettiva si formino sulla base di relazioni che implicano conoscenza reciproca diretta, fiducia, condivisione di conoscenze contestuali, di interessi e progetti legati a un capitale territoriale comune e che garantisca una larga partecipazione" (Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità 2005, p. 32).
Viene dunque privilegiata la dimensione 'dal basso', pur senza che si debba rigettare l'impiego di modelli di più stretta derivazione funzionalista, nei quali tuttavia, dall'approccio gerarchico, che subordinava le scelte locali di pianificazione a quelle assunte da enti sovraordinati, si transita all'approccio reticolare, che favorisce la complementarità e l'integrazione delle azioni di trasformazione e propulsione economica dello spazio regionale. Questo, a sua volta, ricompone la dimensione di area vasta attraverso passaggi di scala che consentono di inserire, e rendere concorrenziali, i sistemi e i progetti locali in una rete territoriale progressivamente più ampia.
In particolare nel caso italiano, dagli anni Novanta, sono stati introdotti strumenti normativi di pianificazione e programmazione 'flessibile' che attengono sia alla dimensione urbana sia a quella regionale. Fra i primi - di iniziativa del ministero dei Lavori pubblici - si ricordano i PRU (Programmi di Recupero Urbano), i PRIU (Programmi di Riqualificazione Urbana) e i PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio); fra i secondi - di iniziativa diretta del Ministero del Tesoro, Bilancio e Programmazione economica - i Contratti di programma, i Contratti d'area e i Patti territoriali. Si tratta di interventi proposti di concerto da amministrazioni locali e soggetti privati, nei quali prevalgono obiettivi progettuali di immediata attuazione, finalizzati allo sviluppo o alla riconversione del patrimonio territoriale esistente, specie quando obsoleto o degradato: ne sono oggetto, per esemplificare, nuclei storici o zone periferiche delle città, aree industriali in crisi, sistemi locali marginali, assi infrastrutturali. Le realizzazioni non sono mancate, pur se vanno osservati alcuni limiti insiti nella natura stessa di tali strumenti, come la difficoltà di coordinamento e di inserimento dei singoli progetti in un disegno organico e la frequente sovrapposizione, sul territorio, di tali interventi fra loro e con gli strumenti di pianificazione consolidati (Piani territoriali provinciali, Piani regolatori comunali), dei quali essi rappresentano deroghe non sempre congruenti.
Nell'ottica geografico-economica, tuttavia, gli effetti positivi cominciano a manifestarsi in modo particolare per quanto concerne la valorizzazione delle risorse locali (v. sopra), che ricevono attenzione ben maggiore rispetto al passato, quando scenari di programmazione pur apprezzabili restavano solo a livello teorico, oppure interventi di pianificazione non condivisi accendevano contenziosi amministrativi tali da vanificarne la fattibilità. In più, va sottolineato come tali nuovi strumenti abbiano contribuito a rivalutare il ruolo della conoscenza diretta del territorio, aumentando il grado di coinvolgimento dei geografi nelle pratiche di piano.
Elemento emergente è la costituzione dei SIT (Sistemi Informativi Territoriali), legati direttamente alla realizzazione dell'apparato conoscitivo e ricadenti nella più ampia categoria dei GIS (Geographical Information Systems), che si sostanziano nella costruzione di banche-dati e di prodotti cartografici digitalizzati, atti a valutare le compatibilità di uso e trasformazione del territorio (carte dei luoghi, dei paesaggi, dei suoli ecc.; Landini, Properzi 2005). La realizzazione di SIT da parte sia di regioni ed enti locali (province, comuni) sia di altri ambiti fisici (per es., bacini idrografici, da parte delle relative autorità) o funzionali (per es., organismi economici su base territoriale), ha incentivato l'applicazione dei GIS nell'ambito della pianificazione urbanistica nonché della gestione delle criticità ambientali, delle funzioni produttive e dei servizi.
bibliografia
Historicité et spatialité. Recherche sur le problème de l'espace dans la pensée contemporaine, éd. J. Benoist, F. Merlini, Paris 2001.
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B. Elissalde, Une géographie des territoires, in L'information géographique, 2002, 3, pp. 193-205.
F. Governa, C. Salone, Descrivere la governance. Conoscenza geografica e modelli di azione collettiva nelle politiche urbane e territoriali, in Bollettino della Società geografica italiana, 2002, 1, pp. 29-50.
M. Prezioso, I nuovi strumenti della pianificazione urbana e territoriale per un governo sostenibile e integrato, in Bollettino della Società geografica italiana, 2004, 1, pp. 175-90.
P. Landini, P. Properzi, Una esperienza applicativa interdisciplinare: le 'carte dei luoghi' nella nuova legislazione urbanistica regionale, in Bollettino della Associazione italiana di cartografia, 2005, 123-25, pp. 9-24.
Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità: il modello SloT, a cura di G. Dematteis, F. Governa, Milano 2005.