specie (spezie; spece, per ragioni di rima)
Il termine designa ciò che vale a caratterizzare una classe d'individui che partecipa della stessa essenza, e quindi sia gl'individui considerati come insieme, sia la forma che è il principio di unità dell'insieme; designa anche la forma o similitudine (sensibile o intellettuale) di qualcosa, in quanto ‛ informa ' e attua una facoltà umana; vale insieme " tipo ", " maniera ", " modo di essere " di una certa cosa.
Il termine conserva prevalentemente l'uso tecnico quale è stato diffuso nel Medioevo dalle traduzioni dell'Isagoge di Porfirio; in essa s. è definita innanzi tutto come quel concetto che è compreso in un genere (v. GENERE, e cfr. Translatio Boethii, ediz. L. Minio-Paluello adiuvante B. Dod, Bruges-Parigi 1966, " Aristoteles latinus " I 6-7, p. 8: " Dicitur... species et ea quae est sub adsignato genere, secundum quam solemus dicere hominem quidem speciem animalis cum sit genus animal, album autem coloris speciem, triangulum vero figurae speciem ") e di cui il genere è predicato (p. 9: " speciem est quod ponitur sub genere et de qua genus in eo quod quid sit praedicatur "; si ricordi che la definizione di qualcosa è data mediante l'indicazione del genere e della differenza specifica); ma s. è definita anche (ed è accezione più stretta) come ciò che si predica in modo essenziale (cioè come appartenente all'essenza) di più cose, differenti solo per numero (ibid. " species est quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur "); nel sec. XI Papia Vocabulista ricorda fra l'altro quest'ultima definizione: " Species dicuntur multarum rerum collectiones in una visione monstratae. Species: forma, imago, effigies, similitudo ".
In greco a s. corrisponde εἷδος (ma anche ἰδέα: v. FORMA, per i testi di Cicerone citati, e dello stesso cfr. Top. 30 " in divisione formae, quas Graeci εἴδη vocant, nostri, si qui haec forte tractant, species appellant, non pessime id quidem, sed inutiliter ad mutandos casus in dicendo. Nolim enim, ne si Latine quidem possit dici, ‛ specierum ' et ‛ speciebus ' dicere; et saepe his casibus utendum est; at ‛ formis ' et ‛ formarum ' velim "). In Platone designa l'idea o prototipo o essenza di una cosa (Symp. 210b; Hippias I 289d; Phaed. 102b, 103e; Theaet. 148d). Nei testi del neoplatonismo latino s. è in primo luogo l'idea, intesa come causa esemplare delle cose sensibili (cfr. Calcidio Comm. Tim. 339, ediz. J.H. Waszink, Londra-Leida 1962, " Plato latinus " IV, p. 332: " primaria species, quae idea est, substantia definitur carens corpore colore figura, sine tactu, intellectu tamen comprehendenda causaque omnium quae ex se similitudine mutuantur "; cfr. § 340, p. 333); essa è nell'intelletto o luogo delle idee (Macrobio Comm. in Somnium Scip. I VI 20 " mens ex eo [Dio] nata in qua rerum species continentur "); a somiglianza del mondo ideale è ‛ esemplato ' il mondo sensibile, mondo della mutazione e del cambiamento, nel quale gli elementi assumono di volta in volta s. differenti (ibid. II XII 13 " constat ... nihil intra vivum mundum perire, sed eorum quae interire videntur solam mutari speciem, et illud in originem suam atque in ipsa elementa remeare, quod tale fuit esse desierit ").
Nella tradizione aristotelica s. è la forma che attua la materia (cfr. Aristotele Phys. I 4, 187a 18; Metaph. VII 3, 1029a 29, e Tomm. Exp. Metaph. VIII 3, lect. 3, n. 1705 " Utrum nomen speciei significet substantiam compositam, aut forma tantum, sive aliquid quod est loco actus "; ma l'uso di s. nel senso di ‛ forma ' è anche in Calcidio op. cit. 222, p. 236: " Corpus eius [dell'uomo] materia est, anima vero species sive forma, iuxta quam speciem, id est animam, animal est cognominatum. Hanc ergo speciem qua formantur singula generaliter Aristoteles entelechiam, id est absolutam perfectionem, vocat; hac enim obveniente silvae quae olim fuerant in sola possibilitate perveniunt ad effectum "); ma è anche, secondo Aristotele, l'" immagine " di un oggetto (forma conoscitiva) ricevuta dai sensi o colta dall'intelletto (cfr. R. Bacone De Multiplicatione specierum I 1, in Opus maius, ediz. J.H. Bridges, Londra-Edimburgo-Oxford 1900, 409: " Dicitur autem species respectu sensus et intellectus secundum usum Aristotelis et naturalium quia dicit secundo de Anima quod sensus universaliter suscipit species rerum sensibilium, et in tertio dicit quod intellectus est locus specierum "; cfr. anche Agostino De doctr. christ. II I 1: segno è ciò che comunica qualcosa " praeter speciem quam ingerit sensibus ").
Ma s. è nel Medioevo, più generalmente, il primo effetto di un qualsiasi agente naturale, e, in particolare, nella dottrina della luce, è l'immagine di un ente diffusa e moltiplicata nel ‛ mezzo ' (v.), cioè in quella realtà che è posta tra l'oggetto e il senso (cfr. ibid. " Species... non sumitur hic pro quanto universali apud Porphyrium, sed transsumitur hoc nomen ad designandum primum effectum cuiuslibet agentis naturaliter. Et ut in exemplo pateat haec species, dicimus lumen solis in aere esse speciem lucis solaris, quae est in corpore suo, et lumen forte cadens per fenestram vel foramen nobis satis est visibile, et est species lucis stellae. Et Avicenna dicit tertio de Anima, quod lux est qualitas corporis lucentis, ut ignis vel stellae, lumen vero est illud quod est multiplicatum et generatum ab illa luce quae sit in aere, et in caeteris corporibus raris, quae vocantur media, quia mediantibus illis multiplicantur species... Et quando per medium vitri aut crystalli aut panni fortiter colorati transit radius, apparet nobis in obscuro iuxta radium color similis colori illius corporis bene colorati. Et ille color in opaco dicitur similitudo et species coloris in colore fortiter colorato per quod transit radius ").
Secondo D. la s. (il termine è glossato con ‛ maniera ' [v.]; v. anche MANERIES) è la totalità degl'individui che partecipano della stessa essenza o della stessa proprietà: in Cv II IV 4 si ricorda che secondo Platone e i suoi seguaci, oltre alle Intelligenze motrici dei cieli, vi sono tante Intelligenze quante sono le spezie de le cose (cioè le maniere de le cose): sì come è una spezie tutti li uomini, e un'altra tutto l'oro, e un'altra tutte le larghezze, e così di tutte; esse sarebbero generatrici de le altre cose ed essempli, ciascuna de la sua spezie (§ 5; per l'interpretazione del passo, v. FORMA). Nello stesso senso sono da intendere le occorrenze di IV XIV 9 ciascuna spezie di cose, XVI 9 quelle cose che sono d'una spezie, sì come sono tutti li uomini; Pd XIII 71 Ond'elli avvien ch'un medesimo legno, / secondo specie, meglio e peggio frutta: tutto ciò che partecipa di una stessa forma essenziale ha perfezione diversa a seconda della disposizione della materia in cui la forma si attua e della disposizione dei cieli che con la loro influenza presiedono alla generazione nel mondo sublunare; cfr. anche Ep III 2 obiecta diversa numero sed non specie. La locuzione ‛ umana s. ' fa il paio con ‛ umana generazione ' (v. GENERAZIONE) e designa il " genere umano "; così in Cv III VII 6, IV IV 6, Pd VII 28 (per la colpa di Adamo l'umana specie inferma giacque) e XXXII 123 (l'umana specie tanto amaro gusta); il loco / fatto per proprio de l'umana spece (I 57, in rima con fece: lece) è il Paradiso terrestre, che Dio creò per l'uomo nello stato d'innocenza, e che come suo ‛ luogo proprio ' o ‛ naturale ' consente all'uomo migliore e completo esplicarsi delle facoltà. Così anche in If II 77 O donna di virtù sola per cui / l'umana spezie eccede ogni contento / di quel ciel c'ha minor li cerchi sui: grazie a Beatrice e alla virtù di cui è regina gli uomini s'innalzano su tutto ciò che è contenuto sotto il cielo della Luna; e in III 104: le anime in attesa di essere traghettate da Caronte bestemmiavano Dio e lor parenti, / l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme / di lor semenza e di lor nascimenti.
In Cv IV XV 6, a proposito della discussione sulla nobiltà, contro chi afferma che non è possibile che da padre ‛ vile ' discenda un uomo nobile, si rileva che una tale tesi postula che gli uomini non discendano tutti da un primo uomo, e che di conseguenza si fanno spezie due de l'umana generazione, contro l'insegnamento di Aristotele che vuole una sola essenza essere in tutti li uomini. In realtà, una stessa essenza non può essere partecipata a più s., se si tien presente che ogni s. è tale grazie a una facoltà o proprietà ‛ ultima ' che la costituisce differenziandola dalle altre s. all'interno di un unico genere, ed è la differenza specifica; se fosse comune a più s., tale facoltà non sarebbe la differenza specifica di esse: cfr. Mn I III 5 nulla vis a pluribus spetie diversis participata ultimum est de potentia alicuius illorum; quia, cum illud quod est ultimum tale sit constitutivum spetiei, sequeretur quod una essentia pluribus spetiebus esset specificata: quod est inpossibile. Nell'uomo la differenza specifica è l'intelletto (v.) o ragione (v.); ma poiché oltre all'uomo vi sono altre sostanze di natura intellettuale, va detto che queste ultime sono solo ‛ nature intellettuali ', pure forme; in loro non c'è alcuna possibilità, ma solo ininterrotta attività dell'intendere: essentiae tales speties quaedam sunt intellectuales et non aliud; il loro intelligere... est sine interpolatione (§ 7). La facoltà intellettiva che è differenza specifica del genere umano è perciò più propriamente l'intelletto possibile (v.).
Sulla partecipazione di tutti gli uomini a una comune natura intellettuale si fonda, secondo D., la possibilità della comunicazione e quindi del linguaggio; mentre infatti gli animali inferiori, se sono della stessa s., non hanno bisogno di comunicare per mezzo di una locutio, giacché a manifestare l'intento bastano i loro atti o le loro passioni (omnibus eiusdem speciei sunt iidem actus et passiones, et sic possunt per proprios alienos cognoscere); o, se gli animali diversa-rum sunt specierum, la comunicazione fra loro è impossibile (VE I II 5); negli uomini, che sono individui di una stessa s., la facoltà razionale (ratio) nei tre momenti della discretio, del iudicium e dell'electio si diversifica da individuo a individuo tanto che sembra che ciascun uomo costituisca quasi una s. a sé (ut fere quilibet sua propria specie videatur gaudere, III 1); non bastano perciò atti e passioni, come negli animali bruti, a esprimere la ‛ discrezione ', il giudizio o la scelta dei singoli; è necessario il linguaggio. Che poi esso si attui in una certa lingua piuttosto che in un'altra è fatto che dipende non dall'appartenenza dell'uomo a un genere o a una s. ma dalle condizioni storiche in cui esso si trova a vivere in quanto individuo (II I 6, due volte).
Il passo di Quaestio 45 (intentio Naturae universalis est ut omnes formae, quae sunt in potentia materiae primae, reducantur in actum, et secundum rationem speciei sint in actu; ut materia prima secundum suam totalitatem sit sub omni forma materiali) va inteso nel senso che la natura (v.) universale, e cioè i cieli che sono causa della generazione di ciò che è contingente, mira a che siano in atto tutte le forme specificamente differenti, non tanto che si attuino tutte le forme della stessa s. differenziate solo dalla materia (v. PRIVAZIONE).
In Mn III XI 5 il termine designa, nella prima occorrenza, la ‛ comune natura ' che costituisce l'individuo nella sua sostanzialità grazie a una forma che dà ad esso l'essere semplicemente; nell'alltra, un accidente ‛ comune ' dipendente da una forma che dà all'individuo un certo essere, o l'essere in un certo modo: Homo... est id quod est per formam substantialem, per quam sortitur spetiem et genus, et per quam reponitur sub praedicamento substantiae; pater vero est id quod est per formam accidentalem, quae est relatio per quam sortitur speciem quandam et genus, et reponitur sub genere ‛ ad aliquid ', sive ‛ relationis '. In quest'ultima accezione il termine è nei §§ 8 e 9, dove occorre la locuzione ‛ comunicare in specie ' (il Papato e l'‛ imperiatus ' [v.] denotano relazioni diverse e perciò papa e imperatore ‛ non communicant in specie '). In Quaestio 4 si fa riferimento ai vari ‛ tipi ' di qualità (v.) secondo Aristotele (cfr. anche pseudo Agostino Categoriae decem, " Aristoteles latinus " I 1-5, ediz. L. Minio-Paluello, Bruges-Parigi 1962, 94); in VE I XVI 3, s. designa diversi " tipi " di azione; in Cv III XI 11 si parla di varie spezie de l'amistà. In Mn I III 9 il termine indica le ‛ forme universali ' o concetti, che sono similitudini intellettuali dell'oggetto conosciuto; in XV 7 s. è il concetto del bene che, una volta conosciuto, attua la volontà.