Specula principum in Età moderna
Gli specula principum appartengono a un genere letterario di tipo didattico, che ha per oggetto precipuo il retto comportamento dei regnanti e la loro arte di governo. Nel descrivere e prescrivere un modello ideale, l’intenzione degli autori è quella di dotare di un senso soprattutto religioso e morale l’ordinamento politico e, più in particolare, l’ufficio del principe. Proprio per la loro intenzione didattica e parenetica, e per una tendenza normativa e quindi critica, gli specula principum si differenziano dai panegirici di corte, anche se spesso nelle lettere dedicatorie degli specula la distanza tra autore e destinatario si annulla nella lode del principe. Il genere, già diffuso e conosciuto nell’antico Egitto, nell’India, in Cina e nel mondo arabo, conosce i suoi modelli classici nella Ciropedia di Senofonte, nelle orazioni di Isocrate a Nicocle ed Evagora, e infine nel De clementia di Seneca dedicato a Nerone, nel quale è rappresentato il principe ideale di stampo ellenistico e stoico, principe che poi assume alcune caratteristiche tratte dall’etica cristiana durante l’età carolingia e conservatesi fino alla critica illuministica al volgere del XVIII secolo. Gli specula possono avere un destinatario concreto, oppure essere indirizzati ai regnanti in generale; la dedica premessa agli scritti esprime un desiderio di riconoscimento e di apprezzamento dell’autore da parte del destinatario oppure un legame, reale o solo vagheggiato, fra essi. Le regole degli specula, che per lo più hanno anche un contenuto religioso, mirano a disegnare il comportamento moralmente retto del principe per il raggiungimento di fini politici legittimi. Le loro riflessioni, infatti, si concentrano sia sull’analisi dell’ufficio principesco, che sulla sua legittimità, e propongono una teoria politica a carattere normativo, rispecchiando solo indirettamente la realtà contemporanea. I temi possono essere i più vari: la presentazione di un sovrano ideale, l’esortazione a perseguire un comportamento giusto e a evitare le azioni malvagie, l’educazione e la preparazione all’attività di governo, la legittimità, i compiti e i modi di esercizio della sovranità1. La fortuna della metafora speculare e del suo utilizzo nei campi più diversi del sapere medievale e moderno, dalla letteratura alla filosofia, dalla teologia alla storia e al diritto, è dovuta alla sua presenza nella Scrittura, in particolare nelle epistole paoline, e all’idea, nata con i Padri, della Scrittura stessa come uno specchio nel quale l’uomo «può scorgere il suo “dover essere” e trarne motivo di meditazione»; lo specchio diventa pertanto «mezzo di conoscenza, tale da apportare un insegnamento sia puramente informativo, sia normativo»2.
Il genere speculare, diffuso dall’Oriente all’Occidente in un arco temporale che va dall’antichità classica fino all’alba della Rivoluzione francese, può essere a buon diritto accostato agli altri tre generi fondamentali della riflessione occidentale sulla politica, le «tre radici della politica» di Dolf Sternberger: quella «politologica», quella «demonologica» e quella «escatologica», rappresentate rispettivamente dalla Politica di Aristotele, dal Principe di Machiavelli e dalla Civitas Dei di Agostino. Gli specula, allora, cessano di essere un mero esercizio pedagogico e parenetico, per diventare anch’essi un «fenomeno originario» e una «forma naturale» della riflessione sulla politica3. La ricerca sugli specula ha conosciuto un rifiorire di studi all’indomani della «riabilitazione della filosofia pratica», vale a dire dopo che il tema dell’educazione e della formazione del personale politico era andato progressivamente scomparendo nella teoria politica: all’analisi dell’ufficio principesco, più o meno sacralizzato e in qualche caso trascolorato all’interno della concezione ministeriale della sovranità, secondo la quale il re è ministro di Dio nel suo regno per promuovere il bene spirituale e materiale dei sudditi conformandosi alla volontà divina e al modello regale veterotestamentario, si è sostituita la descrizione delle istituzioni politiche, del loro personale e del loro funzionamento4. La riabilitazione della filosofia pratica ha ridestato l’interesse per questioni quali l’etica politica, la virtù dei migliori, l’arte di governo e l’educazione politica, e quindi per il pensiero di autori medievali e moderni, secondo i quali, nella scienza politica, «la virtus regia, le richieste che dovevano essere avanzate ai governanti e ai loro figli, avevano svolto un ruolo molto importante. Quella politica era appunto il luogo sistematico della letteratura degli specula principum». Oggetto di questa riflessione erano il comportamento giusto e adeguato dei regnanti, la condotta di vita e le condizioni particolari in cui essa si svolge, il potere sulla e nella comunità, la virtù, la vita virtuosa e il modo in cui essa potesse essere garantita ai sudditi. Gli specula sono stati un genere letterario importante di questa speculazione sulla politica, rappresentando inoltre «una peculiare forma di verifica della scienza nella prassi»5. Essi manifestano l’esigenza di un’«etica della regalità», della volontà di codificare e moralizzare l’arte di governo e di ricondurre l’esercizio del potere entro dei limiti morali, giuridici e religiosi. Nel tipizzare e rendere convenzionale l’immagine del principe cristiano, spersonalizzandone e scarnificandone il ritratto, gli specula, che pure non intendevano esporre una teoria sistematica della sovranità, alla fine arrivano a rappresentare un modello principesco inserito pienamente nella societas christiana medievale e moderna6.
Negli specula carolingi si ritrovano temi già presenti negli specula merovingi, loro precursori, che segneranno da allora in poi il genere, seppure con «mutamenti di funzionalità» nel corso del suo sviluppo storico: gli usi letterariamente molteplici dello specchio si prestano a una simbologia diversificata7. Se lo specchio rinvia l’immagine di chi vi si riflette ed è strumento primordiale della percezione e quindi della conoscenza di sé, esso è anche un mezzo per accertare la corrispondenza con un ideale – sia esso di ordine estetico, religioso o morale – e per avvicinarvisi il più possibile attraverso un processo d’investigazione prima e di emendazione poi. La metafora dello specchio è una delle più amate e usate nella storia della letteratura, a motivo sia della diffusione dell’oggetto materiale a partire dal XIII secolo, sia della plasticità della metafora stessa, che la rendeva utilizzabile nei contesti più diversi e soggetto predestinato di applicazioni letterarie, filosofiche, teologiche e politiche legate alla contemporaneità storica8. D’altro canto, lo specchio può non restituire un’immagine fedele della realtà, ma solo un’illusione, una parvenza di essa, e in alcuni casi può essere fuorviante e ingannevole. Infine, esso può essere il tramite verso mondi immaginari, utopici e speculari a quello reale.
Lo specchio non solo riflette un’immagine e la restituisce più o meno distorta, alterata, amplificata, ma è un ritratto, una descrizione della realtà, finanche uno sguardo volto all’osservazione e quindi alla conoscenza del mondo e di sé, conservando la polisemia dell’etimo greco (κάτοπτρον/ὄψομαι) e latino (speculum/specio). A un livello ulteriore, l’uomo e il mondo possono essere strumenti speculari per la conoscenza del divino; in particolare, l’uomo è visto come specchio, per quanto imperfetto e incompleto, di Dio. La stessa divinazione e la predizione del futuro si avvalgono di specchi per il tramite della catottromanzia. Lo specchio è allora immagine di ciò che è stato, di ciò che è e finanche di ciò potrebbe o dovrebbe essere. Questa molteplicità di piani temporali si riflette anche nel genere letterario: lo speculum, nelle sue diverse articolazioni, è un ponte tra gli esempi del passato, la presa di coscienza del presente e la parenesi per il futuro. La sua simbologia è fondata soprattutto sul principio dell’analogia, passando dal visibile e conosciuto all’invisibile e sconosciuto, ed evocando poi la manifestazione del trascendente nell’immanente; in essa si ritrova anche il principio anagogico dell’imitazione, finalizzata all’emendazione e al perfezionamento morale attraverso la contemplazione e la conoscenza dell’immagine ideale9.
La funzione evocativa dello specchio è rintracciabile in diverse forme e con una continuità notevole. La metafora speculare, data la sua varietà e la sua plasticità, è usata con diverse sfumature sia nella Scrittura, che nel pensiero teologico e filosofico, anche se Margot Schmidt ha potuto distinguere tra specula istruttivi, quali sono gli specula enciclopedici medievali, il cui fine è rappresentare la realtà e arricchire così la conoscenza del destinatario dell’opera, e specula esemplari ovvero normativi, che illustrano una via di perfezionamento morale e religioso10. È questo il caso, ad esempio, del Quis ignorat di Agostino, vero e proprio punto d’intersezione tra florilegi medievali e specula, che fornirà poi il modello per tutti gli altri scritti del genere11, quindi di tutta una serie di scritti a carattere didattico e parenetico dai titoli diversissimi (speculum christiani, speculum peccatoris, speculum conscientiae, speculum ecclesiae, speculum vitae christianae) e destinati all’edificazione di praticamente tutte le categorie di cristiani, ivi compresi i principi e i nobili12. Gli specula principum, dal canto loro, sono una forma secolarizzata dei florilegi spirituali e morali con finalità pedagogiche e didattiche. Essi, tuttavia, si distinguono dalle enciclopedie medievali sia per l’appartenenza all’insieme di scritti caratterizzati dalla «simbologia speculare», sia per essere indirizzati esclusivamente ai detentori del potere politico e civile13.
Nel caso degli specula principum si tratta di un insieme di opere che costituiscono un genere proprio e ben individuato, destinato a fornire ai principi delle precise regole concernenti il loro ufficio. Forma e contenuto degli specula si vanno precisando, dopo gli esordi del genere durante l’età carolingia, nel corso del XIII secolo, per poi svilupparsi ulteriormente in seguito al concilio di Trento e giungere al termine nel XVII-XVIII secolo. Seppure non siano destinate all’uso accademico, queste opere si occupano in modo esplicito di teorie politiche sull’arte di governo, cercando innanzitutto di chiarire il rapporto tra la persona del principe e l’ufficio che questi ricopre. Si tratta quindi non già di semplici florilegi scritturali e patristici di argomenti etico-religiosi, ma di trattati, calati nella forma peculiare dello speculum, sul principe, all’interno della società cristiana e dell’ordinamento politico. Tuttavia, esaminando i florilegi e gli specchi dei principi a partire proprio dal Quis ignorat agostiniano, risulta chiaro come non sia facile tracciare una linea di demarcazione netta tra un’ipotetica natura prettamente compilatoria degli uni e la proposizione prescrittiva di valori morali e religiosi contenuta negli altri, considerata anche la massa e la varietà di questo tipo di scritti. Oltretutto, c’è tra loro un rapporto di filiazione: i primi forniscono il materiale intellettuale ai precettori incaricati della formazione dei giovani nobili e dei principi, per i quali gli specchi sono pensati e composti, mentre i secondi rappresentano uno sviluppo ulteriore verso una trattazione universalmente valida che trascende lo scritto d’occasione14.
La scelta letteraria da parte degli autori proprio del genere speculare, e non di un trattato, di una disputa universitaria, di un pamphlet, di un’opera di erudizione oppure di un foglio volante, lungi da essere un mero artifizio di stile, è di fondamentale importanza per i contenuti trattati, che non possono essere astratti dalla forma in cui sono espressi. Propendendo per la forma speculare, gli autori aderiscono consapevolmente a un particolare modello letterario d’indagine teorico-politica e accettano con ciò di confrontarsi da una parte con il contesto in cui sono immersi, dall’altra con una tradizione millenaria. Gli specula, inoltre, devono essere visti nel contesto della situazione nella quale avviene la comunicazione politica e tenendo presente l’intenzione dell’opera, perché l’autore ha ben presente il fine pubblicistico del suo scritto in una concreta situazione comunicativa: c’è un nesso forte tra quest’ultima, la forma letteraria del testo e l’intenzione nascosta o palese dell’autore.
La forma letteraria, in cui una dottrina politica è espressa, è costitutiva non solo per la trasmissione di un dato messaggio a un dato destinatario, in un contesto storico-politico ben individuato, ma in assoluto anche per la dottrina politica stessa, della quale questi aspetti sono parte integrante. Gli autori giungono a strategie retoriche e testuali diverse, che si riflettono nella scelta di una specifica forma letteraria, alla quale si riconosce, in una data situazione, una maggiore capacità comunicativa per la trasmissione e per la ricezione delle dottrine politiche sostenute nelle opere. La scelta del genere, allora, è in stretta correlazione con l’esperienza della contemporaneità politica e sociale che gli autori fanno nel contesto della specifica situazione comunicativa. Per questo motivo, gli specula principum sono testi pragmatici, vale a dire testi inseriti nella situazione comunicativa e riferiti a essa.
Gli specula devono essere letti e compresi nel contesto di tali situazioni comunicative e delle funzioni e strategie testuali che gli autori impiegano per raggiungere i propri scopi politici e letterari. Di pari importanza sono le strategie retoriche con le quali gli scritti speculari, vere e proprie opere di teoria politica, sono stati composti, perché attraverso la scelta di determinati strumenti testuali di tipo pragmatico e retorico l’autore mirava a ottenere un effetto particolare sul pubblico al quale lo scritto era indirizzato; i testi diventano «azioni simboliche», con la consapevole intenzione di esercitare un’influenza sul discorso politico. Ciò trova la sua espressione nel carattere politico e didattico degli specula15.
Il tema del principe cristiano è stato affrontato per primi dai teologi. Grazie al suo carattere sacro la regalità diventa, dall’età carolingia in poi, un’istituzione cristiana, all’interno della quale il re diviene un ministro di Dio attraverso il suo ufficio regale, che si sostanzia nel promuovere il bene materiale e spirituale dei sudditi e nell’esercitare il potere in conformità con la volontà divina, così come illustrato dagli esempi veterotestamentari di Davide e Salomone. Non è perciò la regalità a costituire il fondamento della sacralità del re, ma la sua fede cristiana: il re è sacro non in quanto tale, ma in quanto cristiano; l’incoronazione e l’unzione cristianizzano il re, il suo regno e la sovranità che egli esercita16. L’epoca degli umanisti e dei riformatori è segnata da due grandi specula medievali che la precedono sia cronologicamente sia concettualmente: il De regimine principum ad regem Cypri di Tommaso d’Aquino e Tolomeo di Lucca e il De regimine principum di Egidio Romano. Con l’ingresso delle opere di Aristotele nella riflessione occidentale, in particolare dell’Etica e della Politica, da Egidio Romano in poi l’educazione del principe diventa centrale per garantire che a esercitare la sovranità sia il miglior principe possibile in virtù della sua corretta formazione, senza per questo mettere in discussione il carattere sacrale del suo ufficio, né tantomeno la legittimità della successione dinastica17.
Seguendo una linea di opere di teologia politica che passa per il De regimine principum et quorumcumque regentium di Bernardino da Siena, il De concordia catholica di Niccolò Cusano, il De ortu et auctoritate imperii romani di Enea Silvio Piccolomini e i due scritti di Francesco Patrizi, il De institutione reipublicae e il De regno et regis institutione, si giunge all’opera considerata il culmine della tradizione speculare di stampo umanistico e cristiano, l’Institutio principis christiani di Erasmo da Rotterdam, pubblicata nel 1516 e destinata all’allora duca di Borgogna Carlo d’Asburgo, a cui, in modo del tutto peculiare, fa da contraltare il Principe di Niccolò Machiavelli18.
La natura degli specula principum cambia sensibilmente, rispetto al modello medievale, tra XVI e XVIII secolo. Basti pensare che la grande maggioranza dei circa cinquecento specula censiti per il periodo compreso fra il XIII e il XIX secolo sono stati scritti fra il XVI e il XVII secolo. Gli specula sono quindi un fenomeno di lunghissima vitalità, che però ha assunto un carattere tipicamente moderno. Già alla fine del tardo Medioevo, ma poi ancor più chiaramente con l’Umanesimo, la componente teorico-politica degli specula lascia il posto all’elemento pedagogico e parenetico e sfrutta in modo conseguente il grande patrimonio culturale offerto dalla riscoperta degli exempla contenuti negli autori classici. Il modello del sovrano, in modo sempre maggiore, subisce l’influenza da una parte del regnante ideale di stampo platonico, dall’altra dell’individualismo rinascimentale: il princeps optimus è tale in quanto literatus, mentre la riflessione sulla natura e i limiti della potestas diventano oggetto di una specifica riflessione nei trattati a carattere giuridico-politico19. Il genere si colora poi, dai primi del Cinquecento, di riflessi confessionali e di motivi religiosi e teologici, che rispecchiano i rivolgimenti storici contemporanei: gli snodi problematici diventano ora il reggimento cristiano del principe, che assume a tratti toni escatologici e, all’opposto, la resistenza al sovrano religionis causa20. A partire dal XVI secolo si assiste anche a un ampliamento sia della cerchia degli autori, tra i quali teologi, letterati, pedagoghi, consiglieri di corte e giuristi, appartenenti tutti al nuovo ceto intellettuale della prima età moderna21, sia di quella dei destinatari cui sono rivolti gli specchi, con la lenta trasformazione dei criteri di legittimità del potere politico, nella parabola che si dispiega dal diritto divino dei re al diritto naturale22, e con la nascita di idee di governo e di amministrazione razionali, che culmineranno nell’assolutismo, nell’Illuminismo e nella Rivoluzione23. Il modello letterario dello speculum, dopo il Principe, sopravvive e conosce una sua riviviscenza anche dopo il Tridentino. Tuttavia, anche se l’opera di Jean Bodin rappresenta un punto di svolta nel panorama dei nuovi modelli del pensiero politico europeo tra XVI e XVII secolo24, essa non porta alla conclusione della stagione speculare. Al contrario, il genere degli specula si trasforma e si rinvigorisce, giustapponendo all’antico catalogo delle virtù principesche, eredità della pedagogia umanista, le nuove questioni giuridico-amministrative sorte all’interno della teoria amministrativa della Policey e segnando il passaggio «da un’etica di governo centrata sulla persona del principe a una tecnica di gestione della forza umana e materiale fondata sulla realtà dello stato»: il libro dello Stato è diventato il nuovo specchio del principe25. Sebbene gli specula di carattere tradizionale abbiano compiuto il loro ciclo e le nuove idee politiche abbiano trovato espressione in generi letterari nuovi rispetto al passato, uno di questi generi nuovi ovvero rinnovati è proprio quello degli specula dell’età dell’assolutismo e del cameralismo26.
Data la mole quantitativa e la ricchezza qualitativa del corpus speculare, le seguenti riflessioni sono da considerare solo come un primo approccio al tema costantiniano negli specula principum di Età moderna; d’altronde, gli specula costantiniani sono solo una minima parte del sapere speculare prodotto dalla cultura filosofica, teologica e politica. Di conseguenza, in questo saggio è data un’estensione limitata e molto specifica alla definizione di speculum principum, per non allargare indebitamente il campo d’indagine a scritti che, pur avendo in sé elementi speculari, non sono specchi nel senso proprio del termine. Uno speculum è da intendersi, quindi, come uno scritto nel quale il modello di un principe è proposto al destinatario, concreto o ideale che sia, presentando la ricostruzione biografica di principi famosi, a seconda del loro modo di regnare, agire, pensare; idealizzando, in maniera letterariamente codificata, personalità storiche; infine, discutendo e documentando con esempi storici princìpi, norme e regole di comportamento di un regnante27.
Lo speculum è altresì un’opera compiuta in sé, che tratta nel modo più completo possibile del retto comportamento del principe in ragione della sua particolare posizione all’interno dell’ordinamento sociale, ed è finalizzato certamente all’ammonimento e all’educazione del principe destinatario dello scritto, ma anche alla trasmissione di un sapere di natura prima di tutto etico-morale e di valori religiosi e politici28. L’attenzione sarà posta su autonome elaborazioni dell’ufficio e della figura principeschi che non siano quindi un excursus inserito in un’opera di maggiore ampiezza, che abbiano una consistenza minima e un titolo corrispondente all’oggetto trattato. Pur nella loro diversità di occasione, destinatario e contesto, gli scritti presi qui in esame hanno tutti un’intenzione didattica, che si esprime in primo luogo nel titolo (pur con una notevole varietà lessicale: imago, speculum/Spiegel, instructio, imitatio, thesaurus, schema, idea, Cyripaedia, etc.). Anche la forma, i contenuti e il modo di strutturare tematicamente lo speculum presentano delle affinità non meramente esteriori, indicando piuttosto, a partire da Egidio Romano, una certa canonizzazione del genere. Gli autori, infine, mostrano in più luoghi la consapevolezza di una comune appartenenza letteraria, che risale al mondo classico e arriva, attraverso il Medioevo, fino alla tradizione umanistica e contemporanea29.
Anche se la sua specificità deve essere compresa entro la più ampia cornice della letteratura speculare, anch’essa riconducibile al vastissimo mondo dei florilegi morali e spirituali, il genere letterario degli specula costituisce, nella letteratura teologico-politica e giuridico-politica tra Medioevo ed Età moderna, «un corpo nettamente caratterizzato, sia dal punto di vista formale sia sotto il riguardo della sua funzionalità»30. Il genere degli specula, com’è ovvio, muta al mutare stesso delle idee politiche e religiose a esso sottese e delle condizioni storiche, ma, al contempo e in modo analogo ad altre forme di espressione letteraria e scientifica, contribuisce a plasmare e indirizzare i temi e le caratteristiche del pensiero politico medievale e moderno.
Alla luce di queste considerazioni sarà opportuno esaminare solo quegli scritti destinati ai principi con una finalità didattica, e codificati secondo le regole di un genere letterario proprio che attinge alla ricca riserva storica e culturale del patrimonio topologico di Età moderna31. Sarà conseguentemente necessario escludere, da una parte, gli specchi generalmente rivolti ad altri membri della società cetuale e, dall’altra, i giudizi su singoli sovrani espressi sia in opere a carattere storico-giuridico, sia in lettere o poesie dedicatorie di tipo panegirico premesse prima agli incunaboli e poi alle opere a stampa. Una matrice a maglie più strette per delimitare l’insieme degli scritti speculari e per individuare un corpus di testi ben delimitato ha l’innegabile vantaggio di dare maggior risalto alla presenza oppure all’assenza di temi costantiniani nei modelli proposti ai principi: se la figura di Costantino compare in un genere letterariamente molto connotato, la sua presenza oppure assenza sarà tanto più significativa che non una diffusione ampia, ma superficiale. Un’ultima e ovvia limitazione caratterizza questo saggio ancora più in particolare: saranno presi in considerazione quegli specula in cui compaiono o la figura di Costantino oppure un tema costantiniano (la natura cristiana dell’Impero, la translatio, la donazione di Costantino, etc.).
Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, negli specula e nei testamenti politici moderni più conosciuti, come l’Instructio erasmiana, il Principe di Machiavelli, il Βασιλικὸν Δῶρον di Giacomo I d’Inghilterra (al tempo della stesura ancora Giacomo VI di Scozia) e i Monita paterna di Massimiliano I di Baviera per il suo successore Ferdinando Maria, non vi è alcun riferimento alla figura costantiniana, mentre nell’Antimachiavel di Federico II di Prussia Costantino è nominato solo di sfuggita, nel capitolo XIX, a proposito delle congiure contro i sovrani. Costantino non compare neppure nell’Utopia di Thomas More, che inaugura un terzo genere d’indagine teorico-politica, quello utopico, che si va a collocare accanto alla forma tradizionale dell’istruzione del principe, canonizzata letterariamente nel trattato e nello speculum di carattere normativo e didattico, e allo stesso tempo ne rappresenta il superamento. Anche in questo caso, non si tratta solo di una nuova forma di philosophia, ma anche di un genere letterario nuovo e di grande successo: si pensi solo al Moriae encomium erasmiano e al precedente successo editoriale del Narrenschiff, opera dell’umanista tedesco Sebastian Brant32.
Evidentemente, Costantino e i temi costantiniani mal si accordavano con il modello di principe che questi scritti intendevano proporre. Ciononostante, Costantino è presente in alcuni importanti specula moderni a carattere piuttosto storico-giuridico che non etico-morale33. La prima opera da ricordare è l’Agatharchia dell’alsaziano Jakob Wimpfeling (1450-1528), teologo, umanista con alle spalle studi a Friburgo, Erfurt e Heidelberg, e professore di retorica e poetica nella città palatina a partire dal 149834. L’Agatharchia, scritta in occasione del ritorno di Wimpfeling a Heidelberg, è dedicata al principe e futuro conte palatino Ludovico V Wittelsbach (1478-1544). L’umanista era già entrato in contatto con la corte durante il suo primo soggiorno a Heidelberg tra il 1469 e il 1483; in occasione del suo ritorno, nell’agosto 1498, dedicò due opere alla dinastia palatina, l’Agatharchia al principe Ludovico e la Philippica al conte e principe elettore Filippo il Giusto.
L’opera consiste di trentun capitoli, che nella loro strutturazione seguono lo schema aristotelico, utilizzato già nel De regimine principum di Egidio Romano e nel De eruditione principum dello Pseudo-Tommaso, che tratta in successione l’etica, l’economia e la politica: l’ufficio del principe e la sua persona, la famiglia e la corte, il regno al suo interno e verso l’esterno35. Costantino, in particolare, compare in due passi. Il primo è nel capitolo IV dove, secondo un topos molto diffuso, è presentato in compagnia di Teodosio. La coppia di imperatori esemplificava, in modo efficace e sintetico, la serie dei regnanti ortodossi al servizio della Chiesa, con un evidente riferimento alla dottrina medievale dei due poteri. Qui i due incarnano il modello di comportamento del principe verso Dio, la Chiesa e i suoi ministri: il principe deve venerare Dio, ubbidire umilmente a Lui e alla Chiesa, conoscere le leggi divine, onorare, rispettare e proteggere i ministri di Dio, seguendo in ciò l’esempio di Costantino e Teodosio («Exemplar sumat a Constantino, a Theodosio»), che li hanno trattati con deferenza e onore36.
In un altro passo dell’Agatharchia, al capitolo XVII, Wimpfeling affronta il tema dell’educazione del principe, tema tradizionale della letteratura speculare fin dall’Antichità classica, che entra ora nelle trattazioni degli specula tedeschi attraverso l’Umanesimo italiano e in particolare grazie a Enea Silvio Piccolomini. Secondo Wimpfeling, il principe deve curare l’istruzione dei propri figli nelle arti liberali; fondamentale è anche che conoscano bene il latino, perché ciò darà loro onore in occasione delle diete imperiali, dove si intratterranno con altri principi, saranno in presenza di prelati, come la nobiltà tedesca aveva sperimentato al concilio di Basilea con i legati pontifici, e riceveranno cardinali e ospiti stranieri. Fedele al topos umanistico delle arma et litterae, Wimpfeling elenca una serie di personaggi storici, per i quali lo studio del latino non è stato di impedimento nel coprirsi di onore e nel conseguire trionfi e vittorie in battaglia: Cesare, Augusto, Catone, Roberto d’Angiò, Costantino e Carlo Magno37.
Un altro speculum celebre è quello di Antonio de Guevara, il Reloj de principes, cui si affianca un altro scritto storico-erudito di Guevara, il Libro áureo de Marco Aurelio, usciti rispettivamente a Valladolid nel 1529 e a Siviglia nel 152838. Mentre in queste due opere sulla figura dell’imperatore Marco Aurelio Costantino non compare se non di sfuggita a proposito dello spostamento della residenza imperiale a Costantinopoli, ciò avviene nell’adattamento italiano del Reloj de principes e del Libro áureo di Antonio de Guevara da parte del fabrianese Mambrino Roseo, l’Institutione del prencipe christiano, che conosce numerose edizioni tra il 1543 e il 1608. Di Roseo, uno dei letterati più popolari dell’età della Controriforma, si hanno pochissime notizie biografiche: egli dovrebbe essere nato prima dell’ottobre del 1502 e morì probabilmente a Castelnuovo di Porto intorno al 1575; di lui si conosce una vastissima produzione letteraria e un’attività ininterrotta di autore, traduttore e adattatore, soprattutto di romanzi cavallereschi spagnoli39. La traduzione tedesca di Aegidius Albertinus, dal titolo Lustgarten und Weckuhr e uscita a Monaco di Baviera nel 1599, segue per contro più da vicino quella spagnola: Costantino, infatti, è citato al medesimo passo sullo spostamento della capitale imperiale40.
Nel capitolo XIX dell’Institutione, dal titolo «Che i prencipi deono eleggere presso di loro huomini saui», Mambrino Roseo si occupa non solo dell’utilità, ma finanche della necessità per i principi di affidarsi a dei saggi consiglieri, perché «i prencipi che non istimano il conseglio di huomini saui, et dotti, habbino per certo di giamai essere di cuore ubiditi, percio che la legge fatta imprudentemente non merita essere osseruata»41. L’esempio migliore è offerto dalla storia di Roma, che mostra come alla superbia e all’ambizione nella guerra si sia accompagnata la prudenza nella vita civile: «si come con feroci capitani si uincono i nemici, così con huomini prudenti si gouernano i popoli»42. Gli «huomini saui, et prudenti», sono fondamentali nel garantire il delicato equilibrio tra l’audacia dei sudditi e l’ambizione dei principi e nel conservare lo Stato, perché «giamai fu un prencipe buono hauendo un conseglio cattiuo, et giamai fu prencipe cattiuo che ascoltasse conseglio buono», non potendosi separare «la degnità dell’uffitio, et la natura della persona»43.
I consiglieri del principe sono, secondo Roseo, persino più importanti dei suoi medici personali, perché un errore dei primi causerebbe dei danni al corpo, mentre «il mal conseglio puo generare la rouina d’un popolo»44. Ai bei tempi nei quali i massimi onori erano tributati non «a possessori di ricchezze», ma «agli amatori di sapienza», quando il mondo non aveva ancora perduto «il gusto […] della sapienza», per un principe era più infamante «non hauere appresso di se philosophi et huomini dotti, che essercitare la tirannide»45. Roseo, a tal proposito, riporta degli aneddoti tratti dalle vite di Traiano, Teodosio e Costantino. Questi, riconoscendo «sapienza et dottrina» nel filosofo «Allabio», prima l’avrebbe nominato «prefetto della sua giustitia», e poi «lo lasciò dopo la sua morte con Costanzo suo figliolo gouernadore dell’Imperio». Qui Roseo tace, forse per ignoranza o per non diminuire la forza dell’exemplum costantiniano, alcuni particolari non secondari: il cretese Flavio Ablabio, dopo la sua conversione al cristianesimo, fu un ascoltato consigliere di Costantino. Nominato prefetto del pretorio d’Oriente nel 326 e console nel 331, Ablabio fu fatto uccidere proprio da Costanzo II nel 338 perché sospettato di ambire al trono imperiale. Ablabio, inoltre, aveva fatto cadere in disgrazia presso Costantino, facendolo quindi uccidere, il filosofo neoplatonico Sopatro di Apamea46.
Il pastore luterano Christof Vischer (noto anche come Fischer o Piscator), nato a Jáchymov, in Boemia, nel 1520, studia teologia a Wittenberg, vivendo e lavorando a stretto contatto con Lutero, Melantone e Johannes Bugenhagen. Grazie all’aiuto del secondo egli ottiene prima il posto di pastore, poi di superintendente e infine di superintendente generale nella contea di Henneberg, retta in quegli anni dal conte Georg Ernst. In virtù delle sue cariche ecclesiastiche Vischer partecipa attivamente, in stretta collaborazione con il conte, i suoi consiglieri e gli altri pastori della contea, all’introduzione della Riforma in quei territori attraverso molteplici visite pastorali e la partecipazione a una commissione mista, istituita allo scopo di sorvegliare l’ortodossia e i comportamenti del clero e dei sudditi. L’attività di Vischer prosegue fino al 1567, quando egli presenta le sue dimissioni, accettate nel 1571, per dissapori di carattere dottrinale. Vischer ottiene immediatamente dopo, grazie agli auspici della moglie del conte Elisabeth von Braunschweig-Lüneburg e agli stretti legami con il suo casato, il posto di superintendente aggiunto a Celle. È anche per questo motivo che il suo specchio, dal titolo Bericht aus Gottes Wort, è dedicato ai giovani principi della casa Braunschweig-Lüneburg, dei quali il figlio di Vischer, chiamato anch’egli Cristoph, diviene precettore47.
Il Bericht aus Gottes Wort viene composto dopo che Vischer lasciava la contea di Henneberg per recarsi a Celle. Lo scritto ha due edizioni, uscite a Smalcalda rispettivamente nel 1573 e nel 159348. È evidente come le vicissitudini personali di Vischer, la sua formazione umanistica e teologica e il suo lavoro di pastore abbiano lasciato un segno profondo sull’immagine principesca tratteggiata nel Bericht, caratterizzato da un chiaro intento consolatorio, pedagogico e pastorale. Vischer cita Costantino a proposito degli obblighi del potere politico: Dio ha affidato a principi e signori le loro terre, affinché essi ne promuovano il bene e ne tengano lontano il male. Tutto ciò non è certamente un compito facile, da sbrigare in un battito d’ali, e per questo è necessario guardare alle gesta narrate nelle storie, che sono uno specchio della vita («ein Spiegel unsers lebens»)49.
Da questo punto in poi Vischer ricorda una lunga serie di personaggi storici, tra cui Salomone, Platone, Aristotele, Alfonso V d’Aragona il Magnanimo, Giustiniano I, Alessandro Magno, Scipione l’Africano, Tolomeo II Filadelfo e infine Costantino che, scrive Vischer, secondo quanto raccontato da Eusebio avrebbe ordinato di copiare la Scrittura nella sua interezza, perché i posteri non perdessero un tesoro così salvifico e nobile («den heilwertigen edlen Schatz»), e anzi lo conservassero e lo proteggessero come il più utile dei gioielli («das hochnuetzlichste kleinot»)50. Proseguendo nella sua galleria di personaggi storici, nella quale trovano posto anche Massimiliano I, Carlo V e Ferdinando I d’Asburgo, Vischer nomina anche Teodosio che, secondo il teologo, è un mirabile esempio di re timorato di Dio e degno quindi di lode, perché la pietas di un regnante è il suo ornamento, il suo lustro e la sua gemma più splendente («Gottes furcht ist jr fuernemes ornament, zierd vnd schmucke»)51.
Un caso interessante di appropriazione e rielaborazione di uno speculum classico è rappresentato dalla fortuna del celebre specchio bizantino dal titolo ̓Έκθεσις κεφαλαίων παραινετικῶν (Expositio capitum admonitorium nelle edizioni latine), scritto dal diacono di Santa Sofia Agapeto in occasione della salita al trono nel 527 di Giustiniano I, di cui forse era stato precettore. L’opera si compone di settantadue capitoli, le cui iniziali formano l’acrostico della dedica di Agapeto a Giustiniano52. Dell’ ̓Έκθεσις, che nel XV e XVI secolo diviene il testo normativo dell’assolutismo regio, tanto da spingere Luigi XIII a curarne l’edizione francese del 1612, si conoscono diverse trasposizioni moderne in latino, francese, spagnolo, tedesco, inglese e italiano53.
La Scheda regia, ovvero Regentenbüchlein del pastore luterano Martin Moller, nato nel 1547 a Kropstädt nei pressi di Wittenberg, è un adattamento in lingua tedesca dell’ ̓Έκθεσις, uscito a Görlitz prima nel 1590 e poi nel 1605. Moller viene ordinato a Wittenberg nel 1572, senza tuttavia aver compiuto dei regolari studi di teologia. La sua attività pastorale si rispecchia pienamente nei suoi scritti, che hanno quasi tutti un carattere edificante e pratico; muore a Görlitz nel 160654. Moller sceglie di prendere come base del suo speculum proprio l’ ̓Έκθεσις di Agapeto verosimilmente perché quest’ultimo, oltre a essere di gran lunga lo specchio di principi bizantino più diffuso nell’Europa sia orientale sia occidentale, era impiegato come manuale di greco nei ginnasi; Moller potrebbe averlo conosciuto e usato negli anni trascorsi in quello di Görlitz a partire dal 1566. Il Regentenbüchlein è dedicato al duca Carlo II di Münsterberg-Öls, allora uno dei più influenti principi protestanti della Slesia. In realtà, il destinatario dello specchio non è tanto il duca, quanto l’autorità secolare in genere, istituzione voluta da Dio cui spettano obblighi ben precisi, con un evidente riferimento alla dottrina dei due regni di Lutero55.
Il Regentenbüchlein conserva la struttura originaria in settantadue capitoli dell’ ̓Έκθεσις, anche se Moller li rivisita profondamente alla luce della teologia di Lutero e Melantone e li amplia a tal punto che il suo adattamento supera di circa quindici volte l’originale. Il passo in cui compare Costantino, nel primo capitolo, mostra al meglio il modo in cui Moller procede nella stesura del suo specchio: alla traduzione fedele in tedesco dell’originale greco, o più probabilmente della versione latina, segue la precisazione da parte di Moller che la regola appena enunciata e parafrasata da Rm 13,1, vale a dire che l’autorità è istituita da Dio e deve governare in Suo onore e lode, è tratta dalla Scrittura. Sia la regola, che i passi riportati da Moller non sono presenti nell’originale greco; più che di una traduzione o trasposizione, qui si tratta della lettura luterana di Agapeto da parte di Moller56.
Il tema del capitolo è centrale in tutta la riflessione teologica sul potere politico: il fondamento divino dell’autorità sancito in Rm 13,1. Alle scarne riflessioni di Agapeto Moller aggiunge una serie di exempla negativi di regnanti, come Geroboamo I, che hanno contravvenuto alla regola di Mt 22,21 e Mc 12,17 («Gebet dem Kaeyser, was des Kaeysers ist, und Gotte, was Gottes ist»), ed exempla positivi, come quello di Ciro, Dario e Costantino, che l’hanno rispettata. Quest’ultimo, in particolare, fu secondo Moller un sovrano pio perché, rivolgendosi ai vescovi, si sarebbe considerato uno di loro («Ich bin auch […], ein Bischoff, so wol als jr»), con una sola importante differenza: mentre a essi sarebbe spettato il compito di vigilare che tutto procedesse come doveva nella Chiesa («in den Kirchen»), il suo sarebbe stato quello di occuparsi del bene di tutto l’Impero al di fuori della Chiesa («ausser den Kirchen im gantzen Lande»)57. Non è certamente un caso che l’interpretazione di Costantino da parte di Moller, che riprende il luogo costantiniano classico dell’imperatore quale ἐπίσκοπος τῶν ἐκτός, ai suoi occhi combaci perfettamente con la situazione storica del governo ecclesiastico territoriale dei signori tedeschi.
La Cyripaedia nova et christiana è uno speculum principum tipicamente tedesco, antimachiavellico e controriformista. Il suo autore è Hans Beat Graß (noto anche come Vay), nobile cattolico dell’Austria anteriore che, secondo quanto scritto nell’introduzione all’opera, avrebbe tradotto la Cyripaedia dal francese. La notizia sembra però priva di fondamento: è più probabile, infatti, che Graß abbia voluto cautelarsi dalle eventuali reazioni negative allo speculum, allontanando da sé la paternità dell’opera. La casata Graß è originaria di Eichstetten, una piccola cittadina nell’odierno Baden-Württemberg, allora parte dei possedimenti asburgici nella Germania sudoccidentale. Egli nasce intorno al 1535 e, negli anni Settanta del Cinquecento, diviene consigliere camerale, al quale spetta l’amministrazione di una parte della Brisgovia a nord di Friburgo. Graß rimane attivo nella burocrazia territoriale fino alla sua morte, avvenuta nel 161758.
La Cyripaedia viene composta nel 1596, in un periodo particolarmente delicato dal punto di vista politico e religioso. L’anno prima, Mattia d’Asburgo era diventato arciduca dell’Austria anteriore e aveva dato inizio a una fase di intensa ricattolicizzazione dei suoi domini ereditari. Graß, temendo per il suo incarico nell’amministrazione, decide di ingraziarsi il suo nuovo signore, allora praticamente sconosciuto nell’Austria anteriore e di cui è però nota la rigidezza controriformista, dedicandogli la Cyripaedia; il suo tentativo ha successo visto che riceve, a quanto sembra, un’importante promozione. Graß, tra l’altro, incontra nei territori da lui amministrati una forte resistenza alla politica confessionale asburgica, in particolare da parte degli anabattisti e dei mennoniti, e ciò si riflette anche nell’impianto e nel tono generale della sua opera.
Lo speculum di Graß conosce tre edizioni, stampate tutte tra il 1596 e il 1604 a Friburgo. Costantino è trattato in un passo dedicato alla difesa della vera religione cui, secondo Graß, va di pari passo la prosperità delle comunità politiche, dei loro sovrani e dei loro sudditi. Al contrario, l’aver abbandonato la «vetusta, vera e giusta religione» («vralte, wahre, gerechte Religion») porta con sé la punizione divina e quindi la loro rovina («sonder seyen so wol die König als jhre Land, Leuth vnd Vnderthanen jederzeit von Gott dem Allmächtigen mit allerley ernstlichen Straffen heimgesucht worden, lestlich zu grund gangen»). Ne è il miglior esempio la storia dell’Impero greco ovvero bizantino («deß Griechischen Keyserthumbs»), caduto nelle empie mani dei turchi a causa delle sètte che vi si erano radicate («wegen eingewurtzlete Secten»), disobbedienti nei confronti della Chiesa e dell’autorità ecclesiastica e secolare. Difatti, dopo aver raggiunto un periodo di pace e sicurezza («Ruh vnd Sicherheit») grazie a Costantino, che si era adoperato con il massimo impegno per porre fine alle persecuzioni contro i cristiani, la Chiesa visse un periodo di rilassamento dei costumi. Satana, allora, vi intravide una ghiotta occasione per spargere ogni tipo di false opinioni e dottrine erronee, sette ed eresie («allerley falsche Meynungen, irrige Lehren, Secten und Ketzereyen»), che si diffusero allora così largamente che, secondo Graß, ancora nel presente se ne risentivano gli effetti nefasti. Non pago di ciò, Satana scatenò contro l’Impero greco prima Maometto, l’arcieretico («Ertzketzer»), e poi gli ottomani, che posero la cristianità sotto il loro giogo59.
In un altro passo della Cyripaedia, poco sotto, Graß, nell’ammonirli a non dimenticare il loro compito di difensori e protettori della Chiesa e a non attaccarla, affliggerla e perseguitarla, ché certamente Dio non lascerebbe una tale condotta impunita («Vor allen dingen aber sollen sich die Fürsten enthalten und hüten, dz sie die Kirchen, an statt schutzs und schirms, nicht selbs angreifen, betrüben und verfolgen, dann gwißlich Gott der Allmächtig solches nicht ungerochen laßt»), elenca prima i sovrani che furono colpiti da Dio per il loro comportamento sacrilego: tra gli altri, Giuliano l’Apostata, Costantino II, il figlio ariano del pio Costantino, Teodorico, Attila e Totila, ma anche Federico II di Svevia e Leone III Isaurico. Subito dopo, Graß elogia quei re che furono fedeli servitori, «Protectores, Defensores, Tutores und Conservatores» della Chiesa («der Kirchen Schutzen, vnd Schirmherren, Vormund vnd Erhalter»), come Costantino, Gioviano, Teodosio, Valentiniano I, Carlo Magno, Ludovico il Pio, gli Ottoni, Carlo IV di Lussemburgo e infine Carlo V d’Asburgo, che avrebbero impiegato tutto il potere concesso loro da Dio («alle jre Macht vnd Gewalt, ja alles, wz jnen Gott geben vnd verlihen hat») nella difesa della Chiesa e soprattutto alla conservazione, all’accrescimento e alla difesa della vera religione cattolica e romana («erhaltung, fortpflantzung vnd vertheidigung der wahren Catholischen Römischen Religion»)60.
L’accostamento delle eresie tardoantiche a quelle moderne, con le quali viene identificata la Riforma, è un luogo diffusissimo nella polemica controriformista cattolica, così come quello della decadenza del clero, che sarebbe stata la causa principale dello scisma protestante. Altro luogo tipico, risalente alla seconda metà del Quattrocento e alimentatosi nel Cinquecento nel fuoco della polemica confessionale, era quello della divisione politica e religiosa, che avrebbe aperto le porte al dilagare del pericolo turco61. Il paragone tra Costantino e suo figlio Costantino II, colpevole di aver abbandonato la fede ortodossa e aver abbracciato l’arianesimo, è presente anche in uno speculum di tutt’altro segno confessionale, il Christpolitischer Spiegel del luterano Franz Hausmann. Nato a Celle nel 1556 e membro di una famiglia di funzionari che apparteneva alla classe dirigente di origine borghese della sua città, egli fu fino alla sua morte, avvenuta nel 1622, consigliere e cancelliere di corte nel principato di Braunschweig-Lüneburg. Di lui si hanno scarse notizie, per lo più riguardanti la sua carriera nell’apparato amministrativo del principato62.
Il suo Christpolitischer Spiegel gode di un buon successo editoriale, attestato com’è in molte biblioteche della Germania settentrionale. Tuttavia, non ci sono indicazioni certe su edizioni ulteriori rispetto a quella di Goslar del 1615. Anche la sua dedica è particolare rispetto alla tradizione degli specula: suo destinatario non è un principe in particolare, ma il principato di Braunschweig-Lüneburg in generale, con alla sua testa la dinastia regnante dei Welfen. Come rivela il titolo, Hausmann intende proporre al lettore uno specchio di tutti i regnanti e i sudditi, quasi fossero uniti inestricabilmente, affrontati uno dopo l’altro in un ordine lato sensu cronologico, passando dalle biografie di quarantatre re presenti nei libri storici della Scrittura alla trattazione di settantadue imperatori romani, da Giulio Cesare a Costantino VI, per poi giungere ai quarantaquattro imperatori tedeschi, da Carlo Magno a Mattia d’Asburgo.
Costantino è il trentottesimo degli imperatori romani. Per la verità, l’oggetto della breve biografia di Hausmann sono piuttosto i suoi successori Costantino II, Costante I e Costanzo II, che subito dopo la morte del padre si spartirono il potere, dando con ciò inizio a una lunga serie di guerre sanguinose nell’Impero romano. In particolare, è però Costanzo II ad attirare su di sé gli strali di Hausmann: egli si occupò molto della religione, ma in modo sbagliato, convocando molti concili che sconfessavano il Credo niceno, promuovendo l’arianesimo e perseguitando i veri cristiani. Il suo difetto peggiore fu la credulità, che era intimamente legata alla sua fede ariana e che, alla fine, lo portò alla rovina. Hausmann confronta la condotta di Costantino con quella dei suoi figli, e ne trae una morale valida per tutti i sovrani («Lesset allen Regenten ein Exempel»): essi non devono comportarsi da tiranni nei confronti dei cristiani e della vera religione, né prestare la loro fiducia in modo facile, perché chi lo fa viene ingannato in modo altrettanto facile63. Chi come Costantino si mantiene nella vera fede conserva il suo regno, sembra suggerire Hausmann, mentre chi se ne allontana perde la sua forza e con ciò il suo potere. Anche qui, come in Graß, la cura e difesa della vera religione da parte dei sovrani è il mezzo principale per garantire al meglio la salus rei publicae.
Lo Speculum principum ac iustitiae del giurista Petrus Belluga è un’opera che, pur essendo stata composta tra il 1438 e il 1441, è conosciuta e utilizzata nella realtà giuridica e nella vita istituzionale anche tra il XVI e il XVIII secolo. Essa conosce tre edizioni: una a Parigi nel 1530, una a Venezia nel 1580 e una a Bruxelles nel 1655. Fin dalla sua prima edizione parigina lo Speculum viene utilizzato nelle scuole di diritto, nel foro e soprattutto nella vita politica. Belluga fornisce a giudici e principi un modello da seguire per il retto esercizio dei propri incarichi istituzionali e politici. L’edizione di Venezia e quella di Bruxelles sono entrambe corredate dalle aggiunte del giurista lucano Camillo Borelli. Belluga, originario di Valencia, aveva studiato diritto canonico e civile a Bologna, per poi essere chiamato a Napoli da Alfonso V d’Aragona. Dalla città partenopea era però tornato nella natia Valencia, dove, nonostante la protezione dell’arcivescovo Alfonso Borgia, era caduto in disgrazia presso il re di Navarra Giovanni, fratello e luogotenente di Alfonso, subendo prima il carcere e poi l’esilio in Castiglia. Grazie all’arcivescovo Borgia, Belluga riuscì in seguito a tornare a Napoli dal Magnanimo che, una volta presentatagli l’opera, volle che questa fosse intitolata Speculum principum64.
Lo Speculum fu iniziato negli sfortunati anni spagnoli e completato durante l’esilio napoletano. Originariamente, prima dell’intervento ‘editoriale’ di Alfonso V che gli diede il suo carattere speculare, lo scritto era un trattato composto di quarantotto rubriche, che esaminavano le procedure delle Cortes soprattutto in materia patrimoniale, fiscale e giurisdizionale in relazione al potere del principe65. Il primo passo in cui appare un luogo costantiniano classico, quello della donazione a papa Silvestro, è alla rubrica IX, «De iuramento per principem faciendo ad postulationem curiae, de servandis foris, privilegijs, et libertatibus regnorum», e al caput VII, «De donatione facta per Constantinum beato Silvestro», a cui nelle edizioni del 1580 e 1655 si aggiungono le relative Additiones di Borelli, con le quali il giurista lucano arricchisce il testo di Belluga con ulteriori allegazioni. Il tema della rubrica è quello delle prerogative regali sul foro, sui privilegi e sulle libertà del regno, che potrebbero essere intaccate da concessioni fatte, ad esempio, al brachium militare o a quello ecclesiastico. Belluga affronta quest’ultima fattispecie nel caput dedicato alla donazione costantiniana: qualora il principe volesse alienare i beni del regno per un motivo conveniente e ragionevole («decens, et rationabilis»), magari «pro rimedio peccatorum», oppure se volesse fondare o contribuire al mantenimento di chiese, cappelle e luoghi pii, tale alienazione sarebbe legittima e non lederebbe il giuramento «de conservandis bonis coronae», come nel caso della donazione di Costantino a Silvestro. Essa non ha diminuito l’Impero in modo significativo, è avvenuta per iniziativa del principe («proprio motu»), per una causa ragionevole e non su richiesta di un terzo. Il magistrato che disporrà una donazione del principe, quindi, dovrà prestare attenzione a tutti questi elementi66.
Costantino compare anche nella rubrica XI, al paragrafo Videndum, caput X, «Constitutiones quae habeant vim canonis», nel quale Belluga tratta la questione degli ambiti del foro civile e di quello ecclesiastico, nonché delle libertà ecclesiastiche e della giurisdizione sui chierici. I reciproci limiti sono fissati, ricorda Belluga, nella consuetudine, nelle leggi e nei decreti conciliari: infatti, al concilio di Nicea Costantino avrebbe detto ai padri riuniti che essi non potevano essere giudicati da nessuno, perché decideranno in conformità al solo giudizio divino67. Belluga torna sulle donazioni in favore della chiesa più sotto, alla rubrica XIV, «De amortisationibus», al paragrafo Restat, caput «Dispensatio, quando debita, et quando gratia?», ricordando come le abbia già trattate alla rubrica IX, anche se qui la prospettiva è diversa: si parla delle donazioni che non solo non fecero diminuire l’Impero, ma anzi lo fecero aumentare, come quella del «foelix Constantinus». Anche qui il giudizio sulla donazione è positivo: essa non solo fu legittima e non recò alcun danno all’Impero, ma anzi gli giovò68.
Costantino è citato anche in un passo ferocemente antigiudaico, riconducibile alla controversa storia spagnola di metà Quattrocento, periodo nel quale lo Speculum fu scritto. Secondo Belluga, il principe non può estendere alcun privilegio né agli ebrei né ai saraceni, perché essi sono da considerare eretici, in quanto non leggerebbero la Scrittura secondo il senso dello Spirito Santo, che per Belluga coincide, per la verità non a sorpresa, con quello della Chiesa cattolica. Gli ebrei, in particolare, sarebbero ben peggiori dei saraceni e soggetti, in virtù della loro colpa divina, a una servitù perenne. Alla suprema autorità dell’imperatore Costantino, e quindi del sommo potere politico cristiano, Dio avrebbe affidato il compito di perseguirli per questo loro crimine, al punto che il principe può appropriarsi legittimamente dei loro beni69.
L’umanista tedesco Konrad Heresbach nasce a Salhof Erzbach, nei pressi di Düsseldorf, nel 1496, da un’agiata famiglia di agricoltori. Studia teologia e giurisprudenza, ottenendo il dottorato in diritto civile all’Università di Ferrara. Nel 1521 ottiene, grazie all’intercessione dell’amico Erasmo, la cattedra di greco presso l’Università di Friburgo e poi, nel 1523, il posto di precettore del giovane Guglielmo di Jülich-Kleve-Berg, figlio del duca Giovanni III di Kleve, che nel 1535 lo nomina consigliere segreto. Heresbach diviene membro della nobiltà ducale sposando la figlia ed erede di un cavaliere, che gli porta in dote cospicui possedimenti terrieri, e continua nella sua carriera di consigliere, intraprendendo viaggi diplomatici e contribuendo alle numerose riforme ducali in materia d’istruzione, di giustizia e di politica ecclesiastica. Heresbach, che intrattiene rapporti epistolari anche con Melantone e con il riformatore di Strasburgo Johannes Sturm, è il tipico rappresentante dell’Umanesimo tedesco nella generazione successiva a quella di Erasmo, convinto com’era dell’urgenza di una riforma di carattere innanzitutto pedagogico e morale. Muore nel 1576 nei suoi possedimenti70.
L’idea di scrivere uno specchio principesco viene a Heresbach probabilmente nel 153871. La prima edizione del suo scritto, tuttavia, esce solo nel 1570 a Francoforte, per poi essere ripubblicata postuma rispettivamente ancora a Francoforte nel 1592 e a Torgau nel 1598. Il De educandis erudiendisque principum liberis conserva sì i tratti tipicamente didattici e parenetici del genere, ma al contempo si apre all’analisi dell’ufficio principesco all’interno della nascente riflessione teorica moderna sullo Stato, caratteristica questa che lo rende da una parte il più importante speculum tedesco del XVI secolo e che, dall’altra, ne fa una somma e al contempo un punto di passaggio fondamentale tra gli specchi umanistici e quelli di impianto giuridico-politico del XVII secolo72. Costantino è presente in molti passi del De educandis erudiendisque principum liberis. Heresbach trae spunto dalla sua figura, insieme a quella di Teodosio, Carlo Magno, gli Ottoni e Federico II, prima per deplorare la miseria dei tempi attuali («miserabilis comparatio»), poi per affermare la legittimità del potere politico e il dovere dei sudditi di obbedirgli, come spesso accade allegando sia Rm 13, sia le historiae dei re cristiani73. Le figure di Costantino e Teodosio tornano anche in un passo sull’istruzione del principe: dato che la religione è l’instrumentum regni più potente, è necessario che il principe sia istruito nelle cose sacre. Se infatti è bene che chiunque ne abbia una seppur minima nozione, ciò vale tanto di più per il principe, che deve giudicare in materia di fede, sacramenti e cerimonie, nonché i casi di blasfemia ed eresia. Come avrebbero affrontato Costantino e Teodosio le sedizioni del loro tempo, si chiede retoricamente Heresbach, se non avessero avuto un criterio per giudicare tutto ciò?74
La funzione politica della religione torna anche in un altro passo, nel quale Heresbach sottolinea ancora che non ci sia nulla di più sicuro, per obbligare i sudditi ai loro doveri e rinsaldare lo Stato, come si evince dal governo di Mosè, Davide, Ezechia, Costantino, Teodosio e Carlo Magno75. Nel capitolo VI del libro II, «De bello omnibus modis vitando», Heresbach sconsiglia di muovere guerra se non in casi estremi, ad esempio per salvaguardare la giustizia, respingere le offese al nome di Dio oppure accorrere in difesa dei sudditi; la guerra di Costantino contro Licinio, infatti, fu intrapresa «pro christiana religione defendenda». Una volta ottenuta la vittoria, essa va attribuita all’intervento divino e non alle armi e alle arti belliche degli eserciti, così come fece Costantino; a tali guerre è lecito che partecipino anche i cristiani, come testimoniano quei soldati di Costantino che si rifiutarono di rendere onore al labaro di Giove76.
Sempre nel libro II, capitolo XI, «De custodia legum, rerumque tam Ecclesiasticarum quam politicarum», Heresbach torna sul significato della religione per la conservazione dello Stato. Costantino, così come Valentiniano e Teodosio, non solo stabilì di proibire il culto pagano, di comminare la pena capitale a chi avesse sacrificato pubblicamente agli dei pagani, e di demolire i templi degli idoli, ma intervenne anche contro i falsi dogmi convocando diversi concili, il primo dei quali fu quello di Nicea, al quale Costantino chiamò più di trecento vescovi. Il principe e il magistrato sono, per Heresbach, i custodi e gli esecutori della disciplina e delle leggi, non solo nell’ambito secolare, ma anche in quello spirituale, seppur limitatamente «ad externam disciplinam». Il gladio non è stato affidato loro per suscitare la pietà negli animi dei sudditi, ma per contrastare le offese fatte alla religione e al Verbo divino; essi devono difendere la vera dottrina e castigarne chi vi si oppone. Questa divisione degli ambiti e dei compiti è voluta da Dio, che li ha affidati a Mosè e Aronne; per questo motivo Costantino si considerò il vescovo e il custode di ciò che avviene al di fuori della Chiesa. Infine, si ricordino sempre i principi ai quali sono state affidate la cura dello Stato e la conservazione della religione, della pace e della disciplina, così come mostrano gli esempi di Ezechia, Costantino, Giustiniano e Carlo Magno. Il principe che, per timore, pigrizia o convenienza trascuri di esercitare questa funzione, impostagli da Dio, non è degno di questo «heroico genere». Bisogna, infatti, ubbidire più a Dio che agli uomini, così come fece Costantino, che ordinò di chiudere i templi pagani e di insegnare la dottrina cristiana, e poi mosse guerra a Licinio e Massenzio, adempiendo così il suo ufficio («officio perfungenti») e ottenendo da Dio la vittoria77.
Completamente diversa rispetto a quella di Heresbach è la parabola personale di Jean de Chokier (de Surlet), fine e apprezzato autore del Thesaurus politicorum aphorismorum, uscito per la prima volta a Roma nel 1610 e dedicato a Paolo V Borghese. De Chokier nasce a Liegi il 14 gennaio 1572. All’Università di Lovanio è allievo di Giusto Lipsio, sotto la cui guida si avvicina alla filologia e agli autori dell’antichità classica; dall’Università di Orléans riceve il titolo di doctor utriusque iuris. Successivamente de Chokier si reca a Roma, dove viene accolto con grande benevolenza da Paolo V e dove scrive e fa pubblicare il suo Thesaurus dopo avervi lavorato per oltre cinque anni. Una volta tornato a Liegi nel 1622, diviene canonico della cattedrale, per poi essere nominato vicario generale della diocesi, reggendola per trentacinque anni in vece dei principi spesso assenti, il vescovo Ferdinando prima e il suo nipote e successore Massimiliano Enrico di Wittelsbach poi, dei quali de Chokier diventa anche consigliere78.
Il Thesaurus politicorum aphorismorum conosce diverse edizioni. La traduzione tedesca, uscita a Norimberga nel 1624 per cura di Andreas Heidemann, provoca un piccolo scandalo letterario dell’Europa delle divisioni confessionali. Essa non era più dedicata, come la prima edizione romana, a Paolo V, ma ai principi protestanti Ermanno Augusto e Giorgio Alberto di Brandenburgo-Kulmbach. Oltretutto, la traduzione era stata pensata espressamente per un lettore di confessione evangelica, intervenendo in molti luoghi dell’opera originale con omissioni e integrazioni. Ciò porta de Chokier a pubblicare una confutazione, intitolata Specimen candoris Heidemanni e uscita a Liegi nel 162579.
Il modello di de Chokier sono i Politicorum sive civilis doctrinae libri sex di Giusto Lipsio, usciti a Leida nel 1589. Le similitudini riguardano sia lo stile, ricco di citazioni tratte da autori classici, sia la struttura dell’opera, divisa anch’essa in sei libri, sia l’impianto filosofico neostoico, mutuato per l’appunto da Lipsio. Costantino è citato in diversi passi. Nel libro I, caput IV, de Chokier ammonisce i principi a eccellere nella religione e nella pietà, perché, nell’amministrazione dello Stato, la cura delle cose divine è quella più urgente. Secondo de Chokier le historiae, senza ombra di dubbio, documentano in più parti che i sovrani che si dedicarono alla cura della religione, come Costantino, Carlo Magno, Carlo Martello, Alfonso X di Castiglia e León e Rodolfo I d’Asburgo mantennero e ampliarono il loro dominio, trasmettendolo ai loro posteri80. La cura della religione passa anche per l’istruzione del principe, perché la dottrina è il mezzo migliore per educare alla virtù. Il principe virtuoso deve affidare l’istruzione dei suoi figli a dei precettori che eccellano innanzitutto nei costumi e poi nell’eloquenza. Egli deve anche curarsi di fondare delle biblioteche «in usum publicum», come fece tra gli altri Costantino che, al contrario dei suoi predecessori, non bruciò libri ma fondò a sue spese tutte le biblioteche di Costantinopoli, poi arricchite dal suo successore Valente, e dotò gli eruditi di uno stipendio affinché si dedicassero agli studi liberali81.
Costantino fu anche un mirabile esempio di clemenza, sollecitudine, generosità e oculatezza, benignità e liberalità82. Per mostrare pubblicamente quanto sia necessaria al sovrano non solo la prudenza umana, ma anche quella divina, egli, che gettò le fondamenta della religione cristiana nell’impero tedesco, si fece effigiare con le mani sollevate al cielo e imploranti l’aiuto di Dio che, come mostrano numerose historiae, punisce chi si affida alla sola prudenza umana e sostiene i tentativi e gli sforzi dei timorati, come mostrano gli esempi di Costantino, Teodosio, Carlo Magno e Ugo Capeto83. Come ogni buon principe Costantino fu ostile agli adulatori ma, pur avendo scelto per sé dei ministri retti e virtuosi, dovette sopportare delle sciagure per essersi accanito contro la propria famiglia; oltretutto, dette credito ai delatori di Atanasio di Alessandria nel costringerlo all’esilio84.
Il benedettino Coelestin Herrmann, autore dell’Idea exacta de bono principe, uscita a Friburgo nel 1740, è abate del monastero di S. Trudperto nella Foresta Nera. Herrmann nasce nel 1683, con il nome di Matthias, a Ettenheimmünster, oggi un quartiere della cittadina di Ettenheim nel Baden-Württemberg. Nel 1699 entra nel noviziato, professando i voti nel 1700. Ordinato sacerdote nel 1707, egli compie studi filosofici, teologici e anche giuridici, culminati nel raggiungimento di doctor utriusque iuris presso l’Università di Friburgo nel 1711. Herrmann è molto attivo sia come parroco sia come professore di filosofia e teologia sia, infine, quale esperto legale del suo monastero, attività questa che lo influenza profondamente nella stesura del suo speculum. Egli muore nel 174985.
L’Idea exacta esce nel 1740, tre anni dopo la discussa elezione di Herrmann ad abate e successore del fratello Franciscus, il cui governo era stato caratterizzato da numerosi contrasti politici e legali. L’Idea va inquadrata sullo sfondo di queste tensioni intorno al monastero di S. Trudperto e nei contrasti con la politica in Austria anteriore di Vienna, in quello scorcio di Settecento giurisdizionalista. In questo senso, nell’abate Coelestin convivono il principe ecclesiastico, impegnato a difendere i propri domini dalle brame del potere politico, il giurista, esperto conoscitore dei mezzi legali adatti a conseguire un tale scopo, e il filosofo impegnato nella riflessione sulla politica e suoi fondamenti86.
Costantino è protagonista di diversi passi dell’Idea exacta, proprio perché le riflessioni dell’abate Herrmann vertono su temi per lui fondamentali quali il fondamento della proprietà ecclesiastica, la delimitazione della sfera spirituale da quella temporale e infine il diritto di ingerenza del potere politico negli affari ecclesiastici. Nella prima parte, al titolo XIV, Herrmann affronta la donazione di Costantino. Essa era invisa ai non cattolici («Acatholicis supremam movet bilem»), che la ritenevano nulla perché nessun imperatore poteva alienare alcuna parte dell’Impero e tantomeno la sua capitale Roma. Cristo, però, come suo vicario non ha scelto un potente signore, ma un povero pescatore, ed è quindi inverosimile che Silvestro abbia accettato un dono siffatto, non arrogandosi alcuna superiorità temporale nell’Impero occidentale né esercitando alcuna magistratura, ma solo curandosi della religione e del suo ufficio. D’altra parte, se egli avesse dovuto esercitare una magistratura civile in virtù della donazione, certamente lo avrebbe fatto. Pur avendo trasferito la capitale a Bisanzio, Costantino aveva conservato i suoi diritti sull’Impero, tant’è che lo divise tra i suoi figli, e non l’avrebbe fatto se esso fosse stato ceduto a Silvestro, non potendo disporre di una cosa non sua87.
L’Impero rimase in mano ai greci finché Leone III lo consegnò alle mani di Carlo Magno; di conseguenza, il pontefice continuava a non averne la potestà. Infatti, Costantino non donò a Silvestro l’Impero, ma il territorio romano («Constantinum imperatorem territorium romanum donasse Sylvestro papae»). Si tratta quindi, secondo Hausmann, non già di una translatio del potere politico o del titolo imperiale a papa Silvestro (anche se Herrmann non spiega come possa averne disposto Leone III a favore di Carlo Magno pur non essendone titolare), ma di una donazione territoriale intangibile a favore della Chiesa e del vicario di Cristo, fatto di per sé tutt’altro che raro, dovuto alla generosità degli imperatori, primo fra tutti di Costantino. La Chiesa non poté acquistarla a pieno diritto se non grazie al suo proprietario precedente, vale a dire Costantino stesso88.
Un altro tema toccato da Hausmann sempre nella prima parte, ma al titolo XVII, è quello della facoltà dei principi di convocare i concili. Secondo i non cattolici, ai principi non solo spetterebbe di convocare i concili, ma anche di parteciparvi e addirittura di presiederli in quanto difensori e protettori della Chiesa. D’altronde i principi cristiani convocarono numerosi concili, come testimoniano gli imperatori Costantino, Teodosio, Teodosio II, Marciano e Carlo Magno, e quindi lo «ius convocandi concilia» spetterebbe a loro e non al papa89. Nonostante i recessi imperiali delle diete di Ratisbona (1532) e Augusta (1550-1551) sembrino attribuire al pontefice la prerogativa di convocare il prossimo concilio, ciò avverrebbe solo per generosa concessione dell’imperatore Carlo V, della cui volontà il papa sarebbe il mero esecutore, come si deduce dal recesso della seconda dieta di Norimberga (1524) e da quello della dieta di Ratisbona (1532). Quindi il potere di convocare i concili da parte dell’imperatore ne escluderebbe uno analogo da parte del papa, perché due soggetti non possono essere titolari in solido del medesimo diritto90.
Fin qui le riflessioni degli «acatholici», che però non argomentano in modo corretto, perché i principi non sono i pastori della Chiesa, bensì pecore del suo gregge. Hausmann si spinge a sostenere che i primi quattro concili non furono convocati dagli imperatori, ma dai papi: i primi non agirono «ex sua potestate», ma su ammonimento e richiesta del pontefice; in tal modo essi poterono prestare la loro opera di patroni, difensori e protettori della Chiesa, facendo arrivare i vescovi alla sede sinodale. D’altra parte, Costantino stesso avrebbe detto ai padri convenuti a Nicea che essi, creati sacerdoti da Dio, avrebbero la facoltà di giudicarlo. Perché allora gli «acatholici» si ostinano ad attribuire ai principi secolari prerogative che i loro predecessori non sapevano di avere?91 Anche i recessi imperiali sarebbero di per sé poco significativi, perché Carlo V non ebbe mai l’intenzione di dare inizio a un concilio generale affinché si esprimesse in materia di fede senza il consenso del pontefice romano; in questo caso, esso sarebbe stato solo un conciliabolo celebratosi in assenza della guida dello Spirito Santo. All’imperatore, secondo Herrmann, non spetterebbe in base al recesso di Ratisbona (1532) di convocare il concilio escludendo il pontefice, al contrario: la richiesta al papa da parte di tutti gli Stati imperiali di convocare il concilio sarebbe la prova manifesta che lo «ius supremum convocandi concilia» spetterebbe non agli imperatori, ma al pontefice, senza la cui approvazione non si sarebbe mai avuto un concilio, ma solo un «concinnabolum»92.
L’ultimo speculum da esaminare è l’Idea de un principe politico christiano di Diego Saavedra Fajardo, la cui editio princeps esce a Monaco di Baviera nel 164093. Egli nasce in Murcia prima del 6 maggio 1584, giorno del suo battesimo. Studia diritto civile e canonico a Salamanca tra il 1600 e il 1606, per poi intraprendere nel 1610 la carriera diplomatica al seguito del cardinale Gaspar de Borja, ambasciatore spagnolo a Roma. Divenuto nel frattempo membro del Consejo de Estado nel 1623, Saavedra Fajardo rimane in Italia fino al 1630, quando torna a Madrid, per poi recarsi a Monaco di Baviera alla corte del duca e, dal 1623, principe elettore Massimiliano I Wittelsbach. Tra il 1638 e il 1642, Saavedra Fajardo partecipa a nove diete imperiali. Nel 1640, l’anno in cui esce a Monaco l’Idea, diviene plenipotenziario generale di Filippo IV alla dieta di Ratisbona, per poi diventare, nel 1643, plenipotenziario spagnolo per le trattative al congresso di pace di Münster e Osnabrück. Sorprendentemente, Saavedra Fajardo torna a Madrid nel 1646, dove diventa membro del Consejo de las Indias e muore nell’agosto del 164894.
Saavedra Fajardo scrive la sua Idea durante uno dei periodi più intricati e drammatici della storia spagnola moderna, quello del regno di Filippo IV e del governo del conte-duca di Olivares. Da dotto canonista ed esperto diplomatico, Saavedra Fajardo si propone di offrire al principe cristiano una guida per orientarsi nel caos politico-religioso dell’Europa segnata dalla guerra dei Trent’anni. I centouno emblemi (diventati centodue nell’edizione milanese del 1642) compongono, insieme alle corrispondenti empresas per mano di Saavedra Fajardo, lo specchio nella sua complessità testuale e iconografica: seguendo il fortunatissimo modello degli Emblemata di Andrea Alciato, nelle empresas e nei testi a loro corredo è rappresentata la vita del principe ideale dalla sua nascita alla sua morte. L’opera risente della tipica tripartizione aristotelica in etica, economia e politica che aveva già caratterizzato gli specula di Tommaso d’Aquino e di Egidio Romano. Le numerose edizioni e traduzioni dell’opera in italiano, latino, olandese, tedesco, francese e inglese restituiscono un’immagine fedele della sua fortuna nella repubblica letteraria europea95.
Il volume è caratterizzato formalmente dal dialogo, che si svolge lungo tutta l’opera, tra il genere speculare e quello emblematico, tra il testo scritto e il discorso figurativo, e dall’interazione tra le considerazioni pedagogiche e storico-erudite di Saavedra Fajardo e gli emblemi dell’incisore fiammingo Jan Sadeler il Giovane. L’opera è dedicata a Baltasar Carlos d’Asburgo, figlio di Filippo IV ed Elisabetta di Borbone e, fino alla sua morte nel 1646, erede al trono spagnolo. Costantino è nominato una prima volta nell’empresa XIV, che però non compare nell’edizione monacense del 1640, in un passo dedicato all’economia, in particolare alla gestione della corte e dei suoi consiglieri: il principe deve saper distinguere le dicerie e le calunnie dalle accuse fondate e senza malizia, che possono aiutare il principe nel suo governo e avvertirlo di eventuali pericoli («advertimiento necesario al buen govierno, i a la seguridad de su persona»); Costantino, per questo motivo, avrebbe premiato coloro i quali accusavano «con verdad» i suoi ministri e consiglieri96.
L’empresa XXII (XXIV nell’edizione milanese) tratta della vera religione, che il principe deve sempre considerare il nord verso cui orientarsi. Essendo questa l’anima degli Stati («el alma de las Republicas»), a nessuno più del principe conviene conservarla intatta. Saavedra Fajardo cita al proposito gli esempi di Romolo, Numa Pompilio, Licurgo, Solone e Platone. Gli imperatori Tiberio e Adriano, dal canto loro, proibirono i culti stranieri per salvaguardare la religione di Roma, mentre Teodosio e Costantino punirono con i loro editti chi si allontanava dalla religione cattolica97. Un’empresa assolutamente costantiniana è la XXIV (XXVI nell’edizione milanese), il cui motto è In hoc signo [vinces]. Qui Saavedra Fajardo esalta la guerra cristiana contro quella pagana: è infatti un’opinione empia quella di chi sostiene che i gentili fossero più forti e valorosi dei cristiani perché questi, inclini per la loro religione all’umiltà e alla mansuetudine, avrebbero avuto un animo debole. La religione pagana, tuttavia, rende il cuore barbaro e crudele, non valoroso e forte, come fa quella cristiana, che promette non una gloria «caduca y temporal», ma eterna. Un cuore che si affida a Dio non è meno vittorioso di una mano valorosa che brandisce una spada, perché è Lui a governare i cuori, a dare forza all’animo e a concedere o rifiutare la vittoria in battaglia. Saavedra Fajardo, a questo punto, non può esimersi dal ricordare l’episodio della visione di Costantino, del sogno e dell’adozione del labaro prima della battaglia di ponte Milvio contro Massenzio. A tutto ciò si sarebbe ispirata la lunga serie di sovrani spagnoli che hanno combattuto per la religione cristiana, alla quale sono unicamente da attribuire le loro vittorie, non ultima quella di Lepanto. In quello scorcio di metà Seicento, verso la fine della guerra dei Trent’anni, la lode da parte di Saavedra Fajardo della guerra in difesa della vera fede, che al contempo esaltava il ruolo avuto dalla monarchia spagnola, doveva suonare al principe Baltasar Carlos, destinatario e lettore ideale delle empresas, particolarmente familiare e finanche benvenuta98.
Così come il Tirreno ha sperimentato su di sé i pericoli della sua amicizia con il Vesuvio, anche i sovrani cristiani che hanno stretto degli «impia foedera» devono temere per i loro regni («no espere menores dannos el principe catholico, que se coligare con infieles») perché, non essendoci odio maggiore che quello suscitato dalla religione, gli infedeli possono simulare nel presente, ma alla lunga è impossibile che esso rimanga sopito, perché alla rovina degli uni corrisponde la fortuna degli altri. Oltretutto, anche nel caso di rapporti amichevoli, la giustizia divina non permette questi patti scellerati e punisce chi li stringe attraverso la medesima mano che li ha firmati («dispone el castigo por la misma mano infiel»), come mostra l’esempio dell’Impero romano che, dopo lo spostamento della capitale a Oriente da parte di Costantino, fu conquistato proprio da quei turchi con i quali i Paleologi erano scesi a patti99. Infine, il principe cristiano deve sempre guardare al sole della tiara pontificia («esto sol de la tiara pontificia»), che sempre splende e mai tramonta, e rimanere sotto la sua obbedienza e protezione. L’umiltà nei confronti dei pontefici non deve essere confusa con la fiacchezza, perché essa è nient’altro che un segno di devozione e magnanimità, nella quale nessuno può vedere bassezza d’animo: al contrario, Costantino a Nicea scelse di sedere in basso, guadagnandosi non certo l’infamia, ma la lode universale («universal alabanza»)100.
Nella prima scena di Through the Looking Glass, parlando con il gattino Kitty, Alice guarda fuori dalla finestra i ragazzi raccogliere la legna per il falò di carnevale, la festa dell’anno in occasione della quale il mondo è capovolto per un breve lasso di tempo, proprio come dentro uno specchio. La stanza nella quale Alice entrerà, infatti, è l’immagine speculare di quella in cui si trovava, la realtà al di fuori della stanza corrisponde alla realtà dentro lo specchio. Grazie a uno specchio in fondo a un corridoio, invece, Jorge Luis Borges scopre il mondo di Tlön, nel quale gli specchi, come la copula, vengono disprezzati perché moltiplicano il numero degli uomini.
Il peso dei modelli letterari in cui sono state espresse le dottrine politiche sul potere non sembra aver sempre ricevuto l’attenzione che merita. Al di là di un’astratta storia delle idee politiche che segua un catalogo canonico di temi da affrontare, poco spazio è stato dato da un lato alla biografia degli autori e al contesto culturale e storico nel quale gli specula principum sono stati prima scritti e poi letti, dall’altro al genere letterario speculare, con le sue regole, costrizioni retoriche, scelte tematiche e topologiche. Dare il giusto peso a tutti questi elementi è fondamentale per riequilibrare il peso, nell’analisi storica, tra la storia delle idee e delle dottrine, i cui rapporti reciproci sono, come scriveva Delio Cantimori, «facili da stabilire»; e anche tra la storia degli uomini, «che portavano quelle idee», e la storia dei diversi generi letterari, con le loro tradizioni e convenzioni in cui i secondi hanno espresso le prime101.
In realtà, la metafora letteraria dello specchio è ben più ricca e capace di esiti differenti che non un florilegio di exempla oppure un prontuario di vizi e virtù da proporre graziosamente ai regnanti a seconda dei casi favorevoli o suscettibili. Gli specula propongono, in maniera più o meno originale a seconda della qualità letteraria dei loro autori, un mondo intellettuale che è al contempo uguale e diverso da quello reale, interpretazione e trasfigurazione di rapporti di potere concreti attraverso l’offerta di un modello verso cui tendere; ma che è anche un giudizio critico sull’esistente, senza però implicare un atto sovvertitore dell’ordine costituito, come nelle utopie letterarie di Lewis Carroll e Borges.
Gli specula contengono, nelle loro tappe essenziali dall’età carolingia, la teologia del XIII secolo, l’Umanesimo, la Riforma e l’assolutismo; occupano un posto importante sia nella storia letteraria sia in quella della filosofia morale, delle teorie politiche e della spiritualità. Sfruttando le possibilità offerte da un genere così codificato letterariamente, ma capace di piegarsi alle esigenze dei contesti nei quali gli autori vivevano, essi si dedicano a un’opera di educazione dei regnanti di fronte al potere che essi, per la natura stessa del loro ufficio, devono esercitare, e al contempo a un’indagine delle forme di governo e degli ordinamenti politici migliori, prospettando al principe, per mezzo dell’esortazione e della riproposizione di exempla tratti dalla tradizione classica e scritturale, la via per giungere a un comportamento retto in base alle regole della filosofia morale e dell’etica cristiana, in un’epoca priva di un contraltare istituzionale all’arbitrio del principe e al suo diritto divino a regnare.
Lo specchio segna allora il passaggio tra l’essere e il dover essere, tra il presente e il futuro, tra la descrizione storica, la prescrizione etico-morale, la parenesi e la celebrazione, exemplum dal passato e instructio per il futuro. Come Carlo V nell’Institutio erasmiana, che da destinatario dell’opera diventa egli stesso specchio, modello per tutti coloro i quali devono assumersi responsabilità di governo, anche Costantino è sia l’immagine riflessa nello specchio della teologia politica sia lo specchio stesso; porta attraverso la quale si passa tra l’essere dell’analisi storica e il dover essere dei modelli etico-politici, tra politica e pedagogia; modello con il quale giudicare il presente e indirizzare il futuro. Si pensi al Costantino di Jakob Burckhardt, che si specchia nel Principe di Machiavelli e quasi paradossalmente diventa l’archetipo del principe rinascimentale, fino al punto da renderlo, a posteriori, un epigono del Valentino: secondo lo storico basileese, l’unico fine di Costantino sarebbe stato quello di acquisire e conservare il potere assoluto, senza alcuna considerazione di tipo religioso; egli è stato un uomo geniale, assolutamente irreligioso, verrebbe da dire in tutto e per tutto rinascimentale102. In modo simile, per Voltaire, Costantino ha sancito per primo l’esiziale alleanza fra trono e altare, diventando così lo specchio negativo del monarca assoluto nella Francia dell’età di Luigi XIV, Luigi XV e Luigi XVI. In una sua lettera a Federico II di Prussia del 1778, Costantino e Teodosio, però, divengono anche lo specchio del cambiamento avvenuto nell’opinione pubblica parigina, che non considera più i due imperatori come due modelli di principe, o addirittura dei santi, ma come tiranni superstiziosi103.
Costantino e i temi legati alla figura costantiniana (la croce, la visione e la battaglia di ponte Milvio, il labaro, la donazione a Silvestro, la conversione) sono stati uno speculum rerum gestarum tra il passato e il futuro, nel quale passato, presente e futuro sono parte del circolo ermeneutico della tradizione e della riflessione teologica e politica: lo speculum non è solo un genere letterario che si presta, per forma e contenuto, a molteplici letture, ma anche un artifizio retorico con il quale giudicare il presente con il passato e modellare il futuro.
Desidero ringraziare di cuore la prof.ssa Angela De Benedictis per il suo cortese aiuto.
1 W. Berges, Die Fürstenspiegel des hohen und späten Mittelalters, Stuttgart 19522; S. Skalweit, Das Herrscherbild des 17. Jahrhunderts, in Historische Zeitschrift, 184 (1957), pp. 65-80; P. Delhaye, Florilèges spirituels, II, Florilèges médiévaux d’éthique, in Dictionnaire de Spiritualité ascétique et mystique. Doctrine et histoire, V, Paris 1964, cc. 460-475; P. Hadot, Fürstenspiegel, RAC, VIII, cc. 555-632; H. Grabes, Speculum, mirror und looking-glass. Kontinuität und Originalität der Spiegelmetapher in den Buchtiteln des Mittealters und der englischen Literatur des 13. bis 17. Jahrhunderts, Tübingen 1973; M. Schmidt, Miroir, in Dictionnaire de Spiritualité, cit., X, 1980, cc. 1290-1303; R. Darricau, Miroirs des princes, in Dictionnaire de Spiritualité, X, cit., cc. 1303-1312; B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland im Zeitalter des Humanismus und der Reformation. Bibliographische Grundlagen und ausgewählte Interpretationen: Jakob Wimpfeling, Wolfgang Seidel, Johann Sturm, Urban Rieger, München 1981; Id., Fürstenspiegel, in TRE, XI, 1983, pp. 707-711; R.A. Müller, Die deutschen Fürstenspiegel des 17. Jahrhunderts. Regierungslehren und politische Pädagogik, in Historische Zeitschrift, 240 (1985), pp. 571-597; Politische Testamente und andere Quellen zum Fürstenethos der frühen Neuzeit, hrsg. von H. Duchhardt, Darmstadt 1987; D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano. Gli «specula principum» fra Medio Evo e prima Età Moderna, in Modelli nella storia del pensiero politico, a cura di V.I. Comparato, I, Saggi, Firenze 1987, pp. 103-122; H.H. Anton, Fürstenspiegel, A. Lateinisches Mittelalter, in Lexikon des Mittelalters, IV, München 1989, cc. 1040-1049; Politische Tugendlehre und Regierungskunst. Studien zum Fürstenspiegel der Frühen Neuzeit, hrsg. von H.-O. Mühleisen, T. Stammen, Tübingen 1990; Das Herrscherbild im 17. Jahrhundert, hrsg. von K. Repgen, Münster 1991; M. Philipp, T. Stammen, Fürstenspiegel, in Historisches Wörterbuch der Rhetorik, hrsg. von G. Ueding, III, Tübingen 1996, pp. 495-507; Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, hrsg. von H.-O. Mühleisen, T. Stammen, M. Philipp, Frankfurt a.M. 1997; Specula principum, a cura di A. De Benedictis, Frankfurt a.M. 1999; Fürstenspiegel des frühen und hohen Mittelalters, hrsg. von H.H. Anton, Darmstadt 2006; K.-P. Schroeder, Fürstenspiegel, in Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, hrsg. von A. Cordes, H. Lück, D. Müller et al., I, Berlin 20082, pp. 1905-1906, consultabile on line: www.HRGdigital.de/HRG.fuerstenspiegel (31 mag. 2012); H.-J. Schmidt, Fürstenspiegel, in Historisches Lexikon Bayerns, www.historisches-lexikon-bayerns.de/artikel/artikel_45391 (31 mag. 2012).
2 D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., pp. 104-105.
3 D. Sternberger, Drei Wurzeln der Politik, I, Frankfurt a.M. 1978, p. 19; Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 9-10.
4 H.-O. Mühleisen, T. Stammen, Einleitung, in Politische Tugendlehre und Regierungskunst, cit., pp. 1-7, in partic. 2-3; D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., p. 108.
5 Si veda l’introduzione di Angela De Benedictis in Specula principum, cit., pp. ix-xxviii, in partic. ix-x.
6 D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., pp. 107-108.
7 Ivi, p. 103.
8 H. Grabes, Speculum, mirror und looking-glass, cit., pp. 9-10.
9 M. Schmidt, Miroir, cit., c. 1295; D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., p. 106; H. Grabes, Speculum, mirror und looking-glass, cit., p. 240.
10 M. Schmidt, Miroir, cit., c. 1292.
11 CSEL 12, pp. 1-285; sull’attribuzione ad Agostino cfr. CPL 272.
12 P. Delhaye, Florilèges spirituels, cit., pp. 460-461.
13 D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., p. 104.
14 P. Delhaye, Florilèges spirituels, cit., pp. 460-461.
15 Qui e sopra cfr. T. Stammen, Fürstenspiegel als literarische Gattung politischer Theorie im zeitgenössischen Kontext – ein Versuch, in Politische Tugendlehre und Regierungskunst, cit., pp. 255-285, in partic. 256-258, 269-270.
16 R. Darricau, Miroirs des princes, cit. p. 1303. Sulla regalità sacra inevitabili i riferimenti a M. Bloch, I re taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, prefazione di J. Le Goff, con un ricordo di L. Febvre a Marc Bloch, Torino 2008, e a E. Kantorowicz, I due corpi del re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale, introduzione di A. Boureau, Torino 1989.
17 B. Singer, Fürstenspiegel, cit., pp. 707-708; M. Schmidt, Fürstenspiegel, cit., pp. 3-4.
18 D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., pp. 108-122.
19 B. Singer, Fürstenspiegel, cit., pp. 708-710.
20 R.A. Müller, De christiani principis officio – Religion und katholische Konfession in ausgewählten Fürstenspiegeln der Frühen Neuzeit, in Die katholische Konfessionalisierung, hrsg. von W. Reinhard, H. Schilling, Gütersloh 1995, pp. 332-347.
21 G. Hübinger, Gelehrte, Politik und Öffentlichkeit. Eine Intellektuellengeschichte, Göttingen 2006; Intellektuelle in der Frühen Neuzeit, hrsg. von L. Schorn-Schütte, Berlin 2010.
22 F. Kern, Gottesgnadentum und Widerstandsrecht im früheren Mittelalter. Zur Entwicklungsgeschichte der Monarchie, hrsg. von R. Buchner, Darmstadt 1980.
23 H.-O. Mühleisen, T. Stammen, Einleitung, cit., p. 6.
24 D. Quaglioni, I limiti della sovranità. Il pensiero di Jean Bodin nella cultura politica e giuridica dell’età moderna, Padova 1992. Sugli sviluppi di lungo periodo della dottrina sulla sovranità si vedano: K. Pennington, The Prince and the Law, 1200-1600. Sovereignty and Rights in the Western Legal Tradition, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1993; M. Senellart, Les arts de gouverner. Du regimen médiéval au concept de gouvernement, Paris 1995; M. Terni, La pianta della sovranità. Teologia e politica tra Medioevo ed età moderna, Roma-Bari 1995; W. Reinhard, Storia del potere politico in Europa, Bologna 2001; D. Quaglioni, La sovranità, Roma-Bari 2004.
25 Specula principum, cit.: Introduzione, pp. xix-xx; D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., pp. 121-122; Id., L’iniquo diritto. “Regimen regis” e “ius regis” nell’esegesi di I Sam. 8, 11-17 e negli “specula principum” del tardo Medioevo, pp. 209-242, in partic. 240-242; M. Senellart, Justice et bien-être dans les Miroirs des prince de Osse et Seckendorff, pp. 243-265, in partic. 243-246. Sull’immagine del principe e sulle dottrine dell’ufficio principesco durante l’Età moderna e l’assolutismo si vedano S. Skalweit, Das Herrscherbild, cit.; R.A. Müller, Die deutschen Fürstenspiegel, cit.; Das Herrscherbild im 17. Jahrhundert, cit; D. Wydukel, Princeps legibus solutus. Eine Untersuchung zur frühmodernen Rechts- und Staatslehre, Berlin 1979. Sulla Policey si vedano H. Maier, Die ältere deutsche Staats- und Verwaltungslehre, München 1980; M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts in Deutschland, I, Reichspublizistik und Policeywissenschaft 1600-1800, München 1988, pp. 334-393.
26 P. Schiera, Dall’arte di governo alle scienze dello stato. Il cameralismo e l’assolutismo tedesco, Milano 1968.
27 B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 15-16.
28 O. Eberhardt, Via Regia. Der Fürstenspiegel Smaragds von St. Mihiel und seine literarische Gattung, München 1977, p. 280.
29 B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 16, 19, in modo conseguente con le premesse da lui enunciate e nonostante le evidenti affinità, esclude dalla sua trattazione (p. 17) gli specula episcopali, i panegirici, le laudationes, le prediche funebri e i testamenti politici dei regnanti.
30 D. Quaglioni, Il modello del principe cristiano, cit., p. 103.
31 M. Scattola, Das Naturrecht vor dem Naturrecht. Zur Geschichte des ius naturae im 16. Jahrhundert, Tübingen 1999, pp. 107-110; Id., Krieg des Wissens – Wissen des Krieges. Konflikt, Erfahrung und System der literarischen Gattungen am Beginn der Frühen Neuzeit, Padova 2006, pp. 76-80. Sulla topica in generale si veda E.R. Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern 1954, pp. 89-115, in partic. 89.
32 T. Stammen, Fürstenspiegel als literarische Gattung, cit., pp. 265-266.
33 W. Kaegi, Vom Nachleben Konstantins, in Schweizerische Zeitschrift für Geschichte, 8 (1958), pp. 289-326. Sull’immagine di Costantino nella prima Età moderna si veda il contributo di L. Biasiori in questa stessa opera.
34 J. Wimpfeling, Agatharchia. Id est bonus Principatus: vel Epithoma condicionum boni Principis, s.l. s.d. [Argentinae 1498]; edizione critica in B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 227-249. Si veda il profilo biografico di Wimpfeling in D. Mertens, Jakob Wimpfeling (1450-1528). Pädagogischer Humanismus, in Humanismus im deutschen Südwesten. Biographische Profile, hrsg. von P.-G. Schmidt, Stuttgart 2000, pp. 35-58.
35 B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 174-179.
36 Ivi, pp. 206; citazione a p. 231: «Princeps humiliter oboediat deo et ecclesiae suae: deum pie colat, divinas leges solerte intellegat, dei ministros sincere veneretur, honoret et tueatur. Exemplar sumat a Constantino, a Theodosio, qui dei ministris mirifice detulerunt et eos honore prosecuti sunt».
37 Ivi, pp. 193-195, citazione a p. 240: «Princeps vehementer sollicitus sit, ut filii quoque sui bene instituantur ben eque regantur ac a teneris annis ad liberales disciplinas applicentur, ad onestam latinitatem, quae eis in conventu principum, in praesentia praelatorum, in excipiendis aut compellandis cardinalibus aut alienigenis honori erit. Neque enim studium Iulio et Augusto, M. Cathoni, Roberto Siciliae regi, Constantino, Carolo Magno et filiis ceterisque principibus ullam gloriae maculam attulit nec in bello nec in triumpho impedimenta dedit».
38 Antonio de Guevara, Reloj de principes, Valladolid 1529; Antonio de Guevara, Reloj de Príncipes, in Obras Completas de Fray Antonio de Guevara, ed. por E. Blanco, II, Madrid 1994, pp. 1-943; Antonio de Guevara, Libro áureo de Marco Aurelio, Sevilla 1528; Antonio de Guevara, Obras Completas, cit., I, Madrid 1994, pp. 1-333. Su de Guevara si veda N. Bayrle-Sick, Gerechtigkeit als Grundlage des Friedens. Analyse zentraler politisch-moralischer Ideen in Antonio de Guevaras Fürstenspiegel. Nach der Übersetzung des Aegidius Albertinus, in Politische Tugendlehre und Regierungskunst, cit., pp. 9-69; H. Waltz, Der Moralist im Dienst des Hofes. Eine vergleichende Studie zu der Lehrdichtung von Antonio de Guevara und Aegidius Albertinus, Frankfurt a.M.-Bern-New York 1984.
39 Mambrino Roseo, Institutione del prencipe christiano, Roma 1543. Su Mambrino Roseo si veda F. Fiumara, “Tradotti pur hora”. Mambrino Roseo da Fabriano e la diffusione del romanzo cavalleresco spagnolo nell’Italia della Controriforma, Ann Arbor (MI) 2007; Id., Per una riattribuzione di un opuscolo ottocentesco su Mambrino Roseo da Fabriano, in Modern Language Notes, 124 (2009), pp. 103-110.
40 Aegidius Albertinus, Lustgarten und Weckuhr. Jn welchem die Könige, Fürsten und Herrn, so wol auch die vom Adel, Officier vnd Beampten, nich weniger die stattliche Frawen vnd Jungkfrawen, wie auch menigklich sich trefflich und nach allem jhrem gefallen recreieren und erlustigen koennen, München 1599, in partic. f. 32v. Su Albertinus cfr. anche B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 143-144.
41 Mambrino Roseo, Institutione del prencipe christiano. Tradotto di spagnuolo in lingua toscana per Mambrino Roseo da Fabriano, Venetia 1544, pp. 94r-105r, in partic. 94v-97r.
42 Ibidem.
43 Ivi, pp. 94v-95r.
44 Ivi, p. 95r.
45 Ivi, pp. 96r-v.
46 Il passo su Costantino compare anche nell’edizione Vinegia 1544, p. 97r, Vinegia 1553, p. 192, in quella Vinegia 1560, p. 211, e in quella Venetia 1565, p. 115r. Su Flavio Ablabio si vedano RE I.1, M. Wellmann, s.v. Ablabius, c. 103; PLRE I, s.v. Sabinus 3, pp. 3-4; NP I, W. Portmann, s.v. Ablabius, c. 25.
47 Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 219-227. Su Vischer cfr. anche B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 121-123.
48 Christoph Vischer, Bericht aus Gottes Wort vnd verstendiger Leute Büchern. Wie man junge Fürsten und Herrn fermasse aufferziehen soll, das sie hie nutzliche Gefess und heilsame Regenten und dort in jenem leben Himmels Fürsten werden mögen, Schmalkalden 1573, Seconda edizione Schmalkalden 1593. Esemplare digitale consultabile on line: http://nbn-resolving.de/urn:nbn:de:bvb:12-bsb00038839-9 (29 nov. 2012), immagini 41-60, in partic. 41, 46, 59-60. Introduzione e edizione a cura di M. Stoneman, in Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 219-251. Informazioni bio-bibliografiche su Vischer in ivi, pp. 219-227.
49 Christoph Vischer, Bericht aus Gottes Wort, cit., p. 41; Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., p. 238.
50 Christoph Vischer, Bericht aus Gottes Wort, cit., p. 46; Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., p. 241.
51 Christoph Vischer, Bericht aus Gottes Wort, cit., p. 59-60; Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., p. 246.
52 PG 1, cc. 1163-1186. Su Agapeto e l’ ̓Έκθεσις si vedano: A. Bellomo, Agapeto diacono e la sua scheda regia. Contributo alla storia dell’imperatore Giustiniano e dei suoi tempi, Bari 1906; I. Ševčenko, Agapetus East and West. The Fate of a Byzantine “Mirror of Princes”, in Revue des études sud-est européennes, 16 (1978), pp. 3-44; H. Kraft, Agapetos, in Lexikon des Mittelalters, cit., I, 1980, c. 202; R. Frohne, Agapetus Diaconus. Untersuchungen zu den Quellen und zur Wirkungsgeschichte des ersten byzantinischen Fürstenspiegels, Tübingen 1985; A. Carile, Ricchezza e povertà negli “specula principum” bizantini dal VI al X secolo, in Specula principum, cit., pp. 1-20, in partic. 5-8. Sugli specchi e i panegirici orientali si veda il contributo di F. Lauritzen, I panegirici bizantini dal VII al XV secolo, in questa stessa opera.
53 Un elenco delle numerose edizioni tra il XVI e il XVIII secolo in PG 1, cc. 1155-1160; sull’edizione francese del 1612 cfr. A. Carile, Ricchezza e povertà, cit., p. 6.
54 Martin Moller, Scheda Regia. Regentenbüchlein des hochlöblichen Röm[ischen] Kaysers Iustiniani Primi. In 72 Aphorismos oder Regeln gefasset, Görlitz 1590, II edizione Görlitz 1605. Introduzione e edizione a cura di T. Stammen, in Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 252-297. Informazioni bio-bibliografiche su Moller in ivi, pp. 252-261.
55 Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 255-260.
56 Ivi, p. 273: «Weil die Obrigkeit von Gott ist, sol sie auch jre Regierung vornemlich Gott zu Lob und Ehren anstellen […] Diese Regel ist genommen aus nachfolgenden Spruechen der Schrifft».
57 Ivi, p. 273-274. Il passo corrispondente dell’ ̓Έκθεσις è in PG 1, cc. 1163-1166.
58 Hans Beat Graß (Vay), Cyripaedia Nova Et Christiana. Daß ist Von Vrsprung, Herkommen, Art, Eigenschafft vnd Vollkommenheit Christenlicher Potentaten, König, Fürsten vnd Herren, Freyburg im Breyßgaw 1596. Esemplare digitale consultabile on line all’indirizzo http://daten.digitale-sammlungen.de/~ db/0001/bsb00017507/image_1 (29 nov. 2012). Introduzione e edizione a cura di T. Städele, in Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 298-344. Informazioni bio-bibliografiche su Graß in ivi, pp. 298-300. Su Graß cfr. anche B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 155-156.
59 Hans Beat Graß (Vay), Cyripaedia, cit., pp. 100-101; Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 331-332.
60 Hans Beat Graß (Vay), Cyripaedia, cit., pp. 123, 125-127; Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 333-335.
61 A. Niederberger Foresta, Sebastian Brant als Historiker. Zur Perzeption des Reichs und der Christenheit im Schatten der Osmanischen Expansion, Freiburg im Breisgau 2010. Consultabile all’indirizzo: www.freidok.uni-freiburg.de/volltexte/7674 (29 nov. 2012); Id., Das Bild der Türken im deutschen Humanismus am Beispiel der Werke Sebastian Brants (1456-1521), in Das Osmanische Reich und die Habsburgermonarchie, hrsg. von M. Kurz, M. Scheutz, K. Vocelka, T. Winkelbauer, Wien-München 2005, pp. 181-204; Europa und die Türken in der Renaissance, hrsg. von B. Guthmüller, W. Kühlmann, Tübingen 2000.
62 Franz Hausmann, Christpolitischer Spiegel aller Regenten vnd Vnterthanen. Aus Geistlichen vnd Weltlichen bewerten Schrifften extrahiret, Goslar 1615. Introduzione e edizione a cura di T. Reich, in Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 345-385. Informazioni bio-bibliografiche su Hausmann in ivi, pp. 345-353.
63 Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 373-374.
64 Petrus Belluga, Speculum principum ac iustitiae excellentissimi utriusque iuris doctoris Petri Bellugae, Parisiis 1530; Petrus Belluga, Speculum principum D. Petri Bellugae Valentini iurisconsulti famosissimi, nunc primum purgato omni vitio, et errore […] Additionibus, et suppletionibus illustratum; Authore Camillo Borello iurisconsulto olivetano, Venetiis 1580; Petrus Belluga, Petri Bellugae Valentini j[uris]c[onsulti] famosissimi Speculum principum […] Una cum additionibus et commentariis D. Camilli Borelli, Bruxellae 1655. Su Belluga e la sua fortuna si veda Specula principum, cit., pp. xxiii-xxviii.
65 Ivi, p. xxv.
66 Petrus Belluga, Speculum principum, Parisiis 1530, cit., ff. XVr-XVIIIv, in partic. XVIr; Petrus Belluga, Speculum principum, Venetiis 1580, cit., pp. 24v-29r, in partic. 25v, 27v-28r; Petrus Belluga, Speculum principum, Bruxellae 1655, cit., pp. 52-62, in partic. 55-56. In quest’ultima sono presenti alcuni cambiamenti editoriali: i capita della rubrica sono passati da 32 a 89; quelli su Costantino sono ora il 27-34; le additiones di Borelli sono a piè di pagina e non più in fondo al testo. Sulla donazione di Costantino in differenti contesti storici si vedano: J. Miethke, Die “Konstantinische Schenkung“ in der mittelalterlichen Diskussion. Ausgewählte Kapitel einer verschlungenen Rezeptionsgeschichte, in Konstantin der Große. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln-Weimar-Wien 2008, pp. 35-108; Costantino il Grande tra Medioevo ed Età moderna, a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008: G.M. Cappelli, Il dibattito sulla Donazione di Costantino nella Spagna Imperiale, pp. 181-208; M. Pliukhanova, La Donazione di Costantino in Russia tra XV e XVI secolo, pp. 209-233. Sulla donazione di Costantino e sulla figura di Costantino nella Terza Roma si veda il contributo di M. Garzaniti in questa stessa opera.
67 Petrus Belluga, Speculum principum, Parisiis 1530, cit., f. XXXVIIIr; Petrus Belluga, Speculum principum, Venetiis 1580, cit., p. 53r; Petrus Belluga, Speculum principum, Bruxellae 1655, cit., p. 117.
68 Petrus Belluga, Speculum principum, Parisiis 1530, cit., f. LXXXVIIIv; Petrus Belluga, Speculum principum, Venetiis 1580, cit., p. 101v; Petrus Belluga, Speculum principum, Bruxellae 1655, cit., p. 231.
69 Petrus Belluga, Speculum principum, Parisiis 1530, cit., f. CLXXVIv; Petrus Belluga, Speculum principum, Venetiis 1580, cit., p. 175; Petrus Belluga, Speculum principum, Bruxellae 1655, cit., p. 418.
70 Konrad Heresbach, De educandis erudiendisque principum liberis, reipublicae gubernandae destinatis, deque republica christiane administranda […] libri duo, Francofurti ad Moenum 1570. Esemplare digitale consultabile all’indirizzo http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0002/bsb00023960/image_3 (29 nov. 2012). Konrad Heresbach, De educandis erudiendisque principum liberis, reipublicae gubernandae destinatis, deque republica christiane administranda epitome libri duo, Francofurti ad Moenum 1592. Esemplare digitale consultabile on line all’indirizzo www.uni-mannheim.de/mateo/camenahist/autoren/heresbach_hist.html (29 nov. 2012). Introduzione e edizione a cura di M. Philipp, in Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 166-218. Informazioni bio-bibliografiche in ivi, pp. 166-168. Su Heresbach cfr. anche B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 118-121.
71 Corpus Reformatorum, III (1856), c. 556.
72 Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 168-174; B. Singer, Die Fürstenspiegel in Deutschland, cit., pp. 121.
73 Konrad Heresbach, De educandis erudiendisque principum, Francofurti ad Moenum 1592, cit., pp. 5, 18.
74 Ivi, p. 90.
75 Ivi, p. 196.
76 Ivi, pp. 223, 225, 227-228.
77 Ivi, pp. 262-264, 273. Heresbach torna su Costantino quale ἐπίσκοπος τῶν ἐκτός anche a p. 321.
78 Jean de Chokier (de Surlet), Thesaurus politicorum aphorismorum, in quo principum, consiliariorum, aulicorum institutio proprie continetur, Romae 1610. Introduzione e edizione della traduzione tedesca (Nürnberg 1624) a cura di F. Slanitz, in Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 421-469. Informazioni bio-bibliografiche in ivi, pp. 421-424.
79 Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 424-426.
80 Jean de Chokier (de Surlet), Thesaurus politicorum aphorismorum, cit., p. 23.
81 Ivi, pp. 50-55, 63.
82 Ivi, pp. 87, 108, 128, 172.
83 Ivi, pp. 193-195.
84 Ivi, pp. 287, 299, 304, 450.
85 Coelestin Herrmann, Idea exacta de bono principe, cujus officium requirit, curam gerere de bon reipublicae seu totius regni, Friburgi Brisgoiae 1740. Introduzione e edizione a cura di H.-O. Mühleisen, Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., pp. 560-617. Informazioni bio-bibliografiche in ivi, pp. 560-565.
86 Fürstenspiegel der frühen Neuzeit, cit., p. 564.
87 Coelestin Herrmann, Idea exacta de bono principe, cit.: «De donatione Constantini Magni, facta Sylvestro, pontifici maximo», pp. 53-66, in partic. 53-58.
88 Ivi, pp. 58-61.
89 Ivi, «An convocatio conciliorum penes principes saeculares [sit]?», pp. 84-92, in partic. 84.
90 Ivi, pp. 88-89.
91 Ivi, pp. 89-91.
92 Ivi, pp. 91-92.
93 Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, representada en cien empresas, Monaco 1640. Esemplare digitale consultabile all’indirizzo http://diglib.hab.de/drucke/sf-211/start.htm (29 nov. 2012); si veda anche il catalogo delle opere emblematiche digitalizzate redatto dal progetto DEBOW (Digital Emblem Books on Web) al link: www.bidiso.es/emblematica/CatalogoDEBOW.pdf (29 nov. 2012), e il progetto Emblematica Online della Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel: http://www.hab.de/forschung/projekte/emblematica.htm (29 nov. 2012). Tra le edizioni cartacee contemporanee si vedano: Diego Saavedra Fajardo, Empresas políticas, ed. por Q. Aldea Vaquero, 2 voll., Madrid 1976; Diego Saavedra Fajardo, Empresas políticas, ed. por S. López Poza, Madrid 1999.
94 Su Saavedra Fajardo si vedano: M. Segura Ortega, La filosofía jurídica y política en las “Empresas” de Saavedra Fajardo, Murcia 1984; J. Köhler, Saavedra Fajardo, Diego de, in Bibliographisch-Bibliographisches Kirchenlexicon, VIII, Herzberg 1994, cc. 1128-1133, con numerosi riferimenti bibliografici (cc. 1132-1133); A.-E. Spica, The Prince’s Mirror. Politics and Symbolism in Diego de Saavedra Fajardo’s Idea de un Principe politico cristiano, in Emblematica. An Interdisciplinary Journal for Emblem Studies, 10 (1996), 1, pp. 85-105.
95 Sulle edizioni moderne dell’Idea si veda M. Praz, Studies in Seventeenth-Century Imagery. Second Edition Considerably Encreased, Roma 1975, pp. 483-485.
96 Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, representada en cien empresas, Milán 1642, p. 97.
97 Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, Monaco 1640, cit., pp. 153-154; Diego Saavedra Fajardo, Idea de un politico christiano, Milán 1642, pp. 166-167.
98 Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, Monaco 1640, cit., pp. 162-166, in partic. 165-166; Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, Milán 1642, pp. 174-179, in partic. 178.
99 Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, Monaco 1640, cit., pp. 639-644, in partic. 641; Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, Milán 1642, pp. 681-686, in partic. 683.
100 Diego Saavedra Fajardo, Idea de un principe politico christiano, Milán 1642, pp. 687-695, in partic. 692.
101 D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, a cura di A. Prosperi, Torino 1992, pp. 7-8.
102 H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der französischen Aufklärung, in Kaiser Konstantin der Große. Historische Leistung und Rezeption in Europa, hrsg. von K.M. Girardet, Bonn 2007, pp. 163-175, in partic. 169; H. Schlange-Schöningen, “Der Bösewicht im Räuberstaat“. Grundzüge der neuzeitlichen Wirkungsgeschichte Konstantin des Großen, in Konstantin der Große, cit., pp. 211-262, in partic. 235-237.
103 H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins, cit., pp. 164, 170; Id., “Der Bösewicht im Räuberstaat“, cit., pp. 227. Sul punto si vedano i contributi di H. Schlange-Schöningen e C. Raschle in questa stessa opera.