Speculazione
1. Definizioni
Nel linguaggio comune con il termine 'speculazione' si definisce una "operazione commerciale intesa a conseguire un guadagno in base alla differenza tra i prezzi attuali e quelli futuri previsti", relativamente all'utile conseguito si parla di 'speculazione indovinata', di 'speculazione sbagliata', di 'pessima speculazione'; 'speculatore' è "persona che compie operazioni di commercio allo scopo di trarre profitto dalle variazioni dei prezzi di mercato". Spesso il termine speculazione viene usato impropriamente come sinonimo di accaparramento, aggiotaggio, dolo, frode - ossia azioni finalizzate a provocare variazioni 'artificiose' del prezzo, per poi sfruttarle; in senso spregiativo, speculatore è "chi spregiudicatamente persegue un utile personale a danno degli altri".
La prima attestazione del termine italiano risale a Beccaria ed è datata 1794; speculativo, speculatore, speculazione ricalcano i termini francesi spéculatif (1740), spéculateur (1745) e spéculation (1776); per l'attestazione del termine inglese speculation, si può risalire ad Adam Smith (1776).
Quando la speculazione diventa un fenomeno collettivo e assume rilievo sociale, si parla in genere di 'eccesso speculativo', in particolare di 'mania' e di 'bolla'; col termine mania si vuole sottolineare l'irrazionalità che è alla base del fenomeno, mentre 'bolla' - nel senso di bolla di sapone - dà l'idea dell'espansione che precede lo scoppio.
L'uso del termine speculazione nella lingua italiana è stato discusso ed emendato da Einaudi. "Se si usasse da tutti la parola 'speculazione' nel senso di 'operazione fatta da chi, guardando al di là della punta del suo naso, si preoccupa di quel che può accadere nell'avvenire', non vi sarebbe nessun inconveniente nell'usarla. Siccome però l'uso comune è legato a concetti quali 'filibustiere' - 'brigante in guanti gialli' - 'frequentatore di locali malfamati' e simili, parrebbe opportuno astenersene nei documenti legislativi" (v. Einaudi, 1956, p. 107). In ogni caso "fa d'uopo riportare la parola speculazione al suo significato genuino; che è quello di chi guarda all'avvenire, di chi tenta, a suo rischio, di scrutare (speculare) l'orizzonte lontano ed indovinare i tempi che verranno. Purtroppo, gli 'speculatori' veri sono rarissimi" (v. Einaudi, 1973, p. 347).
Nel gergo economico, speculazione è "l'attività di acquisto (o vendita) di beni con la prospettiva di vendita (o acquisto) a una data successiva, avendo come motivo l'aspettativa di un cambiamento dei prezzi e non l'aspettativa di guadagno derivante dall'uso dei beni o da qualsiasi tipo di trasformazione" (v. Kaldor, 1939, p. 1). Sulla base di questa definizione, diffusamente accettata in letteratura, l'attività speculativa individua una categoria economica ampia: può essere considerata speculativa qualsiasi decisione o azione di investimento che si basa sulla previsione di eventi futuri e che - in questo senso - implichi rischio.
Anche nel significato specialistico, quindi, la speculazione resta un "fenomeno qualitativo" (v. Harrison e Kreps, 1978, p. 325), "carico di significati emotivi" (v. Granger e Morgenstern, 1970, p. 34), che consente soltanto "definizioni vaghe" (v. Tirole, 1982, p. 1163); non è data una definizione operativa della nozione di speculazione, cioè basata su un criterio, o dispositivo, che permetta di misurarla; il fenomeno non è individuabile se non in base all'analisi di motivazioni e opinioni (previsioni, probabilità) che non sono direttamente osservabili.Sono state proposte definizioni ulteriori, che possono risultare suggestive ed efficaci, utili per trasmettere l'idea ma sempre non operative: l'investitore mostra di avere un comportamento speculativo se "il diritto a rivendere un bene lo rende disponibile a pagare un prezzo più alto di quello che avrebbe pagato se fosse obbligato a detenere il bene per sempre" (v. Harrison e Kreps, 1978, p. 323); speculatore è "chi cerca di trarre una grande somma di danaro investendo una piccola somma, mentre è un investitore chi cerca di evitare che una grande somma diventi una piccola somma" (v. Granger e Morgenstern, 1970, p. 33); con più esplicito riferimento alle categorie dell'economia finanziaria, "speculatore è un individuo che tenta di formarsi aspettative sui redditi futuri di vari titoli e seleziona il portafoglio in modo da massimizzare la sua utilità attesa, date le aspettative e i prezzi di mercato" (v. Stiglitz, 1982, p. 132).
Il termine speculazione è considerato - in molti contesti - sinonimo di 'gioco d'azzardo', definito come "lo scommettere su un esito incerto"; entrambi i termini rientrano nella categoria generale dell'investimento (definito come "impegnare danaro per ottenere un guadagno"). Frequentemente con speculazione si intende che un investimento è 'ad alto rischio' (che può dare grandi guadagni o grandi perdite, rispetto all'importo impiegato); con gioco d'azzardo si caratterizza, talvolta, un'azione 'altamente speculativa'. Dal punto di vista logico - della definizione dell'aspettativa - non c'è differenza tra una scommessa sul prezzo futuro del grano e una scommessa sul risultato di una partita di calcio. La differenza rilevante è nel criterio in base al quale si decide se accettare la scommessa; lo speculatore decide l'azione col criterio del confronto tra rischio e rendimento atteso; il giocatore d'azzardo accetta la scommessa anche se l'aspettativa di guadagno non è tale da compensare il rischio dell'operazione.Distinzioni più nette si possono mantenere confrontando il concetto di speculazione con copertura (hedging) e arbitraggio. Una opportunità di arbitraggio "è una strategia di investimento che garantisce un flusso finanziario positivo in qualche circostanza, senza generare flussi finanziari negativi, né richiedere investimenti netti" (v. Dybvig e Ross, 1987, tr. it., p. 3; per interessanti argomentazioni basate sul principio di assenza di arbitraggio v. anche Moriconi, 1996, cap. 6). In altri termini, per fare un arbitraggio bisogna costruire una strategia finanziaria - cioè un insieme di azioni di acquisto e di vendita - che produce un profitto certo qualsiasi cosa avvenga; si potrebbe dire, quindi, che l'arbitraggio è una speculazione realizzata con certezza, in questo senso non assoggettabile alle regole di scelta basate sul criterio rischio-rendimento, ovvero assoggettabile nel senso del caso limite (a rischio nullo).
La copertura è un'operazione finanziaria finalizzata a 'bloccare' - stabilire con certezza tramite un contratto - un prezzo futuro di acquisto o di vendita altrimenti aleatorio; dal punto di vista delle motivazioni estreme, la copertura è l'opposto della speculazione. Si può osservare che se dopo l'operazione di copertura, cioè dopo l'eliminazione dell'incertezza, residua un margine di profitto netto positivo (senza impiego di capitale), si è realizzato un arbitraggio. L'arbitraggio, quindi, può rientrare, ancora come caso limite, anche nella categoria della 'copertura', a conferma di come anche il confine tra hedging e speculazione risulti sfuggente e inafferrabile. In questo senso l'espressione 'hedging speculativo' - spesso usata nel gergo pratico degli operatori - è un ossimoro colmo di delicati significati teorici.
2. I luoghi, i mezzi, gli oggetti della speculazione
La speculazione ha luogo sui mercati; una strategia speculativa può essere progettata su un singolo mercato o giocare su più mercati; può partire da un mercato e propagarsi 'autonomamente' ad altri mercati, inducendo ondate speculative successive.
Mezzi della speculazione sono, tradizionalmente, i contratti di acquisto e di vendita a contante; nell'economia commerciale e finanziaria moderna la speculazione riguarda contratti standardizzati, si svolge su mercati organizzati, può effettuarsi anche con i contratti detti 'a consegna futura' - contratti a termine, futures, contratti di opzione.
Qualsiasi cosa, reale o virtuale, ad alto valore intrinseco o solo a valore 'convenzionale', come ad esempio un'opera d'arte, può essere oggetto di speculazione. Le speculazioni censite nella storia hanno avuto per oggetto merci di vario tipo: di importazione - zucchero e caffè ad Amburgo, cotone in Gran Bretagna e Francia, grano - e di esportazione; canali e miniere; aree edificabili, costruzioni, terreni agricoli; valute - il marco nel 1921-1923, il franco nel 1924-1926, la sterlina, il dollaro, la lira italiana, ecc.; il rame - nel 1888 in Francia, nel 1907 negli Stati Uniti - e l'oro; il debito governativo; azioni e quote di società (emblematici sono i casi del XVIII secolo, della South Sea Company, della Banque Générale, della Banque Royale, della Compagnia Britannica delle Indie Orientali). Dall'analisi delle ricorrenze storiche risulta che nelle speculazioni più 'significative' vennero coinvolti almeno due oggetti di speculazione e almeno due mercati (v. Kindleberger, 1978; tr. it., pp. 49, 51-53 e appendice B).
Nella storia più recente, la speculazione diventa fenomeno economicamente rilevante nei mercati organizzati e/o ad alta specializzazione, e utilizza sempre più frequentemente i contratti derivati. Nel caso di mercati delle merci, con l'uso dei contratti derivati è possibile speculare senza impegnarsi nella conservazione della merce; in generale la standardizzazione dei contratti permette di assumere con eguale facilità posizione di compratore o di venditore; tramite i contratti derivati lo speculatore amplifica i valori realizzando la cosiddetta 'leva finanziaria' (leverage): con un esborso iniziale nullo, come nel caso dei contratti a termine, o relativamente contenuto, come nel caso di futures o opzioni, si può assumere un'ampia posizione speculativa.
Casi recenti di disastro finanziario delineano bene il problema della speculazione per mezzo dei derivati: la Procter & Gamble per l'utilizzazione di interest-rate swaps, la Metallgesellschaft per oil futures, la Orange County per derivati su tasso di interesse, la Barings Bank per Nikkei index futures e opzioni (v. Miller, 1997, pp. 15-25).I contratti derivati possono essere, inoltre, strumento indiretto di speculazione; utilizzati per condizionare il prezzo del bene sottostante possono rendere più alta la probabilità di 'speculazione indovinata'.
3. Le teorie della speculazione
I fondamenti logici della speculazione sono da individuarsi nella relazione sottile che lega le aspettative al processo di formazione del prezzo di mercato, e nella possibilità di effettuare gli scambi. Un agente decide di speculare su un bene (materia prima, terra, azione) se il prezzo di mercato del bene non 'ingloba' adeguatamente le sue aspettative, e se è fiducioso di trovare al momento opportuno un compratore e/o un venditore, secondo l'esigenza.
L'incertezza è quindi un 'prerequisito' della speculazione; riprendendo i termini della teoria tradizionale "in un mondo dove è possibile previsione perfetta, nessuno potrebbe avere guadagni speculativi, quindi gli speculatori non potrebbero esistere" (v. Kaldor, 1939, p. 1).
Ma anche la struttura del mercato - il modello di funzionamento del mercato - deve essere tale da permettere la speculazione; l'incertezza da sola non è sufficiente, perché anche in un mondo regolato da incertezza si possono determinare condizioni per cui c'è impossibilità di speculare, come consegue dal cosiddetto 'no-speculation theorem', noto anche come 'teorema del mercato vuoto'. In termini intuitivi, il risultato si può enunciare (v. Varian, 1989, pp. 5-7) dicendo che lo speculatore proprio se trova nel mercato una controparte disposta allo scambio allora dovrebbe recedere dalla sua azione, poiché la controparte potrebbe avere migliore informazione. Come "esempio elementare" (v. Tirole, 1982, p. 1164) si consideri il gioco di scommesse tra un professore, che in un seminario enuncia una proposizione la cui validità è da dimostrare, e i partecipanti al seminario; ciascun partecipante al seminario o non ha informazioni qualificate sulla validità della proposizione o ha in mente un controesempio; può definirsi una situazione per cui nel primo caso il partecipante non ha interesse a scommettere con il professore che la proposizione sia vera - reputando il professore equipaggiato con informazione più qualificata della sua -, nel secondo caso sarebbe disposto a scommettere che la proposizione è falsa, ma allora è il professore che non accetta la scommessa poiché intuisce che si troverebbe di fronte a un controesempio; in definitiva quindi il gioco delle scommesse non avrà luogo.
Il paradosso dell'impossibilità di speculare si può risolvere considerando che: 1) nel mercato possono agire operatori con diverso atteggiamento di fronte al rischio o operatori 'disturbati'; 2) hanno rilevanza esigenze di assicurazione e di diversificazione dei portafogli (ad esempio, indotte dai regolamenti); 3) gli agenti hanno un diverso modo di 'percepire' il futuro (v. Tirole, 1982, p. 1167).
Va precisato che gli operatori 'disturbati' sono quelli che in letteratura vengono definiti 'noise traders', che spesso nelle traduzioni sono associati al gruppo degli 'irrazionali', ma che propriamente - e forse meno gravemente - hanno soltanto una visione dei fatti non-nitida, poiché raccolgono segnali affetti da disturbo (v. Black, 1986, pp. 529-530); la questione riguardo al modo di percepire il futuro richiede un'ipotesi sul meccanismo di formazione delle aspettative, sul ruolo dell'informazione, sul processo di sintesi verso un'opinione (quindi comprende il problema del noise, definito - nell'impostazione di Fisher Black - come tutto ciò che è oltre l'informazione 'pura').
Il dibattito sul ruolo dell'informazione e delle aspettative nella struttura dei modelli economici e finanziari è svolto oramai con il linguaggio del formalismo logico (v. Ribeiro da Costa Werlang, 1994), riconducibile con difficoltà alle categorie sensibili, ai fatti pratici del mercato; in termini pragmatici e un po' semplificando, si può dire che, per il funzionamento del mercato e per la possibilità della speculazione, sebbene gli agenti condividano la stessa base informativa, è rilevante che le loro opinioni (previsioni) sugli eventi futuri possano essere diverse.
D'altra parte questo è un punto ben chiarito - fin dagli anni trenta - nell'impostazione del probabilismo italiano. Nel dibattito con i probabilisti di Cambridge - con Jeffreys e Keynes -, Bruno de Finetti (v., 1938, p. 9) ribadiva l'idea di base peraltro già espressa altrove: "dicendo che la prob[abilità] è soggettiva io intendo appunto significare che la sua valutazione può differire a seconda di chi la giudica, dipendendo da differenze mentali fra diversi individui" oltre che, eventualmente, "dallo stato d'informazione".In modo più esplicito, si ha che la previsione è regolata dalle condizioni di coerenza "trasgredendo alle quali si giunge a decisioni dalle conseguenze manifestamente indesiderabili (di sicura perdita)"; "le condizioni di coerenza non limitano del resto affatto la libertà di ciascuno nell'attribuire qualunque valore alla probabilità di un qualunque evento"; in particolare - la precisazione è fatta per le scommesse ma vale identicamente per i prezzi - "nei casi ove scommesse vengono fatte pubblicamente, si conosce - attraverso la ragione di scommessa vigente - una specie di 'opinione media' del pubblico (precisamente: quella che stabilisce un certo 'equilibrio marginale' fra la domanda di scommesse sulle varie alternative), e si potrà prenderla in esame per vedere se ci sembra di poterla adottare o per vagliare in quale senso e di quanto riterremo, a ragion veduta, di scostarcene" (v. de Finetti, 1970, pp. 89 e 217). L'impostazione è compatibile con l'ipotesi di mercato razionale. La stock market rationality hypothesis dice che il prezzo di mercato di un contratto è uguale all'aspettativa del valore attuale dei redditi futuri (valore intrinseco); in questa posizione il ruolo delle aspettative diviene dunque profondo e cruciale oltre l'apparenza: si tratta di stimare il reddito prodotto dal bene (rendimento della terra, dividendi dell'azione), di stimare il valore che il bene avrà alla fine del periodo di detenzione, di stimare il tasso di sconto da utilizzare per l'attualizzazione dei redditi futuri.L'ipotesi definisce uno schema operativo e interpretativo flessibile, poiché si adatta a situazioni di non omogeneità di informazione e costi di transazione tra i partecipanti al mercato; d'altra parte non costituisce una tautologia, poiché non è coerente con fatti empirici che implicano la dipendenza dei prezzi da fattori diversi dai redditi futuri e dai tassi di sconto, oppure che mostrano come la quantità di informazione riflessa dai prezzi sia tanto povera che gli investitori possano individuare sistematicamente differenze significative tra prezzo e valore fondamentale (v. Merton, 1987, p. 93).
Keynes (v., 1936) suggerisce - nel capitolo XII della General theory of employment interest and money - un punto di vista prezioso per l'analisi del fenomeno speculativo.
Se si osserva la pratica 'vera' degli scambi commerciali e finanziari, la speculazione appare un fenomeno 'naturale' del mercato, connaturato alla psicologia del mondo degli affari, in certi casi o momenti è il motore primo degli scambi; perciò per catturare e studiare l'essenza del fenomeno è necessario ridurre "al minor livello" l'astrazione dei modelli interpretativi.
Nella logica e nel linguaggio smagliante di Keynes, la ragion d'essere della speculazione è nell'incertezza del futuro e nell'atteggiamento del soggetto economico di fronte all'incertezza; il fenomeno della speculazione nasce dal dover avere aspettative, dalle basi informative non sufficientemente ricche e nitide, dal ricorso alle convenzioni, dall'istinto e dal desiderio, dalle "unconscious mental action[s]". Tutto il fenomeno speculativo ha origine dalla valutazione (stima) del reddito futuro degli investimenti; la conoscenza dei fattori che governano il reddito prodotto dall'investimento (entro dieci anni, o anche soltanto entro cinque anni) è "di solito assai scarsa e spesso trascurabile [...] e talvolta evanescente"; inoltre, coloro che cercano con serietà di effettuare la stima sono di solito una minoranza così esigua che il loro comportamento non governa - né influenza - il mercato.Nella pratica si ricorre a una "valutazione convenzionale, che è il risultato della psicologia di massa di un gran numero di individui ignoranti", e quindi il mercato potrà essere soggetto a "ondate di ottimismo e pessimismo, irragionevoli e purtuttavia in certo senso legittime, qualora non esista alcuna base solida per un calcolo ragionevole". D'altra parte la concorrenza tra operatori specializzati non porta in generale ad un miglioramento delle basi e dei modi di calcolo; gli speculatori di professione non sono interessati a migliorare la loro capacità di previsione a lungo termine, quanto piuttosto a prevedere le "variazioni della base convenzionale di valutazione" con breve anticipo rispetto al grosso pubblico. L'intelligenza degli operatori è impegnata a studiare gli effetti della psicologia di massa, a cogliere il genere di variazioni - nelle notizie o nell'ambiente - che l'esperienza indica atte a influenzare la psicologia collettiva del mercato, "a indovinare come l'opinione media immagina che sia l'opinione media medesima". Comunque, non è irrilevante, dal punto di vista della teoria e della pratica, che si possano effettuare valutazioni pensando al valore intrinseco (effettivo, prospettivo) dell'investimento, come avviene ad esempio nell'uso dei 'cassettisti'.
È per queste ragioni che Keynes segnala rilevante la distinzione tra speculation ed enterprise; con speculazione si può intendere l'attività di prevedere la psicologia del mercato, con atteggiamento imprenditoriale l'attività di prevedere il reddito prospettivo dei beni, considerando tutta la durata della loro vita.
Non sempre la speculazione predomina sull'atteggiamento imprenditoriale; tuttavia, quanto più perfezionata è l'organizzazione dei mercati d'investimento, tanto maggiore sarà il rischio che la speculazione prenda il sopravvento. Entro certi limiti, gli speculatori non causano alcun male "come bolle d'aria in un flusso continuo di attitudine imprenditoriale", ma la situazione può diventare pericolosa se "l'attitudine imprenditoriale diviene una bolla d'aria in un vortice di speculazione".
L'idea - in pieno stile keynesiano - di rendere l'investimento "permanente e indissolubile come il matrimonio", per obbligare gli investitori a orientare la mente verso le prospettive a lungo termine, fuori del paradosso, anticipa il senso della gestione finanziaria moderna d'impresa, tra aspetti tattici (coperture e investimenti speculativi) e partecipazioni strategiche.
Il dibattito sui motivi che giustificano la speculazione nei modelli di funzionamento del mercato si sviluppa tradizionalmente (v. Hirshleifer, 1975 e 1977) a partire da due ipotesi: la 'risk transfer hypothesis', che si fa risalire a Keynes e Hicks, e la 'knowledgeable-forecasting hypothesis', che riprende l'impostazione di Holboorn Working.Per Keynes e Hicks l'azione degli speculatori si qualifica e si giustifica poiché consente il "trasferimento del rischio di prezzo", dagli operatori avversi al rischio che vogliono coprirsi (gli hedgers) sugli speculatori.
Hicks (v., 1939) aveva affrontato il 'nodo' della speculazione nel capitolo X di Value and capital, nell'ambito dei problemi dell'equilibrio e del disequilibrio di mercato, proprio in riferimento all'argomentazione di Keynes. Se "il prezzo futures - poniamo, per la consegna a un mese - fosse fatto dai contratti dei soli operatori coperti, sarebbe determinato da cause che non hanno nulla a che fare con le cause che determinano ordinariamente il prezzo di mercato: dovrebbe risultare quindi assai differente dal prezzo a pronti che ogni persona di buon senso presumerebbe in vigore per lo spazio di un mese, e dovrebbe essere ordinariamente inferiore a quello presunto. Pertanto i prezzi futures quasi sempre sono in parte fatti dagli speculatori, i quali ricercano un profitto negli acquisti per consegne future allorché il prezzo futures è inferiore al prezzo a pronti che essi si attendono in vigore alla data corrispondente: la loro azione tende a promuovere il prezzo futures a un livello più ragionevole. Ma è nell'essenza della speculazione, proprio all'opposto che per l'operare in copertura, che lo speculatore si mette in una situazione più rischiosa come risultato della sua operazione a termine - non ci sarebbe stato bisogno che si avventurasse completamente in affari a termine e, non facendolo, sarebbe stato più al sicuro. Pertanto egli sarà propenso a procedere ad acquisti in futuro fintantoché il 'prezzo futures' rimane in modo ben definito al di sotto del prezzo a pronti che egli si aspetta: poiché è la differenza tra questi due prezzi che egli può presumere di intascare come compenso per la sopportazione del rischio, e non gli varrà la pena di correre il rischio se la prospettiva di lucro è troppo magra".
Keynes aveva messo in rilievo le conseguenze dell'atteggiamento speculativo già prima che nella General theory, in un passo del Treatise on money. In condizioni 'normali', quando si presume che le condizioni di domanda e di offerta rimangano invariate, e pertanto il prezzo a pronti si presume per la durata di un mese identico a quello che è oggi, il prezzo futures per la consegna a un mese è costretto a stare al di sotto del prezzo a pronti vigente oggi; la differenza tra questi due prezzi - il prezzo a pronti corrente e il prezzo a termine correntemente fissato - è detta da Keynes "deporto normale"; misura l'ammontare che gli hedgers debbono cedere agli speculatori per indurli ad affrontare il rischio delle fluttuazioni dei prezzi. In ultima analisi, quindi, il deporto normale misura il costo della coordinazione realizzata dalle operazioni a termine; se il costo è molto gravoso il potenziale hedger preferirà non coprirsi. In questo senso è come se la speculazione assolvesse il ruolo dell'assicurazione - e gli speculatori il ruolo degli assicuratori - contro la variabilità del prezzo (v. Keynes, 1930, p. 367).
Il riferimento alla logica assicurativa era d'altra parte nella ragione stessa dei contratti derivati, e già utilizzato per far "comprendere i grandi servigi" che i contratti a termine offrono per controllare "il rischio delle possibili oscillazioni dei prezzi"; "poche fluttuazioni nei corsi non prevedute sfollerebbero il mercato degli importatori e porrebbero in forse l'alimentazione di un intero paese. Nessuna società di assicurazione ha finora tentato mai questo rischioso e pericoloso genere di affari. Occorreva trovare, per necessità imperiosa delle cose, un'altra forma di assicurazioni la quale fosse meglio adatta alle mutevoli condizioni del mercato; e sorsero i contratti a termine" (v. Einaudi, 1896, p. 411).
Il collegamento tra esigenze di copertura, logica assicurativa e speculazione è stato ricorrente in letteratura anche in epoca prekeynesiana (per una elegante rassegna della tradizione 'classica' v. de Pietri-Tonelli, 1913, pp. 152-159); secondo alcuni "talvolta spinto anche fin troppo lontano. La tendenza di associare le operazioni di copertura esclusivamente con i rischi di prezzo, e di collegarle con quelle di assicurazione ha sfortunatamente portato a una limitazione dell'hedging, che non pone in evidenza le svariate circostanze in cui tale pratica può essere utilmente usata" (v. Goss e Yamey, 1976; tr. it., p. 66).
A Holbrook Working è riconosciuto da Hirshleifer (v., 1975, p. 519, e 1977, p. 975) il merito di aver superato i limiti dell'impostazione di Keynes e Hicks e di aver sviluppato una più completa e bilanciata visione dell'hedging. In particolare, quindi, il merito dichiarato della teoria di Working (v., 1953 e 1962) è quello di aver posto le "differences of belief" alla base dello scambio e della logica di mercato; soltanto agenti che si discostano dall'opinione media del pubblico saranno disposti a coprirsi e a speculare, diversamente dalla giustificazione 'assicurativa', poiché "differenze nel grado di avversione al rischio da sole non conducono a comportamenti di hedging o di speculazione" (v. Hirshleifer, 1975, p. 539). Tirole (v., 1982, pp. 1164-1165) critica l'impostazione che denomina di Working-Feiger-Hirshleifer per mezzo dell'"esempio elementare" sull'impossibilità di scommettere: il punto di vista puramente 'informativo' di Working e Hirshleifer appare debole per il paradosso del 'no-speculation theorem', per cui operatori razionali e avversi al rischio non scambiano sulla base soltanto di differenze di informazione.
L'informazione resta comunque un fattore rilevante e critico per il fenomeno speculativo, per come entra nel meccanismo di formazione delle aspettative e per come pesa sui meccanismi di formazione del prezzo.Il riferimento ai modelli di mercato, popolato da agenti che decidono sulla base del valore fondamentale dei beni - e in questo senso sono esperti e razionali - e da noise traders, lascia intravedere la portata del problema. Possono essere costruiti modelli realistici ove le dinamiche del prezzo dipendono dalla proporzione in cui i due tipi di agenti sono presenti nel mercato. Se gli operatori razionali sono in forte minoranza, anche se il prezzo iniziale è condiviso dai due gruppi, gli operatori 'disturbati', mossi dalla circolarità dei meccanismi imitativi, possono portare i prezzi a livelli così alti da scacciare dal mercato gli operatori razionali. Questo meccanismo può essere considerato fonte di incertezza addizionale; l'incertezza aggiunta è rilevante rispetto al processo 'naturale' di formazione dei prezzi e non potrà essere rimossa dall'effetto stabilizzante dovuto alla presenza degli esperti (agenti informati sui valori fondamentali). In questo senso sarà un comportamento adeguato alla situazione tentare - keynesianamente - di prevedere meglio del pubblico come il pubblico si comporterà.
La teoria delle bolle speculative può essere vista come la versione moderna del dibattito sul 'valore intrinseco' - valore vero o valore fondamentale - di un bene (una merce, la terra, un'azione) e sul come fare a decidere se il prezzo di mercato osservato è uguale o diverso, e di quanto, dal valore intrinseco.
Le posizioni del dibattito raggiungono gli estremi: il valore intrinseco è "una cosa inesistente" per cui non si può che far riferimento al valore di scambio - secondo l'adagio classico res tantum valet quantum vendi potest - (v. Granger e Morgenstern, 1970, p. 9); dall'altra parte, il valore intrinseco è il prezzo di mercato in situazione di "normale razionalità" - aspettativa del valore scontato dei redditi futuri -, secondo un punto di vista che si considera ormai affermato nell'economia finanziaria e nella pratica dei mercati (v. Merton, 1987, p. 93).
Le definizioni di bolla si basano sull'ipotesi di razionalità e sono rappresentate con un apparato formale complesso (per un'elegante introduzione semplificata v. Blanchard e Fischer, 1989, cap. 5); l'idea di base comunque è semplice e intimamente keynesiana: riprendendo il linguaggio di Stiglitz (v., 1990, p. 13), se il prezzo osservato è 'alto' solo perché gli investitori credono che il prezzo futuro sarà 'alto' - senza che fattori fondamentali giustifichino questo prezzo - allora si dice che esiste una bolla. Quindi il concetto di bolla speculativa è qualitativo, vago, non operativo, come il concetto stesso di speculazione, in tutte le situazioni in cui non si dispone di un modello affidabile e condiviso per il calcolo del valore intrinseco.
D'altra parte, questa vacuità è confermata dai tentativi numerosi, tecnicamente raffinati e per niente conclusivi di individuazione empirica delle bolle (per una rassegna di tecniche e risultati v. Campbell, Lo e MacKinlay, 1997, cap. 7).
Al di là degli aspetti tecnici, il problema resta di semplice logica: il confronto possibile tra prezzo iniziale, prezzo finale e reddito prodotto non è conclusivo per l'identificazione della bolla se non si stabilisce quanto il prezzo finale sia prossimo al valore intrinseco; in questo senso il problema di misurare la bolla è congiunto al problema di verificare se il modello utilizzato per il calcolo del valore intrinseco è ben specificato.
4. Le ambivalenze del giudizio sulla speculazione
Nella storia del pensiero economico e finanziario la speculazione è giudicata un fenomeno 'positivo', 'costruttivo' e 'stabilizzante', ma anche 'negativo', 'dannoso' e 'destabilizzante'. Il fenomeno speculativo è giudicato positivamente sulla base delle motivazioni, individuate come fondamenti teorici che lo giustificano, perché consente di trasferire i rischi di prezzo - e quindi assolve la funzione di assicurazione - e perché migliora la 'messa a punto' delle aspettative e la trasmissione di informazioni nel mercato. In questo senso "la speculazione è costruttiva" (secondo l'espressione di Marshall) poiché induce al miglioramento delle capacità professionali - dell'abilità di fare previsioni - degli operatori e perché d'altra parte libera il mercato dagli speculatori inefficienti, quelli professionalmente poco abili, che accumulano perdite sistematiche.
Dal punto di vista degli effetti economici, (a partire dall'argomentazione di Adam Smith) la speculazione permette una migliore collocazione temporale dell'offerta, riducendo quindi le fluttuazioni dei prezzi; in altri termini (con le espressioni di J.S. Mill) i "commercianti speculativi" hanno l'effetto equilibratore di acquistare quando i beni sono relativamente abbondanti e di vendere quando scarseggiano, con ciò assolvendo "la funzione altamente positiva per l'economia di un paese".
Dall'altro punto di vista, l'attività speculativa non ha le qualità prescritte dalla teoria della speculazione; i cosiddetti speculatori, in pratica, non agiscono sulla base di aspettative 'autonome', ma seguono il mercato e quindi acuiscono le onde dei prezzi; in questo senso, la speculazione ha effetto destabilizzante, "dannoso al pubblico interesse" poiché "tende a trascinare i prezzi lontano dai livelli garantiti dalle condizioni esistenti" e ad "aumentare le fluttuazioni" (v. Irwin, 1937, p. 267). In ogni caso anche la speculazione destabilizzante può essere giudicata profittevole per il sistema (v. Friedman, 1960).
Anche il giudizio sociale sulla speculazione copre una gamma di pareri che va dalla condanna all'apprezzamento.La memoria storica carica il termine speculazione delle colpe dell'accaparramento, di chi bloccava le merci per far aumentare i prezzi; tutte le leggi del passato e la stessa letteratura (compresi gli scritti dei canonisti e persino di Lutero) sono colme di rabbiose invettive contro gli accaparratori, i monopolia e gli speculatori in genere, 'eterni nemici' del popolo; a ciò si aggiungono i resti del pregiudizio ottocentesco contro tutto ciò che riguarda aleatorietà, gioco, ricerca e perseguimento del rischio. Inoltre, storie di speculazioni mal riuscite hanno portato a vedere l'attività speculativa come una minaccia costante agli interessi dei risparmiatori; anche in contesti più moderni, la speculazione è intesa come una patologia dei mercati di borsa, vera 'pratica lucrativa', che consente di guadagnare senza produrre, che incoraggia i truffatori, che alimenta un ceto di parassiti, cui va imputata la responsabilità dei peggiori dissesti.
La speculazione può provocare turbativa sociale; tanti processi speculativi possono essere ancora ritmati dalla famosa sequenza proposta da Bagehot (e riproposta come esergo in Kindleberger: v., 1978): "in particolari momenti, una quantità di gente stupida dispone di stupido danaro in quantità. Di tanto in tanto, [...], il danaro di queste persone - noi lo chiamiamo il capitale cieco del paese - è particolarmente ampio e affamato; cerca qualcuno da divorare ed è la pletora; ne trova alcuni, ed è la speculazione; viene divorato, ed è il panico".
La linea di risposta dei fautori della speculazione ha origini ugualmente antiche, può essere ricavata da un prezioso saggio di Max Weber del 1894 (che in margine alla legge tedesca sulle borse del 1896 avviò - e per molti aspetti preconizzò - il dibattito moderno sui mercati finanziari). La borsa è il mercato moderno, indispensabile per la trasmissione del processo economico, e la speculazione è il vero motore della borsa. È naturale che la speculazione possa condurre a forme patologiche, che lo speculatore possa manipolare o fare usi illeciti dell'informazione, che addirittura gli accaparramenti possano essere 'formalizzati' nella tecnica dei corners (gli speculatori cornered - all'angolo - sono quelli che hanno venduto merce allo scoperto per più di quanto vi sia disponibile sul mercato; se i compratori si accaparrano quella merce e chiedono la consegna, possono étrangler i venditori che non sanno dove reperirla altrimenti).In questa impostazione logica, diventa importante il ruolo dei regolamenti e la funzione di regolazione che può essere assunta dallo Stato, e che può essere indirizzata a far crescere le capacità di autogoverno del mercato. In particolare, le pratiche speculative devono essere tutelate nella loro efficiente funzionalità economica, non debbono essere affette da dolo o da frode, non devono coinvolgere pubblico inesperto, gli ingenui, le persone prive di mezzi che si indebitano per tentare la fortuna.
Anche la figura dello speculatore - nel mercato regolamentato o almeno vigilato - riconquista dignità morale e professionale.È interessante notare come il giudizio positivo nei confronti della speculazione - si potrebbe dire l'eco di Weber - si ritrova anche in uno spirito pratico, quale fu Alberto Beneduce: "il procedimento assicurativo, implicito, empirico, incosciente, [...] lo ritroviamo in ogni forma di speculazione, cui soltanto l'analfabetismo economico di uomini di governo poté attribuire carattere di giuoco. Le operazioni speculative nella loro funzione essenziale tendono, attraverso il guadagno di una delle parti contraenti, connesso con la fluttuazione dei prezzi, ad assicurare all'altra parte la stabilità dei prezzi. Funzione quest'ultima utile alla vita sociale, non meno di ogni altra forma di attività diretta alla produzione della ricchezza" (v. Beneduce, 1915, p. 93). Pure è utile notare come il riferimento di Beneduce agli uomini di governo richiami la critica di Einaudi al "malo uso fatto della parola 'speculazione'... [e] l'errore è più antico, perché già l'onorevole Giolitti, alieno dalla teoria economica, sebbene fornito di buon senso quotidiano, usava qualificare le borse, le quali talvolta, come è loro ufficio, gli davano qualche dispiacere, per antri di speculatori" (v. Einaudi, 1973, p. 346).Su questa stessa linea si colloca la distinzione - giudicata fondamentale nella sociologia di Pareto - tra rentiers, definiti come "risparmiatori viventi su reddito fisso", e spéculateurs, "investitori viventi su redditi variabili"; per Pareto (v., 1911) la prima categoria "è quella che dà la stabilità alle nazioni, è la zavorra delle navi. La seconda categoria è quella che gli dà il moto, il progresso, sono le vele del battello".
La situazione tipica che si ricava dalle storie di speculazione è ben rappresentata nell'aneddoto che ha per protagonista Isaac Newton, scienziato famoso, "una delle menti più poderose dell'Inghilterra" (come scrisse Keynes in un raffinato e appassionato saggio biografico). Newton, "nella primavera del 1722, affermò: 'posso calcolare il movimento dei corpi pesanti, ma non la pazzia della gente'. Il 20 aprile, di conseguenza, vendette le sue azioni della South Sea Company con un solido profitto del 100% di 7.000 sterline. Successivamente [...] venne affetto dalla mania che in primavera e in estate si impadronì del mondo. Rientrò nel mercato quando era al suo massimo con una somma maggiore e finì per perdere 20.000 sterline" (v. Kindleberger, 1978; tr. it., p. 34).
Gli ingredienti per comprendere il fenomeno speculativo sono tutti qui: è importante il ruolo della gente, "financial markets are dominated by people, [...] people make a difference" (v. Thaler, 1993, p. XV); non è corretto analizzare la speculazione soltanto sulla base dei risultati (anche il guadagno delle 7.000 sterline di Newton potrebbe essere il risultato di una mania); i risultati servono per sondare e quindi imparare a tener sotto controllo il meccanismo di decisione, capire se ci sono state "manchevolezze che si sarebbero potute e dovute avvertire già prima, nello stato di informazione originario" (v. de Finetti, 1970, p. 244), per comprendere quella che, nello spirito del probabilismo e in difesa della speculazione, Milton Friedman (v., 1960, p. 287) chiama "avoidable ignorance".Quindi, sebbene il dibattito sulla speculazione abbia prodotto, a partire dalla seconda metà del Novecento, le analisi tecnicamente più raffinate, sia per l'impostazione teorica che per le tecniche econometriche utilizzate, la sintesi più originale, elegante e utile del fenomeno speculativo appare comunque quella di Keynes, con le precisazioni di de Finetti sulla logica dell'incertezza e le aggiunte di Hicks sulle questioni dell'equilibrio. Dunque, la speculazione è innanzi tutto un fenomeno soggettivo, che dipende in modo complesso ma non esclusivo dall'informazione, è mossa dalla molla della scommessa sul futuro (dal prendere la responsabilità di un'aspettativa), è collegata ai fenomeni allocativi del mercato e - in particolare - all'esigenza di assicurazione; per tutto ciò pone rilevanti problemi di regolamentazione e di vigilanza. Anche sulla questione dei regolamenti Keynes è stato efficace fino al paradosso: proprio perché la borsa ha grande importanza nel sistema dell'economia, come garante della liquidità degli investimenti, va controllata e protetta dagli eccessi della speculazione, e quindi è utile rendere l'ingresso in borsa costoso - come avviene nei casinò - affinché risulti inaccessibile al pubblico non professionista.
D'altra parte il problema non era nuovo e l'enunciazione keynesiana si ricollega a quello spirito del controllo già delineato nel dibattito di fine Ottocento: per evitare gli eccessi della speculazione non si tratta di vietare per legge gli strumenti utilizzati nell'attività speculativa, "alla legislazione e al Governo [...] incombe il dovere [...] di impedire che gli inavveduti e in genere il pubblico non professionale si lasci attirare a cuor leggero nelle speculazioni" (v. Einaudi, 1896, p. 416).
5. La speculazione, i regolamenti e le logiche del controllo
Il controllo del fenomeno speculativo è articolato su due piani: la tutela di efficienza del meccanismo di formazione del prezzo, e la vigilanza sui livelli di rischio assunto dagli operatori, in termini di perdita potenziale.La tutela dell'efficienza - si può dire - riguarda l'ambiente della speculazione, si ispira al principio della conoscenza, della diffusione al pubblico delle informazioni, sanziona l'abuso di informazioni privilegiate; è finalizzata a realizzare l'ipotesi che gli operatori nel mercato siano price takers, che non abbiano possibilità di influenzare il prezzo dei beni, ad esempio con tecniche di accaparramento o con pratiche di cornering. (Nel Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria si hanno esempi normativi di questo tipo di tutela; v. in particolare Parte V, Capo IV, sull'abuso di informazioni privilegiate e aggiotaggio su strumenti finanziari). In un mercato ove la formazione efficiente del prezzo sia tutelata, l'atto speculativo perde le connotazioni negative date dal dolo e dal sotterfugio su cui si potrebbe basare e torna - come nell'auspicio di Einaudi - al suo "significato genuino" di azione che guarda all'avvenire, assumendo dei rischi.
L'altro piano del controllo riguarda la garanzia di sostenibilità, da parte degli agenti e del sistema, degli esiti dei rischi assunti. Il problema è stato affrontato dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, che ha definito orientamenti, sollecitato approfondimenti, avviato soluzioni che hanno una valenza generale, al di là dell'ambito bancario.La vigilanza sugli effetti della speculazione rientra nel problema del controllo dei cosiddetti 'rischi di mercato', cioè rischi indotti dalle variazioni dei prezzi; è ritenuto necessario che gli operatori dispongano di sistemi interni di misurazione dei rischi, che diano la misura della perdita massima potenziale, per assegnati livelli di probabilità (il cosiddetto Value-at-Risk); che ci sia separatezza tra le responsabilità operative e le responsabilità del controllo interno; che i consigli di amministrazione e l'alta direzione siano consapevoli e responsabili dell'esposizione al rischio e verifichino che le esposizioni assunte siano coerenti con i limiti della sana e prudente gestione. Naturalmente le circolari attuative, ispirate al cosiddetto 'spirito di Basilea', hanno calibrato la forza del controllo sulle caratteristiche delle particolari fattispecie di imprese: sintomatica è la logica dei coefficienti patrimoniali per le banche (v. Banca d'Italia, 1994); o gli obblighi di informazione cui sono assoggettate le compagnie di assicurazione per certificare che l'utilizzo di strumenti finanziari derivati è realizzato a fini di copertura e non di speculazione (v. ISVAP, 1996). Anche le pratiche di organizzazione dei mercati - vigilanza e regolamentazione delle contrattazioni - mirando all'efficienza, limitano gli eccessi della speculazione. Valgano per tutti tre esempi: la sospensione dei titoli per eccesso di rialzo o di ribasso; le procedure di interruzione degli scambi (circuit breakers) introdotte per consentire agli operatori di valutare con maggior calma l'andamento dei prezzi; i limiti imposti alle posizioni sui mercati dei futures.
Nei mercati moderni, comunque, gli aspetti particolari di protezione dagli eccessi speculativi debbono essere coordinati nell'ambito generale del controllo della stabilità finanziaria e monetaria; per il fatto che i mercati stanno perdendo i vincoli della localizzazione e della fisicità - diventano globali, ad alta integrazione di spazio e di tempo, ad alta tecnologia - il controllo della stabilità è una questione complessa e coinvolge responsabilità locali, nazionali e sovranazionali. (Per un'efficace sintesi sui principî generali del controllo discussi nelle varie sedi internazionali, e per una bibliografia dei documenti più rilevanti, v. Padoa-Schioppa, 1996). (V. anche Banca e sistema bancario; Borsa; Cambio; Crisi economica e finanziaria; Finanziari, intermediari; Finanziari, mercati; Moneta; Prezzi; Titoli di credito).
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