Mille, spedizione dei
Spedizione garibaldina, che abbatté il regno delle Due Sicilie e diede la spinta decisiva alla formazione dell’unità d’Italia. L’appellativo dei M. fu consacrato assai presto dalla tradizione, ma ufficialmente i volontari garibaldini si chiamarono Cacciatori delle Alpi, perché molti provenivano da quel corpo. Il disegno d’iniziare la liberazione del Mezzogiorno con un colpo di mano era nella tradizione mazziniana: i fratelli Bandiera nel 1844, C. Pisacane nel 1857 avevano tentato di attuarlo; lo stesso Mazzini l’aveva invano proposto a Garibaldi nel marzo 1854. E mazziniano fu il primo ideatore dell’impresa, F. Crispi, che, accordatosi con A. Bertani, propose la spedizione a Garibaldi; questi accettò di capitanarla a condizione che il terreno fosse preparato da una rivolta in Sicilia. Il 4 apr. 1860 insorse a Palermo Francesco Riso e la rivolta, se fu domata in città, continuò tuttavia a serpeggiare nelle campagne. Garibaldi intanto si fece fornire da G. La Farina 1500 fucili della Società nazionale e strinse accordi con la società Rubattino. Simulando un atto di pirateria, nella notte dal 5 al 6 maggio 1860 i volontari si impadronirono di due piroscafi della Rubattino, Il Piemonte e Il Lombardo, e salparono da Quarto. Passando per Talamone completarono l’armamento prelevando da quel forte tutte le munizioni, un centinaio di carabine e qualche pezzo d’artiglieria. Sbarcata poi colà una colonna destinata a invadere, sotto la direzione di C. Zambianchi, lo Stato pontificio, i M. proseguirono il loro viaggio e, con l’appoggio indiretto di alcuni mercantili inglesi in scarico nel porto, sbarcarono a Marsala l’11 maggio 1860. Da Marsala Garibaldi marciò su Salemi: durante la marcia, si unirono ai volontari alcune squadre d’insorti siciliani, consacrati alla storia col nome di «picciotti». Giunto a Salemi, Garibaldi assunse la dittatura dell’isola in nome di Vittorio Emanuele e decretò la coscrizione obbligatoria (14 maggio). Il giorno dopo le truppe borboniche erano battute in un durissimo scontro a Calatafimi. Sviate poi le forze avversarie sulle tracce di una colonna di garibaldini spedita verso il centro dell’isola, Garibaldi piombava su Palermo, occupandola dopo tre giorni di accaniti combattimenti (27-29 maggio). Frattanto Cavour era impegnato a risolvere le questioni politiche e diplomatiche sollevate dalla spedizione. Aveva atteso lo svolgersi degli eventi e, dopo i primi successi di Garibaldi, da una parte tenne a bada la diplomazia europea, dall’altra accelerò l’invio di soccorsi in Sicilia (spedizione Medici e Cosenz), premendo però per una sollecita proclamazione dell’annessione al regno di Vittorio Emanuele. Caduta Palermo, re Francesco II, seguendo i suggerimenti francesi, promise una costituzione a Napoli e l’autonomia alla Sicilia, e inviò una missione a Torino per un’alleanza col Piemonte (25 giugno). Ma Garibaldi, riportata un’altra vittoria a Milazzo (20 luglio), cacciava i borbonici da quasi tutta la Sicilia. Frattanto erano state represse dal governo garibaldino le vaste sollevazioni contadine accesesi soprattutto nei mesi di giugno e luglio: esse erano state favorite in una prima fase dal comune obiettivo antiborbonico (e in questo senso sono da intendere, e non come frutto di un programma di politica agraria, le disposizioni che prevedevano la quotizzazione dei demanî) quando alla testa dei moti stavano soprattutto elementi borghesi; ma successivamente, quando il movimento contadino si volse apertamente contro le classi dominanti, rendendo per di più vana la leva in massa, tali agitazioni furono duramente soffocate (l’episodio più noto fu la repressione operata da N. Bixio a Bronte il 4 ag.). Garibaldi varcò quindi lo stretto, mentre l’esercito borbonico si dissolveva davanti a lui e la Basilicata e le Calabrie insorgevano; il 7 sett. il dittatore entrava a Napoli. Cavour, che vedeva scosso il prestigio della monarchia dal compimento dell’unità a opera delle sole forze garibaldine, tendenzialmente repubblicane, decideva l’intervento regio; invase le Marche e l’Umbria, superando la resistenza pontificia, l’esercito piemontese entrava nel regno di Napoli dagli Abruzzi. Un ultimo tentativo di riscossa borbonica fu infranto da Garibaldi sul Volturno nella maggiore battaglia della campagna (1° e 2 ott.); il 26 ott. egli incontrò il re a Teano, entrò quindi con lui a Napoli e depose nelle sue mani la dittatura.