sperare (isperare)
Significa " attendere con fiducia che una cosa desiderata si realizzi ", come, con valore assoluto, in If XXIII 133 Più che tu non speri / s'appressa un sasso (il disorientamento prodotto in Virgilio dall'inganno del demonio si ripercuote anche sulla fiducia di riprendere sollecitamente la via attraverso le bolge); Pd XXIII 15 disïando / altro vorria, e sperando s'appaga (dove bene si chiarisce l'azione della speranza sul moto del desiderio: bilanciato tra l'una e l'altro, l'animo del pellegrino si adegua alla condizione di Beatrice che, sospesa e vaga, attende l'aprirsi del trionfo di Cristo), e Vn XIII 8 5 altro [pensiero] sperando m'apporta dolzore.
Spesso è accompagnato dalla specificazione dell'avvenimento atteso: If I 119 speran di venire / ... a le beate genti (il verbo occupa una posizione centrale nella terzina dedicata ai penitenti del Purgatorio, sia perché vale a caratterizzarne la condizione, sia perché, in correlazione con le disperate strida [v. 115], ne illumina la netta distinzione dai dannati); Pg III 34 Matto è chi spera che nostra ragione / possa trascorrer la infinita via; Vn VIII 11 20, XLII 2 io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d'alcuna (anche qui, con particolare importanza per la storia della poesia dantesca, non si tratta di un vago desiderio ma di un'attesa fiduciosa, il cui cardine è l'attiva volontà - di venire a ciò io studio quanto posso -); Rime LXXX 21 Io non ispero che mai per pietate / degnasse (da notare la rara forma prostetica, che si riscontra, qui e nella prossima occorrenza, nell'incontro con ‛ non ', ma quando la misura del verso la consente o richiede).
L'infinito dipendente può anche esser privo della preposizione, come in If III 85 Non isperate mai veder lo cielo (l'apostrofe di Caronte parafrasa l'epigrafe della porta dell'Inferno, e qui si riferisce in particolare all'ultimo e più minaccioso verso di quella, III 9); Rime CXVI 70 non spero mai d'altrui aver soccorso (essendo altrui pronome di persona indefinita che si contrappone a costei [v. 69], la preposizione non può riferirsi all'infinito aver); Cv IV Le dolci rime 3 non perch'io non speri / ad esse [le dolci rime, v. 1] ritornare: si attenua, in questa precisazione (e nel commento di II 3), il senso della rottura tra poesia amoroso-allegorica e poesia dottrinale; ma si è opportunamente considerato che D. abbia voluto adottare " la prudente cautela della provvisorietà " (Barbi-Pernicone) nel tentare una svolta di poetica che può considerarsi analoga a quella di Guittone.
L'oggetto dello s. è talvolta espresso da un sostantivo o da un pronome: If XXIV 93 sanza sperar pertugio o elitropia; Pg XVII 116, Pd XXVI 60 quel che spera ogne fedel (la speranza della beatitudine è uno dei motivi - vv. 55-56 - della carità di D.); Vn XXXI 16 70, Rime XCI 47 io spero tempo che più ragion prenda (dove, come suggerisce il Contini, s. " ha la sfumatura di ‛ attendere ' "); Detto 68 ciaschedun dì spero / merzé.
Vale piuttosto " attendersi " in Cv IV XV 13, in integrazione: Vedesti l'uomo ratto a rispondere? di lui stoltezza, più che correzione è da [sperare], che è traduzione di Prov. 29, 20 utilizzata, con l'aggancio a coloro che anzi la domandagione compiuta, male rispondono, per definire la stoltezza degl'intelletti resi infermi dalla naturale [jat]tanza (§ 12). In Pd XXXI 45 spera [il pellegrino] già ridir com'ello stea, significa in particolare il proposito del pellegrino di partecipare ad altri, nella descrizione del tempio, il proprio godimento.
Si può anche avere l'indicazione della persona o cosa da cui può venire il bene atteso, con la locuzione ‛ s. in ' che vale " collocare la propria speranza in ", come in Pg XIII 152 gente vana / che spera in Talamone (i Senesi posero nel porto di Talamone, acquistato nel 1303, la speranza di avere uno scalo marittimo; l'ostilità dei concorrenti fiorentini favoleggiò di esorbitanti aspirazioni marittime in gara con le grandi repubbliche marinare); e in Rime LVIII 4 [il cuore] spera in te e disiando more (nell'evidente rapporto fra ripresa e stanza, il motivo della speranza trova il suo svolgimento nei vv. 8-11). La locuzione ‛ s. in ' ritorna nella formula scritturale in Pd XXV 73 ‛ Sperino in te... / color che sanno il nome tuo ' (dov'è tradotta in italiano in quanto D. nel rispondere alle domande di s. Giacomo cita il salmo 9, 11 come una delle fonti della propria speranza); v. SPERENT IN TE; In Te, Domine, Speravi.
Con l'avverbio ‛ bene ' si ha l'occorrenza di Pd XXIV 40, e la locuzione ‛ bene s. di ' in If I 41 a bene sperar... / di quella fiera a la gaetta pelle; l'avverbio, più che conferire intensità, segna il passaggio dal timore alla speranza; la locuzione può significare la speranza di sfuggire alla fiera o di vincerla (cfr. XVI 106-108) o di placarla (Dionisi). Tra coloro che leggono di quella fiera la gaetta pelle (v. 42), alcuni considerano pelle oggetto del ‛ bene s. ': " dabant mihi causam bene sperandi detractionem pellis illius ferae, idest mortificandi et extinguendi luxuriam, quae stat in pelle " (Benvenuto), " speranza di poter aver la pelle " (Landino; per l'intera questione v. L. G. Blanc, Saggio di una interpretazione, ecc., Trieste 1865, 8-10, e Petrocchi, ad l.). La stessa locuzione è in Cv II X 5 [la pietà e l'umiltà] fanno de la persona bene sperare, dove significa il medesimo processo dalla paura (cfr. Voi che 'ntendendo 43 ss.) alla speranza.
Il verbo è attestato nella forma passiva, in Pd XXIV 64 fede è sustanza di cose sperate (l'espressione, che è traduzione di Paul. Hebr. 11, 1, viene spiegata analiticamente nei successivi vv. 70-78).